E
ALLORA?!
Marineford era
stracolma di gente: i
pirati di Barbabianca e i suoi alleati occupavano il pezzo di mare al
centro
della roccaforte e l’oceano retrostante, i marine erano
schierati davanti agli
alti muri, nella piazza, per evitare che i nemici vi entrassero.
C’erano
centinaia di cannoni puntati e pronti a sparare colpi mortali, e la
Flotta dei
Sette osservava seria, in attesa del momento più propizio in
cui agire.
L’ammiraglio
Sengoku, col suo cappello
di dubbio gusto e oltremodo imbarazzante, era appena giunto sul
patibolo, e ora
stava in piedi dietro ad un Ace con un’espressione piuttosto
incarognita. Naturale,
essendo stato condannato a morte da quello stesso individuo con una
barba
indecente e un gusto orrido in fatto di animali impagliati. Che poi
perché, Ace
si chiedeva, dovesse portare quel coso sulla
testa, proprio non lo capiva; c’erano mille altri posti in
cui mettere un
animale imbalsamato più degni che non un cappello da
marinaio. Ma quello non
era né il luogo, né tantomeno il momento per
mettersi a criticare l’abbigliamento
da hippie del Grand’ammiraglio.
Sengoku chiese
un lumacofono, che gli
fu subito portato da un sottoposto obbediente e impaurito. Si
avvicinò di più
al bordo del patibolo, e parlò dentro
all’animaletto giallo; se solo Ace fosse
stato più scaltro e malandrino, sarebbe riuscito a buttarlo
di sotto tra gli
applausi generali.
“C’è
una cosa importante di cui voglio
informarvi…” disse, e la sua voce
rimbombò tra la folla sottostante. Si poté
sentire chiaramente un qualcuno lontano rispondere a tono, un qualcosa
come Ma chissenefrega, ma fu
prontamente
ignorato, e il discorso dell’uomo continuò nel
silenzio più totale.
“Voglio
spiegarvi il motivo per cui l’esecuzione
del condannato, in questo luogo, abbia per noi un profondo
significato”.
Intanto la folla
era precipitata in un
silenzio assordante, come se attendesse di ricevere i numeri vincenti
della
lotteria, attenta a non perdersi una sola parola. Il fumo dei sigari
fetenti di
Smoker si innalzava a spirali, appestando l’aria
tutt’attorno e costringendo le
povere anime intorno a lui a respirare fumo passivo. Intanto Garp
cercava, con
scarso successo, di mascherare la sua profonda depressione ridendo alle
battute
della sua collega vecchietta che gli stava accanto; battute peggiori di
quelle
di un inglese che crede di avere il senso dell’umorismo.
“Dunque
Ace, raccontaci un po’…come si
chiama tuo padre?” espose tranquillamente il
Grand’ammiraglio, fregandosene
altamente della privacy a cui ognuno di noi ha diritto. Infatti il
ragazzo
esitò nel rispondere, decidendo se fare appello a questa
cosa e rischiare di
ricevere una mazzata sulla testa, oppure dire la verità
mascherata da bugia.
“Il
nome di mio padre è Barbabianca”
disse infine, scegliendo saggiamente la seconda opzione. Da lontano,
l’uomo con
i grandi baffi fu scosso da un singhiozzo di commozione; il suo bambino
era
diventato grande!
“Non
è vero!” punzecchiò Sengoku,
sperando che il ragazzo rivelasse la verità.
“Sì
è la verità! È l’unico padre
che
abbia avuto, non c’è stato nessun
altro!” ribatté Ace, forse scambiando
l’affermazione
dell’uomo-gabbiano come un’accusa ai molti uomini
che aveva avuto durante la
sua vita da pirata. È ovvio che di padre ce ne sia uno solo,
ma forse questo
Ace non l’aveva ancora compreso appieno.
Così
Sengoku si mise a fare un
monologo di dubbia utilità, su come avessero setacciato il
mondo intero, vent’anni
addietro, per scovare un povero bebè urlante e incolparlo di
essere il figlio
del male più grande del mondo, Gol D. Roger. Che male avesse
poi fatto quest’uomo,
non è dato saperlo; ma si sa che i grandi poteri devono
necessariamente avere
qualcuno da accusare quando non riescono a controllare gli eventi.
Difatti ammise
che i loro sforzi erano stati vani, anche perché molto
probabilmente il mondo
era pieno di ragazze madri che non avevano la minima intenzione di far
sapere
ai loro genitori rissosi di essere incinte; sarebbero state buttate
fuori di
casa, e per loro la Marina poteva anche farsi bellamente gli affari
propri,
senza dover loro rovinare ulteriormente la vita.
Continuò
farneticando di un’isola di
nome Baterilla, nel Mare Meridionale, di cui la maggior parte dei
presenti
nemmeno sapeva l’esistenza; un po’ come il Molise.
Disse anche di una donna,
chiamata Portuguese D. Rouge, che aveva ingannato il mondo intero
riuscendo ad
avere una gravidanza di oltre due anni.
“Lascia
stare la mia mamma!” avrebbe
voluto gridare Ace, che temeva che il suo buon nome potesse essere
sporcato. Ma
non riuscì a far altro che stringere i denti e i pugni senza
pronunciare
parola.
“Quel
neonato eri tu, dico bene?”
chiese Sengoku, facendo brillare i suoi occhiali rotondi alla luce del
sole,
che manco Harry Potter. Che domanda stupida, poi. Come avrebbe potuto
Ace
ricordarsi una cosa del genere? A mala pena sapeva di esistere, e il
suo
cervello elaborava pensieri semplici, del tipo ho
fame, piangere, ho sete, piangere, ho sonno, piangere, piangere, ho
male al pancino e perciò piango; piangiamo ancora un
po’ sennò non sarei un
neonato credibile.
Ma il ragazzo
lentigginoso non
rispose.
“Non
far finta di non sapere nulla!”
asserì minaccioso l’uomo-impagliatore-di-gabbiani,
tentando nuovamente di
fargli rivelare la verità. Perché avesse tanto
accanimento su una cosa che Ace
non poteva assolutamente ricordare, nessuno lo sa. Lui
l’aveva solo sentito
dire, e per quanto ne sapesse, poteva benissimo essere il figlio del
postino. Ma
chissà perché nessuno aveva mai creduto a quella
versione della storia.
Garp, intanto,
si crogiolava nel suo
dolore, ripensando al suo amico-nemico baffuto, che tanti anni prima
gli aveva
chiesto l’ultimo favore della sua vita. Ma Garp non
l’aveva mantenuto, pensando
che bighellonare con la Marina Militare sparando cannonate a caso,
fosse un
passatempo migliore. Ogni tanto però, preso dai sensi di
colpa, andava a
picchiare quel bimbetto, giusto per spezzare la monotonia della sua
giornata e
non sentirsi troppo meschino per essere venuto meno alla sua parola.
“Signori,
suo padre è…” urlò il
Grand’ammiraglio,
creando una suspense che aveva provato milioni di volte nel suo
ufficio. L’effetto
era quello sperato, dopo tanto allenarsi a pronunciare quella frase
alla sua
infinita collezione di gabbiani impagliati: la folla pendeva dalle sue
labbra,
e tratteneva il fiato in attesa del verdetto finale.
“Il Re
dei pirati! STO PARLANDO DI GOLD
ROGER!” tuonò, soddisfatto dalla sua performance,
ma ignorando di aver
clamorosamente sbagliato la pronuncia del suo nome. Dettagli, futili
dettagli.
Il silenzio la
faceva ancora da
padrone; niente si muoveva, niente faceva il minimo rumore. Era come se
il
mondo si fosse congelato sotto uno strano sortilegio di Aokiji. La
folla era
come pietrificata, muta e non osava ribattere. Sembrava come se una
cappa fosse
calata su Marineford e nessuno fosse capace di diradarla.
Poi, una voce
squillante, squarciò il
silenzio denso che si era creato, dando alito a quella che, con tutta
probabilità, era la domanda che assillava la maggior parte
dei presenti.
“E
allora?!”
ANGOLO
DELLA DEMENZA
*Schiva
pomodori rotolando di lato*
Ehm…salve!
*Altro
silenzio di tomba imbarazzante*
Come
state?
*Un
cespuglio del deserto rotola
indisturbato*
Come
potete vedere, sono tornata con
un’altra cretinata che mi è balzata in testa,
guardando per l’ennesima volta la
saga di Marineford.
Io
odio quel tizio con gabbiano sulla
testa, e sinceramente non riesco a capire il perché la gente
odiasse tanto Gol
D. Roger da condannare suo figlio che non aveva colpe. Mi sono persa
qualche
pezzo, ne sono certa, ma per me questa storia non ha proprio senso.
Ecco perché,
guardando la scena che ho descritto, mi sono immaginata, nel momento
del
silenzio che segue a questa dichiarazione, che qualcuno di estremamente
coraggioso pronunciasse quelle parole. Inutile dire che sono stata io
la prima
a dirle, quando vidi l’episodio per la prima volta;
successivamente ho iniziato
a ridere come una deficiente per circa cinque minuti. Il passaggio fino
alla
storia è breve, e finalmente ho avuto tempo di scriverla. E
quindi, eccomi qui.
1.131 parole di pura stupidità. Ho ripreso papali papali le
parole dall’episodio,
ma ho modificato un pochino il resto.
Spero
che questo possa avervi fatto
sorridere almeno! Ho voluto dare ad Ace una rivincita, anche se si
meriterebbe
la flagellazione per il modo stupido in cui si è fatto
abbindolare prima, e
ammazzare poi.
Detto
ciò, ogni cosa è ben accetta,
ovviamente!
Grazie,
se siete arrivati fino a qui!
A
presto!