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Autore: Ice_DP    18/05/2016    3 recensioni
Marineford era stracolma di gente: i pirati di Barbabianca e i suoi alleati occupavano il pezzo di mare al centro della roccaforte e l’oceano retrostante, i marine erano schierati davanti agli alti muri, nella piazza, per evitare che i nemici vi entrassero. C’erano centinaia di cannoni puntati e pronti a sparare colpi mortali, e la Flotta dei Sette osservava seria, in attesa del momento più propizio in cui agire.
L’ammiraglio Sengoku, col suo cappello di dubbio gusto e oltremodo imbarazzante, era appena giunto sul patibolo, e ora stava in piedi dietro ad un Ace con un’espressione piuttosto incarognita.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Portuguese D. Ace, Sengoku
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le imbarazzanti avventure di Ace'
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E ALLORA?!

 

Marineford era stracolma di gente: i pirati di Barbabianca e i suoi alleati occupavano il pezzo di mare al centro della roccaforte e l’oceano retrostante, i marine erano schierati davanti agli alti muri, nella piazza, per evitare che i nemici vi entrassero. C’erano centinaia di cannoni puntati e pronti a sparare colpi mortali, e la Flotta dei Sette osservava seria, in attesa del momento più propizio in cui agire.

L’ammiraglio Sengoku, col suo cappello di dubbio gusto e oltremodo imbarazzante, era appena giunto sul patibolo, e ora stava in piedi dietro ad un Ace con un’espressione piuttosto incarognita. Naturale, essendo stato condannato a morte da quello stesso individuo con una barba indecente e un gusto orrido in fatto di animali impagliati. Che poi perché, Ace si chiedeva, dovesse portare quel coso sulla testa, proprio non lo capiva; c’erano mille altri posti in cui mettere un animale imbalsamato più degni che non un cappello da marinaio. Ma quello non era né il luogo, né tantomeno il momento per mettersi a criticare l’abbigliamento da hippie del Grand’ammiraglio.

Sengoku chiese un lumacofono, che gli fu subito portato da un sottoposto obbediente e impaurito. Si avvicinò di più al bordo del patibolo, e parlò dentro all’animaletto giallo; se solo Ace fosse stato più scaltro e malandrino, sarebbe riuscito a buttarlo di sotto tra gli applausi generali.

“C’è una cosa importante di cui voglio informarvi…” disse, e la sua voce rimbombò tra la folla sottostante. Si poté sentire chiaramente un qualcuno lontano rispondere a tono, un qualcosa come Ma chissenefrega, ma fu prontamente ignorato, e il discorso dell’uomo continuò nel silenzio più totale.

“Voglio spiegarvi il motivo per cui l’esecuzione del condannato, in questo luogo, abbia per noi un profondo significato”.

Intanto la folla era precipitata in un silenzio assordante, come se attendesse di ricevere i numeri vincenti della lotteria, attenta a non perdersi una sola parola. Il fumo dei sigari fetenti di Smoker si innalzava a spirali, appestando l’aria tutt’attorno e costringendo le povere anime intorno a lui a respirare fumo passivo. Intanto Garp cercava, con scarso successo, di mascherare la sua profonda depressione ridendo alle battute della sua collega vecchietta che gli stava accanto; battute peggiori di quelle di un inglese che crede di avere il senso dell’umorismo.

“Dunque Ace, raccontaci un po’…come si chiama tuo padre?” espose tranquillamente il Grand’ammiraglio, fregandosene altamente della privacy a cui ognuno di noi ha diritto. Infatti il ragazzo esitò nel rispondere, decidendo se fare appello a questa cosa e rischiare di ricevere una mazzata sulla testa, oppure dire la verità mascherata da bugia.

“Il nome di mio padre è Barbabianca” disse infine, scegliendo saggiamente la seconda opzione. Da lontano, l’uomo con i grandi baffi fu scosso da un singhiozzo di commozione; il suo bambino era diventato grande!

“Non è vero!” punzecchiò Sengoku, sperando che il ragazzo rivelasse la verità.

“Sì è la verità! È l’unico padre che abbia avuto, non c’è stato nessun altro!” ribatté Ace, forse scambiando l’affermazione dell’uomo-gabbiano come un’accusa ai molti uomini che aveva avuto durante la sua vita da pirata. È ovvio che di padre ce ne sia uno solo, ma forse questo Ace non l’aveva ancora compreso appieno.

Così Sengoku si mise a fare un monologo di dubbia utilità, su come avessero setacciato il mondo intero, vent’anni addietro, per scovare un povero bebè urlante e incolparlo di essere il figlio del male più grande del mondo, Gol D. Roger. Che male avesse poi fatto quest’uomo, non è dato saperlo; ma si sa che i grandi poteri devono necessariamente avere qualcuno da accusare quando non riescono a controllare gli eventi. Difatti ammise che i loro sforzi erano stati vani, anche perché molto probabilmente il mondo era pieno di ragazze madri che non avevano la minima intenzione di far sapere ai loro genitori rissosi di essere incinte; sarebbero state buttate fuori di casa, e per loro la Marina poteva anche farsi bellamente gli affari propri, senza dover loro rovinare ulteriormente la vita.

Continuò farneticando di un’isola di nome Baterilla, nel Mare Meridionale, di cui la maggior parte dei presenti nemmeno sapeva l’esistenza; un po’ come il Molise. Disse anche di una donna, chiamata Portuguese D. Rouge, che aveva ingannato il mondo intero riuscendo ad avere una gravidanza di oltre due anni.

“Lascia stare la mia mamma!” avrebbe voluto gridare Ace, che temeva che il suo buon nome potesse essere sporcato. Ma non riuscì a far altro che stringere i denti e i pugni senza pronunciare parola.

“Quel neonato eri tu, dico bene?” chiese Sengoku, facendo brillare i suoi occhiali rotondi alla luce del sole, che manco Harry Potter. Che domanda stupida, poi. Come avrebbe potuto Ace ricordarsi una cosa del genere? A mala pena sapeva di esistere, e il suo cervello elaborava pensieri semplici, del tipo ho fame, piangere, ho sete, piangere, ho sonno, piangere, piangere, ho male al pancino e perciò piango; piangiamo ancora un po’ sennò non sarei un neonato credibile.

Ma il ragazzo lentigginoso non rispose.

“Non far finta di non sapere nulla!” asserì minaccioso l’uomo-impagliatore-di-gabbiani, tentando nuovamente di fargli rivelare la verità. Perché avesse tanto accanimento su una cosa che Ace non poteva assolutamente ricordare, nessuno lo sa. Lui l’aveva solo sentito dire, e per quanto ne sapesse, poteva benissimo essere il figlio del postino. Ma chissà perché nessuno aveva mai creduto a quella versione della storia.

Garp, intanto, si crogiolava nel suo dolore, ripensando al suo amico-nemico baffuto, che tanti anni prima gli aveva chiesto l’ultimo favore della sua vita. Ma Garp non l’aveva mantenuto, pensando che bighellonare con la Marina Militare sparando cannonate a caso, fosse un passatempo migliore. Ogni tanto però, preso dai sensi di colpa, andava a picchiare quel bimbetto, giusto per spezzare la monotonia della sua giornata e non sentirsi troppo meschino per essere venuto meno alla sua parola.

“Signori, suo padre è…” urlò il Grand’ammiraglio, creando una suspense che aveva provato milioni di volte nel suo ufficio. L’effetto era quello sperato, dopo tanto allenarsi a pronunciare quella frase alla sua infinita collezione di gabbiani impagliati: la folla pendeva dalle sue labbra, e tratteneva il fiato in attesa del verdetto finale.

“Il Re dei pirati! STO PARLANDO DI GOLD ROGER!” tuonò, soddisfatto dalla sua performance, ma ignorando di aver clamorosamente sbagliato la pronuncia del suo nome. Dettagli, futili dettagli.

Il silenzio la faceva ancora da padrone; niente si muoveva, niente faceva il minimo rumore. Era come se il mondo si fosse congelato sotto uno strano sortilegio di Aokiji. La folla era come pietrificata, muta e non osava ribattere. Sembrava come se una cappa fosse calata su Marineford e nessuno fosse capace di diradarla.

Poi, una voce squillante, squarciò il silenzio denso che si era creato, dando alito a quella che, con tutta probabilità, era la domanda che assillava la maggior parte dei presenti.

“E allora?!”

 

 

 

 

ANGOLO DELLA DEMENZA
*Schiva pomodori rotolando di lato*
Ehm…salve!
*Altro silenzio di tomba imbarazzante*
Come state?
*Un cespuglio del deserto rotola indisturbato*
Come potete vedere, sono tornata con un’altra cretinata che mi è balzata in testa, guardando per l’ennesima volta la saga di Marineford.
Io odio quel tizio con gabbiano sulla testa, e sinceramente non riesco a capire il perché la gente odiasse tanto Gol D. Roger da condannare suo figlio che non aveva colpe. Mi sono persa qualche pezzo, ne sono certa, ma per me questa storia non ha proprio senso. Ecco perché, guardando la scena che ho descritto, mi sono immaginata, nel momento del silenzio che segue a questa dichiarazione, che qualcuno di estremamente coraggioso pronunciasse quelle parole. Inutile dire che sono stata io la prima a dirle, quando vidi l’episodio per la prima volta; successivamente ho iniziato a ridere come una deficiente per circa cinque minuti. Il passaggio fino alla storia è breve, e finalmente ho avuto tempo di scriverla. E quindi, eccomi qui. 1.131 parole di pura stupidità. Ho ripreso papali papali le parole dall’episodio, ma ho modificato un pochino il resto.
Spero che questo possa avervi fatto sorridere almeno! Ho voluto dare ad Ace una rivincita, anche se si meriterebbe la flagellazione per il modo stupido in cui si è fatto abbindolare prima, e ammazzare poi.
Detto ciò, ogni cosa è ben accetta, ovviamente!
Grazie, se siete arrivati fino a qui!
A presto!

   
 
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