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Autore: Roscoe24    24/05/2016    2 recensioni
Questa è la storia di Natalie Duvall (nipote di Bobby, figlia di una sua presunta sorella venuta a mancare in un incidente d'auto insieme al marito. Bobby l'ha presa con se e cresciuta) che è una presenza costante della vita dei Winchester. Si conoscono fin da piccoli, sono cresciuti insieme e cacciano insieme. Presumibilmente, Natalie ha vissuto tutte le esperienze che hanno vissuto i fratelli nel corso delle cinque stagioni che riguardano l'Apocalisse.
Nella storia sono presenti dialoghi che risulteranno familiari, quindi sappiate che sono volutamente ripresi, anche se non sono proprio precisissimi.
La trama della sesta stagione non verrà seguita in maniera perfetta, potrebbero esserci degli avvenimenti nominati che accadono prima o dopo e che, invece, in questa storia sono posizionati in modo diverso, o riferiti a personaggi diversi da quelli originali.
Non so cos'altro aggiungere, quindi credo che mi fermerò qui xD
Buona lettura! (Spero) :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
Capitoli:
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Diciotto ore di silenzio. Nemmeno un cambio di guida.
Diciotto ore di assordante niente, interrotto solo dai rumori provenienti fuori dal finestrino. Un cane che abbaia, un uomo che grida, un bambino che ride inseguendo un pallone, il clacson delle altre macchine, gli insulti degli automobilisti rivolti ad altri automobilisti, dita medie che sbucano dai finestrini accompagnati da imprecazioni poco piacevoli che spesso e volentieri riguardano le mamme e il loro presunto mestiere – lo stesso che, secondo la leggenda, è il più antico del mondo.
Non si sono nemmeno guardati in viso. Sono incapaci di farlo per più di due secondi, dopo la sera precedente. Le parole, le grida, sono ancora troppo impresse nella loro mente, risuonano ancora nelle loro orecchie rimbombando come lo scoccare delle campane che scandiscono le ore, picchiettando frenetiche come la pioggia che si scaglia sui vetri delle finestre.
Incapaci anche solo di pensare di guardarsi.
Figuriamoci di sfiorarsi.
Si tengono a debita distanza l’uno dall’altra.
Natalie stringe il volante saldamente, Dean rimane il più possibile attaccato al finestrino.
Dobbiamo partire, Natalie.
È l’ultima cosa che si sono detti.
Hanno salutato May in fretta – che ha tanto insistito affinché si portassero via la crostata ai lamponi – e sono rimontati in macchina diretti a Sioux Falls.
Sammy è sveglio, la sua anima ha smesso di assestarsi dentro al suo corpo e quest’ultimo l’ha riconosciuta. Si sono incontrati di nuovo, dopo del tempo, e hanno trovato il modo di riuscire a combaciare di nuovo, tornando com’erano prima. O quasi, se si esclude il muro che rimuove i ricordi dell’Inferno.
Chissà che anche Dean e Natalie, esattamente come il corpo e l’anima di Sam, potranno mai combaciare di nuovo, tornare i due pezzi di puzzle che si completano a vicenda che erano prima.
Ad essere onesti, ad entrambi in questo momento, sembra del tutto impossibile.
Non si può aggiustare la ceramica rotta con dello scotch.
Dean al finestrino, la barba incolta, lasciata crescere in questi giorni – così tanto che ha iniziato a prendere una sfumatura rossastra vicino al mento – gli occhi stanchi, arrossati, e il cuore ridotto ad un cumulo di ceneri pesanti come il piombo, scocca una veloce occhiata a Natalie, che altro non fa che guardare la strada senza proferire parola. Continua a fissare quella distesa grigia di catrame davanti a se come se fosse l’unica cosa che vede, come se fosse sola in macchina. Questo lo fa letteralmente impazzire. Il caldo, la sensazione claustrofobica che gli ha sempre trasmesso l’abitacolo di quella jeep – è sempre stato il difetto di quell’auto, stretta davanti e larga nel bagagliaio per lasciare spazio alle armi – Natalie che lo odia, la sensazione che quell’odio aleggi solido in quello spazio angusto, tremolante e ululante come un fantasma fin troppo reale; le troppe ore di viaggio, l’impazienza di vedere Sam – di vedere se l’intervento di Morte ha funzionato, l’assenza delle ore di sonno... tutto ciò lo fa innervosire, gli manda i nervi a fior di pelle e l’unica cosa che vorrebbe fare è uccidere qualcosa, o bere whiskey fino a svenire, o mettersi al volante di Baby e spingere l’acceleratore al massimo, sentire il rombo della sua piccola che cresce sempre di più ad ogni metro di strada mangiato. Invece... invece è chiuso dentro ad una specie di cella con un secondino che non ha pietà di lui.
Hanno scelto il momento meno opportuno per accendere quella discussione. Avrebbero dovuto rimandare tutto dopo il risveglio di Sam.
Invece sono esplosi come due centrali nucleari e hanno fatto così tanti danni che le conseguenze si ripercuoteranno anche sugli anni a venire. Anche se, a dire tutta la verità, non hanno veramente chiarito la situazione. È come se avessero tirato fuori solo metà della melma in cui stanno nuotando. Inutile negarlo, adesso sta a lui tirare fuori la sua, di melma, visto che Natalie l’ha già fatto. Visto che gli ha gridato contro che lo odia, che innamorarsi di lui è stato un errore.
E lui che l’ha sempre definita come la cosa più bella che gli sia mai capitata in tutta la sua fottuta, merdosa esistenza. Pensa un po’ come è stronzo l’universo.
Si trova a guardarla. Il naso fine, le labbra torturate dai denti che staccano le piccole pellicine da cui escono minuscole gocce di sangue, i capelli lasciati cadere liberi sulle spalle.
Vorrebbe gridarle contro che è una bugiarda del cazzo, che non è vero che pensa che amarlo sia un errore, che sa benissimo che l’ha detto perché lui l’ha ferita.
Be’ indovina un po’, Natalie, mi odio anche io, con tutto me stesso, per averti ferita, ma ciò non vuol dire che rinchiudersi in un mutismo assoluto sia la soluzione. Urlami contro, lo preferisco sicuramente a questo muro di mattoni innalzato per tenermi fuori dalla tua sfera vitale – è questo che pensa, e lo pensa davvero.
Osserva il cartello con la scritta “Benvenuti a Sioux Falls”. Sono arrivati a casa. Natalie percorre la strada che ormai conosce da quando era una bambina e dopo venti minuti stanno passando sotto l’arco “Singer Auto”.
Avanzano fino a che non arrivano davanti al garage. La porta è chiusa così Natalie parcheggia l’auto davanti ad essa. Quando il motore è spento, Dean e Natalie scendono, afferrano le loro borse e in silenzio, si incamminano verso casa.
“Non una parola di quello che è successo.”
Dean si stupisce di sentire la voce di Natalie, dopo che è stato circondato solo da silenzio per così tanto tempo.
“Come preferisci.”
“Non vuol dire che non ne riparleremo tra di noi.”
“Come vuoi.”
Nat ha lo sguardo fisso davanti a se. Durante questa brevissima conversazione non l’ha nemmeno sfiorato con lo sguardo, mentre lui l’ha osservata. Ha visto il suo sguardo preoccupato, ha notato il tono glaciale della sua voce che celava, nemmeno poi così bene, un tremolio insicuro. Natalie lo ignora per non esplodere.
Ha trattenuto le sue emozioni per troppo tempo, le ha accantonate, lasciando emergere solo la cacciatrice che è in lei da quando hanno ripreso contatto, e il muro che ha erto per ripararsi è così crepato che basterebbe un soffio di vento più forte del previsto per farlo crollare; il guinzaglio a cui il lume della ragione ha legato le emozioni è così liso che basterebbe uno strattone in più per lasciare che scappino libere e difficilmente imbrigliabili una seconda volta. È in arrivo un maremoto e Nat sta cercando di trattenerlo con una vaschetta per i pesci.
Intono a loro, solo oscurità. Sono partiti dalla Louisiana che era mattina molto presto e sono arrivati che la notte inizia a coprire il giorno con la sua buia coperta blu scuro. Il sole lascia spazio alla luna, tramontando per fare in modo che sua sorella – o la sua amata, in base a quale storia si sceglie di credere – quel cerchio bianco, brillante e pieno di crateri,  regni in cielo – così in contrasto con l’oscurità che la circonda che non puoi fare a meno di guardarla, così splendida in tutto il suo candore che osservarla arriva a dare quella sensazione di pace, portando a pensare a come debba essere guardare il mondo da lassù, vedere gli uomini così piccoli ed essere testimone di piccoli sprazzi di vita.
Natalie inserisce la chiave nella serratura e la fa scattare. La porta si apre e loro entrano, annunciando la loro presenza.
“Siamo arrivati.” Le parole di Natalie risuonano nella casa. Si chiude la porta alle spalle e, dallo studio, sbucano Bobby e Sam.
Sam, con la camicia (pulita e tutta intera) a quadri bianchi e neri, i jeans aggiustati e gli occhi addolciti dalla presenza della sua anima dentro di se, corre incontro ai due cacciatori fiondandosi su Dean, stringendolo in un abbraccio ferreo, così stretto da far mancare il respiro al maggiore dei Winchester. Dean ricambia l’abbraccio, stringendo più forte che può: suo fratello è tornato.
“È bello averti di nuovo tra noi.” Gli sussurra, poco prima che Sam sciolga l’abbraccio e si chini verso Natalie, con l’intenzione di abbracciare anche lei.
Nat, in un primo momento rigida come una statua di marmo, ricambia la stretta, ma senza quell’entusiasmo che ha Sam. È imbarazzata e non sa esattamente come comportarsi. Ma poi, viene invasa dal pensiero che Sam è tornato, Sam è di nuovo Sammy e allora, accantona quella sensazione di disagio che i loro corpi a contatto le provoca, e lo stringe più forte che può. Sente le sue braccia intono al corpo e capisce che Sam adesso è affettivamente Sam. Non sa come spiegarlo, ma il modo in cui adesso la stringe è lo stesso che aveva prima che saltasse nella Gabbia, è lo stesso rassicurante abbraccio che sa di casa, di famiglia, di fratellanza e che non ha niente di malizioso. Non sa come fa a capirlo, lo capisce e basta.
“Bentornato, Sam.”

“Cosa è successo, esattamente?” chiede il minore dei Winchester, separandosi da Natalie.
Bobby e Dean si scambiano un’occhiata eloquente, che non sfugge a Natalie, e poi il giovane cacciatore prende parola: “Tu cosa ricordi?” indaga, cauto.
Sam si sistema i capelli dietro alla orecchie: “Ricordo di aver sentito Lucifero dentro di me, ricordo anche che avevo questa sensazione di controllo su di lui e poi... e poi ricordo che ho saltato.”
“Tutto qui?”
“Si, tutto qui. Poi mi sono svegliato nella panic room.” Sam aggrotta le sopracciglia, improvvisamente colpito da un dubbio: l’ultima volta che si è svegliato dopo essere morto, suo fratello aveva venduto l’anima per riportarlo indietro. Una sensazione attanagliante di paura lo invade: “Che hai fatto Dean, si può sapere??”
“Niente!”
“Niente?”
“Non proprio niente .. io e Morte..”
Morte?? Il Cavaliere? Sei serio?” sbotta, innervosito.
“Abbiamo fatto un accordo, ok? Era vantaggioso e l’ho accettato. È tutto finito.”
“Be’.. tutto finito....” inizia Bobby, ma Dean gli lancia un’occhiata che parla più di quanto potrebbero fare mille parole.
“Tutto finito. Un colpo di spugna. Perché non possiamo gioire di qualcosa che va per il verso giusto, una volta tanto??”
Un colpo di spugna. È così che la pensa Dean. È tutto ridotto a qualcosa di così facilmente cancellabile che basta una spugna bagnata per ripulire tutti i peccati, per porre fine alla sensazione di inquietudine che ha provocato il tentato omicidio di Bobby, l’utilizzo dello stesso Dean come esca e la tensione che ha provocato il fatto che Nat e Sam fossero stati insieme.
Tutto cancellato.
Sam non era Sam e quindi è scusato, perdonato, tutto buttato nel cesso e tiriamo lo sciacquone, che ormai è tutta acqua passata.
Natalie, per un attimo, prova quasi invidia nei confronti di Sam perché viene perdonato con così tanta facilità, quando invece lei deve farsi il sangue marcio, ingoiare bile e pagare tutte le conseguenze che sue scelte hanno portato. Si sente come il bambino che viene paragonato al fratello perfetto da un genitore un po’ troppo di parte. Perché non prendi spunto da tuo fratello? O meglio: Sam, hai fatto delle porcate, ma sei scusato. Natalie, hai fatto le porcate con Sam, e per questo ti guarderò come se fossi la peggiore delle sgualdrine.
Dio, quanto si vergogna per aver pensato una cosa simile.
Porca vacca, Sam era all’Inferno, stava bruciando nelle fiamme, non stava facendo una passeggiata in mezzo ai fiori.
Non si stava rotolando nelle lenzuola pulite insieme ad una bella donna della quale aveva adottato il figlio.
“Come ti senti, Sam?” domanda Dean.
“Bene, a dirla tutta.”
Anche quando era tornato dall’Inferno l’aveva detto.
Aveva detto che stava bene e la luce nei suoi occhi era completamente diversa, era assente quella scintilla di gentilezza che adesso brilla come una stella nei suoi occhi. Gli occhi di Sam sono tornati gli stessi e adesso potrebbe anche essere vero che sta effettivamente bene. Se si esclude il muro.
“Sono affamato.” Confessa, leggermente a disagio.
A Nat sfugge un sorriso, riconoscendo finalmente Sam dopo tanto tempo. E improvvisamente, quell’invidia che provava, la stessa che l’ha fatta sentire viscida, sparisce, lasciando il posto solo alla felicità di averlo di nuovo. Un po’ è grata a Morte per quello che ha fatto, ma non lo dirà mai ad alta voce perché risulta strano anche solo pensarlo.
“Ti preparo qualcosa, ok?” Nat si incammina in cucina senza aspettare una risposta. Passa vicina a Sam e gli stringe il braccio, sorridendogli. Lui ricambia e la guarda inoltrarsi in cucina.
Dean si trova a osservare il modo in cui Sam segue Natalie con lo sguardo. Vuole capire se ciò che è successo tra di loro era dettato dall’assenza di anima o se ci fosse un sentimento di fondo da parte di Sam anche prima che perdesse l’anima e che con l’assenza di quest’ultima si sia manifestato. Ma sembra che tutto sia come è sempre stato. Sam non la guarda con malizia, o con fare languido, come se fosse segretamente innamorato di lei, la guarda come l’ha sempre guardata: una persona a cui tiene, a cui vuole bene. La guarda come guardava la bambina con cui giocava; come guardava la ragazzina con cui si confidava, o con cui parlava di libri – i fantasy erano i loro preferiti. Dio solo sa quanto hanno parlato di Harry Potter, quando è uscito. Lo leggevano insieme e quando uno dei due era più avanti dell’altro, il “ritardatario” supplicava l’altro di evitare spoiler o la nostra amicizia è finita!
E sono andati avanti per un bel po’. Diciamo che quando l’ultimo libro è uscito, loro non erano più dei ragazzini, ma se si trattava della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, retrocedevano all’adolescenza in trenta secondi.
Ora che ci pensa, è quasi sicuro che Natalie sapesse ancora prima di lui che Sam aveva intenzione di andare a Stanford. Se li immagina seduti in uno dei rottami sgangherati nel cimitero per auto, Sam seduto al volante privo di clacson, Natalie al sedile del passeggero con le gambe distese sul cruscotto, i pantaloncini corti che mostrano la pelle abbronzata e l’ultima ferita di caccia. Se li immagina così, uno a fianco all’altra a bere coca cola – perché la birra non era ancora un’abitudine – Sam che cerca il coraggio di dire per la prima volta ad alta voce ciò che gli frulla in testa da settimane, se non mesi. E chi meglio di Natalie avrebbe saputo ascoltarlo? Chi meglio di quella ragazza che è cresciuta con lui, con cui ha sempre parlato e dalla quale non ha mai ricevuto urli e grida in risposta ad una osservazione o ad una specifica volontà?
Voglio andare a Stanford.
Si immagina Natalie voltarsi a quelle parole per verificare se Sam stia facendo sul serio o sia solo uno scherzo. Quando poi ha appurato che il ragazzo seduto vicino a lei, diventato improvvisamente alto nell’ultimo anno, è tremendamente serio, si sistema meglio sul sedile, abbassa le gambe e si volta completamente verso di lui, busto compreso; le gambe incrociate e la lattina di coca cola appoggiata al sedile, nello spazio lasciato vuoto dalle sue gambe.
Un sospiro, uno sguardo triste e poi: Quando l’hai deciso?
Non un tentativo di persuasione, non un urlo di rimprovero, non una supplica che dice ti prego, resta con noi.
Solo accettazione.
Probabilmente perché aveva già capito che Sam voleva altro dalla vita e che costringerlo a rimanere non l’avrebbe fatto felice. E Nat ha sempre voluto che la sua famiglia fosse felice.
Anche se questo significava che lei soffrisse.
Ci sto pensando da un po’. Vorrei... vorrei sperimentare altro, nella vita. Capisci? Non... non so... ho paura di perdermi le cose normali. Voglio... io voglio studiare, Nat.
Lo sguardo basso sulle mani, le pellicine intorno alle dita mangiate fino a far uscire il sangue, l’ansia di sentire uscire dalla bocca di Natalie qualcosa che l’avrebbe ferito.
Ne hai parlato con Dean, almeno? So che con John sarà più difficile, ma almeno cerca di preparare tuo fratello.
N-non so cosa dire. Come dovrei esordire? Vado in California, arrivederci e grazie! Non è proprio un bel modo.

Lei che gli prende la mani nelle sue, Sam che alza lo sguardo per incrociare gli occhi di Nat che sono privi di qualsiasi accenno di rimprovero.
No, così no. Però potresti provare a dire che... che questa vita inizia a starti stretta. Perché è così, non è vero Sam?
Un po’.

Lei accenna un sorriso, toccato da quel velo di amarezza, levigato dalla tristezza.
Potresti dire che cercare di costruirti un futuro diverso da quello del cacciatore non vuol dire escludere la tua famiglia dalla tua vita.
E magari, immagina Dean, questo l’ha detto includendo anche se stessa, spaventata dall’idea che Sam – che era sempre stato al suo fianco, fino ad ora – volesse escluderla dalla nuova vita che voleva vivere.
Non sarà facile. Lo sai. Non con mio padre e la sua ossessiva ricerca di vendetta. Non accetterà una cosa del genere.
Prova a farlo ragionare. Se hai già scelto e sei sicuro della tua scelta, allora devi farglielo capire.

Ma John Winchester non era come Natalie e quindi tutto era crollato come un castello di carte colpito da una raffica di vento. C’erano state porte sbattute e grida che suonavano come il più radicale degli addii. Il fatidico e fatale se esci da quella porta, non prenderti il disturbo di tornare che usciva dalla bocca di John, mentre Sam, con uno zaino in spalla, lanciava un’ultima occhiata a Dean e si sbatteva la porta alle spalle, lasciando che l’eco di quell’urto violento rimbombasse nella stanza del motel in cui si trovavano quella volta e si conficcasse nel cuore di Dean, marchiando a caldo l’assenza di Sam. Sam che aveva scelto un’altra vita e non l’aveva nemmeno preparato alla cosa. Ma Dean è sicuro che Natalie ne fosse al corrente.
Anche se, nonostante siano passati anni, non ha mai ricevuto la conferma di questa sua ipotesi. Può solo immaginare che sia andata così.
Di certo, sa com’è andata dopo. Sa che appena poteva, andava da Natalie e con lei, parlava di tutto fuor che dell’assenza di Sam, che era così pesante da risultare insopportabile. Non voleva parlare del fatto che il suo fratellino se ne fosse andato e che lui soffriva da morire, voleva solo trovare pace. Quella pace che suo padre, che diventava sempre più silenzioso e distante, sempre più accecato dalla sua vendetta, non riusciva a dargli.
Natalie era la sua pace, la sua luce; era una boccata d’aria dopo ore di apnea, era il sole che illuminava il grigiore della sua esistenza, segnata da troppa sofferenza.
Natalie era il suo balsamo, la sua gioia.
Natalie è ancora tutto questo, nonostante ciò che è successo.
Ha confessato di amarlo con ogni fibra del suo corpo, di amarlo così tanto da arrivare ad odiarlo perché si è persa in lui. Nat non sa che la cosa è reciproca, solo che lui non ha il fegato di ammetterlo. Solo che lui non la odia, per questo. Non la odia per essersi perso in lei perché, con tutte le occasioni che ha avuto di perdersi, questo è stato il modo migliore in cui poteva farlo. Amalgamarsi in lei; sentirsi suo, sentirla sua. Appartenersi.
Tu sei il mio cuore. Potrei vivere senza il mio cuore? (1) Pensa spesso a questa frase e ogni volta si risponde che no, non potrebbe vivere senza Natalie. Nemmeno se volesse. E ci ha provato. Lo sappiamo tutti che ci ha provato. L’averci provato è ciò che ha portato la rottura tra di loro, la causa dell’esplosione a base di odio che Natalie gli ha riversato contro.
Si passa una mano sulla faccia. Improvvisamente, la stanchezza gli pesa sulle spalle come un macigno enorme.
Si lascia sfuggire uno sbadiglio.
“Quant’è che non dormi, Dean?” gli chiede Sam, studiandolo.
“Qualche ora.” Mente.
“Cosa siete andati a fare da May?” continua Sam, incamminandosi verso la cucina, seguito da Dean e da Bobby. Natalie ha finito di preparare i sandwich, niente di troppo elaborato, ma più che appropriato visto che ormai l’ora di cena è passata da un pezzo.
Dean le lancia un’occhiata. Lei finisce di apparecchiare e mette le birre in tavola, poi, visto che Dean non risponde, prende parola: “Aveva solo voglia di rivederci. È tanto che non andiamo a trovarla, così ci ha chiamato lei. Siamo andati là e ci ha persino fatto una crostata, pensa!” afferma affabile, impilando i sandwich in un piatto di portata al centro del tavolo e sistemando la crostata vicino ad esso.
“La crostata ai lamponi di May!” Sam sorride, nostalgico.
“Proprio quella!” Continua Nat, facendogli l’occhiolino. “Mangia, adesso. Anzi, mangiate. Ne ho fatti tanti di proposito!”
Si siedono al tavolo e cominciano a mangiare. È tutto così diverso dall’ultima volta che hanno mangiato tutti insieme, quella volta che per un pelo Dean e Sam si prendono a pugni.
L’atmosfera è tesa, ma sembra che Sam non se ne accorga. Per lui, potrebbe essere una normalissima cena in famiglia, per gli altri, invece, la consapevolezza che gli stanno mentendo è densa come nebbia. Così fitta che si stupiscono Sam non percepisca il loro disagio. Nat lancia occhiate sporadiche a Dean, ma l’uomo non ricambia, di proposito. Sa benissimo cosa leggerebbe nel suo sguardo: stai mentendo a tuo fratello. Non hai ancora imparato che le bugie tra di voi non portano mai a buon fine?
Lo sa benissimo che mentirgli è sbagliato, ma perché rischiare di andare a grattare il muro con i ricordi che Morte si è tanto preso la briga di sigillare dietro la Grande Muraglia di Sam?
No, non parlerà. Non adesso, almeno. Prima Sam deve riprendersi del tutto.
Incrocia per un momento gli occhi di Bobby, che ha lo stesso sguardo di Natalie. Sangue dello stesso sangue e si vede. Sembra di guardare due versioni della stessa persona. Hanno entrambi quello sguardo da: questo tuo piano non mi piace per niente, e nel caso di Bobby c’è l’aggiunta extra di brutto idiota. Glielo legge in faccia che questa sua idea di tenere all’oscuro Sam riguardo alla verità sull’ultimo anno non gli piace per niente, ma rimane della sua decisione. Fermo come un albero che ha messo le radici in profondità: Sam non saprà niente fino a tempo debito.
E quando sarà tempo debito? Chiede una vocina nella sua testa. È un caso che la sua coscienza abbia la voce di Nat? Non crede.
Non risponde, piuttosto la zittisce e addenta il suo panino. Da un morso così grande che fa fatica persino a masticarlo. Quando ingoia gli sembra di aver mandato giù un sasso.
Tossisce e si attacca alla birra per mandare giù il boccone rimasto incastrato nella trachea.
“Dean? Stai bene?”
“Si, sto bene, tranquillo Sam. Mi sono strozzato.”
Stavi soffocando. Come quando affoghi. Affogherai anche nel mare di bugie che hai intenzione di raccontargli fino a che non scoprirà la verità da solo e allora aggiungerete una lite alla vostra lista, che già vanta un discreto numero?
Ancora la voce di Natalie. Perché la sua coscienza deve parlare come lei? Perché probabilmente è quello che sta pensando. Lui sa che lei lo sta pensando.
E sicuramente ha ragione. Nat finisce sempre per avere ragione, in un modo o nell’altro. Anche questo, l’ha preso da Bobby.
Si schiarisce la gola, mandando definitivamente giù il boccone. Afferra il tovagliolo e si pulisce la bocca.
“Credo che andrò a dormire.”
No, stai scappando. C’è una gran bella differenza, Dean.
La cosa sta prendendo una piega inquietante. Deve necessariamente chiudere occhio e rimandare tutto questo a domani mattina. È stato veramente troppe ore senza dormire e l’assenza di sonno inizia a dare voce a pensieri che non vorrebbe sentire, almeno non adesso.
“Sono ore che non dormo e visto che... va tutto bene..” si affretta a dire “...posso concedermi un po’ di riposo, no?”
“Certo” risponde Bobby, appoggiato allo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto “Va tutto bene.”
L’occhiata che il vecchio cacciatore gli lancia è più che eloquente, ma Dean decide di ignorarla. Si alza, prende il suo piatto, lo lava e lo sistema nella credenza.
“Buonanotte, ragazzi.”
“Dean,” lo chiama Sam, studiandolo “va tutto bene? Sei... strano.”
Credevi fosse stupido? Se ti comporti come se avessi ucciso qualcuno e nascondessi il cadavere sotto al tuo letto, è logico che crei sospetti. Andiamo, Dean, con chi credi avere a che fare? Sam ti conosce meglio di chiunque altro!
“Tutto bene, sono solo stanco.”
Sa che menti. Te lo legge in faccia. Indagherà. Lo sai, vero?
Qualcuno può ancora biasimare Pinocchio per aver spiaccicato il Grillo Parlante? Odiosa, saccente creatura. Taci e lasciami in pace, pensa Dean, mentre sale a passi pesanti le scale per raggiungere il piano di sopra.
Entra in camera sua e, senza nemmeno togliersi i vestiti, si getta sul letto e affonda la faccia nel cuscino.
I problemi saranno meno grossi, dopo aver riposato.
O forse no.
Sicuramente no.
Ma tanto vale tentare. Non sia mai che questa risulti la volta buona che spariscano.




Natalie e Sam sono rimasti in cucina. Dopo che Dean è salito al piano di sopra, Bobby si è ritirato per andare a dormire anche lui.
I due cacciatori rimasti hanno sistemato la cucina, pulendola, e poi si sono seduti al tavolo, dove la crostata di May giaceva immacolata. L’hanno guardata e hanno iniziato a mangiarne un po’, tornando indietro di anni, quando May li rimpinzava di torte alla prima occasione.
Dopo aver mangiato una fetta decisamente fuori dalla categoria “giusto un assaggio”, Nat ha iniziato a piluccare il dolce direttamente dalla teglia.
“Sai se ci fosse May cosa direbbe, adesso?” inizia Sam, imitandola.
Nat sorride: “Che non si pilucca il cibo! E sai perché?”
“Perché solo le scimmie piluccano! Siete delle scimmie che mangiano pidocchi dalla schiena di altre scimmie? Non credo proprio!”
“Prendete piatti e posate!”
Scoppiano a ridere.
Dio, quanto le è mancato.
Questo è il Sam che meritava di essere salvato, questo è ciò che lo rendeva grigio, quando la parte gentile era andata persa. Questo lato di Sam farà si che il colpo di spugna avvenga davvero, che le cose orribili che l’assenza di anima gli ha fatto fare vengano cancellate.
Lo guarda e vede l’uomo che, con un coltello in mano, era disposto ad uccidere Bobby e le si stringe il cuore, un brivido di terrore la percorre; ma se lo osserva meglio, vede l’uomo che si è gettato nella Gabbia, senza pensarci troppo, per salvare l’umanità, l’uomo che nel momento peggiore della sua esistenza, quando era posseduto da Lucifero e stava per dire addio a questo mondo, si è preoccupato di rassicurare suo fratello.
Sto bene, Dean. Ho il pieno controllo. Aveva detto, prima di saltare.
Sente le lacrime pungere dietro agli occhi, ma le scaccia.
“Nat, posso farti una domanda?” chiede senza guardarla, continuando a piluccare il dolce.
“Certo.” Cerca di risultare tranquilla, ma se deve essere onesta quella domanda un po’ la agita.
“Quanto sono stato via?” si porta un pezzo di dolce alla bocca e inizia a masticare lentamente. I suoi occhi incrociano quelli di Nat e lei si trova a pensare che anche se Dean vuole che mentano su tutto il resto, su questo può essere sincera.
“Un anno e mezzo.”
Sam rimane in silenzio, pensieroso. Ha così tante domande da fare, così tante cose da chiedere, ma una in particolare gli esce dalla bocca senza che abbia effettivamente deciso di pronunciarla; gli esce d’istinto: “Dean come l’ha presa?”
Nat rimane spiazzata da quella domanda perché non sa come rispondere: Dean non vuole che Sam sappia la verità però rispondere a questa domanda comporterebbe fare altre domande che comporterebbero risposte legate all’ultimo anno quando Sam se andava in giro senz’anima.
“Ha voluto un po’ di spazio per se.” Comincia. Non vuole dirgli che se n’è andato senza dire niente e che la sua assenza ha provocato una serie di eventi che coinvolgono lei e Sam in determinate circostanze. “Così si è allontanato. Ha insistito affinché non lo cercassimo perché desiderava davvero rimanere solo. È stato via un anno. Poi è tornato.”
“E tu non sei andata con lui?”
“No..” si apre in un sorriso tirato, quasi forzato. Vuole risultare tranquilla, ma non ci riesce. Dovrebbe saper mentire, Cristo, è il suo lavoro. Lei sa mentire. Sa rigirare ogni situazione a suo vantaggio, quando si tratta di lavoro. Ma mentire spudoratamente in faccia a Sam che sembra così assetato di aggiornamenti, la fa stare male. E le manda a quel paese la sua impenetrabile faccia da bugiarda. “..No. Aveva bisogno del suo spazio e gliel’ho dato.”
“Non temevi facesse qualche sciocchezza?”
“Certo, ma c’era qualcosa che mi diceva che non avrebbe fatto niente di stupido questa volta.”
Sam abbassa gli occhi, accennando un sorriso flebile. Sembra disorientato.
“Quando..” comincia, giocando con l’elastico che ha al polso. Lo contorce e rigira su se stesso, “..Quando avevo Lucifero dentro di me, ho sentito che spezzava il collo a Bobby..” la voce si incrina. Il flash di Sam che tenta di accoltellare Bobby torna nelle mente di Natalie, facendole pensare, un’altra volta, che l’uomo che adesso ha di fronte, che ha gli occhi lucidi per il ricordo della morte di Bobby, è lo stesso che una settimana fa ha provato ad ucciderlo. Eppure, nonostante siano la stessa persona, sono estremamente diversi. Chiunque non creda nell’esistenza dell’anima, non ha mai vissuto un’esperienza simile. Dobbiamo avere dell’altro, oltre alla fisicità del nostro corpo. Deve essere riempito con qualcosa di spirituale, altrimenti non si spiegano molti comportamenti umani: la gentilezza, ad esempio. O la premura, l’altruismo, la sincerità. I sentimenti devono nascere da qualcosa che va al di là dell’organismo in senso scientifico, che va al di là della composizione e posizione degli organi e del numero di ossa presenti nel nostro scheletro. I sentimenti nascono dall’anima. Natalie ne è sicura, soprattutto dopo questa esperienza.
“Castiel si è occupato di lui. L’ha riportato in vita.”
“Castiel è vivo??” Domanda sollevato, ricordando Lucifero che, con uno schiocco di dita, lo fa esplodere dopo che l’angelo ha lanciato una molotov di olio santo contro Michele.
“Si, Cas è vivo. Siamo tutti vivi, Sam. E stiamo bene.” allunga una mano per stringergli la sua, “Dovresti riposare, adesso.”
“Anche tu.” Le risponde, notando le occhiaie grigie intorno agli occhi della ragazza.
Nat sorride, un sorriso stanco, affaticato: “Non posso darti torto. Vado in branda, ci vediamo domani mattina.” Si alza dalla sedia e, prima di lasciare la stanza, si posiziona dietro a Sam, ancora seduto, e lo abbraccia appoggiando il mento sulla sua testa. Lo faceva spesso, quando lui era seduto perché, una volta ogni tanto, voleva vedere cosa si provava, visto che è sempre stata la più bassa.
“Buonanotte.”
Sam appoggia le sue mani su quelle di Nat, augurandole la buonanotte. È una cosa normale, tra di loro, allora perché quando Nat esce dalla stanza, uno strano ricordo affiora nella sua mente? Un ricordo che è così surreale, che fatica a credere gli appartenga? Il contatto tra le loro mani ha scatenato immagini nella sua testa che vedono Nat protagonista: lui che le stringe il viso tra le mani e si fionda sulla sua bocca, con fare tutt’altro che delicato, Nat che lo afferra per la maglietta e gliela toglie con impeto, le sue mani percorrono il corpo della ragazza e la afferrano, salda, con l’intenzione di caricarsela addosso, attaccarla al muro di una stanza che non conosce e baciarle ogni lembo di pelle che trova scoperto. Deve essere confuso. Ha sicuramente ripensato involontariamente a una delle tante, imbarazzanti, volte in cui ha sorpreso Dean e Nat in atteggiamenti piuttosto intimi.
Ma perché allora ha visto se stesso?
Non può essere un ricordo, perché con Nat non ha mai fatto niente del genere; e nemmeno una fantasia perché non ha mai messo Natalie sotto quell’ottica.
Be’, se deve parlare a cuore aperto, una volta l’ha fatto, ma per sbaglio.
Erano in un bar, festeggiavano chissà che cosa, forse il fatto di essere ancora vivi dopo una giornata di caccia, non ricorda – colpa del troppo alcol. Alcol che ha influito parecchio sui pensieri poco puri riguardanti le natiche di una ragazza china sul jukebox. Stava giusto pensando a come sarebbe stato dare un morso a quel culetto, quando la ragazza era tornata in posizione eretta e lui aveva riconosciuto Natalie.
Si era sentito così in imbarazzo e così in colpa per ciò che aveva pensato – e che per un momento, l’oggetto delle sue fantasie sessuali fosse proprio Natalie – che aveva tracannato quattro bicchieri di whiskey tutti d’un fiato, nella speranza di cancellare dalla mente quel momento. Chiedendosi, inoltre, da quando in qua fantasie del genere lo eccitavano. Di solito quello eccentrico in quell’ambito era Dean. Aveva attribuito la colpa al troppo alcol e archiviato la questione in un angolo remoto del suo cervello. Chiuso per sempre nel cassetto “momenti imbarazzanti di cui nessuno verrà mai a conoscenza”.
Ma al di là di questo, non è mai successo altro. In realtà non ha mai provato quel tipo di attrazione verso Natalie.
Quindi non riesce proprio a spiegarsi il perché del suo ricordo slash visione slash quello che è.
Forse è arrivato il momento di andare a riposare e rimandare tutto a domani mattina, pensa. E crede proprio sia la cosa migliore da fare.


                                                                                                      ***


“Vuoi davvero sapere cosa penso di questo stupido piano??” dichiara Bobby con una nota furiosa nella voce, agitando una chiave inglese.
“Che è stupido?”
“Esatto!” allarga le braccia. Il berretto malconcio schiacciato sulla testa, le maniche della camicia a quadri arrotolate fino ai gomiti e la maglietta grigia chiazzata da macchie di sudore.
Il vecchio cacciatore si china sul motore di una Cadillac rossa del ’72.  Il cofano è aperto e mostra l’intreccio dei tubi meccanici che lo compongono. Bobby la sta aggiustando per un vecchio amico, un uomo d’affari che era di passaggio in città e voleva che qualcuno di fidato controllasse la sua adorata macchina.
“Come se non l’avessi capito. L’hai chiamato stupido piano da quando stiamo parlando!”
Bobby si sistema in posizione eretta e inizia a sventolare la chiave inglese sotto al naso di Dean: “Non usare quel tono sarcastico con me, ragazzo!”
Dean alza i palmi all’altezza delle spalle, allontanando il viso dalla pericolosa chiave di Bobby: “D’accordo, d’accordo. Vengo in pace. Ma cosa dovrei fare? Dirgli tutta la verità e rischiare che il muro venga intaccato?”
“Capisci che non possiamo fare finta di niente? Quel ragazzo appena una settimana fa ha cercato di uccidermi..” un lampo di dolore attraversa i suoi occhi al ricordo che proprio uno dei suoi ragazzi stava per ucciderlo.
I suoi ragazzi... se lo sentisse Rufus probabilmente gli ricorderebbe, senza prendersi la briga di essere delicato, che loro non sono i suoi ragazzi. Non sono figli suoi. Rufus, per come la vede Bobby, può andare anche a farsi fottere.
La famiglia non finisce con il sangue. Lui considera Sam e Dean come figli suoi. Ricorda benissimo il periodo in cui, il piccolo Dean a soli cinque anni, lo fissava con i grandi occhi verdi senza dire una parola. John li lasciava da lui per andare a cercare Occhi Gialli – che ancora non si sapeva fosse effettivamente lui l’assassino di Mary – così i piccoli Winchester popolavano casa Singer. Sam iniziava a muovere i primi passi, ma solo se Bobby lo teneva. Da solo aveva ancora troppa paura e finiva sempre per riappoggiare il sederino a terra e continuare gattonando. Di solito, Nat e Sam si scambiavano i giocattoli, strappandoseli dalle mani e mettendoseli in bocca. Ora che ci pensa, c’era uno scambio di saliva tremendo, tra quei due. La sua preoccupazione più grande, però, era Dean. Quel fagottino che stava in silenzio, seduto in un angolo della stanza a guardare i due bimbi più piccoli giocare. Non perdeva mai, mai, d’occhio Sam. Come poteva? John aveva già cominciato a inculcargli quel mantra che gli ha ripetuto fino alla fine dei tuoi giorni Tieni d’occhio Sam, come se Dean non avesse avuto bisogno di qualcuno che lo tenesse d’occhio o che si occupasse di lui, o che lo trattasse come un bambino, maledizione.
Ho un pallone, di là. Vuoi giocarci? Gli aveva chiesto, avvicinandosi a lui e chinandosi alla sua altezza. Il piccolo Dean aveva distolto lo sguardo da Sam e aveva portato la sua attenzione su di lui. Aveva solo annuito. Un gesto timido – e forse anche timoroso.
Bobby aveva cercato di sorridergli nel modo più rassicurante possibile e, offrendogli la mano, che Dean aveva timidamente stretto, si erano avviati a prendere quell’unico pallone che Bobby possedeva, consumato, malconcio e con il cuoio che cedeva da qualche parte, dando l’impressione che stesse facendo la linguaccia. Ma Dean lo amava. Adorava giocarci. Passava ore intere a correre dietro a quel pallone in mezzo alle auto. E Bobby, passava le ore a tenerlo d’occhio. Nella bella stagione, quando il sole era alto e l’aria primaverile iniziava a scaldarsi, portava Nat e Sam fuori – aveva addirittura comprato uno di quei tappeti appositi, con dell’isolante alla base in modo che non venissero a contatto con la terra polverosa – e giocava con Dean a pallone, lanciando un’occhiata ai più piccoli ogni tre per due.
Era stato in uno di quei giorni che Dean aveva ricominciato a parlare. E per Bobby è stato uno dei giorni più belli della sua vita.
Bobby –  l’aveva chiamato con il fiatone, la fronte era sudata e i capelli erano appiccicati al viso – quando Sam e Natalie cresceranno giocheranno con noi?
Aveva trattenuto le lacrime – si, anche gli uomini duri piangono e si emozionano, ok? – e accarezzandogli la testa, aveva risposto: Certo, Dean.
Rufus può dire o pensare quello che gli pare e piace, per come la vede lui, Dean e Sam sono i suoi ragazzi. Figli suoi esattamente come sente Natalie figlia sua.
“Credi non lo sappia? Ma non era Sam!”
“Lo so, ma ha il diritto di sapere. Se ci fossi tu al suo posto non vorresti essere messo al corrente di ciò che hai fatto?”
Dean abbassa gli occhi sulle sua scarpe, pensieroso. Certo che vorrebbe sapere.
“Si, vorrei. Ma si tratta di Sam. Ho paura possa succedergli qualcosa...”
“Procederemo per gradi. Dean... stare all’oscuro di tutto non lo proteggerà, lo capirà da solo che qualcosa non quadra. Non è uno stupido.”
Anche la sua coscienza con la voce di Natalie, la sera precedente, gli ha suggerito la stessa cosa. A quanto pare, è giunta la fine del silenzio. Deve parlare con Sam.
“Gli parlerò, d’accordo? Non subito, però.”
“Vedi di non far passare troppo tempo, testone!”
Detto questo, Bobby si china sull’auto e continua a lavorarci, mentre Dean lo osserva.
Se fossero in una situazione normale, se avessero una vita normale, probabilmente sistemerebbero auto insieme. Avrebbero una loro officina vera, con un ufficio, le loro mani sarebbero sporche di olio e grasso dalla mattina alla sera, indosserebbero quelle tute blu tipiche dei meccanici e negozierebbero con i fornitori per avere risorse di qualità al minor prezzo che riescono ad ottenere. Ci sarebbe meno whiskey in circolazione, perché le esperienze vissute non riguarderebbero mostri, o cose terribili che i normali esseri umani non riescono minimamente ad immaginare, ma riguarderebbero cose come hai visto la partita, ieri sera? e altre cose che normalmente dicono gli uomini con un lavoro normale. Avrebbe fatto anche le cose per bene con Natalie, sarebbe stato galante e prima di chiederle di sposarlo avrebbe chiesto la sua mano a Bobby, magari lontano da attrezzi contundenti.
Ok che è sempre stato favorevole alla loro relazione, ma quando capitava che li beccasse in effusioni amorose, borbottava qualcosa e guardava Dean nel modo tipico in cui i padri gelosi guardano i fidanzati delle figlie.
Ma questa, è un’altra delle cose che va aggiunta alla lista “esperienze che Dean Winchester non vivrà mai”. Ancora si stupisce della fitta dolorosa al cuore che prova ogni volta che si ricorda quanto sia sempre stata lontana dalla normalità la sua vita. Dovrebbe esserci abituato, ormai.
“Ho trovato un caso, ieri sera, prima di andare a dormire. A Rochester, nel Minnesota, sono stati trovati dei cadaveri vicino a dei cassonetti.”
“E ci interessa perché....?”
“Perché sono stati trovati senza fegato. Aperti e ricuciti con precisione maniacale e, una volta morti, abbandonati come spazzatura.”
“Cacchio. Roba pesante. Però potrebbe essere un serial killer. Quale creatura si prende la briga di ricucire un corpo, dopo essersi nutrito – per di più solo del fegato?”
“Direi che vale la pena andare a controllare, non credi?”
Bobby gli lancia quello sguardo tipico di quando non ha intenzione di ricevere un rifiuto come risposta.
“Certo. Vado.”
“Non da solo. Porta Sam con te.”

                                                                                                      ***

Alla fine, Dean ha dato retta a Bobby – non che avesse scelta, in realtà. Quelli di Bobby, di solito, sono ordini mascherati da consigli.
Sarebbe meglio tu facessi questo in realtà significa Fallo, e vedi di non girarti troppo i pollici.
Ormai l’ha imparato. Per questo, dopo la chiaccherata in garage, quando sia Dean che Bobby sono tornati in casa, il giovane cacciatore è andato a chiamare Sam, informandolo del nuovo caso trovato da Bobby.
Sam, com’era naturale fare, ha chiesto a Nat di unirsi a loro, ma Bobby è intervenuto, dicendo che aveva necessariamente bisogno che le rimanesse con lui.
Strano, aveva detto Sam, cosa gli prende?
Un quarto d’età e tre quarti d’alcol, ecco che gli prende
(2) aveva risposto Dean, salendo in auto e cercando di evitare lo sguardo si suo fratello.

Sono in viaggio da due ore, ne mancano ancora cinque per arrivare nel Minnesota, e sembra che il caro Sammy sia in vena di chiacchere. E di risposte. Se non fosse così, beh.. non sarebbe Sam. E visto l’ultimo anno, Dean è contento che Sam abbia recuperato tutta la sua curiosità e loquacità.
Loquacità che non apprezza, però, quando Sam sgancia bombe come: “Mi ha detto Nat che sei stato via un anno. Cosa hai fatto?”
Mi sono assicurato di distruggere l’unico rapporto sano e solido che ho avuto con una donna.
“Sono stato in giro.”
“A fare cosa?” domanda, quasi distrattamente il minore, digitando, sul portatile che tiene sulle gambe, parole come fegato, Minnesota, morti, spazzatura. Si sta documentando sul caso e vuole avere un quadro ben specifico degli avvenimenti successi, quando arriveranno a Rochester.
Dean alza le spalle con noncuranza e, continuando a fissare la strada, afferma: “Cacciare.”
“E non potevi farlo con Nat?” gli occhi che scorrono da sinistra a destra, mentre leggono articoli trovati su internet ed estrapolano da essi informazioni che possono essere utili per il loro caso.
“Volevo stare solo, ok? Eri appena finito in un buco con il Diavolo e un Arcangelo, e non uno a caso, ma l’arma prediletta del Paradiso. Ero rassegnato all’idea di averti perso e...” si blocca di colpo, temendo di andare troppo oltre. Vuole davvero confessare che per un attimo – durato molto più di quello che normalmente si definisce tale – ha pensato di suicidarsi?
Vuole davvero ammettere che dal momento esatto in cui Sam è caduto in quel buco, ogni cellula del suo corpo desiderava la morte?
Non esisto, se non esisti tu. Questa è la sua consapevolezza più grande. Lui non esiste, se non esiste anche suo fratello; non vive, se non vive anche Sam.
Sam che è diventato adulto, ma che per lui resterà sempre Sammy, il bambino che, quando durante un temporale tuonava forte,  lo guardava con gli occhi grandi spaventati e correva da lui per essere rassicurato. E non è nemmeno sicuro di voler ammettere che ciò che temeva di più, non allontanandosi, era infettare tutti con il suo profondo desiderio di morte. Trascinare a fondo tutti. Trascinare Nat in un pozzo senza fondo. 
L’interruzione della frase, però, non sfugge a Sam che si volta a guardarlo, chiudendo lo schermo del portatile sulla tastiera.
“Che c’è, Dean?”
“Non è stato facile per me.”
“Lo so. Ma proprio perché non era facile non capisco perché tu abbia scelto di andartene anzi che stare con Nat. Lei... lei ti è sempre stata vicina. E scommetto aveva bisogno di te. Avevate entrambi bisogno l’uno dell’altra.”
Avevo appena visto mio fratello saltare dentro ad un fottuto buco per l’inferno, cosa avrei dovuto fare??
Tornare da me! –
Il grido isterico che risuona nelle orecchie – Dovevi tornare da me, come hai sempre fatto.
Quella conversazione gli sembra così lontana, se ci pensa. Ma hanno ragione entrambi. Nat aveva ragione, Sam ha ragione. Doveva tornare da lei come ha sempre fatto, affrontare il dolore insieme, vincere la perdita supportandosi l’un l’altro.
Ripensa alla fantasia che ha avuto riguardo l’officina e il voler fare le cose per bene riguardo al chiedere in sposa Natalie.
Essere sposati significa stare insieme “in ricchezza e povertà, in salute e in malattia”, stare insieme indipendentemente da quali circostanze si presentano – e  può affermare con certezza che lui e Nat l’hanno sempre fatto. Da questo punto di vista, è come se fossero già sposati (è davvero necessario un pezzo di carta per affermare che la persona con cui stai è quella con cui vuoi passare tutta la tua vita e condividere ogni cosa, disgrazie comprese? Non crede.) –  Stare insieme perché in due si è più forti e i problemi diventano automaticamente più piccoli.
E Dio solo sa quanto Natalie sappia trasmettergli forza.
Ma che ne sarebbe stato di Nat? Se avesse trasmesso la sua forza a lui, che in quel momento era solo capace di affondare, chi avrebbe dato forza a Natalie?
Se fosse stata prosciugata di tutta l’energia che riesce a trasmettere e che ogni giorno alimenta con il suo coraggio, chi si sarebbe preso cura di lei, assicurandosi di darle forza?
Lui l’avrebbe solo ricevuta e in cambio non le avrebbe dato niente. Non in quel periodo. Non quando riusciva solo a sentire il bisogno estremo di un appiglio al quale appoggiarsi e affidarsi totalmente.
Non poteva farle una cosa del genere. Non poteva prosciugarla di tutta la sua energia, consumando ogni risorsa in suo possesso. Poteva lasciarla libera, però.
Poteva fare in modo che la forza che vive in lei venisse riservata solo ed esclusivamente a se stessa. Andandosene l’ha salvata. O almeno, era quello che credeva.
Adesso non è più molto sicuro.
Adesso, crede che invece avrebbe dovuto comportarsi come ci si comporta “in salute e in malattia”, rimanere con lei, sforzandosi di reagire per non fagocitarla nella sua oscurità.
Natalie è sempre stata la sua luce, perché non avrebbe potuto esserlo anche quella volta?
Perché lui non avrebbe dovuto sforzarsi di non cedere alle tenebre per fare in modo che Nat non soffrisse? Perché è scappato anzi che combattere al fianco della donna che ama?
Troppe domande, nessuna risposta.
Solo la traccia di una piccola consapevolezza che inizia a farsi strada. Timida in un primo momento, invasiva mano a mano che avanza, come il cucciolo più debole della cucciolata, che spinto dall’istinto di sopravvivenza, cerca di arrivare alla madre per nutrirsi.
Se fosse rimasto, avrebbero toccato il fondo, è molto probabile, ma ne sarebbero usciti. Ne sono sempre usciti, fin tanto che rimanevano insieme.
Ha superato l’Inferno, grazie a lei.
L’Inferno.
Gli incubi di anime scuoiate, di persone sulla ruota, ridotte a brandelli dalla sua mano che impugnava gli strumenti di tortura più sofisticati che siano mai stati inventati, le lame che si conficcavano e strappavano lembi di pelle, le grida, lui che provava quel perverso piacere nel sentire soffrire qualcuno che non fosse lui, dopo essere stato per trent’anni, trent’anni, torturato nel peggiore dei modi –  i polsi e le caviglie legate dal cuoio che gli segava la pelle, sistemato in modo che non potesse muoversi e la lama che si conficcava in ogni punto diverso ogni volta, ogni dannata volta, e gli faceva scoprire punti del suo stesso corpo che non pensava esistessero. Aveva raggiunto soglie di dolore che pensava non potessero essere raggiunte dall’essere umano, eppure lui l’aveva provato. Il bruciore che provocavano le lame contro la pelle, strappandola, facendola a brandelli. Gli uncini che si conficcavano nel suo ventre e che venivano tolti solo per essere conficcati da altre parti: nelle spalle, nei palmi delle mani, nei polpacci. C’era stata una volta, dove Alastair era stato particolarmente fantasioso, in cui aveva conficcato spilli intorno ai suoi occhi.
Ogni volta, era un dolore nuovo, un dolore più acuto, un dolore disumano.
Un dolore disumano, per una ferocia disumana.
E quando si è toccati da un dolore simile e hai la possibilità di riscattarti, lo fai.
Dean Winchester l’uomo giusto una bella ceppa.
Se fosse stato l’uomo giusto che Castiel pensava che fosse, non avrebbe mai accettato di scuoiare anime, di torturare persone fino a far raggiungere loro quella soglia di dolore che lui stesso aveva reputato disumano solo perché ehi, la ruota gira – letteralmente – e visto che hanno fatto del male a me, adesso è il mio turno.
La cosa che più lo tormentava era la sensazione di piacere che aveva provato. La cosa che più lo disgustava era il ricordo della voce di Alastair che, con orgoglio, gli ripeteva che era davvero dotato, così portato alla tortura che sarebbe stato un suo degno erede. Il discepolo perfetto.
E ogni notte, quando si svegliava urlando, così forte che gli bruciava la gola, in preda ai suoi incubi che lo facevano sudare, gli acceleravano il battito cardiaco e lo consumavano fino a ridurlo ad un ammasso di sensi di colpa (non solo aveva torturato anime, aveva anche spezzato il primo sigillo per liberare Lucifero), disgusto per se stesso e rimorsi, Natalie era lì. Lo stringeva a se, dicendogli che andava tutto bene, che non era più all’Inferno e che era stato tutto un tremendo incubo. Lo accarezzava come può fare una mamma amorevole con un bambino terrorizzato dal mostro nell’armadio. E lui, puntualmente, lasciava che il ritmo tranquillo delle sue mani, lo calmassero e andassero a ricordare al cervello che ora si trovava in un posto sicuro e che non stava più ne infliggendo, ne subendo dolore.
Lei era lì, al suo fianco.
Ha sopportato per mesi e mesi notti insonni al fianco di un uomo irrequieto che si svegliava urlando e giornate al fianco di un uomo che cercava di redimersi per tutti i peccati commessi nel luogo che esiste proprio perché la natura umana è peccatrice.
Ha superato tutto questo grazie a lei, avrebbe superato anche il suo desiderio di morte. È tutta solo ed esclusivamente colpa sua, se adesso si trovano in una situazione del genere, se lei gli ha urlato che lo odia, se non riesce più a guardarlo in faccia senza ricordarsi il tremendo male che le ha fatto.
Le rinfaccia di essere stata con Sam, ma quello che ha inflitto più dolore, quello che ha fatto il torto più grande è stato proprio lui.
Deve parlarle. Ha bisogno di parlarle. Sarà la prima cosa che farà quando torneranno a casa. È pronto a tirare fuori la sua melma e cancellarla una volta per tutte. È pronto a spiegare e a chiedere scusa, sperando che Nat lo perdoni.
Magari le ci vorrà del tempo.
Magari non ricominceranno da dove erano rimasti, ma avranno un nuovo inizio.
“Dean? Sei diventato muto?”
“Cosa? No! Cosa vai blaterando?”
“Stavamo parlando di Nat e ti sei ammutolito. Sei strano. Sei sicuro vada tutto bene?”
“Di’ un po’, Samantha. Hai intenzione di psicanalizzarmi, o vuoi usare il tuo grazioso cervellino da nerd per trovare informazioni sul caso?”
Sam, visibilmente offeso e leggermente irritato, gli lancia un’occhiataccia seguita da un pugno ben assestato sulla spalla destra.
“Sei proprio un idiota. E un po’ coglione, se dobbiamo dirla tutta.”
“E tu sei una puttana. Lamentosa, se dobbiamo dirla tutta!”
Deve confessarlo: gli è mancato da morire questo aspetto della sua vita, i battibecchi con Sam e la sua faccia offesa ogni volta che lo chiama Samantha.
Deve metterlo al corrente di tutto ciò che Sam-Terminator ha fatto durante questo anno? Assolutamente.
Deve farlo ora rovinando questo bel momento fraterno? Assolutamente no.
Un passo alla volta. Roma non è stata costruita in un giorno.


Rochester, Minnesota.
Il motel in cui i Winchester mettono piede non ha niente di speciale, se non la tremenda puzza. L’odore di chiuso è così impregnato in quelle mura che sembra la stanza non venga arieggiata dal ’48, quando il motel è stato costruito.
Sam e Dean si inoltrano nella stanza, scegliendo un letto a testa e gettando sopra la loro roba. Dean sceglie quello vicino alla porta, lasciando a Sam quello vicino alla finestra. Come facevano da ragazzini: se si fosse presentato un pericolo dalla porta, il primo ad affrontarlo sarebbe stato proprio Dean. È incredibile come il suo istinto di protezione continui a venire fuori nonostante Sam sia diventato un uomo già da un pezzo e che sia capace di difendersi già dal tempo in cui uomo non era.
La stanza, che potrebbe fare benissimo invidia alla definizione di buco per la sua grandezza, è tappezzata da carta da parati giallo crema, le tende alla finestra – l’unica che c’è e che è a fianco al letto di Sam – sono bianche, ma la stoffa ha iniziato a diventare giallastra, come patina sui denti. L’ambiente è estremamente semplice: vicino ai letti un comodino per ciascuno e davanti ad essi un tavolo tondo che traballa per via di una gamba più corta. Sam se ne accorge non appena ci appoggia il portatile e cerca di fare qualche ricerca.
Dean, invece, è troppo preso dall’incredibile enormità della macchia di muffa che vive nell’angolo destro del soffitto di quella stanza per accorgersi del tavolo. La sua espressione disgustata provoca una risata divertita da parte di Sam.
“Sono felice che la cosa ti diverta!”
“Rimarremo qui solo per qualche giorno, non mi sembra il caso di fare lo schizzinoso.”
“Quella roba fa schifo. È così grande che potrebbe esserci un universo dentro. O potrebbe essere un portale per un universo parallelo. Lungi da me avvicinarmi a quella schifezza per scoprirlo.”
“Siamo stati in posti peggiori.”
“Già, ma almeno la puzza era sopportabile.”
“Ti abituerai, principessa.”
“Ehi!” Dean, in posizione eretta ai piedi del suo letto, le mani dentro il suo borsone delle armi, si volta verso suo fratello con uno sguardo truce: “Che hai detto?”
Sam si deve mordere il labbro per non scoppiare a ridere: “Niente, Rapunzel.
Dean gli si avvicina e gli punta l’indice contro, minaccioso: “Chiamami così un’altra volta e ti prendo a calci nel culo.”
Sam si appoggia allo schienale della sedia e allarga la braccia, le mani, all’altezza delle spalle, con i palmi rivolti verso Dean: “Ho capito. Non sei in vena.”
“Bravo. E ora fai qualche tua solita ricerca, geniaccio.”
“E tu che farai? Un giro di perlustrazione che di solito comprende sempre un bar?”
“Quanto sei spiritoso!” gli fa una boccaccia, “No, vado all’obitorio.”
Cerca in un’altra borsa il completo da agente dell’FBI e dopo aver preso il suo si dirige in bagno per cambiarsi.



Sam, rimasto solo con l’enorme macchia di muffa come unica compagna e il rumore delle sue dita che digitano i tasti del suo portatile come unico suono, continua a rimuginare sul suo ritorno in terra dopo il salto negli inferi. È stato via un anno e mezzo e poi, perché Morte è stato tanto magnanimo, è tornato in vita, come se non fosse mai saltato. Tutto è a posto, tutti stanno bene e le cose vanno per il verso giusto.
Sarebbe tutto assolutamente perfetto, se non si stesse parlando della sua vita.
Se non si stesse parlando del fatto che a lui le cose vanno piuttosto male da quando era in fasce e che il patto reputato vantaggioso da Dean è stato fatto con Morte.
Morte.
Chi mai fa un patto con Morte e non gli da niente in cambio? Già il significato stesso di patto implica che ci sia uno scambio di interessi tra i due contraenti.
Il vecchio, ma sempre attuale: io faccio qualcosa per te a patto che tu ne faccia una per me.
La magnanimità e la bontà d’animo sono morte da un pezzo. Soprattutto se uno dei contraenti è uno dei Cavalieri dell’Apocalisse.
E Dean... Dean è così strano che non può non nascondergli qualcosa, evita di approfondire le questioni e si dilegua senza nemmeno aver finito di mangiare. Senza nemmeno aver mangiato la torta.
Non esiste al mondo che Dean Winchester in condizioni normali eviti di mangiare una torta. Fatta in casa. Fatta da May.
C’è qualcosa che puzza in tutta questa storia, e non è la gigantesca macchia di muffa.
Parlarne con Dean sarebbe inutile, eviterebbe la questione e imporrebbe la sua opinione perché sono il più grande, Sam.
Come se questo gli desse il diritto di dettare legge. Ci sono solo quattro anni tra di loro e questa scusa poteva valere da bambini. Ora puzza di stantio come la stanza in cui si trova. Sono due uomini, ormai. Alla pari, per giunta. Ma sembra che a Dean questo non entri in quella zucca dura che lui chiama testa.
Sospira.
Forse... forse se Dean non vuole dargli le risposte che cerca può farlo qualcun altro...
Si guarda alle spalle, lancia un’occhiata alla porta e poi una veloce alla finestra: sembra che Dean non sia sulla via del ritorno. A questo punto, seduto sulla sedia, ancora davanti al suo pc, chiude gli occhi e si concentra più che può.
“Castiel..” inizia, stupendosi di sentire la sua voce ridotta ad un sussurro quasi timoroso,“Castiel.. sono Sam. I-io sono tornato e vorrei...”
Non fa in tempo a finire la sua preghiera che un fruscio di ali riempie la stanza e l’aria mossa da quel movimento leggiadro e delicato gli sferza la faccia come una carezza invisibile.
Cas appare davanti a lui con il suo solito completo elegante e l’impermeabile, le braccia lasciate cadere lungo i fianchi e gli occhi blu concentrati su di lui, come se fosse in attesa di una domanda a cui solo lui stesso può dare risposta.
Appena lo vede, Sam si alza dalla sua sedia, così Castiel si avvicina con la braccia aperte, come se volesse abbracciarlo, e d’istinto il cacciatore si rimette a sedere, imbarazzato.
L’angelo, a disagio, abbassa le braccia lungo il corpo e si guarda intorno per un attimo prima di riguardare Sam.
“È bello che tu sia qui, Sam.”
“Si, me la sono vista brutta.”
“Mi stupisco tu sia vivo, in realtà.”
“Beh.. si anche io... è stata dura..”
“Come ti senti, adesso??”
“Bene, i-io... io sto bene...”
“Che effetto fa?.”
“Cosa?”
“Riavere l’anima, ovviamente.”
“Giusto. Giusto.. perché sono andato in giro senz’anima e... sto bene, io mi sento bene.. sono solo un po’ confuso su alcuni particolari, pensi che potresti aiutarmi a capirli?”
L’idea che sia stato privato di una cosa così importante e che nessuno gliene abbia parlato lo sconvolge. Si sente smarrito e confuso, in preda a quel panico tipico che ti assale quando ti rendi conto di essere in una situazione troppo grande per te e di non sapere da dove cominciare per provare a risolverla.
Perché lo hanno tenuto all’oscuro?
Nat gli ha preparato da mangiare, Bobby era lì quando lui si è svegliato e Dean... Dean gli ha detto che era bello riaverlo con loro mentre si abbracciavano. Si sono comportati come se niente fosse, come se veramente fosse rimasto sotto terra un anno e mezzo e fosse tornato indietro miracolosamente.
Perché non gli hanno detto le cose come stavano? Perché non gli hanno detto della mancanza dell’anima? Ha fatto cose così orribili che non riescono nemmeno a pronunciarle?
La sensazione di disagio che prova sale sempre di più fino a formare un nodo alla gola. È spaesato, disorientato e sente che le lacrime iniziano a pungere dietro agli occhi, così per evitare di iniziare a piangere, torna a guardare Castiel che non si è mosso di un centimetro.
Torna a guardare l’uomo che gli sta davanti, così consumato dalle battaglie. Una cosa così difficile da credere, se si pensa che Castiel è un angelo, un essere celestiale, un servitore di Dio, e in quanto tale, intaccabile, impossibile da ferire. Ma Castiel è l’angelo più umano che possa esserci, è capace di distruggere un’intera orda demoniaca con un solo gesto della mano, ma è capace di soffrire, di farsi segnare dalla perdita come qualsiasi essere umano. Si riconosce nei suoi occhi colore del cielo, toccati da quel velo scuro provocato dalla morte. Indipendentemente da chi tu sia, da cosa tu sia, la morte lascia sempre il segno su di te, dentro di te.
E continua a osservarlo, continua a guardarlo mentre gli parla delle cose successe nell’ultimo anno, si concentra sulle sua labbra che si muovono e per un attimo sembra che le parole che escono dalla sua bocca siano così lontane che impiegano interi minuti – se non ore – ad arrivare alle sue orecchie, che stentano a credere tutto quello che sentono. Stentano a credere della sua collaborazione con Samuel Campbell; del suo piano studiato per usare Dean come esca, trasformandolo in un vampiro solo prendere l’alfa (a quanto pare, nell’ultimo anno, prima ha lavorato con suo nonno per riuscire a scovare gli alfa di ogni specie mostruosa e dopo lui e Dean li hanno catturati per consegnarli a Sua Maestà Crowley, Re dell’Inferno. Tutto questo per trovare il Purgatorio. Quando parlerà con Dean dovrà chiedere informazioni più dettagliate); del suo tentato omicidio di Bobby.
Stenta a credere che è stato capace di fare cose così atroci e altre cose delle quali Castiel sembra non conosca i dettagli; stenta a credere che nessuno, nessuno, gli abbia detto di essersi trasformato in un mostro e che tutti abbiano anzi fatto finta di niente.
Un colpo di spugna, ha detto Dean. Come può pensarlo davvero? Come può passare sopra alle atrocità commesse?
Di nuovo, la sensazione di sentirsi un mostro riaffiora. Sembra che sia destinato a scappare da qualcosa che non può evitare: una metamorfosi kafkiana che ha a che fare con Frankenstein.
L’uomo che da vita al mostro.
La differenza è che sembra, che per quanto riguarda se stesso, il mostro viva latente dentro di lui e altro non aspetti, paziente, l’occasione migliore per venire fuori. Striscia nei meandri oscuri del suo essere e viene fuori appena può, appena riesce ad emergere, soffocando ciò che c’è di buono in lui. Prima il sangue demoniaco e adesso l’anima all’inferno. E la metamorfosi avviene alla luce del sole. Il mostro esce dall’ombra e si manifesta sotto gli occhi di tutti nella sua intera malvagità.
Si sente a pezzi. Tanti minuscoli pezzetti che sono legati insieme solo dalla consapevolezza che crollare adesso non servirebbe a niente.
“Mi dispiace, Sam.”
Sam torna alla realtà, vede Castiel ancora in piedi davanti a se, gli occhi tristi e lo sguardo combattuto.
“Vorrei restare,” e Sam sa che è vero, glielo legge in viso, “ma in Paradiso necessitano la mia presenza. Siamo nel pieno di una guerra civile...”
Sam vorrebbe chiedergli perché in Paradiso angeli combattono contro altri angeli.
Vorrebbe chiedergli perché Dio l’ha infettato con il seme della crudeltà.
Vorrebbe chiedergli perché Dean non gli ha raccontato la verità.
Vorrebbe chiedergli perché deve sempre esserci qualcosa che non va nella sua vita.
Vorrebbe chiedergli cosa c’è di sbagliato in lui. Anche se un’idea se l’è fatta, su questo punto.
Vorrebbe chiedergli tante cose, ma non può perché Castiel è già volato via, lasciando dietro di se l’eco flebile delle sue ali che si agitano per librarlo in aria.
E così, l’unica cosa che gli rimane da fare è fare ricerche. Capire contro chi stanno combattendo e salvare delle vite.
Il mostro potrà essere venuto fuori e potrà anche essere forte, ma lui lo è di più. E non ha intenzione di farsi sopraffare dalla sua oscurità. Non più.



Dean rientra nella loro stanza verso sera, in mano ha un sacchetto con due hamburger e due birre. Appena è abbastanza vicino al tavolo, posa le cibarie e si allenta la cravatta del completo con un’espressione infastidita, come se quella cravatta, in realtà, fosse un cappio stretto intorno al suo collo.
“Trovato niente??” domanda a Sam, togliendosi la giacca e arrotolandosi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti.
Sam per un attimo rimane solo ad osservarlo per cercare di capire dai suoi movimenti cosa prova: se è agitato, se è a disagio, se è tranquillo, se ha anche solo la minima intenzione di vuotare il sacco e dirgli tutta la verità e nient’altro che la verità. Ma non sembra che il suo corpo riveli anche solo una minima intenzione di dare vita all’ultimo punto, quindi, Sam decide di rimandare la chiaccherata una volta risolto il caso.
“Qualcosa si, in realtà. Ho scoperto, navigando nel database della polizia, che tutte le vittime erano uomini giovani che nella loro vita avevano commesso dei furti.”
“Che genere di furti?” domanda Dean, sedendosi di fronte a lui al tavolo ed estraendo il suo hamburger dal sacchetto.
“Roba di poco conto, in realtà. Cose risalenti più che altro alla loro infanzia.” Sam fa una pausa per voltare il computer verso Dean che, dopo aver tolto accuratamente la carta dal suo pasto, con la stessa premura con cui potrebbe sfilare le mutandine ad una donna, ha iniziato a mangiare con gusto.
“Prendi la prima vittima, per esempio, Dominic Lawrence, è stato arrestato a diciassette anni perché aveva rubato in un supermarket del petto di pollo,” continua Sam, “e ancora: abbiamo Jason Koyle, che a quindici anni è stato arrestato per aver rubato delle merendine da una macchinetta dopo che era riuscito a sfondare il vetro. Posso continuare, ma il genere è il solito: uomini che da ragazzini hanno rubato cose da mangiare.”
Dean ingoia il suo boccone e beve un sorso della sua birra. Sam, invece, inizia a scartare il suo hamburger.
“Sappiamo che ha uno schema.”
“E che marchia le sue vittime.”
“Che vuoi dire? Hai trovato qualcosa sui cadaveri?”
Dean appoggia il suo panino sopra al sacchetto – facendo particolarmente attenzione a non far entrare in contatto il suo cibo con la superficie legnosa e appiccicosa del tavolo – si strofina le mani e comincia a parlare: “Credo di si. Chiunque li uccida prende solo il fegato. E una volta finito, li ricuce con attenzione e dedizione. La cosa strana è che la cucitura è sempre uguale, come un marchio.” Si alza dalla sua sedia per dirigersi verso il letto dove ha lasciato la giacca poco prima e inizia a cercare nella tasca il cellulare. Quando lo trova, torna a sedersi. Per un attimo, il viso di Dean viene illuminato dalla luce del display e i suoi occhi rimangono bassi sullo schermo mentre le sue dita selezionano opzioni specifiche.
“Ecco,” continua, mostrando una foto a Sam, “vedi?”
Sam afferra il cellulare e inizia a studiare l’immagine che gli si presenta sotto gli occhi. All’altezza del fegato la cucitura forma due piccole gobbe unite da un vertice, come se l’intenzione fosse quella di disegnare le gobbe di un cammello stilizzate. 
“È strano.” Afferma, corrugando le fronte e restituendo il cellulare a Dean per poi dare un altro morso al suo panino.
“Puoi dirlo forte.”
“Hai scoperto altro?”
Dean fa un cenno di negazione con la testa e riprende a mangiare.
Rimangono in silenzio per un po’ e più di una volta Sam è tentato di chiedere spiegazioni, di sentire la verità che esce dalla bocca di suo fratello. Ma non lo fa. Prima devono risolvere un caso.



La mattina seguente, quando si svegliano, il sole ha appena fatto capolino e inizia a colorare il cielo con una sottile striscia rosea, macchiata di un delicato azzurro.
Hanno dormito veramente poco, come è normale che sia, in realtà. Quattro ore e via, di nuovo in azione.
Dopo cena, hanno continuato a fare ricerche, sia sulle vittime sia su quello strano simbolo. Sulle prime sono stati più fortunati, sul secondo un po’ meno. Infatti, se il simbolo rimane ancora un mistero, per quanto riguarda le vittime hanno scoperto che lavoravano tutte nello stesso posto. È incredibile dove riesca ad arrivare Sam, quando vuole ricevere informazioni.
I malcapitati uomini, ritrovati tutti vicino a dei cassonetti come spazzatura immonda, lavoravano  in un’acciaieria ai confini di Rochester da ormai quasi dieci anni.
“Pensi che troveremo qualcosa, in quel posto?” chiede Dean, infilando il giubbotto.
“Non lo so. Ma è un altro punto che hanno in comune, tanto vale andare a dare una controllata.” Il minore afferra dal letto la borsa con le armi e si avvia alla porta seguito da Dean. Si incamminano alla macchina fianco a fianco per poi separarsi per raggiungere i rispettivi posti: Dean alla guida, Sam nel sedile del passeggero.

Fanno il viaggio in silenzio, scambiandosi qualche osservazione sul caso di tanto in tanto. Sam è assalito sempre di più dalla voglia di fare domande a Dean, di scoprire la verità, di sentirla uscire dalla sua bocca nei minimi dettagli – perché se c’è una cosa di cui è sicuro è che Dean sappia tutto – ma ancora una volta si morde la lingua e rimanda la conversazione a dopo la risoluzione del caso.
Dean, dal canto suo, si sente come se fosse sopra ad un letto di spine. Sam gli sembra irrequieto da ieri sera e inizia a farsi l’idea che stia sospettando qualcosa. Forse non avrebbe dovuto essere così evasivo, l’altra sera, quando si è risvegliato. Avrebbe dovuto cercare di comportarsi normalmente e non comportarsi come se nascondesse il più atroce dei segreti.
Avrebbe dovuto fare una miriade di cose, quest’anno, ed è finito sempre con il fare la cosa sbagliata. Porca vacca.
Proseguono fino ad arrivare ai confini di Rochester, dove le case diventano sempre più rade per lasciare spazio alle fabbriche. Imboccano una piccola strada sterrata dove si trova il cartello “L’acciaieria di Buddy” – un nome più stupido non poteva essere scelto, pensa Dean – e continuano fino a che non arrivano davanti al grosso edificio. Ebbene si, il presunto teatro degli orrori è un’acciaieria che porta un nome estremamente ridicolo. La costruzione è piuttosto grossa, ma anonima. Grigia e a tratti lugubre, tenuta in disparte rispetto alle altre fabbriche lì vicino. Diciamo che se non fosse il presunto luogo di diversi omicidi, Dean e Sam non si stupirebbero fosse infestata. Sembra quasi che l’abbia disegnata Tim Burton. Le lunghe, scure, canne fumarie che esalano nuvole di fumo che si disperdono nell’aria e vanno a macchiare, con il loro nero, il celeste del cielo; la porta d’ingresso, spalancata come la bocca di una balena senza denti, trasmette un senso di piccolezza, come se varcando l’uscio, si venisse ingoiati da un buco nero.
Intorno a loro, nessun rumore, nemmeno un grillo che prova a cantare timido, solo il leggero fruscio del vento. I due cacciatori si scambiano un’occhiata d’intesa e si avviano verso la porta. Più si avvicinano e più la fabbrica sembri diventare inquietante e assume, sempre di più, la grandezza della balena. Quando varcano la soglia della porta, la sensazione di essere divorati si fa strada dentro di loro, svegliando tutti i loro sensi e i loro istinti. I nervi iniziano a tendersi e mano a mano che proseguono dentro la pancia della balena, la consapevolezza di non essere soli e di essere osservati diventa sempre più concreta. Fino a quando qualcosa plana giù dalle travi del soffitto e si para davanti a loro. I due cacciatori indietreggiano e alzano le pistole, puntandole sull’essere che ha forme estremamente umane, se si esclude la membrana che parte dalle braccia e si attacca al busto. Come ali di pipistrello.
“Vi stavo aspettando.”
La sua voce esce serpentina, un sibilo acuto e inquietante. I suoi occhi, totalmente arancioni, sono privi di pupille. Le sua labbra, sottili e serrate, sono così screpolate che sembra abbia provato a strapparsi il filo che teneva le labbra cucite insieme, e il suo naso oblungo e adunco sporge in avanti come un becco appuntito.
“Cosa sei esattamente?” domanda Sam, cauto.
“Ha importanza?”
“No, tanto sarai morto prima che possa rendertene conto!” sputa Dean, dimostrando tutto il suo disprezzo verso quell’essere.
La creatura lo schernisce con una risata roca e arrogante: “Non puoi uccidermi, se non sai cosa sono. O sbaglio, cacciatore?”
Dean serra la mascella e seguendo il moto d’ira che sente crescere dentro di se, mira alla testa dell’essere e spara.
La testa della creatura viene spinta all’indietro, l’essere barcolla, ma non perde l’equilibrio. Risolleva il capo e lancia a Dean uno sguardo derisorio. Il foro nella fronte sanguina, ma non ha fatto danno alcuno.
“Vedi? Non sai come muoverti.”
“Perché ci stavi aspettando??” Sam prende parola. Studia l’essere e inizia a pensare di cosa potrebbe trattarsi. Non hanno mai visto niente del genere nella loro vita, quindi deve essere qualcosa di nuovo. Ma cosa?
Le sue sembianze sono umane, ma ha le ali di un pipistrello e il suo viso di umano non ha niente.
Nel diario di suo padre non ha mai letto di una creatura simile, quindi... per un attimo ripensa a quello che gli ha detto Castiel sul Purgatorio e sull’esistenza di mostri alfa che creano altri mostri della sua specie... forse quello che hanno davanti è l’alfa di qualunque razza sia la cosa che sta parlando con loro in questo momento.
“La Madre. È risorta. È sulla Terra, finalmente, e voi non potete ucciderla.”
“Ti ha creato lei?”
“Ma certo, stupido.”
“Perché?”
“Perché voleva altri figli. Ci state uccidendo tutti.”
La creatura si avvicina cauta a loro. I cacciatori retrocedono di un passo.
“Dov’è lei adesso?” Domanda Dean.
Il mostro porta i suoi grossi occhi arancioni su di lui: “Oh, non temere. Sarà lei a trovare voi. È per questo che sono qui. Per dirvi che vi troverà e vi ucciderà. Vuole la sua vendetta.”
Allarga le sue grandi ali e si scaglia contro Dean, afferrandolo con i suoi piedi dai quali escono dei disgustosi artigli affilati. Si spostano nella parte opposta della stanza e con il suo lungo naso inizia a pungere il corpo di Dean, picchiettando il suo ventre e tentando di strappare la sua carne.
Dean grida e colpisce il mostro con il calcio della pistola. Il mostro geme, ma la reazione di Dean più che ferirlo, l’ha infastidito.
“Stupida insignificante creatura.” Sibila il mostro. “Non hai speranze contro di me, ti mangerò il fegato e ti guarderò morire dissanguato e poi farò la stessa cosa con il tuo adorato fratellino. Alla Madre non dispiacerà di certo.”
Sam, correndo verso Dean e il mostro, si infila la pistola nei pantaloni e estrae da una tasca interna del giubbotto lo stesso coltello che usano per tagliare la testa ai vampiri, lungo, affilato e infallibile. Non ha tempo di capire cosa sia quell’essere, quindi tanto vale provare a mozzargli la sua orripilante testa. Di solito, funziona sempre. Si avvicina sempre di più, correndo così forte da sentire le gambe bruciare, guardando suo fratello che si dimena sotto quell’essere che lo tiene intrappolato nelle sue grinfie, come un’aquila con un topolino. Per quanto il topo potrà combattere, l’aquila sa che prima o poi finirà nel suo stomaco.
Un’idea lo colpisce improvvisamente dopo quell’associazione, ma non ha tempo ne per dimostrarla, ne per accertarsi che possa essere vero. Accelera la corsa, la gambe dolenti, il fiato corto e il sudore che ormai sta bagnando ogni angolo del suo corpo. La paura che possa arrivare tardi, che il mostro possa ferire Dean in modo mortale e che lui debba dirgli di nuovo addio si fa strada in lui e quella stanza sembra sempre più lunga ad ogni metro percorso. Gli sembra di essere in uno di quei sogni dove più corri più la distanza si allunga.
Quando finalmente arriva, però, con una mossa decisa e precisa taglia la testa del mostro. La testa rotola via, mentre il corpo cade, senza vita, sopra a Dean. Il sangue gli sta inzuppando il viso e i vestiti, ma lo preferisce di gran lungo all’essere trucidato da morsi e artigli. Sam lo aiuta a sollevare il corpo del mostro e ad alzarsi. Entrambi si guardano, ansimanti e si fanno un cenno d’assenso con la testa.
“Quanto è grave?”
Dean si tocca la pancia attraverso i lembi della maglietta strappata, dei piccoli rivoli di sangue escono dal suo ventre, ma tutto sommato sono ferite superficiali: “Guarirò in fretta.”
Sam tira un sospiro di sollievo: “Penso di aver capito cosa fosse.”
“Ah si?”
“Un’aquila.” Ripensa alle strane gobbe di cammello, che in realtà potrebbero benissimo essere un uccello stilizzato, come quelli che si disegnano all’asilo in cielo.
Dean lo guarda aggrottando le sopracciglia con fare perplesso: “Un’aquila?”
“Si, sai come il mito di Prometeo e dell’aquila che ogni giorno gli divorava il fegato.”
“Wow. Affascinante.”
“Se ci pensi, potrebbe avere senso. Le vittime erano ladri, come Prometeo, e rubavano cose che servivano loro per migliorare la propria vita. O magari quella di chi gli stava vicino. Come ha fatto Prometeo quando ha rubato il fuoco per gli uomini.”
Dean fa una smorfia di dolore, mentre si incammina con Sam verso l’uscita e si porta le mani sulla pancia.
“Quindi mi ha aggredito perché sono un ladro? Perché non ha aggredito anche te?”
“Forse perché ho rubato meno cose di te, non lo so.” alza le spalle, “Hai bisogno d’aiuto?”
“No, ce la faccio. Usciamo di qui. Ho bisogno di una doccia.”


                                                                                                         ***


In macchina, Dean continua ad osservare la strada dritta davanti a se. Dopo essere tornati al motel ed essersi lavato da cima a fondo, hanno fatto i bagagli e sono partiti per tornare a Sioux Falls.
La Madre è uscita dal Purgatorio e li vuole morti. Strano. Mai nessun mostro ha preteso le loro teste su un palo.
Scuote la testa.
In realtà, c’è un’altra cosa che riempie i suoi pensieri: Sam non ha fatto domande su chi sia la Madre. Tecnicamente non dovrebbe saperlo perché come le altre cose non dovrebbe ricordarlo, eppure, mentre il mostro parlava, sembrava che Sam ascoltasse qualcosa che conoscesse già. Così come gli sembra strano il fatto che abbia dedotto cosa fosse il mostro. Come se avesse capito che esistono degli alfa che vengono creati dalla Madre e mandati nel mondo per riprodursi.
Non può averlo dedotto. Qualcuno ha cantato.
“Sam.” Lo chiama.
Il minore sposta lo sguardo dal finestrino a Dean: “Che c’è?”
“Con chi hai parlato?”
Sam corruga la fronte: “Riguardo a...?”
“Alla Madre.”
Sam sospira: “Con Castiel.”
Dean chiude gli occhi per un momento e si da dello stupido per non essersi ricordato di includere Castiel nella lista di persone che avrebbero dovuto aspettare almeno un pochino prima di informare Sam su tutto l’accaduto.
“Castiel..” sospira,  “..e ti ha detto altro?”
“Mi ha detto tutto, Dean. Tutto.
“Anche cosa è successo nell’ultimo anno?”
“Si, Dean. Come hai potuto non dirmelo??” la voce si incrina e il tremolio che esce dalla sua gola è più marcato di quanto Sam vorrebbe, “Ho fatto cose mostruose e tu non mi hai detto niente. Avevo il diritto di saperle e stava a te dirmelo!”
Dean stacca una mano dal volante per passarla sul viso, per pochi secondi, poi riporta lo sguardo sulla strada ed entrambe le mani sul volante.
“Te l’avrei detto, ok? Ma non potevo farlo adesso. Morte ha eretto un muro tra te e i tuoi ricordi dell’Inferno e ha detto che andare intorno a quel muro è estremamente pericoloso. E poi quello non eri tu, Sam.”
“Non ero io, dici. Tu non sei oggettivo quando si tratta di me. Ero io, quello. È come se avessi dato fuoco ad una città da ubriaco e mi fossi svegliato tra le fiamme e l’accendino in mano. Lo capisci, vero?”
“Certo, certo che lo capisco, porca merda, lo capisco in pieno. Ma capisci anche che informarti di tutto ciò che è successo in una volta sola e appena svegliato poteva essere troppo?”
Sam chiude gli occhi e si massaggia la parte superiore del naso: “D’accordo. L’hai fatto in buona fede e comprendo. Ma adesso devi dirmi tutto, Dean. E non tralasciare niente, per favore.”
Dean porta i suoi grandi occhi su Sam, incrocia il suo sguardo e dentro ci legge tutta la volontà di essere messo al corrente di tutti i dettagli, anche minimi. Ci legge una richiesta d’aiuto.
Aiutami a capire. A ricordare. A rimediare. Aiutami a fare ammenda.
E lo farà. Lo aiuterà. Lo aiuterà perché glielo sta chiedendo, lo sta supplicando con quello sguardo colpevole e smarrito. Lo sguardo di un cucciolo che è rimasto ferito dalle sue stesse azioni, un uomo che, come attraverso uno specchio, ha visto ciò che ha commesso quando non era in se e vuole rimediare.
Non è poi così tanto diverso da quando all’inferno c’era stato lui ed era tornato.
E poi, è di Sammy che stiamo parlando. E se Sammy ha bisogno d’aiuto, lui lo aiuterà.
Hanno sette ore di viaggio davanti. In sette ore, possono essere narrati tutti i dettagli possibili e immaginabili.


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È la famosa citazione di “Blow  (1)
Dialogo tratto dall’episodio 6x12 “La Madre di tutte le cose” (2)

Ok, ho impiegato un’infinità per scrivere questo capito è che, non so, c’era sempre qualcosa che non mi convinceva e volevo modificare!
Avevo detto che in questo capitolo il chiarimento tra Dean e Nat sarebbe venuto fuori e invece la cosa ha preso una piega totalmente diversa, questo perché volevo focalizzare più l’attenzione su Sam, il suo effettivo ritorno e le sue emozioni. Per questo, anche qui, Nat e Dean evitano di parlare (ma succederà, promesso!).
Spero che il capitolo via sia piaciuto e ringrazio di cuore chi legge, chi recensisce, chi segue la storia e chi l’ha messa tra i preferiti!
Alla prossima! :D


 
   
 
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