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Autore: theuncommonreader    25/05/2016    0 recensioni
[Persefone&Leuce; Ade/Persefone; Ade/Leuce| Modern!Au]
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Cora lo avverte nel tono di sua madre, che qualcosa non va – privo della solita nota instancambilmente squillante quando si tratta di tirarla giù dal letto. La sua espressione guardinga, il modo in cui si mordicchia le labbra confermano quell'impressione, ma di certo non immaginerebbe mai quello che Demetra ha da dirle.
Mai si immaginerebbe mai di venire a sapere di Bianca così, ancora gonfia di sonno, ancora calda di letto nel suo pigiama di mezzastagione, le ciabatte troppo pesanti ai piedi, sulla faccia l'impronta fresca del cuscino.
Non si sognerebbe di venire a sapere che la sua migliore amica di appena trent'anni è morta, non in un tiepido, anonimo giorno di sole freddo, uno come mille altri che preludono all'autunno.

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Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incest
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sotto l'albero bianco







nomi dei personaggi:


Kore/Persefone è Cora.
Ade è Adelio (diminutivo: Ade).
Leuce è Bianca (Significato in italiano del nome greco).
Atena è Ana (Il nome originale della dea secondo alcuni studiosi).
Artemide è Diana (Nome romano della dea).
Ciane è Celeste (Il "ciano" è una delle sfumature del celeste).
Zeus è Divo (Dal genitivo greco "Dios").
Poseidone è Filippo (Dall'attributo Hippios, signore dei cavalli).
Era è Eva (Per assonanza e per ruolo).
Menezio è Ezio.



Titolo: La tempesta in cucina

Prompt: Io voglio un cuore, perché il cervello non basta a farti felice, e la felicità è la cosa piú bella che esista al mondo.

 

La quiete prima della tempesta si trascina per lunghi giorni di lampi nello sguardo e bronci come un brontolio di tuoni in lontanza. Sembrano riuscire a vedersi solo all'ora dei pasti, e quando siedono l'una di fronte all'altra, il sapore del cibo invariabilmente diventa cenere sulla lingua, l'unico rumore il ticchettio dell'orologio, le posate sui piatti, i loro respiri cauti.

Evitano accuratamente di guardarsi mentre ingoiano un boccone alla volta, il tavolo di plastica l'unica barriera fisica che trattiene sua madre dal saltarle addoso e scrollarla, Cora lo sa.

D'altra parte, l'aria di tensione elettrica che tira in casa la tocca relativamente, come se quella che è stata la sua priorità, chissà come, chissà perché, sia scesa di un gradino per far posto a un tarlo che le scava dentro, sguazza nell'orlo del nuovo cratere che le si è aperto nel petto, proprio accanto al dolore per Bianca.

Un dolore nuovo, che pulsa come un nervo infiammato, come un mal di testa al cuore. Non la lascia vivere in pace, sempre presente mentre si costringe ad uscire di casa, a vedere gli amici, a seguire le lezioni, a riprendere la sua vita come l'aveva lasciata prima che la notizia di Bianca le crollasse addosso.

Non si concede di pensare, ma il pensiero la scavalca con prepotenza, costringendola a rifletterci sdraiata a letto e il sonno tarda ad arrivare.

Ha fatto la cosa giusta, da qualunque angolazione la si guardi. E Ade ha fatto la cosa giusta. Entrambi.

Ci pensa e ci riprensa, a quel momento, tormentandosi una ciocca di capelli, lo sguardo che evita accuratamente di scivolare sul casco che la fissa da un lato della stanza con occhi invisibili e cerca di vedere la verità corrosiva sotto l'involucro della finzione che ci ha avvolto attorno per andare avanti.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Potrebbe giustificarsi con se stessa, dirsi che sua madre ha scelto un giorno particolarmente difficile per detonare la sua rabbia, ma Cora è fin troppo consapevole di quanto un giorno valga l'altro.

La cucina gialla e arancio si stringe attorno a loro come una scarpa troppo stretta, nonostante le finestre spalancate. L'autunno è ancora lontano e l'afa incolla i vestiti addosso come la pelle lucida di un serpente dopo la muta.

Non sa bene neanche lei come abbia inizio: un momentole le sta passando in piatto; quello seguente, le urla di sua madre fanno quasi esplodere il cucinino, appesantendo l'aria greve di caldo e di frittura. Le parole volano più grosse degli arancini, e Cora posa il piatto che ha in mano per non farsi tentare dal tirarli sul pavimento e mutilare irrimediabilmente il servizio buono.

“Saresti potuta morire! Cosa ti ha detto la testa, sciocca bambina?! Arrampicarti fin lassù da sola, ti saresti potuta rompere il collo come un ossicino di pollo! Se Ade non ti avesse ripescata chissà da dove, avrei potuto ritornare tu a casa in una bara!”

“Sono tornata sana e salva, eppure,” ribatte Cora, restia a concordare con lei, le guance arrossate di caldo, vergogna, rabbia. “Se solo mi permettessi di uscire di casa per conto mio senza chiamare le forze armate, capiresti che ormai ho raggiunto l'età della ragione. E di poter andare in giro senza una scorta.”

Lo sdegno di Demetra sembra pari solo alla sua sorpresa di sentirsi rispondere a quel modo. Da dove venga tutta questa intraprendenza, non lo sa neppure lei; può solo constatare che una volta saltato il tappo che le frenava la lingua, non c'è modo di rimetterlo al suo posto.

“Forse perché hai dimostrato che non posso fare affidamento su di te e i tuoi colpi di testa!”

“Mamma, ti prego, non prendiamoci in giro: sono sempre stata la figlia più affidabilmente noiosa che abbia messo piede sul suolo siciliano nell'ultimo secolo.”

“E per questo ti è stato concesso di studiare lontano da casa, ma ora guarda come ripaghi la mia fiducia!”

Il litigio va avanti, le parole si infrangono sulla superficie bianca del lavello, contro le credenze sovraffollate di piatti. Divo viene nominato, e Bianca, e alla fine, quando tanto Cora quanto sua madre hanno gli occhi lucidi di stanchezza e di pianto, le ostilità sembrano avviarsi al termine, crollano entrambe sulle sedie di plastica, afferrandosi al tavolino per non cadere.

Sua madre scuote piano il capo, i ricci biondi che ondeggiano sfiorandole il viso sudato. Deglutiste lentamente prima di parlare, e la sua voce è rauca per le grida di prima. “Cora, tesoro mio. Se non vuoi evitare di dare una preoccupazione a me, pensa almeno con la testa. Andare là sola, di pomeriggio inoltrato... sarebbe potuto capitarti qualunque cosa. Non farmi sapere dove davvero fossi per tutto quel tempo, poi, è una follia.”

La fragilità nella sua voce spinge Cora ad allungare una mano, strisciando il palmo sul piano del tavolo per raggiungere la sua. Sua madre le sembra così stanca, in questo momento, e anche lei è esausta, neanche l'energia stesse colando via da lei a ogni goccia di sudore.

Intrecciano le dita e Cora piega l'altro braccio per posarci la guancia, il busto premuto contro la plastica alla ricerca di refrigerio – e un briciolo di stabilità.

“Mi mancava così tanto,” sussurra, “che non mi importava più di niente.”

Non vede sua madre, ma la sente strofinare i polpastrelli alle sue dita umide. “Posso capirti, tesoro mio, ma ora stai un poco meglio, no?” Stringe lieve la presa, e Cora ricorda improvvisamente che Bianca ha fatto lo stesso, in quello strano, vivido sogno di qualche tempo prima. “Promettimi che penserai con la testa, d'ora in poi.”

Cora schiude le labbra per replicare, ma è come se un dito invisibile si posasse su di esse, sigillando le parole in gola. Le sfugge un singhiozzo senza che se ne accorga neppure, che le fa tremare le spalle sotto la maglietta leggera. Un secondo segue il primo. E ancora. E ancora.

Vorrebbe dire che sta usando il cervello, e che le fa male. Quando dita sottili si immergono tra i suoi capelli sudati, chiude gli occhi strettamente, immaginando di essere altrove, musica classica e i guaiti di Cerbero in sottofondo.

Non basta il cervello a farti felice.

Dietro le palpebre, Ade le sfiora una guancia, sollevandole il viso per asciugare le lacrime.

Al diavolo tutto. Io voglio un cuore, gli direbbe se ce lo avesse davanti, perché il cervello non basta a farti felice, e la felicità è la cosa più bella che esista al mondo.

 

   
 
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