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Autore: inattivo ciao ciao    26/05/2016    3 recensioni
"Sai cosa ci servirebbe? Un posto. Tutto per noi. Sarebbe un posto talmente segreto che non ne parleremo mai con nessuno al mondo. Sarebbe un regno segreto. E io e te ne saremo i monarchi" e ciò che gli risponde Harry, cogliendo francamente Louis di sorpresa.
Il tono del riccio è stato così limpido, chiaro e sincero, senza l'ombra di insicurezze o prese in giro.
La prima cosa che fa Louis, ovviamente, è sbuffare una risata dal naso.
Quando vede che Harry non accenna a mettersi a ridere o a dirgli che stava semplicemente scherzando, Louis inarca violentemente le sopracciglia e ""Non ti sembra di esser un po' grande per queste cose?" esclama, il tono un po' secco.
Harry/Louis (Un ponte per Terabithia!Au)
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ai puppies (patatosi o cattivi dentro) che hanno scelto di dare una possibilità a questa storia e di cliccare sul titolo: grazie, grazie, grazie 
Prima di iniziare a leggere, vi consiglio CALDAMENTE di dare un'occhiata a queste premesse:
 
x Questa fanfiction conta ben 37mila parole. Non è, quindi, un mattone super enorme, ma sicuramente non è una storiella che si legge in cinque minuti;
 
x La storia è ambientata, più o meno, alla fine degli anni '80;
 
x Cosa più importante di tutte (non so nemmeno io perché l'ho lasciata come ultimo punto, lol): questa fic non ha l'happy ending. Mi sembrava doveroso avvisarvi subito, così da non lasciarvi troppo con l'amaro in bocca alla fine della lettura :)
Quindi, se siete per il finale felice a tutti i costi, mi dispiace dirvi che questa storia non fa per voi. Spero ci siano un po' di personcine coraggiose che decideranno in ogni caso di leggere :)
E, siccome mi dispiace che alcuni rinunceranno a leggere solo per colpa del finale, ad un certo punto della storia ho messo due asterischi rossi... chi non vorrà affrontare il (non) happy ending potrà benissimo fermarsi a quei simbolini e fingere che la storia si concluda lì :)
Spero di essere stata chiara :) Buona lettura, e ci sentiamo alla fine della storia ♥
 
 

 
I THINK I WAS BLIND BEFORE I MET YOU.
 
 
 
Louis pompa energico i muscoli delle braccia e, lo sguardo fisso sul terriccio secco del campo, sbatte coordinato i piedi, il sinistro dopo il destro dopo il sinistro dopo il destro.
Sente il sudore colargli fastidiosamente lungo la schiena nuda --ha imparato già da tempo quanto sia inutile ed opprimente lasciarsi addosso la maglietta mentre corre-- e le cosce prendere a protestargli in modo quasi doloroso. Ma gli piace, quel pizzicore crudo, gli fa capire che sta proprio dando il massimo, che ci sta mettendo tutto l'impegno possibile.
 
Ancora due giri. Due soltanto, pensa stremato, spostandosi dagli occhi, con un gesto stizzito, un ciuffo bagnato di capelli.
 
Ogni giorno, da circa due mesi, si sta imponendo un nuovo obiettivo da raggiungere, per migliorare gradualmente la resistenza fisica e riuscire a correre con sempre meno fatica.
In genere, riesce a seguire una sorta di routine; sveglia all'alba, colazione equilibrata e --da quella volta in cui è agonizzato a terra a causa di uno stremante crampo al piede-- riscaldamento obbligatorio di almeno dieci minuti. Infine, ovviamente, corsa vera e propria.
 
Louis non è in possesso di cronometri o particolari strumenti tecnici; per misurare i tempi si vede costretto ad affidarsi ad un semplicissimo orologio da polso, rivestito in gomma verde e comprato l'anno prima alla bancarella degli extracomunitari del paese. Gli basta e avanza, comunque, l'importante è che funzioni correttamente. E, se i sensi non lo ingannano, il semplice orologio è più che valido.
 
Quando finalmente Louis termina l'allenamento quotidiano, si sono già fatte le otto del mattino. Gli sembra di essersi appena fatto un tuffo nel torrente vicino a casa, da tanto è sudato. Sbuffa, i rimproveri disgustati delle sorelline già gli risuonano in testa.
 
Respirando con leggero affanno si porta le braccia sopra la testa, per stirare i muscoli.
I passerotti ed i fringuelli stanno cinguettando rumorosamente nel cielo e sugli alberi intorno. I loro canti sono in ritardo oggi, constata Louis, che ormai conosce perfettamente la loro usuale tabella di marcia. Non sa come sentirsi al riguardo.
 
Louis scocca un'occhiata veloce ad uno degli uccellini, prima di scuotere la testa ed andare a recuperare la maglietta che prima ha posato sulla recinzione che circonda l'ampio campo abbandonato.
La scrolla rapidamente da eventuali insetti prima di farci passare dentro la testa e le braccia, ed inizia a camminare con passo spedito verso casa.
 
A volte, Louis pensa che la corsa sia la sua unica salvezza.
Solo quando si ritrova senza fiato dopo minuti sfiancanti di allenamento si ritrova, paradossalmente, a respirare per davvero.
 
Non perché sia la sua passione più grande, l'interesse principale della sua vita; semplicemente, la corsa è l'unica possibilità a cui può appigliarsi, è il mezzo che gli permetterà, un domani, di essere davvero felice. Non che Louis sia convinto al cento per cento che sarà davvero così, ma ci deve pur provare.
 
Ha bisogno della corsa perché, se tutto andrà secondo i piani --e deve farlo, deve-- Louis potrà farsi notare dal suo allenatore, superare tutti gli altri ragazzi del suo liceo iscritti, come lui, al corso d'atletica, potrà batterli tutti ed ottenere una borsa di studio. 
 
In tutte le altre materie del suo corso non è propriamente un asso; per un motivo o per un altro, non ha mai ottenuto voti così eccelsi: lo sport è l'unico modo che ha per ottenere crediti. L'unica maniera con cui può sperare di ricevere abbastanza fondi da potersene finalmente andare via da qui, da Doncaster. La città che lo ha visto nascere e crescere, ma che Louis non ha mai trovato altro che soffocante e troppo poco.
 
Nello scorgere il giardinetto poco curato che circonda la sua casa, Louis affretta ancora di più il passo. La finestra della cucina è spalancata, il che significa che la mamma si è già alzata. Le imposte aperte anche in tutte le altre camere da letto sono un chiaro segno che pure le sorelle siano già scese dal letto.
 
Quasi inciampando su un sasso, Louis zoppica leggermente verso la porta principale e, con uno scatto del polso, gira il pomello tondo ed opaco.
La porta a casa Tomlinson è sempre aperta, e non da un punto di vista prettamente metaforico. Non chiudono praticamente mai a chiave, perché vivono in un quartiere piccolo ed amichevole. E, soprattutto, deserto.
 
Gli unici vicini sono i Teasdale, una piccola famiglia composta da madre, padre ed un piccolo terremoto biondo di sette anni --mandria di hippy, come li definisce velenosa la madre di Louis-- ma la loro è più che altro una residenza estiva. Solitamente, Louis li vede in giro esclusivamente a Giugno, Luglio ed Agosto.
 
Ora che ci pensa, non incontra nessuno di loro già da un mesetto. Di solito, ogni estate, Louis è praticamente perseguitato da quella bambina. Lo segue ovunque. Personalmente, Louis non la sopporta.
 
"Ciao a tutte!" esclama rumoroso, arricciando il naso, come di consuetudine, nel sentire la vecchia porta di casa cigolare fastidiosamente, "Sono tornato!" scalcia via le scarpe, lasciandole, almeno per il momento, sdraiate in modo confusionario sul pavimento dell'ingresso. Spera davvero che nessuna delle gemelle ci inciampi; non ha propria alcuna voglia di sorbirsi pianti disperati, o piccoli pugni sulle spalle, a quest'ora del mattino. Oppure un'occhiata delusa da parte di sua madre, una sgridata delle sue, se per questo.
 
Un bolide spettinato gli si schianta improvvisamente sulla pancia. Louis grugnisce, ma solleva prontamente da terra la sorellina.
Daisy gli appoggia le piccole mani sulle spalle e "Puzzi," lo informa, il piccolo naso arricciato in una smorfia di disgusto, "Che schifo".
 
Come volevasi dimostrare.
 
Louis rotea gli occhi e "Non te l'ha detto nessuno di venirmi addosso" taglia corto, reggendola saldamente da sotto il sederino mentre inizia ad incamminarsi verso la cucina.
 
"Sei andato a correre?" lo interroga Daisy, dandogli un piccolo bacio sul naso ed allacciandogli, nonostante il sudore, le braccia magre intorno al collo. Louis sorride. Lo riempie di gioia il fatto che la sorellina sia così affettuosa.
 
"Sì," conferma, "Oggi sono arrivato fino in Cina e poi sono tornato indietro" le racconta, ridacchiando dinnanzi ai suoi occhioni blu sgranati.
 
Scalcia via dal corridoio esattamente tre pupazzi ed il braccio di una barbie. In soli due metri di percorso. Louis non pensa che qualcuno, nella famiglia Tomlinson, potrà mai dire di essere una persona ordinata.
 
"Mamma è stata cattiva prima. Mi ha fatto paura" cambia bruscamente argomento Daisy, nascondendo il visino contro il collo del fratello. Louis deglutisce. Non di nuovo.
Non di nuovo.
Si ferma sui suoi passi e le accarezza la schiena.
 
"Lo sai che la mamma, a volte, si arrabbia per niente. Non devi spaventarti" prova subito a rassicurarla, imponendosi di non usare una voce cupa. Quando sente la piccola Daisy annuire, "Cosa è successo?" abbassa la voce, perché sono quasi arrivati alla cucina.
 
"Mi sono sporcata con il latte mentre facevo colazione. Mamma ha iniziato a urlare. Poi ha preso la mia tazza e l'ha buttata nel lavandino. Si è rotta tutta. Era la mia preferita" Daisy non singhiozza mentre gli racconta, ma Louis le sente le sue ciglia bagnate contro il collo.
 
Stringe ancora di più la sorellina e "Tranquilla," non sa nemmeno lui cosa diavolo dire per rassicurarla, "Era nervosa e basta. Non devi avere paura" le bacia la testolina una, due, tre volte.
 
"Posso stare con te? Non voglio rimanere sola con lei" sussurra Daisy, arricciandogli i piccoli pugni sul tessuto della maglietta.
 
"Mica puzzavo? Vuoi davvero stare vicina ad un caprone sporco e peloso?" sceglie di ribattere Louis, perché se non vede il sorriso sdentato della sorellina entro pochi secondi giura che darà di matto.
 
Per farla ridere ancora di più, le solletica con energia la pancia magra, e finge di morderle le guance rosee ed i capelli arruffati.
Daisy sghignazza immediatamente, scalcia con le gambe e ride rumorosa dentro il suo orecchio.
 
Louis non riesce a perdere il sorriso nemmeno nel vedere la mamma in cucina, un canovaccio sulla spalla e le mani strette con forza intorno al lavabo grigio. Sta dando loro le spalle, ma Louis nota in ogni caso le sue nocche bianchissime.
 
"Buongiorno, mamma" la saluta con cautela mentre finge di far cadere Daisy a terra.
Jay risponde con un verso indefinito.
Louis sospira dentro di sé. Conosce la madre --ha dovuto per forza di cose imparare a conoscerla-- e sa che, almeno per il momento, è meglio non insistere e fingere di essere in tutt'altra stanza rispetto a quella dove si trova lei.
 
"Cameriera Daisy! Mi verserebbe un bel bicchierone di latte?" si rivolge quindi alla bambina, depositandola gentilmente sul pavimento e andando ad accomodarsi su una delle sedie tinte di giallo.
 
Daisy impugna immediatamente un taccuino ed una penna invisibili. Tirando su con il naso con fare altezzoso, "Il tuo bicchierone di latte arriva subito, signore" cerca di usare una voce cavernosa, e finge di scrivere l'appunto sulla carta immaginaria. Louis sorride tra sé e sé. In realtà, la bambina conosce a malapena le lettere che compongono il suo nome.
 
Daisy inizia a correre di qua e di là per la cucina, come se dovesse recuperare chissà cosa, anziché il contenitore del latte ed un semplice bicchiere, possibilmente pulito. Louis scocca un'occhiata allarmata verso la madre; sa quanto la donna si infastidisca per ogni minimo movimento, in queste sue giornate particolari.
Per fortuna, però, Jay non sembra innervosita. Anzi, i tratti del suo volto si sono notevolmente addolciti, e la donna sta iniziando a preparare la schiuma per lavare i piatti della colazione.
 
"Signor Louis, signor Louis!" trilla Daisy, nell'appoggiare goffamente la confezione del latte sul tavolo.
 
"Mi dica, signorina" tuba con occhi sgranati Louis, svitando il tappo e versandosi il latte nel bicchiere colorato.
 
Daisy si scosta con concitazione una ciocca di capelli dalla spalla e "Ho una novità" gli fa sapere, gli occhi brillanti dall'eccitazione.
Louis inarca un sopracciglio, curioso, e "Cosa, pulce?" la interpella, tornando a richiudere il contenitore.
Daisy inizia a saltellare sul polso, le ciocche bionde che ballonzolano dappertutto.
 
"Abbiamo dei nuovi vicini!" strilla emozionata.
 
Louis finisce lentamente di bere il suo latte e solo quando appoggia il bicchiere vuoto sul tavolo, "Davvero?" verifica.
Si dondola all'indietro con la sedia, allunga il collo per sbirciare oltre la finestra. Pure in lontananza, riesce a scorgere almeno due enormi camion dei traslochi, proprio davanti alla residenza estiva dei Teasdale.
 
"Certo che è vero!" Daisy lo colpisce sulla coscia e, prima che Louis possa anche solo protestare, "Magari hanno una bambina della mia età" aggiunge con occhi sognanti.
 
"E la povera Phoebe?" la interroga Louis, arricciando le labbra in un finto broncio triste.
Daisy scrolla subito le spalle sottili e "Phoebe non mi piace" taglia corto.
 
Un lamento acuto emerge da sotto il tavolo. Louis vorrebbe dire di essere stupito quando sente una piccola mano incurvarglisi intorno alla caviglia, ma. No. Non lo è.
Recupera Phoebe da sotto il tavolo e, per consolarla dalle offese della sorellina, se la sistema sulle ginocchia. Le tira delicatamente le guance un po' paffute ed intreccia gli occhi fino a sentire un accenno di mal di testa, pur di farle ritornare il buonumore.
 
Quando Phoebe inizia a ridere, la finestrella tra i denti davanti bella in vista, Louis si è già dimenticato dei nuovi vicini.
 
 
**
 
 
Il fruscio della matita che scorre sul foglio. Ecco cosa ama Louis.
 
Non può permettersi chissà quali strumenti artistici, tempere pregiate, tele o cavalletti, ma il semplice foglio strappato da un quaderno gli è più che sufficiente.
 
In qualche modo, è come se ondate frizzanti di libertà gli danzassero tra le vene quando, solo con se stesso, Louis può finalmente sfogare ogni pensiero, segreto o sensazione sulla carta, tracciare quello che prova e che non riesce a spiegarsi, ma anche quello che non ha mai provato e vorrebbe solo assaggiare.
 
Adesso sta abbozzando un volto mai visto, un insieme di occhi, capelli e tratti somatici che non ha mai incontrato, ma che, in qualche modo, è come se avesse sotto pelle. È un po' il suo tema ricorrente. Ama disegnare le fisionomie facciali.
 
Il vento leggero gli sta colpendo il viso, e Louis potrebbe anche addormentarsi da dove è rannicchiato tra le radici imponenti della quercia che conosce e frequenta sin da quando era un bambino. Tuttavia, la mente gli sta lavorando frenetica, ed il solito senso di frustrazione nel vedere la sua mano non agire altrettanto rapida lo sta attanagliando, impedendogli di appisolarsi.
 
"Sei davvero bravo, sai?" una voce calda, improvvisamente, squarcia l'aria.
 
Louis sobbalza e lascia cadere la matita. Prende a girarsi verso tutte le direzioni, alla ricerca del proprietario di quelle parole, gentili, sì, ma estremamente inaspettate.
 
Il cuore gli batte forte e Louis non può fare a meno di articolare un conciso "Ma che cazzo!", quando "Qui sopra, meraviglia" lo guida la stessa voce, colta da risolini.
 
Louis aggrotta la fronte e si alza con uno scatto delle ginocchia, il collo che protesta non poco quando porta rapidamente la testa all'indietro per osservare cosa diamine sta succedendo sopra di sé.
 
Un secondo Ma che cazzo non tarda a sfuggirgli di bocca quando, finalmente, nota la figura appollaiata sui rami. Come ha fatto a non accorgersene prima? Da quanto tempo è lì ad osservarlo?
 
Louis, onestamente, non sarebbe in grado di capire se si tratti di un ragazzo o di una ragazza. Il ricordo della sua voce lo fa propendere per la prima opzione ma, allo stesso tempo, una serie di dettagli accrescono in lui la fiamma del dubbio.
 
Innanzitutto, il viso. È bianco, e da questa distanza sembrerebbe essere privo di qualsivoglia imperfezione. Improvvisamente consapevole dei brufoletti rossi che gli tempestano una tempia e metà della fronte, Louis evita solo all'ultimo momento di sistemarsi in modo strategico il ciuffo un po' fiacco.
 
Lui o lei, poi, ha occhi grandi e brillanti, adornati da ciglia lunghe e arricciate all'insù, ed una bocca altrettanto luccicante. Probabilmente appiccicosa di burrocacao alla fragola, come quello che si stende Lottie sulle labbra quando mamma non è nei paraggi. Louis lotta per non arricciare il naso.
 
"Non volevo metterti paura" parla la figura, dondolando pigramente le gambe lunghe e nude, da dove è seduta su un ramo nodoso. Seriamente, come diavolo ha fatto Louis a non rendersene conto immediatamente?
 
"Non mi hai fatto paura!" esclama all'istante, soffiando uno tsk oltraggiato, nonostante il cuore gli stia rimbombando ancora energico contro la cassa toracica.
 
Lui o lei inarca con divertimento un sopracciglio scuro, ma non commenta.
 
"Stavo facendo un pisolino, altrimenti ti avrei reso nota la mia presenza molto prima" gli riferisce invece. Ti avrei resa nota la mia presenza, scimmiotta dentro di sé Louis. Ma come parla?
 
"Pensavo che solo nei cartoni le persone riuscissero a dormire sugli alberi" ribatte però, incrociando le braccia al petto.
 
"Mia mamma lo dice sempre che sembro un personaggio dei cartoni animati!" trilla lui o lei, spostandosi con un gesto del polso --completamente adornato da braccialetti colorati, nota Louis-- i boccoli intorno al viso.
 
Sono un po' troppo lunghi per appartenere ad un maschio e, per di più, Louis non ha mai visto in vita sua un ragazzo con i ricci simili a quelli di una bambola antica. Quindi, questa persona deve per forza di cose essere una ragazza. Giusto?
 
"Hai intenzione di scendere da lì o...?" Louis lascia cadere la frase, lo stomaco annodato da emozioni strane. Confusione, improvvisa intimidazione, ansia dell'ignoto. Estrema curiosità.
 
Per tutta risposta, la ragazza --o è un ragazzo? pensa per l'ennesima volta Louis, con una punta di frustrazione-- gli scocca un sorriso a trentadue denti e, sinuosa come un serpente, scivola giù dall'albero, atterrando con un tonfo a pochi centimetri da Louis, facendolo sussultare.
 
Con una sicurezza sconcertante, recupera la mano di Louis, e gliela scuote amichevolmente.
 
"Mi chiamo Harry Styles, piacere. Sono il tuo vicino di casa".
 
Harry. Vicino.
 
Imbambolato -- È un maschio, quindi, uh-- Louis si lascia agitare indolente la mano. Spalanca gli occhi quando la risata calda di Harry gli investe il viso.
 
"Che?" chiede stupidamente Louis, deglutendo quando realizza le dimensioni della mano del ragazzo. Praticamente gli nasconde per intero le dita, il dorso, il palmo, tutto.
 
"Come ti chiami?" gli viene incontro Harry, gli occhi piegati all'insù e la bocca altrettanto stirata all'inverosimile. Louis inghiotte nuovamente saliva.
 
Corruccia un po' le sopracciglia e "Louis" risponde, la voce quasi ridotta ad un mormorio. Estrapola la mano da quella di Harry, premurandosi di evitare gli occhi enormi del ragazzo, così verdi da sembrare quasi innaturali.
 
È a causa dello sguardo basso che nota le unghie di Harry. Sono azzurre. Ci ha passato dello smalto sopra. Un maschio che si mette lo smalto?
 
Improvvisamente diffidente, Louis si passa la lingua asciutta sulle labbra equamente secche.
 
"Uh. Senti, io devo andare?" farfuglia, puntandosi un pollice dietro le spalle per indicare casa sua, "Ciao", senza aspettare un secondo di più, Louis si affretta ad allontanarsi.
 
"Ci vediamo!" grida Harry, e Louis si rende vagamente conto di starsi comportando in modo maleducato, ma non risponde al ragazzo e, anzi, velocizza ancora di più il passo. Ha la lingua annodata.
 
È solo quando sta strofinando distrattamente la spugna insaponata su uno dei tanti piatti sporchi di carne che Louis si ricorda di essersi dimenticato il disegno sotto la quercia.
Sbuffa un lamento e prende a pulire più frettolosamente le stoviglie.
 
Finisce con lo schizzarsi dell'acqua --fredda, perché più tardi la mamma deve fare il bagnetto alle gemelle, e lui non può rischiare di finire quella calda-- sulla maglietta. Louis stringe i denti per il fastidio del tessuto che gli si appiccica alla pancia, ma continua imperterrito a sfregare ogni piatto, posata e bicchiere, cercando di fare il più veloce possibile.
 
Non gli piace l'idea di lasciare in giro i suoi disegni.
 
"Mamma, torno subito," pochi minuti dopo sta già stampando un bacio veloce sulla guancia della madre, intenta a intrecciare svogliatamente le ciocche bionde di Lottie, e sta correndo fuori dalla porta, tra i fili troppo lunghi d'erba.
 
Non si è nemmeno premurato di infilarsi un paio di sneakers, ed adesso i suoi piedi nudi stanno scontrandosi sui noiosi ciottoli sporadici e sui rametti appena-appena appuntiti.
 
Si congratula mentalmente con se stesso per essersi allenato nella corsa anche scalzo; adesso i suoi talloni sono duri come le suole delle scalcagnate scarpe da ginnastica che gli ha regalato la nonna un paio di estati prima.
 
Louis tira un sospiro di sollievo quando, persino avvolto dal buio, riesce ad individuare, pochi passi più in là, il suo foglio.
 
Si tira indietro il ciuffo spettinato, e si abbassa sulle ginocchia per raccogliere il disegno. Della matita, invece, non c'è traccia, nota. Pazienza.
 
Una strana sensazione, quasi come un formicolio, inizia a pungolargli la nuca. Si sente quasi osservato.
 
Louis si sente uno stupido, ma esclama comunque un "C'è nessuno?".
 
Silenzio.
 
Rabbrividendo per la brezza serale frizzante, Louis si strofina goffamente le braccia, gli occhi che scattano in tutte le direzioni.
 
"Harry?" tenta dunque, irrequieto, la voce quasi ridotta ad un sussurro. A rispondergli, solo il bubbolare di un gufo.
 
"Stronzo" Louis sputa a terra e, senza voltarsi mai indietro, ripercorre la via di casa, il foglio di carta che scricchiola, da tanto lo sta stringendo tra le dita.
 
Il freddo ed una sensazione a cui non saprebbe conferire un nome gli stanno leccando la schiena, e Louis non riesce a scrollarseli di dosso nemmeno quando è sul suo letto ad una piazza, seduto a gambe incrociate.
 
Grattandosi distrattamente una coscia, infila attentamente il disegno tra le pagine di un vecchio quaderno di scuola, che utilizza per riporre tutte le sue creazioni.
 
Ha già spento la luce, e gli occhi gli si stanno già abbassando di loro volontà, ma Louis, in qualche modo, se ne accorge comunque.
 
Inspira bruscamente e, senza quasi rendersene conto, un mezzo sorriso inizia piano piano a sollevargli l'angolo della bocca.
 
Passa delicatamente un dito sulle poche parole annotate sul fondo del disegno in una scrittura sconosciuta, piccola e tondeggiante. Louis non sa come sentirsi a riguardo.
 
Continua a disegnare, perché vali :) H.
 
 
**
 
 
Prima che possa anche solo realizzarlo, Louis si ritrova a scuola, seduto, quasi sdraiato, su un banco.
 
Il vociare confuso dei compagni di classe gli sta aggredendo le orecchie, e lui vorrebbe solamente alzarsi e uscire da questa bolgia di aula.
 
La professoressa Flack non è ancora arrivata, ed il calore opprimente della stanza sta iniziando a dargli seriamente fastidio.
Sono quasi in trenta, in questo corso, e la classe è decisamente troppo piccola per poter contenere tutti i banchi, le sedie, la scrivania del docente di turno, le persone. In più, tutti sembrano essere fin troppo vitali questa mattina. Sono le sette e cinquantanove, per Dio. Perché stanno parlando?
 
Louis, con dita stizzite, si allontana dalla gola il colletto della camicia, tornando subito dopo ad incrociare le braccia sul piccolo banco e a nasconderci il viso in mezzo.
 
Vorrebbe solo scomparire.
 
Durante il viaggio in pullman verso la scuola, pensa di aver riconosciuto un volto famigliare. E questo fatto gli sta facendo strizzare lo stomaco in dieci modi diversi, uno più fastidioso dell'altro.
 
Perciò, non dovrebbe essere troppo stupito quando la signorina Flack, la professoressa di storia, italiano e filosofia perennemente agghindata in abitini decisamente poco consoni al contesto e tacchi di pelle di rettile, entra nell'aula accompagnata da una presenza dolorosamente nota. Eppure.
 
Louis si affossa ancora di più sulla sedia, appoggiandosi una mano sulla fronte per nascondersi quanto più possibile. Codardo, interviene malefica la sua coscienza.
 
Non può fare a meno di sobbalzare quando la professoressa Flack batte energicamente le mani per richiamare l'attenzione della classe, ma si violenta mentalmente per non puntare lo sguardo nella sua direzione.
 
"Silenzio!" tuona la Flack, quando incoscienti non interrompono il loro chiacchiericcio. "Bene," proclama poi soddisfatta, "Classe, da quest'anno avremo un nuovo studente".
 
Louis divide appena-appena le dita per riuscire a sbirciare un poco. Harry è in piedi accanto alla donna e si sta masticando la pelle dell'indice, sorridendo tenue intorno al dito.
 
"Lui è Harry Styles," spiega loro la Flack, un sorriso di zucchero sulle labbra color mattone, "Harry, vorresti presentarti alla classe?".
 
La donna continua a sorridere, e Louis inizia a sentirsi vagamente orripilato. Lo sanno tutti che la Flack è conosciuta per non essere mai sorridente. Di solito, l'unica occasione in cui sfoggia la sua felicità è l'ultimo giorno di scuola.
 
Louis vede con la coda dell'occhio Harry giocherellare con i braccialetti che porta al polso.
 
"Ciao a tutti," inizia, la voce alta e calda, "Sono, uhm. Sono Harry?" scrolla le spalle.
 
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze inizia a ridacchiare con leggera malignità. Quando Oli Wright, dal suo solito posto in fondo alla classe, tossisce uno Sfigato! nel pugno ossuto, Louis non può fare a meno di provare una sorta di rabbia cieca dentro di sé.
 
"Silenzio, si-len-zio!" ripete la Flack, sbattendo ripetutamente il palmo sulla cattedra verdognola.
Appoggia poi i suoi artigli laccati sulla spalla di Harry e "Caro, vai pure a sederti. Lì accanto al termosifone dovrebbe esserci un posto libero" lo istruisce.
 
Harry annuisce obbediente e, dopo essersi sistemato una borsa a tracolla dall'aria parecchio ingombrante sulla spalla, prende ad avanzare verso quel banco.
 
"Ma come cazzo è vestito?" Louis sente sussurrare in un punto indefinito dietro di sé. Si morde il labbro inferiore, lasciando poi correre gli occhi sulla figura di Harry, un paio di file più in là rispetto a lui, diagonalmente parlando. Ora che non ha svariate teste davanti, riesce ad osservarlo meglio.
 
Ha una blusa azzurro pastello, adornata da piccole margherite, ed un paio di jeans, di un colore altrettanto tenue, strappati sulle ginocchia. Ai piedi, scarpe bianche simili a mocassini. Niente calze. I capelli sembrano più ricci che mai, e Louis non può trattenere una piccola smorfia quando riconosce una tinta fiordaliso sulle sue unghie.
 
Gesù. È l'unico, dentro l'aula, a non essere minimamente agghindato in una mise tipicamente primaverile e domenicale. Persino Louis, ogni primo giorno di scuola, si sforza di vestirsi decentemente; oggi ha l'unico paio di pantaloni di velluto a coste che ha rintracciato nell'armadio, ed una camicia stirata.
 
"Che frocio" ridacchia la ragazza, di cui Louis non si è mai sforzato troppo di ricordare il nome, nel banco accanto. Stringe la mascella, scoccandole poi un'occhiata al vetriolo.
 
Non sa nemmeno lui se dirle qualcosa o meno anche a voce, ma, proprio in quell'attimo, "Louis Tomlinson. Distribuisci le fotocopie" gli ordina la signorina Flack, l'ennesimo sorriso anomalo sulla bocca arricciata.
 
Louis deglutisce --a questo punto Harry si accorgerà per forza di cose di lui-- ma si alza comunque dalla sedia, e raggiunge la cattedra dell'insegnante.
 
Quando passa davanti al banco di Harry, lui gli lancia un sorriso smagliante.
 
"Ciao" sussurra, e perché gli stanno brillando gli occhi?
 
Louis gli fa un cenno con la testa, ed inghiotte innumerevole saliva quando, nel dare la fotocopia al ragazzo, Harry gli tocca le dita con le sue.
 
"Il mondo è piccolo" commenta poi il riccio, sempre bisbigliando, e a quello Louis sente gli angoli della bocca alzarglisi.
 
Non può fare a meno di provare un pizzico di pietà per lui. Deve essere davvero imbarazzante trovarsi circondati da trenta paia di occhi estranei, mentre si è vestiti, per di più, in un modo così strampalato.
 
Dopo un ultimo cenno con il capo, Louis finisce il giro delle fotocopie.
 
È un sollievo tornare ad occupare il proprio banco.
 
Dopo pranzo ci sarà la prima lezione dell'anno di atletica. Louis non vede l'ora di mostrare all'allenatore tutti i progressi che ha fatto, la resistenza e la capacità fisica che è riuscito ad acquisire negli ultimi mesi.
 
Sorride segretamente, e non ascolta una sola parola di quelle che sproloquia la Flack. Gli sembra di aver inghiottito una cavalletta, non sta più nella pelle per l'emozione.
 
Nella sua mente è già nella pista, sta correndo veloce come il vento.
È circondato dai fischi di ammirazione dei compagni di atletica, il coach lo sta guardando con le stelle negli occhi.
 
 
**
 
 
Mancano esattamente tre ore e sedici minuti all'ora di atletica, quando Louis posa gli occhi sulla persona più affascinante che abbia mai visto. Ogni parvenza di stanchezza o ansia, qualsiasi emozione, almeno per pochi secondi, spariscono nel nulla, come avvolti da un tornado improvviso.
 
Louis deglutisce con fatica, e scompaiono pure i rumori che lo circondano; l'unico suono, frastornante e quasi doloroso, è il cuore che gli batte nel petto. Non pensa di essersi mai sentito così.
 
Stringe i pugni sotto il banco, si colpisce distrattamente le cosce serrate. Pensa di avere le labbra bianche, da tanto se le sta mordendo. Abbassa subito gli occhi, non appena si rende conto di essere rimasto quasi imbambolato davanti alla figura appena entrata, elegante come un puma, nella classe.
 
Fissa, senza vederle per davvero, le scritte nel banco, probabilmente incise con un taglierino di pessima fattura.
 
È terrore puro, quello che gli sta scorrendo nelle vene, paura mischiata ad impotenza e confusione, perché è un uomo la persona che gli ha fatto brevemente perdere la testa. È un uomo ed è--
 
"Sono il professor James," le sue dita sono così lunghe e virili mentre tracciano con un gessetto mozzato un Greg James disordinato sulla lavagna già sporca, "Sono il vostro nuovo docente di algebra" ed ora sta sorridendo in un modo così. Sensuale. Erotico.
 
Louis è seriamente in procinto di avere un attacco di panico.
 
Si stringe con forza quasi esagerata le cosce, imponendosi di respirare. L'ansia per l'ora di atletica ritorna aggressiva, centuplicata se possibile, perché ora si sono aggiunte nuove forme di angoscia, più motivi che creano in Louis sentimenti che vorrebbe solo cancellare dalla faccia della Terra, in questo momento.
 
Fissa risoluto quel B+N che macchia il banco, e la data collegata a quella scritta, sempre formata con la scolorina bianca.
 
Louis vorrebbe ignorare la voce calda del professore, i suoi occhi scuri e profondi, la maniera in cui quella fottuta sciarpa di seta gli avvolge il collo liscio ed abbronzato, le sue gambe infinite fasciate in pantaloni neri. Ma non ce la fa.
 
Il petto gli rimbomba, le dita gli tremano, è convinto di avere anche le guance leggermente rosa. Non si è mai sentito in questo modo. Non vuole sentirsi così. Probabilmente, però, è più forte di lui. Forse è questo che lo spaventa maggiormente.
 
Quando il professor James ritorna a parlare, Louis riesce nuovamente a dimenticarsi della corsa. Tutto ciò che è in grado di vedere sono le labbra dell'uomo, rosee e carnose. Da toccare, da sfiorare con le dita e anche, perché no, con la punta del naso. O con la bocca.
 
 
**
 
 
A mensa, Louis quasi non riesce a mangiare niente. L'agitazione gli sta attanagliando lo stomaco, ha paura che se solo si azzardasse a masticare ed inghiottire, inizierebbe a rimettere davanti a tutta la scuola.
 
Perciò, si limita a spiluccare una mela e a bere di tanto in tanto la sua acqua frizzante, fingendo di ascoltare ciò di cui i ragazzi al suo tavolo stanno discutendo tra le risate. Annuisce distrattamente, e borbotta un verso strategico di assenso durante le pause dei compagni, ma, in realtà, sta solo pensando al professor James e, soprattutto, a ciò che accadrà tra meno di mezz'ora. Deve sforzarsi in tutti i modi, per non sospirare tremulo.
 
La sua attenzione viene drasticamente riportata alla realtà solo quando "Ma cosa diavolo sta mangiando?" ridacchia isterica Eleanor, la testa premuta sulla spalla di uno dei migliori giocatori di rugby della scuola.
 
Calore cattivo gli si annida nello stomaco quando realizza che il commento è rivolto, ovviamente, a Harry. Louis non ha mai odiato così tanto i capelli perfetti di Eleanor.
 
"È yogurt, deficiente. Non la guardi la tele?" le spiega annoiata Danielle, senza staccare gli occhi dal minuscolo specchietto con cui sta aiutandosi a passarsi un rossetto disgustosamente scarlatto sulle labbra a cuoricino.
Louis percepisce vagamente le due ragazze battibeccare, ha le orecchie quasi sorde adesso che sta guardando il suo vicino di casa.
 
È appollaiato sulla sedia di un tavolo, occupato solo da lui, ad un paio di metri da loro. Ha le cuffiette del walkman nelle orecchie e, se si concentra, Louis giura di poter sentire la musica che il ragazzo sta ascoltando pure da questa distanza.
Sta leggendo un libro, le pupille che si staccano dalle pagine ingiallite solo per poter guardare di tanto in tanto il piccolo barattolo dentro cui sta ravanando con un cucchiaino.
 
"Madonna, che sfigato" torna alla carica Eleanor, sorridendo come una gatta quando il giocatore scoppia a ridere e le si mostra d'accordo, baciandola poi sul collo bianco.
 
"Avete visto, poi? Ha lo smalto. Ma da dove esce, questo qui? Dal pianeta Sfigati?". Le risate, al tavolo, accrescono notevolmente di volume.
 
"Ma lasciatelo in pace" è un borbottio a zittirle. Louis quasi sputacchia tutti i pezzetti di mela che aveva in bocca quando si rende conto di essere stato lui a proferire quelle parole.
 
"Tomlinson, se non fai attenzione, tra un po' ti ritroverai a mangiare latte fermentato con il tuo amichetto" sputa all'istante Calvin, l'odiosa bocca sollevata in un ghigno.
 
"Cosa ve ne frega di quello che fa? Ignoratelo e basta, Gesù bambino" sbotta Louis. Quasi gli sembra di non avere più potere sulla propria lingua, su quello che dice.
 
A quello, l'intera compagnia rotea gli occhi, scegliendo senza problemi di non dare peso alla sua presenza. Alle sue parole.
Louis si tappetta nervosamente le dita sulla coscia, costringendosi ad ingurgitare perlomeno un pezzo di pane.
 
"Lo sfigato sta per passare di qui!" esclama con drammatica concitazione Calvin, nel notare Harry alzarsi dal tavolo ed iniziare a recuperare le sue cose, "Presto, trattenete il respiro! Non vorrete essere contagiati dai suoi germi da perdente". Nuove risate isteriche.
 
La nausea di Louis è aumentata irrimediabilmente. 
 
 
**
 
 
Respirare dovrebbe essere una cosa naturale, vero? Ed allora perché Louis si sente come se qualcosa all'interno del suo corpo si fosse inceppato?
 
Allarme rosso, allarme rosso, i polmoni non gli funzionano più come si deve.
 
Louis punta lo sguardo sul terriccio e "Piantala di fare il coglione, Tommo, e reagisci" sussurra a se stesso. Rafforza la presa sulla caviglia, schiacciata contro il basso della schiena.
Dio, non sopporta lo stretching. Non può, tipo, iniziare a correre subito? Immediatamente? Louis sa di non avere la pazienza tra le sue doti principali. È per questo che è così agitato, probabilmente. Ha bisogno di mostrare subito al coach Higgins ciò che ha in serbo. Ciò che sta archiviando da tutta l'estate.
 
"Hemmings, Horan, Payne, Samuels, mettetevi in posizione" borbotta l'allenatore, consultando frettolosamente una cartellina ed estraendo il cronometro da sotto la maglietta attillata.
 
I quattro ragazzi della squadra terminano, quindi, il riscaldamento e si affrettano verso la pista, inchinandosi subito nella posizione di partenza e fissando gli sguardi concentrati sulla figura massiccia di Higgins.
 
Louis lascia cadere la gamba, scrollandola un po' per sciogliere i muscoli, e si appoggia le mani sui fianchi, per guardare la gara dei compagni. Studiare la mossa degli avversari è forse la cosa più importante di tutte, tra quelle da fare.
 
Uno dei palmi di Louis scatta inevitabilmente all'altezza del cuore quando "Ciao" qualcuno gli sussurra all'orecchio, ticchettandogli contemporaneamente la spalla.
 
"Harry," rantola agitato Louis, riconoscendo il ragazzo, "Mi hai fatto prendere un cazzo di infarto".
 
"Scusami" ridacchia Harry, mordendosi l'interno di una guancia.
 
Louis lo osserva da capo a piedi, senza quasi riuscire a riconoscerlo davvero. Ha qualcosa di diverso. Una nota discordante nel suo aspetto.
 
Capisce di cosa si tratta solo quando, come spuntato dal nulla, Calvin Rodgers si mette davanti a Harry, il petto gonfio dalla collera ed una ruga in mezzo alle sopracciglia.
 
"Che cazzo ci fai qui? I froci non sono ammessi" sta ringhiando senza troppi fronzoli, il naso a pochi centimetri da quello di Harry.
Louis sbatte le ciglia, sentendosi un po' stordito.
 
Harry gli sembrava diverso perché è diverso dalla mattina stessa. Si è cambiato d'abito. Ha una canottiera bianca addosso, dei pantaloncini grigio scuro fin troppo corti ed un paio di scarpe da ginnastica di un colore simile a quello del cielo dopo troppi giorni di pioggia.
 
La divisa della squadra.
 
Nonostante condivida pienamente l'antipatico Che cazzo ci fai qui di Rodgers, Louis non può fare a meno di sentirsi stizzito per l'epiteto rivolto al suo vicino di casa. Sta per intervenire, quando, tuttavia, Harry prende parola, dimostrando di essere perfettamente in grado di difendersi autonomamente. Louis ne rimane lievemente sbigottito.
 
"Aw, devi fare attenzione, allora. Non conviene proprio stare così vicino a un frocio, ad un ragazzo dalla bocca meravigliosa come la tua. Potrei non rispondere delle mie azioni" cinguetta, le ciglia che sbattono come al rallentatore ed il tono intriso di sarcasmo puro.
 
Louis sente un'insolita sensazione di orgoglio ribollirgli nel petto, fierezza che aumenta ancora di più quando realizza che Calvin sta boccheggiando, è a corto di parole.
 
Harry gli indirizza un ultimo sorriso sardonico prima di superarlo con eleganza, ed andarsi a sedere dietro i numeri bianchi che dividono la pista dei duecento metri in corsie.
 
Louis si accorge solo in quell'istante che Luke, Niall, Liam e Andy hanno finito di correre e stanno già tornando dall'allenatore. Maledizione. Non è riuscito a studiare la loro gara.
 
"Hood, Rodgers, Styles, Tomlinson. Tocca a voi. Muoversi, muoversi!" tuona il coach, masticando rumorosamente una gomma americana.
 
"Styles non partecipa, coah" torna alla carica Calvin, ed il pugno di Louis si accartoccia di riflesso.
 
"Lascialo stare, Rodgers. È evidentemente iscritto al corso. La tua parola non vale niente, fallo correre in santa pace e taci" interviene rumoroso, prima che Higgins possa anche solo proferire una parola. Louis nota di sottecchi lo sguardo grato di Harry.
 
Il coach consulta nuovamente la stramaledetta cartellina e "Styles. Harry Styles," legge, tirando su con il naso porcino, "Sei tu, ragazzo?" domanda al riccio, senza smettere di ruminare la sua cicca. 
 
"Sì, coach" replica Harry, annuendo seccamente.
 
Higgins solleva lo sguardo dal foglio e "Allora di cosa stiamo parlando? Rodgers, smettila di perdere tempo, Dio Cristo, e vatti a mettere in posizione di partenza" proclama annoiato. "Lo stesso vale per voi tre" aggiunge, sventolando senza cerimonie una mano nodosa verso Louis, Harry e Calum.
 
"Un giorno di questi finisci male" sibila Calvin a Louis, tirandogli una spallata poderosa prima di andare a sistemarsi a terra. Louis rotea gli occhi, e si accuccia a sua volta sulla corsia che gli appartiene.
 
Alla sua sinistra ha Harry, ma sceglie di ignorare la sua presenza. Deve concentrarsi, adesso. Sta per compiere il primo fondamentale passo che potrà portarlo ad un futuro migliore.
 
Espira profondamente, e controlla di non avere le mani fuori dalla linea di partenza. Adagia meglio il piede contro il blocco grigiastro d'appoggio, in attesa delle istruzioni dell'allenatore.
 
"Pronti. Partenza," Louis solleva il fondoschiena, le gambe che si tendono automaticamente. Non deve tremare, non deve assolutamente iniziare a tremare. Alza anche le dita delle mani, in maniera da potersi reggere solo con i polpastrelli.
 
"Via!" e Louis va. Spinge forte con entrambe le gambe, i muscoli che quasi urlano dalla gioia di poter finalmente mettersi in moto come si deve.
A mano a mano che avanza raddrizza completamente la schiena, gli occhi fissi davanti a sé e le braccia che pompano con vigore.
 
Quasi vorrebbe scoppiare a ridere, perché è consapevole di quanto stia andando veloce. Dio. Il vento lo sta ferendo con cattiveria, e lui non è mai stato più contento di ricevere delle botte in vita sua.
 
Riesce quasi a percepire nell'aria la sorpresa dell'allenatore, dei suoi compagni di squadra. Persino di quello stronzo di Calvin. Ah, la soddisfazione per averlo battuto in maniera così palese inizia già a pervadere ogni singola vena nel corpo di Louis.
 
Si concentra sulla linea d'arrivo davanti a sé. Manca così poco. Così fottutamente poco. È sicuro di stare sorridendo per davvero, in questo momento.
 
Ad un tratto, però, una sensazione. Non una certezza, ma proprio un presentimento pungente.
Un presentimento che si conforma in dolorosa realtà quando, con la coda dell'occhio, Louis realizza che qualcuno gli si sta avvicinando.
 
Meccanicamente, Louis inizia a pompare gli arti con maggiore vigore. Riesce ad impedirsi solo all'ultimo secondo di esalare un verso strozzato, quando una sagoma gli si accosta.
 
Nonostante la sadica curiosità, Louis sa che se solo provasse a voltarsi per riconoscere chi lo sta affiancando --chi lo sta per superare-- perderebbe attimi preziosi. Istanti che influenzerebbero sistematicamente sulle sorti della gara.
 
Perciò, si concentra solamente sulla linea d'arrivo --sempre più vicina, sempre più vicina, cazzo-- e prova a correre ancora più rapidamente. Gli sembra che il cuore gli stia uscendo dal petto.
 
L'avversario, però, riesce a superarlo, e quando Louis riconosce in lui boccoli scuri, quasi inciampa sui suoi stessi piedi.
 
"Merda" ringhia, sudore freddo che gli si addensa sull'attaccatura dei capelli, le gambe che non le sente più da tanto stanno sfrecciando veloci. Ma è tutto inutile.
 
Harry ha l'audacia di voltarsi e sorridergli, mentre supera la maledetta linea bianca.
 
Louis non riesce quasi più a respirare, il petto gli si solleva e gli si abbassa in maniera troppo celere, insana. Ormai è tutto finito, quindi, mezzo camminando e mezzo correndo, rallenta il ritmo.
 
Harry, al contrario, è fresco come una rosa. Sembra aver appena finito una passeggiata, non una gara di velocità su duecento metri. Stronzo. Stronzo
 
Louis sente una nota di disperazione farglisi largo dentro il petto squarciato dai respiri affannati.
Si sente stordito. Allibito. Cosa faccio adesso?, pensa angosciato.
 
Si accorge vagamente della presenza di Rodgers e Hood, delle parole sempre gentili di Harry.
 
"Sei stato bravo, corri come una scheggia" lo apostrofa, sempre con quel sorriso sincero. Louis non ha mai odiato così tanto una bocca, prima di adesso. Una persona.
Sbuffa un verso indefinito in risposta e, ignorandolo poi deliberatamente, zoppica un po' per ritornare dall'allenatore e dagli altri compagni.
 
E Louis lo nota. Persino a distanza. Gli occhi del coach Higgins stanno letteralmente brillando. Nel suo sguardo luccicante, Louis riconosce ciò che ha sempre bramato, desiderato.
 
Quello sguardo significa Hai un futuro da atleta, ragazzo.
Il cuore gli si accartoccia, ed è come se tutti i suoi sogni di ricevere una borsa di studio, di poter andare via da Doncaster, si infrangessero davanti ai suoi occhi come pezzi tangibili di uno specchio vecchio. Louis vede Harry saltellare sadico sui cocci che rappresentano i desideri che ha sempre avuto; li sta calpestando, sempre con quel suo sorriso da schiaffi in faccia.
Perché gli occhi dell'allenatore non sono puntati su di lui.
 
Sono fissi su Harry.
 
 
**
 
 
Louis sta percorrendo a passi veloci il piccolo sentiero che porta verso il pullman, quando sente il suo gomito venire afferrato da una mano calda. Si gira, ed in qualche modo già sapeva a chi appartenessero quelle dita.
 
Harry non gli dà modo di dire niente, semplicemente "Grazie" gli sussurra senza aspettare un attimo di più.
 
"Mh" mugugna laconico Louis. Ma di cosa?, pensa tuttavia.
 
"Sei l'unico di questa dannata scuola con cui valga la pena avere a che fare" aggiunge Harry, stringendogli con un po' più di vigore il braccio.
Louis non è sicuro, ma gli sembra che la voce di Harry stia tremando. Comunque, non ha nessuna intenzione di ricominciare a provare compassione per lui. Soprattutto in questo momento, dove il lato un po' infantile di sé non vede l'ora di vomitargli addosso tutto ciò che di negativo, involontariamente, gli ha procurato.
 
Si libera gentilmente dalla presa del ragazzo, ma quando gli indirizza uno "Scusami, non posso rischiare di perdere il pullman" quasi sussulta a sua volta per la durezza del suo stesso tono.
 
Senza aspettare nessuna reazione, Louis prende ad incamminarsi ancora più rapidamente verso il mezzo che lo porterà a casa. Fa uno slalom astuto tra le persone, in maniera da non farsi individuare da Harry.
Una volta salito, si accomoda appositamente su uno dei sellini il cui posto accanto è già occupato.
 
Finge di non sentire la voce insistente di Harry che lo chiama, e si lascia cadere a peso morto sul sedile.
 
"Louis?". Vattene, vattene, vattene.
Ostinato, Louis tiene lo sguardo basso e si sistema le cuffiette del fido walkman di seconda mano nelle orecchie, finge di aver già azionato la musica.
 
Si morde con forza inaudita il labbro inferiore quando nota con la coda dell'occhio Harry annuire a se stesso, e spostarsi con le spalle affossate verso una delle prime file.
 
Stranamente, il viaggio di dieci chilometri si consuma rapidamente.
Quando l'autobus si ferma, Louis non guarda in faccia nessuno e svicola come un serpente fuori dal mezzo. Avverte chiara e tonda la presenza di Harry, che scende proprio dietro di lui i pochi scalini del pullman.
 
Louis sospira. Sta quasi per cedere ed indirizzargli perlomeno un misero Ciao, a domani, quando sente dei piedi sbattere, seppur leggeri, contro il terriccio.
Louis non può proprio fare a meno di girarsi e guardare Harry avviarsi correndo verso casa sua.
 
Corre come se correre facesse parte della sua natura. A Louis ricorda il volo delle anatre selvatiche in autunno.
La parola incantevole gli si affaccia nella mente, ma lui la scuote via, quasi terrorizzato.
 
Si affretta verso casa.
 
 
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Il professor James stravede per Harry.
 
Ovviamente, pensa Louis, inacidito e permaloso. Non sa quanto darebbe per avere anche lui le attenzioni di Greg, come si permette di chiamarlo dentro di sé.
 
È anche vero che non sa nemmeno quanto darebbe per non provare certe cose. Ci ha ragionato, perché se Louis si sente angosciato, la prima cosa che fa quella è pensare, cercare di unire tutti i pezzi, di comporre un puzzle logico e sensato.
 
Quindi. È venuto a patti con il fatto di avere un'infatuazione per il suo docente di algebra.
 
Una cotta che, nelle situazioni più impensabili, lo porta a sorridere come uno stolto.
 
Una cotta che gli ha fatto quasi amare la matematica, che lo costringe a studiare ed impegnarsi smaniosamente per evitare brutte figure di fronte a quello che, ormai, è il suo professore prediletto.
 
Una cotta che gli fa mordere appositamente le labbra, prima o durante le lezioni, per farle sembrare più lucide e rosse. Più invitanti.
 
Una cotta che, una volta, gli ha dato l'ardore di fingere di stare male in classe, pur di avere la sua attenzione. Il professor James lo aveva squadrato con preoccupazione per tutta l'ora, gli aveva persino lasciato un buffetto sulla guancia e tastato la fronte per percepire un'eventuale febbre. Louis non aveva osato immaginare un risvolto simile nemmeno nei propri pensieri.
 
Una cotta che lo ha portato a masturbarsi in un paio di occasioni sul suo letto, di notte, con il cigolio del letto tremendamente rumoroso sotto di lui ed i gemiti a malapena trattenuti. Ha pianto, poi, entrambe le volte. Il viso schiacciato sul lato del cuscino bagnato di lacrime ed un solo pensiero in testa: Cosa c'è che non va in me?
 
Louis lancia un'occhiata un po' velenosa verso Harry, la cui spalla è occupata dalla mano di Greg.
Il professore gli sta spiegando un qualche passaggio di chissà quale equazione e, mentre lo aiuta a capire, non stacca mai gli occhi dai suoi. Harry sta annuendo e sorridendo tenue, il viso a pochi centimetri da quello dell'uomo.
 
Dio, Louis è così invidioso. Harry non deve fare nulla per ottenere l'attenzione di qualcuno, al contrario suo. Si sente decisamente un perdente, se paragonato al suo coetaneo.
 
Quando gli risulta evidente che fissare i due come farebbe un bambino un po' solo e molto capriccioso sia alquanto patetico da parte sua, Louis sbuffa tra i denti e strappa un foglio a quadretti dal quaderno, mettendosi subito a disegnare.
 
Aggrotta un po' la fronte quando la sua mano, come se avesse vita propria, inizia a tracciare con la matita onde sinuose. Boccoli, che dolorosamente presto vengono accostati ad un viso un po' tondo e ad occhi grandi e curiosi.
 
È ufficiale: detesta seriamente la propria mente.
 
Louis deglutisce, un brivido gli scorre lungo la schiena. Modifica il più in fretta possibile alcuni tratti; allunga e scurisce le ciglia del volto abbozzato, aggiunge capelli e rende più femminili le spalle e le clavicole.
 
Adesso, però, ha solamente voglia di accartocciare il disegno.
 
È tutto così sbagliato.
 
 
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Non ci sono rivoluzioni particolari, sconvolgimenti improvvisi della situazione. Nessuna lacrima versata, od istantanea rivelazione dell'ignoto.
 
Forse è perché Louis un po' si è sempre sentito in colpa ad ignorare Harry; non è nel suo carattere essere così scontroso con persone che, al contrario, gli hanno sempre rivolto rispetto e generosità.
 
Certo, Harry lo destabilizza; è così diverso da tutta la gente con cui Louis ha mai dovuto o voluto avere a che fare. Sembra così coraggioso, ma allo stesso tempo fragile; non ha paura di dire la sua opinione, non esita a difendere gli altri o ad aiutare quante più persone possibili.
 
Harry è misterioso, ma, paradossalmente è anche un libro lasciato aperto. Louis non si è mai confrontato con qualcuno come lui. È un salto nel vuoto.
 
Sa che dovrebbe odiarlo per la storia della borsa di studio, della corsa, addirittura per la questione del professor James, ma che colpa ne ha Harry, d'altronde?
 
Certo, probabilmente una parte di Louis lo detesterà per sempre per quello che gli sta lentamente portando via da sotto il naso, ma cosa può saperne Harry dei suoi sogni? Della sua situazione famigliare, economica? Louis non ce la fa, ad avercela veramente con lui.
 
Per di più, Harry stimola in lui curiosità, un insolito senso di sicurezza. Non si conoscono granché, ma Louis sente di potersi fidare di lui, sa che Harry può, in qualche modo, capirlo, guidarlo, aiutarlo.
 
Forse sono i suoi occhi grandi ed innocenti, che gli fanno scombussolare le interiora ogni volta che i loro sguardi si incrociano per caso, oppure quando Louis lo vede seduto da solo in mensa, o accoccolato sul sedile del pullman con le mani intrecciate in grembo.
 
Se pensa a lui, e a come viene trattato --Anche io mi sono comportato male con lui, anche io-- Louis non può fare a meno di provare un pizzico di pena. Una dose naturale di compassione.
 
Vuole cambiare le cose. Non gli piace sentirsi una brutta persona. Non gli piace che persone che non se lo meritano assolutamente vengano trattate alla strenua di esseri invisibili.
 
Perciò, in una mattina ancora buia di metà ottobre, Louis stringe con determinazione le cinghie dello zaino, ed avanza sicuro di sé verso il sedile in terza fila del pullman, quello sempre occupato da Harry.
 
Si ferma nel corridoio stretto e, ignorando gli altri studenti che, per forza di cose, vanno a sbattergli contro, "Ciao, posso sedermi accanto a te?" esclama gentilmente. Louis pensa sia un buon inizio.
 
Harry si gira di scatto, lo sguardo immediatamente sospettoso e la postura rigida.
Louis tenta un sorriso, e qualcosa dentro di lui si scalda quando il suo vicino di casa sbatte un paio di volte le ciglia e "Certo" mormora, scostando la borsa a tracolla dal sedile e posandosela sulle ginocchia per fargli posto.
 
"Grazie" Louis annuisce, lasciandosi poi cadere sulla poltroncina sgangherata. Non perde tempo, poi.
 
"Senti," si gira, una gamba piegata sotto il sedere, "Per tutto questo tempo mi sono sempre comportato come un verme con te. Mi dispiace. Non so perché l'ho fatto". Sì che lo sai.
Le labbra rosse di Harry si incurvano in un sorriso ampio e sorpreso.
 
"Tranquillo" ribatte, i grandi occhi smeraldini fissi sul volto di Louis.
Louis gli sorride ancora una volta e scrolla le spalle, in mancanza di altre cose da dire.
 
"Ne vuoi una?" ci pensa Harry a riempire il silenzio, frugandosi nella tasca dei pantaloni prima di avanzare il pugno schiuso verso di lui.
Louis sgrana un po' gli occhi alla vista dei chewing gum americani sdraiati sul palmo liscio di Harry --come diamine è riuscito a procurarsene?-- ma, senza pensarci due volte, afferra una delle cicche e "Grazie" trilla deliziato, scartandola senza troppe cerimonie.
 
Harry ridacchia un po' di fronte al suo entusiasmo, e prende a masticare a sua volta una delle gomme.
 
"Sei stato in America?" non può fare a meno di chiedergli Louis, invidioso e curioso.
Harry si volta un po' sul sedile, fino ad appoggiare la schiena sul finestrino sporco del pullman.
 
"Due o tre volte, sì. Ma queste me le ha portate mio padre. È tornato da New York giusto l'altro ieri" gli risponde, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Louis strabuzza gli occhi.
 
"Wow," bisbiglia, estasiato, "Che lavoro fa tuo padre?". Si pente un po' di avergli posto questa domanda quando nota Harry irrigidirsi appena.
Crede di esserselo solo immaginato, però, perché Harry sorride quando gli risponde, sembrando quasi intenerito dalla sua curiosità.
 
"Des è uno scrittore. Viaggia in tutto il mondo per promuovere i suoi libri. Scrive per lo più saggi sulla politica e sull'economia" gli spiega, sistemandosi un riccio ribelle dietro l'orecchio.
 
Louis ci impiega più del necessario a collegare il fatto che Des sia il padre di Harry. Sa di avere la fronte aggrottata, ma non riesce proprio a sciogliere il cipiglio tra le sopracciglia; non ha mai conosciuto nessuno che chiamasse il padre o la madre per nome. Forse gli dà anche un po' fastidio, come comportamento.
 
"Oh," ribatte però, "Non pensavo viaggiasse così tanto. Lo vedo sempre gironzolare intorno alla tua casa" a questa sua ultima uscita involontaria, Louis non può fare a meno di arrossire un poco. È consapevole di essere risultato alquanto inquietante.
 
Per fortuna, Harry non lo punzecchia. Al contrario, scoppia gentilmente a ridere e "No, no. Penso che tu ti stia riferendo a Robin. Non è mio padre. È il compagno di mia mamma. Viviamo insieme, noi tre. E, se capita, ospitiamo senza problemi Des" lo corregge, facendo una piccola bolla con il suo chewing gum.
 
Louis quasi spalanca la bocca in una piccola o. Non ha mai sentito una cosa del genere in vita sua. Mogli che ospitano ex mariti in casa quando vivono insieme ad un'altra persona?
 
"Oh, okay" ancora una volta decide saggiamente di non dare voce ai propri pensieri.
 
Harry allunga una mano verso di lui, e gli pizzica gentilmente la spalla. Louis quasi sobbalza.
 
"Avevi un capello" gli spiega Harry, mostrandogli il lungo filo biondo che ha appena catturato dalla sua felpa.
Louis arriccia il naso.
 
"È di mia sorella Lottie" gli spiega, guardandolo distrattamente sbarazzarsi del capello.
 
"L'ho vista in giro," confessa Harry, sorridendo tenue, "Sembra una bambolina" commenta, girandosi pigramente uno dei tanti braccialetti.
Louis sbuffa una risata dal naso.
 
"È un diavolo, invece, te lo assicuro. Da quando mio padre non c'è più è ancora più capricciosa del solito" abbassa il capo, assumendo un tono spavaldo.
 
"Tuo papà...?" interviene Harry, la voce esitante e ridotta ad un filo.
Louis solleva la testa di scatto.
 
"Non è morto, no. Si è scopato un'altra e ha abbandonato sua moglie e i suoi figli. Non lo vedo e non lo sento da due anni" sbotta senza riuscire a porsi un freno, le labbra rizzate in un sorriso falso.
 
Harry ha gli occhi tristi, ora, e a Louis viene un'improvvisa voglia di piangere. Non lo fa, ovviamente.
 
"Magari fosse morto" si limita a sussurrare, i denti stretti e gli occhi nuovamente bassi.
 
Una mano estranea ma calda va a stringergli gentilmente la coscia. Louis punta lo sguardo sulle dita bianche e lunghe di Harry, osserva quasi ipnotizzato come si arricciano intorno alla sua gamba.
 
"Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo" mormora Harry, accarezzandogli con calma la coscia.
Louis non può fare a meno di sorridergli.
 
"Grazie per quello che mi hai scritto sul disegno" in questo momento sembra l'unica cosa giusta da dirgli.
Harry affonda un'ultima volta i polpastrelli sui suoi jeans, prima di ritirarsi e mostrargli i denti drittissimi.
 
"Trovo che il tuo sia davvero un dono" risponde semplicemente, stringendosi nelle spalle.
 
Louis inarca un sopracciglio, gli occhi azzurri la pura espressione di un Certo, come no.
Harry continua a masticare gentilmente la sua cicca mentre, "Sono serio," insiste, "Mia madre è una pittrice" aggiunge poi, come se questo potesse giustificare tutto.
 
"Veramente?" domanda Louis, intrigato.
Harry annuisce, e recupera un nuovo chewing gum dalla tasca della borsa. La scarta celermente, prima di infilarsela in bocca.
 
"Stava perdendo il sapore" spiega a Louis con una singola alzata di spalla prima di "Anne preferisce l'astratto al concreto, però. Dice sempre che il mondo reale non fa per lei" rispondere.
 
Louis inarca un sopracciglio, sia per l'interesse che prova nei confronti della donna che per l'ennesima dimostrazione del fatto che Harry chiami i suoi genitori per nome.
 
"Sono pochi i fortunati che possono dire di vivere bene in questo mondo" commenta Louis, passandosi velocemente la punta della lingua sull'angolo della bocca.
Harry lo squadra con intensità, e Louis sa già che sta per porgli domande come E tu non vivi bene in questo mondo? Perché?
 
"Come sei drammatico" scherza però il riccio, stupendolo.
 
"Non lo sai? È un requisito di tutti gli abitanti di Doncaster essere melodrammatici" replica Louis, sventolandosi il viso con un ventaglio invisibile.
Harry scoppia a ridere.
 
"Mea culpa, signore. Vivo qui da appena due mesi e mezzo" alza le mani in segno di resa, assecondando la sua recita.
Louis gli sorride, sempre masticando la sua gomma americana.
 
"Da dove vi siete trasferiti?" lo interroga poi, cogliendo la palla al balzo. È quasi difficile ammetterlo a se stesso, ma Louis nei confronti di questo ragazzo prova una curiosità ed un interesse quasi malsani.
 
Harry si gratta l'angolo dell'occhio e "Londra" risponde, continuando a strofinarsi la pelle delicata con la punta del dito.
 
"Londra!" sussulta Louis, scuotendo la testa dalla sorpresa.
Harry solleva un angolo della bocca e "Ci sei mai stato?" gli chiede.
 
Louis è quasi sbigottito dal constatare la totale assenza di malizia, perfidia o presa in giro nel suo tono di voce. La sua domanda non suona affatto come un Figuriamoci se è mai uscito da questo buco di paese. È completamente intrisa di curiosità ed innocenza.
 
Louis si stringe nelle spalle, sbuffa una risatina priva di umorismo dal naso e "No" dice finalmente.
 
"Lo dici come se fosse una cosa impensabile" osserva Harry, inclinando leggermente il capo.
 
Lo è, pensa Louis.
 
"Prima o poi ci andrò" lo liquida invece. Prima che Harry possa anche solo aprire bocca, Louis riprende la parola.
 
"Me la togli una curiosità?".
Harry annuisce senza problemi.
 
Louis sgrana gli occhi, tornando a muovere il capo da destra a sinistra con incredulità, "Perché diavolo vi siete trasferiti da una città meravigliosa come Londra ad un paesino come Doncaster?".
 
"È un po' complicato" Harry si massaggia la nuca.
 
Louis arriccia appena-appena le labbra e "Non ti trovavi bene nella tua scuola?" prova ad indovinare.
Harry scuote immediatamente la testa.
 
"Mi manca tantissimo il mio vecchio liceo. Lì avevo un sacco di amici, e persino i professori non erano niente male. Alzarmi presto la mattina per andare a lezione era quasi un piacere" sospira, gli occhi persi in chissà quali ricordi.
 
Louis stringe la bocca in una linea dispiaciuta; non deve essere stato facile per Harry iniziare una nuova vita, così differente dalla precedente. Diversa in peggio.
 
"Ma allora perché siete venuti qui?" insiste Louis.
 
"Robin e Anne si erano resi conto di star vivendo una vita troppo attaccata al denaro" gli spiega Harry, sfregandosi brevemente una mano sulla bocca.
 
Louis aggrotta la fronte.
 
"Cioè?" non riesce a capire.
Harry sospira nuovamente, e si sistema a gambe incrociate sul sellino del pullman.
 
"Vivere a Londra ci ha privato, piano piano, di qualsiasi valore puro. Sono le cose semplici a contare veramente nella vita e, in una città industrializzata e moderna, è facile dimenticarsi di quanto siano importanti. In un paese, invece, è meno difficile ancorarsi alle cose futili. Perciò ci siamo trasferiti. Eravamo indecisi tra Doncaster e Holmes Chapel, e alla fine, ovviamente, abbiamo scartato la seconda opzione" chiarisce.
 
Louis è sbigottito. Non ha mai sentito una simile stronzata in vita sua. I soldi sono tutto.
 
Il vivere una vita semplice non implica avere necessariamente dei valori. Così come essere ricchi e agiati non significa essere privi di moralità.
 
Per Louis, i genitori di Harry sono degli enormi egoisti.
Quasi gli esce sangue da tanto si sta mordendo la lingua per non vomitare in faccia a Harry tutto quello a cui sta pensando.
 
"Ma quello che ci rimette sei tu" non può, però, fare a meno di fargli osservare.
 
"Già" sussurra Harry, laconico, con lo sguardo di nuovo perso verso il finestrino. Louis sente una piccola stretta intorno al cuore.
 
"E ti sta bene, scusami?" esclama esterrefatto Louis.
Harry torna a legare insieme i loro occhi.
 
"Ne abbiamo discusso insieme, ovviamente. Ero d'accordo anche io" gli spiega paziente.
Louis articola un verso sbigottito.
 
"Non capisco perché tu sia così sorpreso" parla Harry, quasi sbottando.
 
"Forse perché avete rinunciato ad una vita a Londra per trasferirvi qui. Qui. A Doncaster," Louis apostrofa Doncaster come se fosse la peggiore delle bestemmie, "Non sarà facile sbarcare il lunario in questo buco, sappilo" lo informa.
 
Harry sbatte le palpebre una, due, tre volte.
 
"I soldi non sono un problema" articola poi, con calma quasi innaturale.
 
Louis emette un verso oltraggiato.
 
"Certo che lo sono!" esclama.
Harry si volta lentamente verso di lui.
 
"Voglio dire," inizia, il tono freddo e gli occhi penetranti, "Che i soldi per la mia famiglia non sono un problema".
 
Louis rimane immobile per qualche secondo di troppo, ma finalmente riesce ad afferrare il concetto. Non ha mai incontrato nessuno per cui i soldi non fossero un problema.
 
"Oh. Okay. Scusa" mormora. D'ora in avanti, cercherà di tenere bene a mente di non parlare mai di denaro, con Harry.
 
 
**
 
 
Louis pensa di non aver mai odiato così tanto la voce di una persona quanto quella della Flack.
È così stridula. Louis non la sopporta, seriamente.
 
Soprattutto quando è da un paio di notti che non dorme più di tre ore, visto che entrambe le gemelle hanno preso l'influenza proprio quando loro madre doveva fare il turno dalle nove di sera alle sette di mattina. Nel piccolo ambulatorio di Doncaster non vi è poi un così grande afflusso di pazienti, ma Jay non è riuscita comunque a farsi dare qualche giorno di ferie. Quindi, Louis ha dovuto occuparsi delle sue sorelline.
 
Qualcuno, lassù, ce l'ha con lui.
 
Non è certamente un'azione politicamente corretta da fare, ma Louis, oggi, sicuramente non è venuto a scuola per seguire le lezioni. Semmai, per rintanarsi nel suo banco straordinariamente caldo e concedersi qualche ora di sonno. Ovviamente, non gli è permesso.
 
La professoressa Flack oggi sembra più rumorosa del solito; lancia delle urla improvvise, sbatte vigorosamente il cassino sulla lavagna, sfoglia i libri come se volesse strapparne le pagine. O forse sono solo le orecchie di Louis ad essere più sensibili del solito. Comunque. Lui vuole dormire. Ma, come volevasi dimostrare, la fortuna non è dalla sua parte.
 
"Ragazzi," prorompe la Flack in quel momento, "Ho riportato i vostri temi corretti" annuncia.
 
Louis si raddrizza un po', a quello.
Piccoli sensi di colpa gli scorrono nel corpo, perché è pienamente cosciente di aver fatto uno scritto pietoso. Non è mai stato efficiente nella scrittura. Dentro di sé, ammette candidamente di non essersi neanche mai impegnato più di tanto.
 
"Globalmente parlando, è stata una prova disastrosa. Sono molto delusa" sospira con fare teatrale la docente, appoggiandosi alla cattedra ed incrociando le caviglie a terra.
Louis non può dire di esserne sorpreso.
 
"Come ben sapete, era un tema semplicemente elementare. Scrivere del proprio passatempo preferito è una cosa che viene richiesta ai bambini. Per di più, dovevate essere prettamente sintetici, scrivere poche righe. Sapete bene che la media della classe, in letteratura, è semplicemente scarsa. Pensavo di essere venuta in vostro aiuto. Io la mano ve l'ho tesa. Pochissimi di voi sono riusciti a prenderla" la Flack sta scuotendo da così tanto tempo il capo che Louis inizia a temere che le venga la cervicale.
 
Sbuffa dentro di sé. Quante storie. Quanto melodramma.
 
Dacci queste verifiche e chiudi il becco, stronza, pensa inacidito.
 
Ovviamente, la Flack non ubbidisce alle sue suppliche interne.
 
Apre nuovamente bocca, per dire qualcosa di, però, abbastanza inaspettato.
 
"Uno di voi, tuttavia, è riuscito a riportare nero su bianco uno scritto eccellente. Sono rimasta molto soddisfatta. Harry, verresti qui a leggere il tuo tema ad alta voce ai tuoi compagni?" la voce della professoressa è puro miele.
 
Alle sue parole, quasi tutti iniziano a sbuffare piano e a roteare gli occhi. Non ci vuole una laurea per capire che Harry sia il beniamino della Flack. È l'unico del corso che la donna si degni di chiamare per nome, e non per cognome. O per nome e cognome. O con un fischio.
 
Louis lancia uno sguardo a Harry, che si sta sollevando silenziosamente dalla sedia. Ha gli occhi bassi ed un sorriso intimidito, forse non gli piace essere al centro dell'attenzione.
 
La signorina Flack gli cattura una spalla con le dita scheletriche.
 
"Harry ha parlato di un passatempo molto originale. Sicuramente non di football, o sport, o lettura, come la maggior parte di voi" Louis non si stupirebbe se la vedesse alzare gli occhi al cielo.
 
Non è decisamente una cosa carina, quello che la donna ha appena detto, ma Louis non può fare altro che darle ragione.
Lui stesso ha scritto del football, nonostante non gli interessi minimamente. Avvampa leggermente sulle guance, sentendosi chiamato in causa.
 
"Di cosa hai parlato, Harry?" la Flack si rivolge al ragazzo, la voce intrisa di zucchero. Louis ne è alquanto disgustato.
 
Harry tossisce in un pugno e "Immersioni subacquee" risponde, passandosi rapidamente la lingua rosa sulle labbra.
 
Un leggero moto di sorpresa si espande nell'aula. Anche Louis ne rimane piuttosto colpito. Ogni parvenza di sonno scompare dal suo corpo.
 
"Prego" lo sprona la Flack, mostrandogli con un cenno della mano la classe, per poi fare dietro-front ed andare a riposizionarsi dietro la sua scrivania.
Harry si schiarisce la voce, prima di iniziare a leggere.
 
"Scendo lievemente nella bellezza primitiva dell'inesplorato mondo marino, fluttuo in un silenzio che rompo soltanto con il suono del mio respiro" e la sua voce è così bella. Come ha fatto Louis a non accorgersene mai, prima di adesso? Si sente quasi ipnotizzato.
 
"Sopra di me c'è solo lo scintillio della luce, il luogo da cui provengo e a cui tornerò risalendo in superficie" continua Harry, gli occhi grandi persi sul foglio a righe che regge con entrambe le mani.
 
Louis deglutisce. Gli sembra quasi di vederla quella luce, senza avere bisogno di abbassare le palpebre. Davanti a sé c'è solo Harry, la sua voce, la magia delle sue parole che sembrano essere in grado di trasformare qualsiasi cosa in realtà.
Louis non ha idea se sia solo uno scherzo della sua mente, o se tutti intorno a lui abbiano smesso di fare qualsiasi cosa, persino di respirare, pur di ascoltare Harry.
 
"Scendo, ancora, sempre più in fondo. Continuo a immergermi lungo file di corallo e alghe fluttuanti verso il blu profondo, dove c'è un banco di argentei pesci" Harry sembra quasi stia cantando, tanto la sua voce è calda ed armoniosa. Louis si sente cullato dal suo tono. Le parole scritte dal ragazzo hanno una tale potenza su di lui, un tale effetto, che gli sembra quasi di essere sott'acqua, immerso dalla flora e dalla fauna marina. Vede bollicine uscire dalle labbra come disegnate di Harry, ed anche dalla sua stessa bocca.
 
Quanto vorrebbe avere con sé una tela, dei colori e dei pennelli in questo momento. Quanto, cazzo. Sente il bisogno fisico di tracciare ondulate linee dalle migliaia di sfumature di blu, di creare spume bianche e scintillii quasi irreali. Non pensa di averne le capacità, ma gli serve. Ne ha la fottuta necessità.
 
"E muovendomi nell'acqua emetto piccole bolle, che come meduse salgono sinuose. Controllo la mia bombola, non ho il tempo che mi occorre per vedere ogni cosa. Ma è questo che rende il tutto speciale" Harry conclude di leggere, e riporta lo sguardo di giada lontano dal foglio.
 
Louis è senza parole. Quasi si strozza quando Harry allaccia gli occhi con i suoi. A malapena riesce a sorridergli, in risposta.
Si sente come paralizzato, e non ha idea del perché.
 
"Bene, Harry, torna pure al tuo posto" ci pensa la Flack, senza troppe remore, ad interrompere il momento. Louis non sa se ringraziarla o meno. 
 
"Penso vi siate resi conti anche voi della notevole qualità dello scritto di Harry" aggiunge leziosa. Alla faccia. Louis si sente quasi come se fosse appena scampato all'annegamento.
 
Colpi di tosse imbarazzati riempiono la piccola aula.
 
"Harry ed il suo affascinante tema mi hanno ricordato che proprio stasera, sul canale otto, manderanno in onda un documentario su un famoso esploratore subacqueo, Jacques Cousteau. Vi chiedo gentilmente di guardarlo, in quanto l'argomento del dibattito di domani sarà esattamente questo" dice la professoressa, le mani smaltate intrecciate davanti a lei sul legno scolorito della cattedra.
 
Louis grugnisce dentro di sé. La Flack ed i suoi stupidi dibattiti. Una volta alla settimana, la donna impone un'ora di argomentazioni costruttive, sempre su un tema diverso. Louis odia sentirsi in obbligo di partecipare in classe. Ma, ovviamente, ne va della sua rendita scolastica, quindi non ha molta scelta.
 
Nuovamente assonnato, Louis nota solo all'ultimo secondo un braccio bianco sollevarsi a pochi metri da lui.
 
"Parla pure, Harry" concede con un sorriso gentile la signorina Flack.
 
Louis capisce che qualcosa non vada l'attimo preciso in cui sente la voce di Harry esitare.
Il ragazzo, infatti, è titubante quando "E se una persona non potesse guardare quel programma, stasera?" si informa timidamente.
 
"Sono certa che i tuoi genitori non avranno niente da obiettare, se dirai loro che si tratta di un compito per la scuola" lo liquida la Flack, sventolando una mano anellata.
 
Harry tossisce di nuovo, sembrando un po' in imbarazzo, e Louis assottiglia gli occhi, confuso e nuovamente attento.
 
"Voglio dire. Non ho la televisione, a casa. Come faccio?" specifica Harry, attirando all'istante un moto di incredulità da parte dell'intera classe. Louis vede le guance di Harry avvampare, e non può fare a meno di sentirsi male per lui.
 
"Che sfigato" le solite risatine cattive prendono piede.
 
"Silenzio!" la Flack prova, inutilmente, a ristabilire la pace.
 
"Mia madre dice che la tivù distrugge il cervello" si giustifica Harry, la schiena dritta ed il mento sollevato. Nonostante ciò, Louis lo capisce che il riccio si stia sentendo parecchio a disagio.
 
"Noi guardiamo la tele per almeno sei ore al giorno" prorompe Oli Wright, sostenuto dalla sua cricca di imbecilli. Lo dice come se fosse un motivo di vanto. Louis si sente estremamente disgustato.
 
"E si vede" mormora Harry, squadrandolo dall'alto verso il basso.
Il rossore sul suo viso si è amplificato, ma non per questo ha abbassato lo sguardo. Louis lo ammira così tanto. Lo invidia anche un po'.
 
"Professoressa Flack, professoressa Flack!" interviene teatralmente Danielle Campbell, sventolando in aria la mano piccola e smaltata, "Io dico che, per il bene di Harry, dovremmo cambiare il tema della discussione di domani. Anziché parlare delle immersioni subacquee, in suo onore dovremmo affrontare l'argomento deLa mia vita in caverna!". Dopo di quello, scoppia in una risata sguaiata. Il resto della classe non ci impiega molto a seguirla.
 
Louis vede rosso. Vede letteralmente rosso. Ha sempre detestato i suoi compagni, ma da oggi ha un nuovo motivo per farlo.
 
Scocca un'occhiata veloce verso Harry e, nonostante non possa più vederlo in faccia, in quanto il ragazzo si è girato, riesce a leggere in lui pura e completa umiliazione. Si sente male.
 
 
**
 
 
È con una trepidazione insolita quella con cui Louis entra dentro il pullman asfissiante e polveroso. I suoi occhi scattano rapidi, alla ricerca di una famigliare massa di ricci di cioccolato.
Sospira sollevato dentro di sé quando la individua, e scansa frettolosamente persona dopo persona.
 
Non è sicuro, ma pensa di percepire un piccolo crack all'altezza del cuore quando raggiunge il posto dove Harry è acciambellato su se stesso. Si tocca rapidamente lo sterno, prima di accomodarsi con cautela sul sedile accanto a quello del ragazzo.
 
Senza dire una parola, Louis gli appoggia una mano sulla spalla.
 
"Harry" sussurra, le labbra che si tendono all'ingiù quando sente il riccio tirare velocemente su con il naso.
 
"Scusa," parla Harry con voce tremolante, "Scusami, non voglio essere cattivo, ma posso restare un po' da solo? Per favore?" quasi lo implora. Louis sente nuovamente il proprio cuore scricchiolare quando gli occhi lucidi e contornati di un rosso crudo del ragazzo gli scoccano uno sguardo veloce.
 
"Certo" mormora subito Louis, sorridendogli con gentilezza. Gli accarezza un altro paio di volte la spalla calda, prima di sollevarsi cautamente ed andare a raggiungere un altro posto.
 
Trascorre l'intero tragitto verso casa con l'ansia che gli mangia lo stomaco, il cuore che gli svolazza dentro il corpo con fin troppa rapidità.
 
Non appena l'autobus frena, Louis scatta in piedi, pronto ad intercettare il suo vicino di casa. Harry sta già scendendo dal mezzo, il passo un po' molle e quasi debole. Con una piccola corsa, Louis prende a raggiungerlo.
 
Il pullman borbotta dietro di loro, già partito verso una nuova destinazione, e Louis riesce a catturare senza troppe difficoltà il polso magro di Harry.
 
"Ehi," prorompe, lasciandolo andare non appena il ragazzo si volta per osservarlo, "Ehi, ti fa se ci facciamo un giro?".
 
Harry lo guarda, un po' confuso, il naso ancora rosso e leggermente gonfio. Louis gli sorride incoraggiante, e si scosta una ciocca di capelli dalla fronte.
 
"Solo una piccola passeggiata. Lasciamo gli zaini qui, che tanto non passa mai nessuno, e camminiamo un po', mh? Ci stai?" tenta una seconda volta Louis, tirandosi già giù dalla spalla una cinghia della cartella.
 
Harry gli indirizza un sorriso bagnato. Annuisce.
 
 
**
 
 
Stanno camminando già da un quarto d'ora, ormai, e nessuno di loro ha ancora proferito parola. I rametti che scricchiolano sotto le loro scarpe, i sempre più rari sniffi del naso di Harry ed il fruscio degli alberi che li ingabbiano sono gli unici suoni che riempiono il silenzio.
Louis respira con tranquillità, stranamente non si sente affatto a disagio.
 
Dopo aver deviato il sentiero che porta alle loro case, i due ragazzi si sono inoltrati in un campo dalle mille sfumature di verde, ed infine in un bosco. Nonostante siano quasi le due del pomeriggio, ed il sole splenda nel cielo --insolitamente, essendo una giornata d'autunno--, lì circondati dalle fronde imponenti degli alberi c'è quasi buio. Con la presenza di Harry al suo fianco, tuttavia, Louis non ha nessun timore. Si sente al sicuro.
 
"Sai," Harry prende improvvisamente parola, e Louis sente di poter familiarizzare con il piccolo scoiattolo che si nasconde di botto dentro il cavo di un altissimo pino, "Non ho pianto per la questione della televisione" lo informa, sempre senza smettere di camminare.
 
Louis gli scocca un'occhiata incuriosita, e si morde la lingua per non dirgli che lo ha spaventato a morte, a parlare così di punto in bianco. Si limita a mormorare un verso indefinito, per spronarlo ad ampliare il discorso.
 
"So di essere nel giusto," continua con determinazione Harry, facendo scattare la testa d'un lato per spostarsi il ciuffo dalla fronte, "Guardare la televisione non è una cosa indispensabile; non penso di essere uno sfigato solo perché non ce l'ho. Non mi interessa averla" spiega. Louis storce la bocca in una piccola smorfia, al sentire il termine sfigato.
 
"Hai ragione," si intromette nel discorso, "Ti assicuro che non ti perdi niente" si sente quasi in dovere di rassicurarlo. Lui stesso non guarda quasi mai la televisione. Ce l'hanno solo perché è un dono fatto loro dalla nonna, ed in famiglia l'unica ad apprezzarla seriamente è Lottie.
 
Louis arriccia il naso al solo pensiero di quante ore la tredicenne passi davanti a quello schermo ingombrante, gli occhi incollati alle immagini che scorrono e la bocca carnosa schiusa.
 
Harry gli regala un piccolo sorriso.
 
"La cosa che più mi dispiace, che più mi dà fastidio, che più mi fa venire voglia di urlare dalla frustrazione è proprio il fatto che ci siano delle prese in giro" chiarisce poi, accorato e con il respiro quasi affannato. Louis non lo ha mai sentito parlare più velocemente di così.
 
"Perché non posso fare, dire o pensare quello che voglio senza che qualcuno mi punti il dito contro? È la mia vita" sussurra tremante Harry, deglutendo rumoroso. Louis gli spalma una mano sulla schiena, arricciando di tanto in tanto i polpastrelli mentre continuano ad esplorare distrattamente sentiero dopo sentiero.
"È la mia vita, Louis. Non ho forse tutto il diritto di viverla come meglio credo?" domanda retorico, guardandolo nuovamente. Louis annuisce all'istante.
 
"Certo, Harry, certo che sì. Mi dispiace che tu stia così male, che tu debba affrontare tutta questa merda solo perché ti sei trasferito in un buco di paese" lo rassicura, massaggiandogli goffamente lo spazio tra le scapole. Si sente un peso raccapricciante sullo stomaco.  Anche tu hai pensato brutte cose sul suo conto. Codardo.
 
Harry si pulisce frettolosamente le ciglia umide con un dito.
 
"È vero, a Londra non c'è una mentalità così chiusa. Ma non pensare che lì la vita sia tutta rose e fiori. È solo che," scrolla le spalle.
 
"Cosa?" lo incita Louis.
 
"Niente" mormora Harry, liquidandolo con un piccolo sorriso. Louis sceglie di non indagare ulteriormente.
 
"Odio il fatto di dover essere una persona che non sono, solo per compiacere gli altri. Ho sempre pensato che preferirei essere malvisto da tutti, ma stare bene con me stesso, piuttosto che essere benvoluto da tutti ed odiarmi con tutta la passione possibile" conclude Harry, lo sguardo ora fisso sulle sue sneakers piene di scritte, fatte probabilmente con un pennarello nero.
 
Louis si morde gentilmente l'interno della guancia. Mille cose vorrebbe dire, ma tra tutte quella che libera dalla bocca è: "Sei così coraggioso. Una bellissima persona. Ti invidio, sai?".
 
Harry si ferma, fa per sollevare una mano. Louis sgrana sorpreso gli occhi, ma non indietreggia. Harry decide di avvolgergli una guancia in un palmo, e di accarezzargli brevemente lo zigomo con un pollice. Louis non è mai stato toccato da nessuno in una maniera così. Gentile. Delicata. Dolce.
 
Si mordicchia con più decisione la carne interna della guancia.
 
"Ti sottovaluti, Lou" gli confida Harry, tornando poi a camminare tra le sterpaglie come se nulla fosse.
 
Lou.
 
Louis lo raggiunge, la bocca schiusa ed i capelli elettrici.
 
"Non mi conosci così bene" ribatte, scuotendo la testa e pensando a tutta la dose di pensieri cattivi che ha covato sin da quando ha memoria. Harry gli fa un piccolo cenno con la testa per dirgli di svoltare a destra e "Penso che questo possiamo correggerlo, che ne dici?" gli chiede retorico, ogni traccia di tristezza negli occhi ormai sparita.
 
Louis gli sorride, non pensa ci sia risposta migliore.
 
"Dove stiamo andando?" sbuffa dopo qualche minuto di camminata, i piedi che iniziano a protestargli a causa delle vesciche ormai scoppiate che si sono scavate una piccola casa dietro le sue caviglie. Forse non avrebbe dovuto indossare le sue scarpe più strette, senza l'ausilio delle calze. Accidenti.
 
"Vuoi per caso uccidermi nei boschi e nascondere il mio cadavere nel fiume?" gli domanda, un dubbio lecito nella voce, quando Harry non fa altro che indirizzargli un grugnito in risposta.
Il riccio, alla sua ultima uscita, si limita a ridere. Louis non sa se sentirsi rassicurato o meno. 
 
"Voglio che facciamo una cosa insieme" gli spiega all'improvviso Harry, fermandosi di colpo. Louis quasi va a sbattere contro la sua schiena. Ha le spalle ampie, nota. Si morde il labbro.
 
"Cioè?" si informa, un po' nervoso. Non si è mai allontanato così tanto, in questo bosco. Non ha idea di dove si trovi con esattezza.
 
Sono a due passi dal fiume che, a causa della pioggia abbondante scesa qualche giorno prima, sta scorrendo alto ed impetuoso. Louis non ha mai imparato a nuotare decentemente. Non in acqua così profonda, perlomeno.
 
"Sai cosa ci servirebbe? Un posto. Tutto per noi. Sarebbe un posto talmente segreto che non ne parleremo mai con nessuno al mondo. Sarebbe un regno segreto. E io e te ne saremo i monarchi" e ciò che gli risponde Harry, cogliendo francamente Louis di sorpresa. Il tono del riccio è stato così limpido, chiaro e sincero, senza l'ombra di insicurezze o prese in giro. La prima cosa che fa Louis, ovviamente, è sbuffare una risata dal naso.
 
Quando vede che Harry non accenna a mettersi a ridere o a dirgli che stava semplicemente scherzando, Louis inarca violentemente le sopracciglia e ""Non ti sembra di esser un po' grande per queste cose?" esclama, il tono un po' secco.
 
Harry afferra la fine di una corda che penzola nell'aria, legata ad uno dei rami altissimi di una quercia. Louis è tentato dallo spalancare gli occhi. Non se ne era neanche reso conto, della sua presenza.
 
Il riccio la stringe tra i pugni ed appoggia il mento sulle nocche, gli occhi leggermente persi nel vuoto mentre si dondola distrattamente sulle punte dei piedi.
 
"Sai, Lou, anche questa è una cosa che io non ho mai capito. Perché esiste una differenza così forte tra cose per grandi e cose per piccoli? Voglio dire," aggrotta con concentrazione le sopracciglia, "È ovvio, e forse un po' comodo, che non ha senso che i bambini facciano ciò che fanno gli adulti. Che ne so. Tipo fumare, fare sesso, ma anche avere un conto corrente". Harry accarezza distrattamente la corda, guarda i filamenti forti da cui è composta. "Però, perché le persone che superano una determinata età non possono più fare certe cose senza essere etichettate come infantili e ridicole?" forma una virgoletta a mezz'aria con le dita, "Perché non possono sporcarsi mentre mangiano un gelato, o avere dei giocattoli in camera da letto, o piangere se si sbucciano un ginocchio, o costruire fortini con le lenzuola, o avere un amico immaginario? O fantasticare su un mondo che non esiste, crearsene uno per ritagliarsi un angolo felice?" argomenta pacato, un tenue sorriso dipinto sulle labbra coralline. Louis non riesce a smettere di fissarlo.
 
"Se qualcosa mi rende felice e non fa del male agli altri, perché non farla?" domanda retorico Harry, colpendo piano con un palmo la fune spessa.
 
Louis deglutisce, e vorrebbe solo abbassare lo sguardo ai propri piedi e torcersi nervosamente le dita. Si sente davvero piccolo, se accostato a Harry.
 
"Non ha senso per me" conclude gentilmente il ragazzo, di fronte al suo silenzio. Louis non sa ancora cosa dire, non ha decisamente una risposta pronta al discorso appena articolato dal suo vicino di casa.
 
"Cosa proponi, quindi?" chiede allora, un po' goffamente.
 
"Prima dimmi se sei d'accordo con la storia del regno segreto" gli sorride Harry. Louis vorrebbe quasi roteare gli occhi.
 
"Sì, sì," gonfia le guance, "Ci sto. Re Harry e Re Louis. Suona bene, no? Penso sia un segno del destino" farfuglia poi, incrociando le braccia con divertimento ed interesse.
 
Harry si illumina nel più bello dei sorrisi.
 
"Suona bene, sì" conferma, raggiante. Louis lo guarda un po' inebetito, prima di "Allora?" scrollarsi i propri pensieri di dosso. Harry torna ad afferrare con mano sicura la fune.
 
"Allora dico che questa corda sarà il nostro ponte. Il modo con cui arriveremo a Terabithia" gli spiega, le stelle negli occhi, un dito puntato verso lo spiazzo d'erba al di là del fiume.
 
"Terabithia?" ripete Louis, un sopracciglio sollevato ma un sorriso sulle labbra. Sorriso che scompare all'istante quando "Cioè, vorresti afferrarti a quella corda malconcia, prendere la rincorsa e lanciarti per arrivare dall'altra parte del fiume?" realizza sconvolto.
 
Harry sorride come un matto e "Punto primo. Sì, Terabithia. Suona bene, no? Terabithia, il luogo segreto di Harry e Louis! Suona benissimo! Punto secondo. Sì, ci afferreremo a questa corda malconcia, prenderemo la rincorsa e ci lanceremo per arrivare dall'altra parte del fiume" elenca concitato.
 
Quando Louis continua a fissarlo come se fosse fuggito da un reparto psichiatrico, Harry gli si avvicina e gli avvolge il polso. 
 
"Non devi avere paura. Sono già stato qui nei giorni scorsi, e ti posso assicurare che questa corda è robusta e resistente. Volendo, potrebbe persino reggere entrambi in contemporanea, senza problemi!" cerca di rassicurarlo.
 
Louis deglutisce, ancora un po' nervoso.
 
"Cioè, tu sei già saltato dall'altra parte?" verifica, le mani sudate.
Harry annuisce e "Sì. Ma davvero, non voglio obbligarti a fare cose che non vuoi, o non ti senti di fare" esclama con voce velocissima, gli occhi il ritratto della preoccupazione.
 
Louis scuote subito la testa, veemente.
Sente di avere la lingua troppo pesante per ribattere, quindi afferra la corda in risposta.
 
Indietreggia.
 
Corre.
 
Si lancia.
 
 
**
 
 
A conti fatti, non ci impiegano parecchio a costruirsi un angolo tutto loro.
 
Riescono a sviluppare la roccaforte di Terabithia in meno di una settimana. Con delle tavole di legno e delle corde trovate nel retro della casa di Harry, mettono insieme una sorta di fortino. Legano il tutto in modo sicuro, in maniera da non far caracollare miseramente ogni pezzo al minimo soffio di vento. Con degli impermeabili vecchi che la madre di Harry custodiva inutilmente in soffitta, costruiscono un tettuccio a prova d'acqua.
 
All'interno della sottospecie di tenda, giorno dopo giorno, raggruppano scorte di cibo di ogni genere, dalle gallette di riso al cioccolato alle nocciole, svariate bottigliette d'acqua sigillate e pacchetti su pacchetti di caramelle gommose. Harry è riuscito persino a recuperare due sacchi a pelo ed un plaid lanuginoso; per farli arrivare da una parte all'altra del torrente si è visto costretto ad appallottolare il tutto dentro un vecchio zaino capiente.
 
Louis ha contribuito portando una vecchia radiolina, un piccolo kit di pronto soccorso ed anche un mazzo di carte, nonostante entrambi non siano granché bravi a giocarci.
 
Nel complesso, Louis si sente molto soddisfatto della loro Terabithia; quando la vede o persino quando ci pensa, non può fare a meno di sentire onde calde e felici nello stomaco. È seriamente diventato un angolo di gioia, un rifugio, un posto dove andare anche solo per sentirsi protetti. Ed è tutto merito di Harry.
 
Louis dentro di sé pensa di aver già capito quanto sia speciale il riccio. Con lui si trova bene, sta bene.
 
Sono diventati come indivisibili. Passano praticamente tutte le ore della giornata insieme. Sul pullman, a scuola --Louis non pensava sarebbe mai stato capace di ignorare beatamente le occhiate ed i bisbiglii dei compagni di classe, eppure--  a mensa, tra un'ora e buca all'altra, a Terabithia, anche nelle rispettive case.
 
A parte l'imbarazzo iniziale, Louis si trova molto a proprio agio, nella residenza Cox--Styles--Twist.
I genitori di Harry lo scombussolano, ed involontariamente lo fanno sentire abbastanza inferiore. Ignorante. Per due motivi, essenzialmente: per il fatto di essere proprietari di beni costosissimi --Louis non se ne intende, ma è alquanto convinto che quel Picasso appeso quasi sbadatamente sopra il camino spento sia autentico, e che quella macchina parcheggiata malamente in cortile e perennemente ricoperta di polvere sia italiana, giusto per fare un paio di esempi-- e perché Anne e Robin, ed occasionalmente Des, non fanno altro che intavolare discorsi su argomenti di cui Louis quasi non ha neanche mai sentito parlare.
 
La politica interna ed esterna dell'Europa, le differenze tra i vari Stati, il volontariato in Kenya ed i quartetti d'arco della Scala di Milano. Hemingway, le poesie di Emily Dickinson e le differenze tra il governo americano e quello francese. Monet e L'Idiota di Dostoevskij, l'Opéra e la scultura greca.
 
Louis tira un sospiro di sollievo ogni volta che Harry lo afferra per il polso o gli appoggia una mano sulla schiena, guidandolo via dai suoi genitori e dritti nella camera da letto.
Ha un materasso king size, e Louis solamente la prima volta ha esitato e rifiutato le offerte di accomodarcisi sopra.
 
Non ha impiegato molto a liberarsi della timidezza ed adesso, ogni volta che entra nella stanza di Harry, si butta a capofitto sul lettone, quasi gemendo per la morbidezza delle coperte. Harry sghignazza ogni volta, ed inizia a saltare sul materasso fino ad atterrare sul corpo rilassato di Louis.
 
E ridono insieme, oh, Louis non pensa di essere mai stato più felice di così in tutta la sua esistenza. Se si ferma e ci riflette con attenzione, quasi prova paura; ma basta una carezza di Harry tra i capelli od un suo morso giocoso sulla schiena per fargli liberare la mente.
 
Perché, Louis scopre fin troppo in fretta, Harry è estremamente tattile. Ogni volta che parlano, l'amico lo tocca, gioca distrattamente con la manica del maglione che Louis indossa, gli liscia il tessuto dei jeans o gli sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Inizialmente, Louis si irrigidiva, oppure esalava una risatina nervosa e si allontanava appena-appena. Adesso, invece, pensa potrebbe mettere su il broncio per l'intera giornata se Harry non gli riserva questi tipi di coccole.
 
Louis pensa di essere già diventato dipendente delle sue mani, calde e grandi, lisce e gentili, o del suo corpo morbido e comodo come quello di un peluche. Non perde mai occasione per abbracciarlo, e Louis ogni volta che si ritrova contro il suo petto non può proprio fare a meno di sorridere.
 
Impara tante cose di Harry, dalle più stupide ad altre più serie e profonde.
 
Scopre che ha una sorella maggiore di nome Gemma, che vive e studia a Londra. Che è orgogliosissimo dei boccoli che gli crescono in testa, che ogni volta che tocca una rosa deve pungersi, che i Venerdì preferisce indossare almeno un capo arancione, e che ha dato un nome al suo cuscino. Non ha detto ad alta voce come lo ha chiamato nemmeno quando Louis ha preso a fargli il solletico, è rimasto muto come un pesciolino rosso, le lacrime sulle guance per il troppo ridere ed il viso paonazzo.
 
Louis prende anche atto del fatto che Harry la maggior parte delle mattine si sveglia con un calzino sì ed uno no, che parla con le cavallette perché è convinto siano fate in incognito, che non sa usare il tagliaunghie, che custodisce i suoi dentini da latte in un vecchio barattolo vuoto di cotton-fioc e che starnutisce nel pugno e non nel palmo.
 
Che quando sorride gli si forma una fossetta prima nella gota sinistra e poi in quella destra, che quando sta per commuoversi nel guardare un film con Louis --dal televisore di casa Tomlinson, raggomitolati come gatti sul divano del piccolo salotto--, si strizza il naso tra indice e pollice, che quando è stanco e sbadiglia goccioloni salati gli scivolano giù dalle ciglia fino al collo. Louis, per fare lo stupido, si diverte a catturarglieli con la punta della lingua prima che superino il livello degli zigomi.
 
Anche Louis si apre con lui; nel corso dei giorni e delle notti gli racconta nei dettagli la storia dell'abbandono di suo padre, gli parla della sua ossessione per i capelli e per i cavalli, che ama camminare sull'asfalto tiepido a piedi nudi, della depressione di sua madre, del suo amore per le rondini ma odio per le colombe, che si accarezza da solo le guance quando è teso.
 
Gli mostra tutti i disegni che ha conservato nel vecchio quaderno di scuola, gli narra di quella volta che stava per strozzarsi con il torsolo di una mela, o di quanto adori i gatti ma di come i felini, inspiegabilmente, lo detestino.
 
In un momento di noia, instaura con Harry un nuovo gioco, probabilmente più adatto all'età di Lottie e delle sue amichette: segreto per segreto.
 
"Cioè?" gli domanda Harry, sdraiato prono fuori dal loro fortino, con le cosce divaricate e le braccia incrociate sotto il mento.
 
Oggi è una delle poche giornate che le nuvole hanno risparmiato della loro presenza; l'erba è morbida e quasi calda, non c'è traccia di rugiada sugli steli.
 
Louis, da dove è sdraiato a pancia in su accanto al ragazzo, si puntella su un gomito, ed annega le pupille nelle sue.
 
"Ovvero, io ti dico una cosa che non ho mai detto a nessuno. Un segreto. E tu fai lo stesso con me" gli spiega, strappando pezzetti d'erba e depositandoli sulla schiena di Harry. Pensa ci comporrà un disegno.
 
Harry rotola il viso di un lato per poterlo fronteggiare meglio e "Okay. Però fammi pensare" replica, chiudendo poi gli occhi. Una rughetta di concentrazione gli si forma tra le sopracciglia. Louis non resiste, e ci affonda un polpastrello. Harry solleva le palpebre e gli indirizza un sorriso pigro.
 
"Non ho mai fatto immersioni subacquee in tutta la mia vita" rivela poi senza preavviso.
Louis spalanca la bocca.
 
"Che?" chiede con voce stupida. Harry ghigna, e si solleva di colpo. Tutti i fili d'erba che gli riposavano sulla schiena cadono miseramente a terra.
 
"Non ho mai fatto immersioni subacquee in vita mia," ripete, sedendosi all'indiana, "Quello che ho scritto nel tema non sono altro che stronzate" non smette di sorridere.
 
Louis si mette a sua volta in posizione seduta e "Io ero convinto che le avessi fatte veramente!" sbotta, un po' sconvolto. Gli ficca un dito nel fianco per punirlo. "Sei un bugiardo!".
Harry scoppia a ridere, ma non ribatte.
 
"Io ci avevo creduto. Ti avevo creduto! Ed in realtà scommetto che non sai nemmeno nuotare" brontola Louis con un broncio. Harry glielo liscia con il pollice. Sa di terra ed erba. Louis non ne è minimamente disgustato.
 
"Volevo solo scrivere qualcosa di originale. Modestia a parte, sono stati tutti i libri che ho letto e la fantasia che regna nel mio cervellino, a sbrigare l'intero lavoro. E, se ti può consolare, so nuotare come un pesciolino".
 
Louis non pensa, semplicemente si allunga verso di lui e gli morde con forza una guancia.
 
"Punto primo: sei tutto tranne che modesto. Punto secondo: non ti credo. Ormai per me non sei altro che un bugiardo. Chissà quante balle mi hai raccontato. Non sei più mio amico" annuncia senza dargli il tempo di reagire. Cerca di non sorridere; sanno entrambi quanto si diverta ad atteggiarsi in modo drammatico.
 
Harry non perde tempo, e scoppia immediatamente a ridere. Si lascia cadere all'indietro sul prato ed allunga le braccia in avanti in una richiesta silenziosa.
 
Louis si sdraia immediatamente accanto a lui, gli cinge lo stomaco con un braccio e preme il naso sul suo collo pieno di piccoli nei.
 
"Tocca a te. Dimmi un tuo segreto" rompe il silenzio il riccio, dopo quelli che sembrano minuti ma che non sono altro che pochi secondi.
 
Louis si irrigidisce un po'. Sa già cosa vuole confessare all'amico, probabilmente ha escogitato questa sorta di gioco solo per poter ammettere ad alta voce quello che gli brucia dentro da tempo.
 
"Lou?" lo interpella Harry, schiacciando il mento sul petto per poterlo guardare.
Louis, pianissimo, gli schiaffeggia nervosamente la pancia.
 
"Oi, Lou?" insiste Harry, fermandogli la mano e stringendogliela gentilmente. Louis incurva le labbra all'ingiù, ed evita il suo sguardo.
 
Sa di stare per piangere. Cazzo. Odia aprire i rubinetti davanti alle persone. Lo trova così umiliante.
Senza il permesso della mente, tira tremante su con il naso.
 
Harry si solleva immediatamente, e Louis estrapola la mano per nascondersi il viso con entrambi i palmi. Si accartoccia su se stesso, e quando Harry gli modella, preoccupato, cinque dita sul costato, Louis libera il primo singhiozzo.
 
Se possibile, rannicchia ancora di più le ginocchia al petto. Si odia. Si odia, si odia, si odia, si odia.
 
Fino a pochi secondi prima stava ridendo e scherzando; adesso è acciambellato su se stesso, con le guance e le dita bagnate. Detesta le emozioni. A volte, vorrebbe seriamente trovare la maniera di spegnere l'interruttore dei sentimenti.
 
Harry si abbassa nuovamente, gli si para davanti e lo stringe tra le braccia, con una mano sulla nuca ed una sul basso della schiena.
 
"Lou, che succede" sussurra, baciandogli le nocche ancora sopra gli occhi.
 
Louis si decide a togliersi le mani dal viso. A pochissimi centimetri di distanza trova gli occhioni tristi ed angosciati di Harry.
 
"Non so perché sto piangendo. Non è una cosa triste" singhiozza, abbassando le dita per giocherellare con l'orlo della maglietta a tre quarti di Harry.
 
Il riccio annuisce.
 
"Tranquillo," lo rassicura, "Può succedere. Puoi dirmi cosa c'è che non va?".
 
Louis deglutisce a fatica, il groppo che ha in gola sembra volergli sfondare direttamente la carotide.
 
"Ho paura, H. Non mi sono mai sentito così. Ma so che non è normale sentirsi così. Non voglio sentirmi così. Ma non ci riesco" farfuglia, conscio delle ripetizioni ma incapace di articolare un discorso più logico.
 
Harry si passa la lingua sulle labbra lucide di burrocacao al melone, e "Okay. Okay, tranquillo. Vuoi parlarmene? Sai che puoi fidarti di me. Sai che non ti giudicherei" prova a calmarlo, accarezzandogli i capelli cortissimi sulla nuca.
Louis tira su con il naso. Sente di avere dei tizzoni ardenti nelle iridi.
 
"Mi piace qualcuno" sussurra finalmente. Non sa se la nausea che si sente dentro sia positiva o meno.
 
Harry aggrotta brevemente la fronte. Sembra confuso. Ma non commenta, continua a coccolargli le ciocche caramellate.
Louis sente nuove stille rigargli il viso quando "È un maschio" specifica, il volto accartocciato in una smorfia di dolore, ed un nuovo piccolo singhiozzo che gli lascia le labbra.
 
"Oh, Lou" mormora quindi Harry, avvicinandoglisi maggiormente ed abbracciandolo vigorosamente.
Louis gli stringe il collo, e si pulisce il naso con il polso.
 
"Non mi era mai successo. Non è normale. Qui se sei," trema ancora di più, "Gay," abbassa ancora di più la voce, "Diventi come l'indesiderato numero uno" il petto gli si abbassa e gli si rialza rapidamente.
Harry gli appiattisce soave i capelli sulla cute e, con uno slancio, solleva entrambi. Ora sono entrambi seduti a terra, in una confusione di arti.
Louis tira su con il naso, ed intensifica la presa sul suo corpo caldo.
 
"Ti piace il professor James, vero?" gli domanda retorico Harry, spingendogli un palmo sulla schiena. Louis sobbalza, e si districa dall'abbraccio.
 
"Si vede così tanto?" inorridisce, "Come lo sai? Te lo ha detto qualcuno? Te lo ha detto lui?" non riesce più a pensare coerentemente.
 
Harry gli toglie un capello bagnato dalla guancia, prima di rispondergli.
 
"Ti giuro che non me lo ha detto nessuno. Siamo i soli a saperlo. E, ti giuro su tutto quello che vuoi, che il tuo segreto è al sicuro con me. Io l'ho capito solo perché sono straordinariamente intelligente" finge di scostarsi i capelli dalla spalla.
Nonostante tutto, Louis ridacchia.
 
"Sei il migliore" gli bisbiglia poi, mordendosi il labbro. Harry lo avviluppa in un nuovo abbraccio.
 
"Non so come farei senza di te" blatera Louis al suo orecchio.
 
"Anche a me piacciono i maschi, sai? E te ne devi fregare di quello che pensa la gente. Non c'è niente di sbagliato in te. O in me. O in tutte le altre persone che provano quello che proviamo noi. Non ha senso che ciò che ci attrae sia motivo di insulti o prese in giro da parte degli altri. Non siamo anormali" gli dice Harry con voce quasi inudibile.
 
Louis affonda maggiormente il viso sul suo collo.
 
"È normale che tu abbia paura. Non hai mai provato certe cose e sei circondato da persone decisamente chiuse, mentalmente parlando. Ma non sei, che ne so, un mostro, solo perché ti piace qualcuno del tuo stesso sesso. Non sei un assassino, un pedofilo o uno stupratore. Non fai del male a nessuno. Non devi sentirti in colpa" continua Harry, formandogli cerchi lenti sulla schiena.
"E ti giuro che non sei da solo. Innanzitutto, hai me. Ed io non ti abbandonerò mai. Per niente al mondo" conclude, appoggiandogli un bacio sulla tempia calda e pulsante.
 
Non ti merito, non ti merito, non ti merito, è tutto ciò a cui riesce a pensare Louis in questo momento.
Come al solito, si sente la lingua annodata. Si limita ad abbandonarsi al corpo di Harry, a regalargli una muta litania di Grazie tramite gli abbracci, i baci sulle spalle, le dita che affondano sulla schiena.
 
Una cosa, però, si sente quasi in dovere di chiarire.
 
"Comunque, non sono innamorato di Greg. Cioè, del professor James," rettifica imbarazzato, "Lo trovo semplicemente un uomo molto attraente. Affascinante. Non voglio, che so, sposarlo o farci tredici bambini insieme" avvampa violentemente.
 
Harry ridacchia, e si scosta il tanto che basta per mordergli il mento.
 
"Vedi di rigare dritto, signorino. Niente bambini fino ai venticinque anni" scherza, scostandogli, poi, i capelli all'indietro. Louis se li fa arruffare docile, non riesce neanche a parlare da tanto si sente sopraffatto, onorato della presenza di Harry nella sua vita. Come cambiano le cose, nel tempo.
 
Torna a tirare pigramente un filo della maglietta del ragazzo.
 
"Grazie di tutto" mormora finalmente. Non ha mai detto ad alta voce niente di così sincero e sentito.
 
Harry non risponde, gli lancia un semplice sorriso tenue. 
Si allunga, poi, e gli pianta tre baci sulla pelle bagnaticcia, i più belli che Louis abbia mai ricevuto sin ora. Uno sulla fronte, uno sulla punta del naso ed uno sulla guancia sinistra.
 
"Hai quattro lentiggini, lì, lo avevi mai notato?" sorride Harry.
Louis, con una traccia di consapevolezza, si strofina la manciata di puntini sulla pelle.
 
"Penso di essere stato cieco per tutta la vita, e di avere iniziato a vedere solo dal giorno in cui ti ho conosciuto" è ciò che replica. Forse sono queste le parole più vere che abbia mai pronunciato.
 
 
**
 
 
Il Natale non è mai stato, in sé, un qualcosa di speciale per Louis. Non gli ha mai procurato emozioni come gioia o trepidazione, così come nemmeno del tipo negativo, ad esempio l'ansia, l'angoscia, il nervosismo tipico delle feste. Forse, solamente una traccia di vaga malinconia, ma niente di più.
 
Se ci riflette, la sensazione predominante dentro di lui, è l'apatia, l'indifferenza, nonostante il ventiquattro di dicembre sia anche il suo compleanno.
 
Ogni anno è come se si lasciasse attraversare da qualsiasi cosa; dall'irritazione di sua madre, per la compera dei regali e la preparazione dei pasti, dalla gioia quasi snervante delle sorelline, così come dai loro pianti isterici per non aver ricevuto quel dono, o quel cibo. Dall'assenza di suo padre. Dagli auguri frettolosi dei nonni, dall'altra parte dell'Inghilterra. Da quell'amarognola atmosfera che va a crearsi a tavola, e dopo, quando quello che ci si aspetta da un Natale in famiglia --chiacchiere, risate, abbracci--, viene inevitabilmente sostituito dal solo tintinnare delle posate, dallo sporadico intervento di una delle bambine, dai sorrisi tirati, quasi finti.
 
È stancante.
 
Perché a Natale è quasi un obbligo essere felici, ma pochi sono bravi a recitare la parte, a modellare senza imperfezioni una maschera rilassata, sincera. A casa Tomlinson, quasi nessuno può dire di non essere un attore mediocre.
 
Ma quest'anno, Louis sente qualcosa scoppiettargli nel petto. Qualcosa di nuovo, sorprendente, inaspettato. Non pensa di averlo mai conosciuto, o in ogni caso non crede di essere in grado di ricordarselo, ma sa che le cose stanno cambiando.
 
C'è una ventata di freschezza nella sua vita, adesso, e per la prima volta, Louis è in grado di attribuire connotati concreti all'aria. Ha il viso morbido, le labbra sorridenti, la pelle calda.
 
Harry è dentro la sua esistenza da pochissimo, eppure Louis sa già quanto sia speciale per lui. E forse è infantile, ma ha bisogno di dimostrargli in tutti i modi possibili l'affetto che prova nei suoi confronti. Anche in maniera pratica.
 
Manca poco più di una settimana a Natale, e Louis è in ansia. Ha lo stomaco perennemente annodato, perché non ha ancora comprato niente a Harry. E lo sa, lo sa, che all'amico non interessa niente di ricevere qualcosa per il venticinque dicembre, ma Louis non dorme la notte al pensiero di presentarsi quel giorno davanti a lui a mani vuote.
 
Forse è vero quello che si dice: quando si vuole regalare qualcosa a qualcuno, si è più orgogliosi e fieri quando si riesce a trovare un dono che faccia provare soddisfazione personale.
 
Non ha abbastanza soldi da parte per acquistargli un regalo costoso, e di chiederne a sua mamma non è nemmeno un'ipotesi da prendere in considerazione. Ha pensato di tracciare un ritratto di Harry, ma ogni volta che accarezza il foglio con la matita sente che ogni cosa che crea faccia ribrezzo, sia orribile, troppo storta, confusa, imprecisa. Troppo poco.
 
È talmente agitato che non riesce neanche a godersi il calore del corpo di Harry, accoccolato contro di lui durante uno degli ultimi viaggi in pullman prima della chiusura della scuola.
 
"Stai bene?" gli domanda di punto in bianco Harry, massaggiandogli brevemente lo stomaco. Louis distoglie lo sguardo vacuo dal panorama che sta sfrecciando fuori dal finestrino, per puntarlo, invece, sugli occhi dell'amico. Sono intrisi di malcelata preoccupazione, e Louis è tentato dal sorridere amaramente, perché Harry se ne accorge sempre quando qualcosa non va. Ogni cruccio diventa automaticamente anche il suo.
 
Louis gli tira un buffetto sul naso.
 
"Sì, certo" risponde, cercando di iniettare un po' di vivacità nelle sue parole. Capisce di non averlo convinto quando Harry aggrotta la fronte.
 
"Sicuro?" torna alla carica, drizzando la schiena e passandogli una mano sulla guancia. Gliela accarezza, fino ad arrivargli alla fronte e a tirargli indietro i capelli fini. Louis vorrebbe solo chiudere gli occhi ed abbandonarsi al suo tocco.
 
"Sei un po' caldo. Hai la febbre?" gli chiede Harry, lo sguardo concentrato ed una mano ancora premuta sulla fronte di Louis.
 
Louis sbuffa una risata, e gli appoggia a sua volta un palmo sopra le sopracciglia.
 
"Sei caldo anche tu, bellezza. Non so se te ne sei accorto, ma questo pullman è un forno" ribatte all'istante.
 
Harry non smette in ogni caso di fissarlo con preoccupazione, ma, perlomeno, abbozza un sorriso. È piccolo, e completamente lontano dai suoi soliti sorrisi, quelli larghi e luccicanti, dove gli si vedono quasi tutti i denti e che gli fanno dilatare le narici già per loro un po' più larghe del normale. Ed è per colpa del suo sorriso, se Louis quasi non si accorge del cartello che sfreccia fuori dal finestrino.
 
In qualche modo, però, riesce a leggerlo e, subito, si solleva.
Ignorando lo sguardo confuso di Harry, "Devo scendere!" strepita, iniziando a raccogliere il suo giaccone e lo zaino.
 
"Eh? Perché? Mancano ancora più di cinque minuti di strada" farfuglia Harry, le labbra schiuse dalla confusione.
 
"Ti spiego dopo, ciao" Louis si abbassa per stampargli un bacio sulla guancia. È talmente emozionato e preso dalla frenesia che non si cura nemmeno di avergliene schioccato uno, per sbaglio, sull'angolo della bocca.
 
In qualche maniera, riesce a convincere l'autista a fermarsi, e Louis quasi si sloga una caviglia, dato che scende giù dall'autobus ancora prima della frenata vera e propria del mezzo.
Corre all'indietro per fronteggiare Harry ed il suo naso premuto contro il finestrino, e, dopo un'ultima sventolata di mano, si affretta verso il negozio visto prima, di sfuggita, dal pullman.
 
Un sorriso prende a fargli sentire dolore agli zigomi, tanto è ampio; si deve seriamente trattenere dal liberare delle risatine esaltate quando, finalmente, supera il cartello in legno tinto di un giallo canarino con la scritta in inchiostro Si regalano cuccioli.
 
Apre la porta, dei campanellini prendono a tintinnare e tanti adorabili uggiolii iniziano ad entrargli nelle orecchie.
 
Finalmente, il peso sul suo stomaco si dissolve.
 
 
**
 
 
Louis trova Harry seduto ad aspettarlo sugli scalini della porta principale di casa sua, con ancora la borsa a tracolla della scuola appresso.
 
L'espressione sul viso del ragazzo quando vede il cucciolo di cane che Louis ha adottato dal negozio, è impagabile. 
 
"Louis," sussurra, sollevandosi di scatto dai gradini, "Che bello che è. È tuo? Dove e perché diamine lo hai tenuto nascosto, per tutto questo tempo?" sembra sinceramente offeso. 
 
"In realtà è tuo. Il tuo regalo di Natale da parte mia" ride Louis, sentendosi forse per la prima volta in vita sua tremendamente orgoglioso di se stesso. Harry ha la bocca e gli occhi spalancati, ora. Sembra sotto shock.
 
"Louis?" articola sbigottito, gli occhi verdi che luccicano subito di lacrime felici.
Louis ridacchia ancora una volta.
 
"Tieni, H," gli allunga il cucciolo, e le loro mani si sfiorano quando Harry afferra dalle sue braccia la piccola palla di pelo marrone.
 
"È bellissimo" tuba Harry, stringendo il cagnolino come se fosse un fragile neonato. Louis ha seriamente paura di vedere il suo viso spaccarsi in due, tanto è grande il suo sorriso.
 
"Ti piace?" gli domanda retorico Louis, crogiolandosi all'idea di essere riuscito a rendere Harry così contento.
 
Il riccio appoggia un bacio sulla testolina pelosa del cagnolino e "È il regalo più bello che una persona mi abbia mai fatto in vita mia" risponde emozionato, ridendo una risata bagnata quando il cucciolo prende a passargli la linguetta rosa sulla guancia.
 
"Aw," Louis gli asciuga intenerito una piccola lacrima che gli sta scivolando giù dalle ciglia scure, "Non piangere" sfrega delicatamente il palmo sulla sua gota.
 
"Grazie di tutto, Lou" Harry tira su con il naso, e si lascia andare nel suo tocco.
 
"Buon Natale" Louis non può fare a meno di avvolgergli una guancia e di stampargli un bacio sulla fronte. "Anche se, tecnicamente, manca ancora qualche giorno".
 
Harry si sistema meglio il cucciolo tra le braccia e "In realtà anche io ti avrei preso qualcosa. Non è un regalo bello come il tuo, ma" lascia cadere la frase, e si stringe nelle spalle. Libera una risata argentina quando il piccolo cane inizia a dimenarsi vivace per leccargli il collo e le orecchie.
 
"Harry, non dovevi" bisbiglia subito Louis, sentendo un po' di colore pizzicargli le guance.
 
"Non sai nemmeno cos'è! Dai, prendilo, è dentro la mia borsa" Harry gli offre un sorriso incoraggiante e goffamente, a causa del cagnetto, porta una spalla in avanti per agevolare l'accesso alla sua borsa a tracolla.
 
Louis si sente uno stupido quando, nell'aprirla, le dita prendono a tremargli.
 
"Il pacchetto rosso" lo indirizza Harry, senza mai smettere di accarezzare la schiena del cucciolo.
 
Louis deglutisce. Il pacchetto, in realtà, è enorme. Non ha la più pallida idea di come Harry sia anche solo riuscito ad infilarlo nella borsa.
 
"Harry..." inizia, rizzando la schiena e reggendo, esitante, il regalo. Pesa. Non sa cosa aspettarsi.
 
Harry gratta il cagnolino dietro l'orecchio e "Taci e scarta" taglia corto, non senza gentilezza.
 
Louis inghiotte nuovamente saliva e si passa lentamente la lingua sulle labbra secche e screpolate, mentre incomincia a staccare i pezzetti di scotch.
Con la coda dell'occhio nota Harry appoggiare con la massima delicatezza possibile il cagnolino a terra.
Louis si toglie velocemente lo zaino, permettendo al cucciolo di iniziare a curiosarci dentro.
 
"Spero ti piaccia" la voce di Harry lo coglie quasi di sorpresa, da tanto sembra nervosa e agitata.
 
Louis gli scocca un'occhiata veloce e "Potresti anche avermi regalato un libro di greco e latino e scoppierò comunque a piangere dalla felicità" gli fa sapere, sorridendo con forza quando Harry arriccia il naso in una risata muta.
 
"Ti giuro che non è un libro di greco e latino. O un libro, se per questo" aggiunge solenne. 
Louis ridacchia e "Okay" sussurra, quasi a se stesso, finendo infine di scartare il regalo.
 
Il respiro gli si impiglia in gola.
 
"Harry?" bisbiglia-urla, gli occhi grandi come piattini da thé. Seriamente, come si respira?
 
"Ti piace?" ridacchia Harry, le fossette che gli bucano le guance.
 
"Se mi piace?" quasi grida Louis, ridendo esaltato, le mani interamente occupate da quello che è seriamente il regalo più giusto e meraviglioso che abbia mai ricevuto.
 
Con una delicatezza che non sapeva di possedere, indietreggia e ripone sugli scalini del portico della casa di Harry la valigetta di legno colma di qualsivoglia strumento artistico. Decine e decine di tubetti di tempera, un kit di pennelli e matite dalle varie dimensioni, pastelli ad olio e a cera, persino degli acquerelli dalle sfumature più impensabili. Louis non ha davvero, davvero, davvero parole.
 
Dopo aver riposto il suo tesoro sui gradini, praticamente si lancia su di Harry.
Il riccio emette un Oof all'impatto, ma subito gli stringe a sua volta la schiena.
 
"Grazie, grazie, grazie, grazie" cantilena Louis, quasi soffocandolo da tanto gli sta avvolgendo il collo con le braccia.
 
Harry ride soffuso dentro il suo orecchio e "Sono così contento che ti piaccia" gli dice, accarezzandogli le scapole.
 
"Io non ho davvero parole" blatera Louis, strofinando il naso sulla sua tempia e abbracciandolo, se possibile, ancora di più. Gli batte fortissimo il cuore.
Harry si limita a premere un sorriso sulla sua fronte.
 
"Buon Natale, Lou. E buon compleanno" mormora, appoggiandogli un bacio sopra le sopracciglia.
 
Louis è praticamente sciolto nel suo abbraccio, ed una sensazione di calore prende ad irradiarsi sempre di più dentro di lui. Deglutisce, e solleva una mano per accarezzare gentilmente i ricci di Harry. Glieli coccola con dita pazienti, seppellisce i polpastrelli dentro i boccoli morbidi.
Non sa nemmeno lui cosa stia facendo, ma, sempre senza smettere di carezzargli i capelli, abbassa il viso il tanto che basta per baciare il collo del ragazzo.
 
Harry si immobilizza per un attimo, per poi farglisi ancora più vicino. Inclina il collo.
 
Louis inspira bruscamente dentro di sé, prima di stampargli un secondo bacio sulla pelle sensibile. Si inumidisce le labbra schiuse e preme una terza volta la bocca sul collo del riccio, lentamente.
 
Si sente pulsare da dentro i boxer.
 
Chiude a pugno la mano nei capelli scompigliati di Harry, prima di ritrarsi e guardare il ragazzo in faccia. Ha le guance rossicce e nel suo labbro inferiore spicca il segno di un morso che, fino a pochi attimi prima, non c'era.
 
Louis deglutisce ancora e non sa nemmeno lui che cazzo sta facendo, ma sprofonda gli occhi in quelli già quasi chiusi di Harry, e si allunga in avanti.
 
Un abbaiare improvviso lo fa sussultare di botto. Imbarazzato, Louis si districa dal corpo di Harry, e si passa una mano tra i capelli. Non sono nemmeno lontanamente piacevoli da toccare come quelli di Harry. Gli mancano già i suoi boccoli sotto le dita.
 
"Cosa vuoi, piccolino? Sei egocentrico come il tuo padrone?" scherza Louis, la voce strozzata, abbassandosi di botto per coccolare il cagnolino. Per evitare lo sguardo di Harry.
 
Harry si schiarisce la gola e "Ehi!" esclama oltraggiato, nonostante persino con la coda dell'occhio Louis riesca a vederlo ancora arrossato e provato.
 
"Allora," continua Louis, per non pensare a cosa stava per succedere, "Come ti vuoi chiamare, pulce?".
 
Stava per baciarsi con Harry, stava per baciarsi con Harry, stava per baciarsi con Harry.
 
"Aspetta, ma è un maschio o una femmina?" interviene Harry, sprofondando a sua volta un palmo sul corpicino esile del cucciolo.
 
"Harold, a meno che quella sia una verruca canina spuntata in una zona alquanto intima, direi che il signorino qui presente sia un maschietto" ride Louis, sentendosi improvvisamente meno agitato e imbarazzato.
 
Harry scoppia in un latrato di risata e "Quanto sei scemo!" lo apostrofa, tirandogli una spallata goffa e leggera, da dove è inginocchiato accanto a lui sul praticello.
E poi, "Scusami se non sono un maniaco che fissa le zone private dei cagnolini" aggiunge altezzoso, grattando delicatamente la pancina muccata del cane.
È il turno di Louis di ridere fragorosamente.
 
"Ti odio" sbuffa scherzoso, spostandosi con il gomito una ciocca di capelli dal viso.
 
"Non è vero" replica Harry, avvicinando quasi impercettibilmente le dita alle sue, sempre sdraiate sul pelo morbido del cagnolino che, pacioso, li sta osservando entrambi con la linguetta a penzoloni.
 
"Hai ragione" ribatte subito Louis, girandosi per guardarlo e sorridergli.
 
Harry batte pigramente le ciglia e gli sfiora, dopo qualche esitazione, l'unghia del pollice con l'indice.
Louis non si ritrarrebbe per nessun motivo al mondo.
 
 
**
 
 
Alla fine, optano per chiamare il cagnolino Principe Terrien.
 
In realtà è Harry a scegliere il nome, e Louis lo asseconda senza troppi problemi. Non ha idea di che significato abbia di per sé Terrien, ma su una cosa è sicuro: il cucciolo è tutto tranne che principesco.
 
Non riesce a stare fermo un istante, è sempre in movimento, non obbedisce ed è la totale antitesi di un essere elegante e composto.
Lui e Harry lo hanno nominato guardiano di Terabithia, anche se, forse, sarebbe stato più appropriata l'onorificenza di Giullare di Corte.
 
Per portarlo a Terabithia, quasi hanno rischiato di farlo cadere nel fiume; già è difficile di per sé penzolare su una fune, se poi ci si aggiunge un cagnetto iperattivo raggomitolato sotto i giubbotti, diventa quasi un'impresa impossibile. In ogni caso, non è mai successo niente di brutto; Louis spera ardentemente non accadrà mai niente in futuro. Preferirebbe cadere lui stesso nell'acqua, al posto di Principe Terrien.
 
Adesso, il cagnolino sta saltellando di qua e di là intorno a lui e a Harry, quasi abbracciati nel loro fortino, da tanto è una giornata gelida.
 
"Forse non è stata una buona idea venire qui a Terabithia, oggi" si decide finalmente ad ammettere ad alta voce Louis. Gli stanno battendo i denti da tanto l'aria è frizzante, il freddo gli si sta letteralmente scavando una via dentro le ossa.
 
Senza dire una parola, Harry fa scivolare una mano sulla sua, nascosta dentro l'impermeabile. Louis gli lancia un'occhiata incuriosita, ma non si scompone; è ormai perfettamente abituato all'estrema tattilità dell'amico.
 
"Dammi anche l'altra" lo istruisce Harry, e solo a quello Louis si decide a puntare gli occhi su quelli lucidissimi dal freddo del ragazzo. Sembrano quasi di vetro.
 
"Cosa?" gli chiede, un po' distratto da Principe Terrien che, incurante del tempo, corre tra le sterpaglie e si diverte a schiacciare ed inseguire le foglie volanti.
 
"La mano, scemo" mormora Harry, guardandolo con pazienza. Louis ubbidisce lentamente, e si passa con calma la lingua sulle labbra screpolate quando Harry gli stringe entrambi i palmi e prende a sfregarli piano-piano.
 
Louis tira lievemente su con il naso e lo osserva, a metà tra l'affascinato ed il senza parole, mentre gli strofina le mani, avvolgendogliele interamente tra le sue.
 
"Non possiamo mica rischiare che ti cadano le dita" dice pacato Harry, gli occhi che non si staccano mai dalle falangi gonfie e rosse dal freddo di Louis.
Louis esala una piccola risata. Una nuvoletta di ossigeno si disperde subito nell'aria.
 
Silenziosamente, Harry si toglie i guanti, appoggiandoseli poi attentamente accanto al fianco. Louis è quasi sorpreso della mancanza dell'ennesimo rimprovero da parte del ragazzo.
 
Lou, sei un idiota. Fa un freddo cane e tu non ti metti neanche i guanti.
 
Harry gli aveva persino offerto di prestargli i suoi, prima, ma Louis aveva scosso la testa e Sono un uomo forte, Harold, non ho bisogno di pelo di pecora sulle dita, lo aveva silenziato, prendendo contemporaneamente in giro la pelliccetta bianca dei suoi guanti.
 
"Mh, hai le mani calde" quasi geme Louis, quando Harry gli accarezza gentilmente le dita con le sue.
 
"Ecco a cosa servono i guanti" borbotta Harry, prima di abbracciargli ancora una volta le mani tra le sue e portarsele alla bocca per respirarci contro. Louis rabbrividisce, al sentire aria calda sulle nocche gelate.
 
"Sei la mia stufetta" canticchia, soddisfatto del calore che inizia ad avvolgergli le mani. Se le sente pizzicare.
 
Harry non gli risponde, continua bensì a strofinarlo dai polsi fino alle punta delle dita, massaggiandogli la pelle scarlatta fino a conferirle un minimo di calore. Louis si sente così bene. È così piacevole essere coccolato.
 
Quasi senza rendersene conto, gli si arricciano le dita dei piedi mentre Harry prende ancora ad alitare sulle sue mani, le labbra umide praticamente a contatto con i suoi polpastrelli leggermente intorpiditi.
 
Freddo e caldo prendono a combattere fuori e dentro di lui quando Harry, inaspettatamente anche se alla fine non più di tanto, inizia a baciargli le dita una ad una.
 
"Harry?" lo chiama Louis, la voce ridotta ad un filo.
 
"Hai le mani morbide" mormora Harry, premendo un bacio leggermente bagnato sulla nocca del suo medio destro. Louis schiude le labbra, ed il suo corpo si muove da solo quando strofina le cosce a terra per avvicinarsi maggiormente al riccio.
 
"Piccole e belle" continua Harry, soffiandoci sopra e passando allo stesso momento un pollice su tutta la fila di nocche. Louis non riesce nemmeno ad articolare un Piccole stizzito, tanto si sente sciogliere secondo dopo secondo sotto le attenzioni di Harry.
 
"Lou?" sussurra di punto in bianco Harry, costringendo Louis a sollevare gli occhi sui suoi verdissimi. "Posso farti una domanda?" continua l'attimo dopo, strofinando pianissimo i suoi dorsi delle mani.
 
"Certo" mormora all'istante Louis. Non pensa potrebbe mai dirgli di no.
 
"Hai mai baciato un ragazzo?" sussurra Harry, cogliendolo decisamente di sorpresa.
 
Nonostante tutto, Louis non gli dà modo di mostrarsi in qualche maniera vulnerabile. Scuote la testa.
 
"Una ragazza?" domanda allora Harry, con leggera esitazione.
 
Louis si morde un labbro. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Gli occhi ben fissi in quelli smeraldini di Harry, "No" nega, sentendosi un po' in imbarazzo.
 
"Okay" replica semplicemente Harry, passandogli un pollice sul polso.
Louis vorrebbe sbuffare, o mettere in piedi qualche giustificazione, modellare l'ennesima scusa.
 
Chiude gli occhi, però, e, con uno slancio forse un poco affrettato, preme la bocca contro quella di Harry. Si stacca subito da lui, e sente le guance diventargli rosse quando uno schiocco bagnato si libera tra di loro.
 
"Okay" ripete Harry, quasi intontito. Il viso che gli bolle, Louis districa le mani dalle sue e gli tira uno spintone sul petto.
 
"La smetti di dire okay?" farfuglia, gli zigomi che pizzicano sia dalla vergogna che dalla voglia matta di sorridere.
 
Harry, allora, rilascia una risata argentina, e la tensione accumulata tra di loro evapora via con una facilità disarmante.
 
"Okay," dice nuovamente Harry, una luce birichina negli occhi, "Okay," gli avvolge la nuca con quella sua mano troppo grande per appartenere veramente ad un ragazzo di sedici anni, "Okay," abbassa le palpebre, ma Louis vede comunque quelle iridi verdi davanti a sé, "Okay," gli infila le dita libere tra le ciocche lisce, "Okay," ridacchia contro le sue labbra sottili, e Louis non dimenticherà mai la sensazione del suo respiro solleticargli la pelle, "Okay," modella finalmente la bocca sulla sua.
 
Louis non sa esattamente cosa fare, o meglio, lo sa, ma non pensa di essere davvero in grado di tramutare la teoria --tutti i film che ha visto, i libri che ha letto, i racconti degli amici-- in pratica.
 
Il cuore gli batte ferocemente nel petto, e Louis non si è mai sentito così, nemmeno quella volta in cui è svenuto a causa della troppa afa e, prima di caracollare malamente a terra, aveva sentito le pulsazioni accelerare in una maniera quasi disumana.
 
Consapevole del calore che gli sta colorando il viso, Louis cerca di portare la sua intera concentrazione sul modo con cui Harry lo sta baciando, per poter imitare i suoi movimenti e contraccambiare. Non è difficile farlo, ma allo stesso tempo lo è, perché Harry gli sta coccolando i capelli con dita delicate e, allo stesso tempo, sta premendo le labbra calde e bagnate sulle sue, e Louis non sa quale sia la sensazione migliore.
 
Inspira dal naso, forse un po' troppo rumorosamente, ed inclina piano il mento verso destra, aprendo, tentennante e coraggioso, la bocca.
 
Quando Harry gli abbraccia il labbro inferiore tra le sue, carnose e morbidissime, un piccolo gemito si fa largo fuori dalla sua gola.
Imbarazzato, ancora una volta, Louis si allontana.
 
Harry non lo forza a baciarlo di nuovo; si limita a sorridergli, e Louis è semplicemente umano, quindi ricambia all'istante.
 
"Sei così bello quando sorridi".
 
Louis lo zittisce con un piccolo bacio sulla guancia, uno sull'angolo della bocca ed uno sulle labbra. Appena l'ultimo schiocco si libera tra di loro, Louis percepisce qualcosa di caldo sulle cosce. Abbassa lo sguardo, e trova gli occhioni tristi e marroni di Principe Terrien già intenti a fissarlo.
 
"Cosa vuoi?" sussurra Louis, ridacchiando. Il cagnolino uggiola in risposta. Louis inizia ad accarezzarlo e, allo stesso tempo, si volta per premere altri piccoli baci, sempre abbastanza casti, sulla bocca a cuore di Harry, che esulta felice dentro le sue labbra.
 
Se è difficile resistere allo sguardo di Principe Terrien, trattenersi di fronte agli occhi grandi e pieni di tutto di Harry Styles è decisamente impossibile.
 
 
**
 
 
Quando un pomeriggio di febbraio Louis fa per afferrare la corda che porta a Terabithia, sente già dentro di sé una sensazione particolare. Non sa conferirle il nome; capisce solo la sua entità. E non è positiva.
 
Con le sopracciglia rivolte verso il basso ed i battiti del cuore al livello della pancia, si afferra saldamente alla fune, e prende a mettere ritmicamente un piede dopo l'altro, per darsi lo slancio necessario.
 
Sono passati già svariati mesi, dalla prima volta che si è lanciato dall'altra parte del fiume in stile chimpanzee con la sua liana fangosa; ovviamente il terrore iniziato è scemato, ma dentro di sé Louis sente sempre una bolla sorda ed attutita di timore che gli si espande all'altezza dei polmoni ogni volta che inizia a correre e a vedere il fiume scintillargli sotto i piedi.
 
Non può farne a meno nemmeno adesso: si spinge rapidamente due dita sulla fronte, sul petto, sulla spalla sinistra e poi quella destra, di nuovo a livello dello sterno ed infine sulle labbra.
 
Libera un respiro profondo e, quasi come se ci fosse un'entità invisibile a spingerlo, inizia a prendere la rincorsa. Solleva un po' le ginocchia prima di calpestare il vuoto, e si gode quei pochi attimi in cui può quasi fantasticare di essere un passerotto in volo.
 
Meccanicamente, lascia andare la presa sulla corda quando si ritrova sospeso dall'altra parte del fiume. Atterra goffamente sulla zolla d'erba, rotolando sul prato ed il terriccio umido.
 
È come il gioco che era solito fare quando era più piccolo, sull'altalena: una volta arrivato abbastanza in alto, sufficientemente in là, apriva i palmi e abbandonava le catene arrugginite, rovinando poi sulla sabbia sporca del parco giochi.
 
L'importante è sempre avere tempismo, calcolare il salto in modo quasi patologico. Non tentennare assolutamente.
 
Una delle prime volte che aveva usato la fune per giungere a Terabithia, per fare lo scemo, Louis aveva indugiato troppo ed aveva abbandonato la corda quando quella stava già tornando indietro, verso il fiume. Era riuscito ad afferrarsi alla sporgenza dell'altra parte del corso d'acqua per miracolo, e solo con l'aiuto di Harry era riuscito a non finire insieme ai pesci.
 
Quella era stata probabilmente l'unica volta in cui Louis aveva potuto assistere alla rabbia ed alla furia disperata del riccio. Pensa sia stato fortunato a non aver ricevuto un sonoro ceffone, quel giorno.
 
Louis si pulisce frettolosamente i vestiti dalle foglie e dagli aghi di pino, e trotterella, ancora un po' ansioso, verso Terabithia.
 
"Harry?" chiama ad alta voce, quando scorge a pochi metri il tettuccio impermeabilizzato del loro rifugio.
 
"Harry" ripete, scavalcando una radice nodosa, quando lo individua proprio dietro la loro tenda. È seduto sui talloni, e sta facendo scorrere con stizza la lama di un coltello su un bastone.
 
Louis lo osserva per qualche secondo; Harry non sembra affatto essersi accorto di lui, continua ad intagliare il ramo con gesti arrabbiati.
 
E probabilmente non è una delle mosse più intelligenti da fare di fronte ad una persona con un coltello in mano ma "Harry?" parla ad alta voce Louis, senza riuscire a porsi un freno.
 
Sussulta insieme al riccio e vede come al rallentatore la lama affondare sulla carne tenera del ragazzo.
 
"Cazzo!" esclamano all'unisono. Louis sbianca immediatamente nel vedere un rivolo scarlatto scivolare troppo rapido lungo una delle dita di Harry.
 
"Hazza, scusami, Dio" balbetta poi, scrollando la testa e raggiungendolo velocemente. Gli scosta la frangia boccoluta dalla fronte e gli avvolge una guancia calda e appiccicaticcia in un palmo.
 
"Scusami, non volevo, ti sei fatto tanto male?" farfuglia, baciandogli veloce una palpebra chiusa e prendendogli il polso. Non appena glielo circonda, il sangue del ragazzo gli tinge la mano.
 
Louis si impone di respirare con la bocca, e abbassa il viso per posizionarlo all'altezza di quello di Harry.
Il riccio sta respirando tra i denti ed ha ancora entrambi gli occhi chiusi.
 
"Haz, non volevo," torna alla carica Louis, "Vieni che ti medico" lo sprona poi, tirandolo delicatamente per il polso.
Harry non si muove di una virgola.
 
"Haz?" tenta Louis.
Harry apre lentamente gli occhi e "Cos'è, ti sei svegliato con la voglia di mozzare una mano a qualcuno, oggi?" gli si rivolge con un sorriso sarcastico ed il tono un po' di ghiaccio.
 
Louis si ritrae impercettibilmente.
Non sa come replicare. Harry gli sembra strano.
 
"Scusami," mormora in mancanza di altre cose da dire, "Non volevo spaventarti".
Harry non ribatte nulla.
 
Louis scocca un'occhiata al suo dito. La ferita non è profondissima, ma è piuttosto lunga. Preferisce non perdere altro tempo.
 
Prova a tirare nuovamente Harry per un braccio, per spronarlo ad entrare nel fortino e farsi medicare. Tuttavia, il ragazzo sembra una statua di cera. Ha gli occhi bassi e le labbra quasi invisibili, da tanto sono strette in una linea dura.
 
"Haz..." sussurra Louis, lasciandogli andare il polso esangue.
Harry lo guarda e "Hai idea di come si curi una ferita del genere? Mi potresti aiutare?" gli domanda.
 
Louis aggrotta la fronte, confuso, ma "Certo. Non ti muovere, torno subito" mormora, alzandosi subito in piedi.
Le dita gli vanno un po' a scatti quando recupera il kit del pronto soccorso da dentro uno dei sacchi a pelo, ma cerca di inspirare ed espirare a lungo per tranquillizzarsi.
 
Mentre disinfetta il taglio di Harry, nessuno di loro proferisce una parola.
Louis è veramente, veramente incerto sul da farsi. Harry sembra avere qualcosa che non vada. Un pensiero, una paturnia, niente di apparentemente troppo grave. Sicuramente, però, non superficiale.
 
"Stai bene?" prova finalmente a chiedergli Louis, nel passargli un fazzolettino pulito sulla ferita.
Harry solleva lo sguardo dal terreno, e gli rivolge un mezzo sorriso.
 
"Scusami. Non volevo trattarti male. È solo una giornata no" gli dice, battendo con calma quasi innaturale le ciglia.
 
Louis si gratta un sopracciglio e "Puoi parlarmene. Lo sai. Se vuoi" gli confida, allungando poi un braccio per raggiungere la scatoletta rossa e bianca del pronto soccorso. Toglie con attenzione la pellicola di un cerotto, non senza averne prima controllato la data di scadenza, per poi applicarlo gentilmente intorno all'indice di Harry. Una volta finito, gli stampa un bacio morbido da sopra il medicamento.
 
"È troppo stretto?" si assicura, tenendogli la mano mentre richiude il kit con quella libera.
 
Sussulta appena quando Harry allunga il viso verso di lui e gli adagia un bacio umido e morbido sulle labbra.
 
"Va benissimo," risponde direttamente sulla sua bocca schiusa dalla sorpresa, "Scusami se sono stato un po' stronzo" sospira.
 
Louis si scosta, gli prende il viso tra entrambe le mani e glielo accarezza con gli occhi.
 
"Tranquillo. Vorrei solo capire cosa sta succedendo," si strappa una pellicina dal labbro inferiore con i denti, "Perché sei nervoso?" cerca di ignorare la rigidità improvvisa e fugace della postura del ragazzo.
 
Harry, però, sospira una seconda volta.
Sistema le mani sopra quelle di Louis, ancora intorno al suo viso.
 
"Niente di importante.Te l'ho detto, una semplice giornata no" taglia corto. "Grazie per avermi curato. Mi hai salvato da un dissanguamento crudo e doloroso" aggiunge poi teatrale, sollevando le sopracciglia.
Louis esplode in una risata argentina.
 
"Sei tanto scemo," mormora direttamente sulle sue labbra, "Mi piaci tanto" confessa poi ad alta voce, timido.
 
Harry arriccia la bocca in un sorriso, e si allunga per premere la fronte contro la sua. Gli respira semplicemente sulla bocca, ma Louis è sicuro di poter tradurre quest'ossigeno in un Mi piaci tanto anche tu.
 
 
**
 
 
Pasqua arriva fin troppo in fretta. Louis non smetterà mai di stupirsi per lo scorrere del tempo, per la velocità con cui un giorno cede il posto ad un altro.
 
Mentre sposta le poche grucce dentro il suo armadio in cedro, alla ricerca degli abiti da indossare per la messa, non può fare a meno di continuare a pensare alle parole lette in uno dei libri che gli ha prestato Harry di recente.
 
Non è neanche sicuro di ricordarsi il titolo preciso dell'opera, o addirittura il nome dell'autore.
Se deve essere onesto con se stesso, Louis ha trovato la novella in sé anche piuttosto noiosa.
Ma quel S'è fatto tardi molto presto continua a rimbalzargli nella mente.
 
Sospira.
 
Lui e la sua famiglia, non sono soliti frequentare la chiesa del paese. Louis crede in Dio, ma non è praticante, mentre sua madre recita il rosario ogni mattina ed ogni sera, prima di alzarsi dal letto e prima di, invece, rintanarsi sotto le coperte.
 
Nonostante ciò, la donna ha avuto una disputa con il prete un paio di anni prima. Da allora, Jay ha deciso che la famiglia Tomlinson non dovesse più mettere piede nella chiesa, se non a Natale e a Pasqua.
 
Louis non se ne lamenterebbe, se non fosse che in entrambe le occasioni sua madre non perde tempo per innervosirsi ed essere, in poche parole, di umore nero. Nero come il carbone.
 
Sa che Jay ci tiene molto all'opinione degli altri; nonostante facciano fatica ad arrivare alla fine del mese, la donna si assicura sempre di mettere da parte per tutto l'anno dei soldi, in maniera d'avere a disposizione per ognuno di loro i vestiti migliori che possano permettersi per l'occasione. 
 
Daisy ha sporcato irrimediabilmente il suo, qualche giorno prima, e per impedire una crisi di nervi alla mamma, Louis ha rinunciato alla sua parte per garantire alla sorellina un abitino nuovo.
 
Non che gli dispiaccia. La giacca che ha sempre usato per le occasioni eleganti quest'anno gli calza un po' stretta, ma i pantaloni del completo misurano ancora bene. Li abbinerà con un maglione scuro ed una camicia bianca, non c'è problema.
 
Sta infilando una gamba dopo l'altra nei pantaloni quando la sua porta si apre gentilmente.
 
"Oh, scusami" gli occhi di Harry sono fissi sulle sue cosce nude ed abbronzate, ed il ragazzo è letteralmente impalato in mezzo alla stanza.
 
Louis quasi cade a terra.
 
"Potevi bussare" sibila imbarazzato, affrettandosi ad allacciarsi il bottoncino dei pantaloni.
 
"Perché ti stai vestendo così bene?" gli chiede, invece, Harry, sciogliendosi dall'immobilità improvvisa ed andandosi a sedere sul letto molle di Louis.
 
Louis emette uno sbuffo oltraggiato e "Perché è Pasqua, forse?" risponde, il tono un po' canzonatorio.
 
"Cavoli, è vero" Harry sgrana leggermente gli occhi, iniziando ad annuire. Lo dice come se si fosse dimenticato di indossare la sciarpa prima di uscire, o di controllare l'acqua che bolle.
 
"Non la festeggiate in famiglia?" gli domanda Louis, sorpreso, abbassandosi un po' alla ricerca delle sue scarpe da festa.
 
"Nah" risponde senza problemi Harry, sdraiandosi sul lettino con le mani appoggiate lascivamente sullo stomaco. Louis sorride tra sé e sé, prendendo poi ad infilarsi le calzature in cuoio.
 
Quasi sobbalza quando Harry, in stile Dracula che si solleva di scatto dalla tomba, rizza di punto in bianco la schiena.
 
"Ma stai andando a messa?" si informa, grattandosi poi rapidamente una caviglia.
 
Louis annuisce e "Sì, certo" risponde anche a voce, infilandosi con un po' di sforzo le stringhe troppo lunghe dentro le scarpe.
 
"Non pensavo che tu e la tua famiglia andaste a messa" commenta Harry, mordendosi il labbro e sembrando pensieroso.
 
"Solo nelle occasioni importanti" riassume Louis, ponderando se togliersi o meno la maglietta di fronte a lui. Dopo pochi attimi di riflessione, scrolla mentalmente le spalle e si spoglia della t-shirt slavata.
 
"Posso venire con voi?" gli chiede Harry, cogliendolo di sorpresa. Louis si gira lentamente, da dove stava quasi infilandosi del tutto nell'armadio per riuscire a recuperare la sua unica camicia bianca.
 
"Eh?" ribatte stupidamente. Harry si alza dal letto, raggiungendolo.
 
"Mi piacerebbe venire a messa con voi," ripete con occhi bassi, stringendogli pianissimo i fianchi nudi, "Non sono mai entrato in una chiesa in vita mia. Sarebbe una nuova esperienza".
 
Louis deglutisce a vuoto, la lingua troppo secca per la sensazione delle mani del ragazzo intorno a lui. È così piacevole.
 
"Ti annoieresti a morte, fidati" sbuffa, sollevandogli con le dita libere il mento. Gli occhi enormi di Harry sembrano magici.
 
"Questo lasciamelo accertare personalmente, mh?" mormora Harry, un sorriso pestifero sulle labbra rosse che vanno presto a collidere sulla bocca appena-appena schiusa di Louis.
 
Louis chiude all'istante gli occhi, e quasi lascia cadere a terra la camicia quando Harry gli si fa ancora più vicino e gli succhia con calore il labbro inferiore.
 
"Non puoi venire vestito così" Louis cerca nuovamente di farlo desistere, nell'aprire la bocca e permettergli di farci scivolare la lingua dentro.
 
Non può certo entrare in una chiesa con i jeans strappati in più punti, i calzini di un colore diverso dall'altro ed una maglietta con stampe oscene e di almeno due taglie più grandi.
 
Harry si separa da lui con uno schiocco.
 
"Si dà il caso che abbia svariati indumenti, Louis Tomlinson" lo informa, un sopracciglio sollevato con quella che qualcuno potrebbe scambiare per irritazione, ma che Louis sa benissimo sia semplice e puro divertimento.
 
 
"Noi partiamo tra mezz'ora" gli fa sapere, la voce graffiata.
 
"Sarò puntuale" promette Harry, scoccandogli un ultimo bacio sulle labbra già quasi gonfie, e affrettandosi verso la porta con la leggiadria di una farfalla rara.
 
 
**
 
 
Louis ha la bocca spalancata, ne è consapevole.
 
"Ti entreranno le mosche" ride Harry, lasciandogli una carezza veloce sulla guancia. Louis non riesce neanche ad articolare un misero Lo so.
 
"Buongiorno, signora Tomlinson" Harry passa a salutare la madre di Louis con un sorriso educato. Jay gli lancia un'occhiata da capo a piedi, prima di fargli un cenno con il capo e "Ciao, Harry" replicare, gli angoli della bocca stirati in un modo un po' forzato.
 
Louis sospira dentro di sé. Sa delle esitazioni di sua mamma nei confronti di Harry.
 
Non voglio avere intorno della gente che guarda la mia famiglia dall'alto verso il basso, gli ha sibilato poco prima, nell'allacciare le scarpette alla piccola Phoebe, quando Louis le aveva chiesto il permesso di poter portare Harry con loro.
 
La famiglia di Harry non ci guarda con aria di superiorità, e tanto meno lui, l'aveva rassicurata Louis, indeciso tra il provare tenerezza nei suoi confronti od innervosirsi con lei per l'ennesima dimostrazione del fatto che la donna tenga fin troppo all'opinione della gente.
 
Louis deglutisce e, prima di aprire bocca, si concede di accarezzare ancora una volta con lo sguardo la figura di Harry. È abbracciata da un completo grigio perla, dal tessuto morbido e sicuramente di marca. Il colletto della camicia bianca è stirato con accuratezza, ed i polsini sono addirittura adornati da un paio di gemelli lucidi-lucidi. Ai piedi ha scarpe nere e italiane, e Louis ci si potrebbe specchiare da tanto sono pulite.
 
"Ti va di stare sul cassone con me e le bambine?" propone, indicandogli con un pollice il furgoncino impolverato parcheggiato a pochi metri da loro.
 
Il sorriso radioso di Harry è una risposta più che sufficiente.
 
Si arrampicano rapidamente sul mezzo, aiutando le gemelle a salire a loro volta.
 
"Copritevi con i plaid, sta scendendo il freddo" raccomanda loro Jay, prima di spalancare la portiera ed accomodarsi sul sedile del guidatore. Accanto a lei, Lottie e Fizzy stanno spazzolandosi i capelli a vicenda.
 
Louis esclama un assenso e, facendo attenzione a non sballottare troppo Daisy, accoccolatagli in grembo, sistema un'ampia coperta sul proprio corpo e su quello della sorellina, così come sulla figura di Harry, seduto accanto a lui, e quella di Phoebe, in braccio al riccio.
 
"Freddo?" si assicura poi, proprio mentre la mamma mette in moto il furgoncino.
 
"No" pigola Daisy, nascondendo il nasino alla francese sul suo collo. Louis le appoggia una mano calda sulla schiena.
 
"Phoebe? Harry?" continua il suo elenco.
Entrambi scuotono la testa, e Louis morde un sorriso nel vedere Phoebe appallottolarsi a sua volta sul corpo di Harry.
 
Con le schiene appoggiate saldamente ai vecchi sacchi che Jay ha sistemato da tempo contro la cabina di guida, tutti e quattro prendono durante il viaggio ad intonare le canzoni più allegre che conoscono. Persino Jingle Bells, sotto le minacce di Daisy.
 
Il sole non splende assolutamente in cielo, nuvoloni aggressivi danzano sopra le loro teste, ma quando Harry, senza farsi vedere, da sotto le coperte gli sfiora con un dito il dorso della mano, Louis si sente al caldo come se i raggi gli si fossero infilati direttamente sotto pelle.
 
Il vento porta lontano le loro voci non tanto intonate e, dopo aver intrecciato la mano a quella di Harry, Louis inizia a provare una sorta di potere nei confronti delle collinette ondulate che il furgone si sta lasciando alle spalle.
 
 
**
 
 
Louis nota sbigottito che a Harry, la messa piace davvero.
 
Se lui, infatti, così come la maggior parte delle persone riunite in quelle panche troppo fredde, si alza e si risiede con fare meccanico, o è costretto a nascondere il più delle volte uno sbadiglio dietro il libretto delle preghiere, Harry partecipa con sconcertante piacere alla messa.
 
Di sottecchi, Louis lo vede intonare accorato i salmi, o ascoltare con occhi completamente luccicanti di interesse le parole strascicate e a momenti quasi urlate del vecchio prete.
 
Nonostante ciò, Louis non può proprio fare a meno di esalare un verso sgomento quando, nell'arrampicarsi nuovamente sul cassone del furgoncino alla fine della messa, "Sono così felice di essere venuto con voi" trilla Harry, il ritratto della contentezza.
 
"Ma sei serio?" Louis scuote la testa, e solleva le sorelline di sei anni da sotto le ascelle per farle salire sul cassone.
 
"Certo che sì!" tuona Harry, sistemandosi Phoebe in grembo, "È stata una delle esperienze più intriganti della mia vita".
 
Louis sbuffa una risatina dal naso, ma riprende il discorso solo quando mamma Jay torna a guidare verso casa.
 
"Andare a messa è noioso" taglia corto, il tono secco e le mani intrecciate sulla pancia calda di Daisy.
 
Harry gli scocca un'occhiataccia e "Non è vero" nega. "Innanzitutto," riprende immediatamente, "La chiesa è un posto spettacolare. La conformazione dell'ambiente, quelle vetrate colorate... gli arazzi e persino le panche. Uno dei luoghi più magici al mondo" commenta.
Louis evita di fargli notare il paradosso di accostare un ambiente religioso alla magia.
 
"Poi," Harry alza un dito, gli occhi vispi e attenti, "Tutta la storia di Gesù è interessantissima. Meravigliosa" quasi sospira.
 
"Meravigliosa?" ripete Louis sconcertato, proprio quando Phoebe, "Ma gli mettono dei chiodi dentro le mani! È una cosa bruttissima!" interviene, il visino bianco come un cencio da dove emerge dal plaid scozzese che il fratello le ha avvolto intorno al corpo.
 
"Phoebe ha ragione," commenta Louis all'istante, "Dio ha fatto morire Gesù solo perché siamo tutti degli orribili peccatori" aggiunge, annuendo leggermente tra sé e sé.
 
Harry si volta appena-appena verso di lui.
 
"Pensi sia vero?" e adesso è lui a guardarlo come se avesse proferito chissà quale assurdità.
 
"È scritto nella Bibbia, Harry" risponde Louis, quasi senza parole, gli occhi spalancati.
 
Harry muove la testa da destra verso sinistra.
 
"Buffo, vero?" parla con voce intrisa di miele, "Voi dovete crederci, e vi sembra orribile. Io non devo crederci, e penso sia una storia bellissima" conclude, quasi sognante.
 
"Ma devi credere alla Bibbia, Harreh!" sussulta Daisy, guardandolo come se fosse un animale bizzarro scappato dallo zoo.
 
"Perché?" le domanda Harry, la voce calma e propensa al confronto. Forse è una delle qualità che Louis apprezza maggiormente in lui. È sempre disposto ad ascoltare opinioni differenti, e Louis non pensa lo vedrà mai cercare di costringere qualcuno a cambiare idea e ad adattarsi a quello che, invece, pensa lui.
 
"Perché se non si crede alla Bibbia, quando si muore si viene dannati da Dio e si va all'Inferno" replica all'istante Daisy, gli occhioni blu ancora più grandi, se possibile.
 
Harry emette un verso sgomento. Subito, punta gli occhi, ora un po' più seri, su quelli di Louis.
 
"Ma dove le ha sentite queste cose?" si confronta con lui, rivolgendoglisi come se lo volesse accusare di aver commesso un'ingiustizia nei confronti della sorella.
 
Louis quasi avvampa, ma quando Daisy gira il visetto verso di lui, chiedendogli con voce stridula un "È vero, no, Lou? Dio ti manda all'Inferno se non credi nella Bibbia, vero?", non può fare a meno di annuire.
 
È quello che pensa anche lui, d'altronde. Glielo hanno indottrinato nella testa sin dai tempi della scuola materna.
 
"Sì," borbotta, spostandosi un ciuffo dispettoso di capelli dalle ciglia, "Direi di sì".
 
Sobbalza leggermente quando Harry gli lancia un leggero spintone sulla spalla.
 
"Ma taci!" ride il riccio, "Scommetto che non l'hai nemmeno letta, la Bibbia".
 
"Certo che l'ho letta, invece!" si difende istantaneamente Louis, scoccandogli una linguaccia. Harry inarca un sopracciglio.
 
"...Un pezzettino" ammette allora Louis, gonfiando le guance. Si scioglie in un ampio sorriso l'attimo in cui la risata argentina di Harry si disperde nell'aria.
 
Sistema quasi distrattamente la coperta morbida intorno al corpicino un poco tremante di Phoebe, prima di scostarsi dei ricci dalla fronte e sollevare nuovamente lo sguardo su di Louis.
 
"Okay. Però non credo che Dio vada in giro a mandare la gente all'Inferno" enfatizza, la voce sicura.
Louis appoggia stancamente la nuca su uno dei sacchi di iuta.
 
"In effetti" inizia a dargli ragione.
 
Ghigna quando la mano di Harry scivola ancora sotto la coperta, questa volta per catturargli una coscia e fargli il solletico.
Louis rotola il viso alla sua sinistra, regalandogli un sorriso radioso.
 
È fin troppo facile ignorare la vocina ansiosa di una delle gemelle, quando davanti a sé ha un tale raggio di sole. È suo.
 
"Ma Harreh," sta insistendo la bimba, "E se muori? Cosa succede se muori?".
 
 
**
 
 
Non ha idea se l'idea sia partita da lui stesso, o da Harry, o da entrambi, sta di fatto che, adesso, Louis sta correndo a perdifiato sotto la pioggia con quello che è pienamente convinto sia la persona che più preferisca al mondo.
 
L'acqua colpisce impietosa le loro teste ed i loro corpi, li bagna sin dai capelli fino alle dita dei piedi. Non aiuta il fatto che entrambi si stiano spingendo a vicenda, finendo con il caracollare con le lacrime agli occhi dal troppo ridere dentro pozzanghere fangose o fili d'erba inclinati verso il basso da tanto sono zuppi.
 
"Aiutami, Riccioli D'Oro" urla sconfitto Louis, steso a terra come crocifisso, la pioggia che gli bagna ogni più piccolo centimetro di pelle. Harry torreggia su di lui, i piedi nudi intorno ad i suoi fianchi. Ha le braccia incrociate ed un sorriso pestifero sulle labbra luccicanti.
 
L'impermeabile giallo limone che ha addosso, si staglia prepotente nell'oscurità. In realtà sono solamente le sette di sera, ed è anche una giornata di fine aprile, ma la pioggia aggressiva ed i nuvoloni cancellano qualsiasi parvenza di luce.
 
"Dai, topino" mugugna allora Louis, sghignazzando quando Harry finge di calpestargli la pancia a causa del nomignolo smielato. Louis tende le mani bianche verso le sue e "Aiutami ad alzarmi. Non mi sento bene" gioca la carta della debolezza improvvisa. Sa quanto Harry sia perennemente, e senza motivo, preoccupato per lui.
 
Infatti, Harry, la fronte aggrottata, si abbassa immediatamente, intreccia le loro dita e lo aiuta ad alzarsi da terra. Louis fa una gran scena, finge di barcollare e di rabbrividire violentemente. Sorride segretamente e con enorme soddisfazione quando Harry lo abbraccia forte-forte, e gli preme un bacio caldo sulla fronte, sulla punta del naso e sulla piccola costellazione di lentiggini che ha sulla guancia sinistra.
 
Lo fa sempre da quel giorno a Terabithia, è diventata una sorta di usanza tra di loro. A Louis piace di più di quanto possa essere considerato normale.
 
"Che ne dici di andare a casa mia, mh? È la volta buona che prendiamo entrambi la bronchite, altrimenti" mormora Harry, quando finalmente le loro bocche si toccano. Louis annuisce subito, e gli avvolge delicatamente le guance prima di appoggiargli un altro bacetto sulle labbra schiuse.
 
"Avevo già avvisato mamma di questa possibilità. Sei prevedibile, Harold. Riesco ad anticipare ogni tua mossa" gli svela pestifero Louis, mordendogli giocosamente il naso prima di iniziare a correre verso la casa di Harry.
 
Il riccio lo raggiunge all'istante e "Ah, sì? Allora ti stupisco: non ti voglio più. Tornatene pure a casa tua" replica, fintamente altezzoso.
 
"Sai, saresti più credibile se non stessi sorridendo come uno scemo".
 
"Ti odio".
 
"Idem". È il turno di Louis di ghignare talmente tanto da sentirsi gli zigomi pizzicare.
 
Non appena entrano in casa, Principe Terrien accoglie entrambi con un piccolo abbaio, iniziando, in più, a saltellare sulle loro ginocchia.
Louis gli molla gentilissime pacche sulla testolina, per poi scoccargli una linguaccia e prendere ad incamminarsi verso la stanza di Harry.
 
"Lou, se riesci a dire al primo colpo, senza sbagliare, Se l'arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescoviscostantinopolizzasse, vi disarcivescoviscostantinopolizzereste voi come si è disarcivescoviscostantinopolizzato l'Arcivescovo di Costantinopoli? puoi pure essere il primo ad entrare in bagno a lavarti" gli fa sapere Harry mentre salgono le scale.
 
Louis si volta verso di lui, gli occhi assottigliati e la bocca già schiusa per raccogliere prontamente la sfida.
 
Ed è così che si ritrova, bagnato come una vergine toccata per la prima volta, steso nel pavimento in legno della camera da letto.
 
"Stronzo" dice ad alta voce, il sorriso che gli spacca le labbra, mentre ascolta l'acqua della doccia che scorre ed una voce cantare con volume ed allegria esagerata.
 
Una mezz'ora più tardi, sono entrambi stesi sul letto matrimoniale di Harry, le ginocchia rannicchiate al petto ed i nasi premuti l'uno contro l'altro. Non sono sotto le coperte, ma la doccia praticamente appena fatta ed il calore emesso dalla stufetta rossa accanto alla porta sono sufficienti a non far venire loro i brividi.
 
Harry è a petto nudo, con dei pantaloncini di cotone che gli arrivano a metà coscia ed un paio di calzettoni decisamente fuori stagione, se le stampe delle renne ed i pupazzi di neve possono essere di qualche indicazione.
 
Louis gli ha rubato dall'armadio, tinto malamente di blu, una t-shirt violetta e degli shorts comodissimi, dal tessuto color gelato al fiordilatte. Ha i piedi nudi, e si diverte a sfregare le dita sui disegni delle calze di Harry.
 
Il riccio libera dalla bocca tanti piccoli e acuti Ahi, mi hai fatto male, sarò una renna ma questo non significa non abbia emozioni. Louis ride dentro le sue labbra, e gli stropiccia ancora di più le calze.
 
Lentamente, smette di stuzzicarlo, e fa scivolare i piedi, adesso un po' freddi, tra gli stinchi affusolati di Harry.
Non parlano più, ora, sono troppo presi a baciarsi e a toccarsi a vicenda i capelli, le guance, il collo, le spalle.
 
Louis gli accarezza la punta della lingua con la propria, prima di scostarsi e guardarlo fisso negli occhi.
Senza dire una parola, anche Harry prende ad osservarlo, la mano che scivola, secondo dopo secondo, lungo la sua schiena.
 
Louis si lecca gentilmente la bocca, e gli strofina la pianta del piede sul polpaccio, abbassandogli la calza fino alla caviglia.
Se possibile, punta ancora di più le pupille dentro le sue, quando Harry fa scivolare il palmo sotto la maglietta e gli traccia con le dita la pelle nuda del basso della schiena.
 
"Posso?" sussurra il riccio, massaggiandogli l'osso sporgente del bacino con il pollice.
Louis si pizzica il labbro inferiore con gli incisivi. Annuisce.
 
Il fruscio che emette il lenzuolo quando Harry gli si avvicina ancora di più, è talmente assordante. Nel silenzio quasi fastidioso della stanza, risuona come il peggiore dei frastuoni.
 
Harry è delicato quando gli abbassa i pantaloncini, lo fa con una lentezza che sa di disarmante, addirittura spende secondi interi ad accarezzargli la pelle nuda; ma Louis non riesce a smettere in ogni caso di tremare.
 
"Ehi" Harry se ne accorge, ovviamente, e si ferma. Gli risolleva i pantaloncini. Louis se li riabbassa con fare quasi stizzito, per poi far scattare una mano sulla sua.
 
Gli stringe le nocche e "Scusami" mormora. Persino la lingua gli trema.
 
"Non dobbiamo fare niente che tu non voglia" lo rassicura Harry, gli occhi fermissimi ma gentili. Louis deglutisce, e punta lo sguardo sul suo collo. Rafforza la presa sul dorso della sua mano.
 
"Io. Io," balbetta, e vorrebbe solo non essere fatto in questo modo, "Io lo voglio fare. Cioè. Non quello" arrossisce sulle orecchie. Pensa gli cadranno, da tanto le sente bollenti.
Harry annuisce subito, comprensivo.
 
"Certo, stai tranquillo. Non voglio affrettare niente. È una cosa importante, non mi piace che tu possa pensare che io voglia strapparti immediatamente via ogni parvenza di innocenza".
 
A quello, Louis sbuffa una risata. Si allunga per strofinargli il naso sulla guancia.
 
"Sono sempre più convinto che tu non sia reale. Ammettilo che sei uscito fuori da un libro" sussurra,
sentendosi gli occhi pesanti.
Harry non gli risponde, ma Louis sente comunque un sorriso dare vita alle sue labbra a cuore.
 
"Voglio che ci parliamo chiaro e tondo, noi due, va bene?" comincia, accarezzandogli la schiena come se fosse un gatto.
Louis annuisce e "Okay" conferma.
 
"Non ti devi sentire in imbarazzo, capito?" Harry mette le mani avanti.
Louis arrossisce in ogni caso sulle guance ma "Capito" dichiara, affondando ancora di più la punta del naso sulla sua guancia.
 
"Noi due non faremo l'amore. Non stasera, intendo" inizia Harry, senza mai smettere di carezzarlo dalla nuca fino alle fossette di Venere, ancora celate dalla maglietta.
 
Louis avvampa al solo pensiero e, dannazione. Si detesta.
 
"Tu lo hai mai fatto?" non riesce ad evitare di chiedergli.
 
"Sì," risponde senza problemi Harry, "Ho perso la verginità un paio di anni fa".
Louis si scosta all'istante da lui.
 
"A quattordici anni?" esclama, sentendosi un po' un perdente.
 
Lui ha quasi sedici anni e mezzo, e fino a qualche mese fa non aveva nemmeno mai baciato nessuno.
 
"Sono stato abbastanza precoce" ammette candidamente Harry. "Ma so a cosa stai pensando, e non voglio che tu ti senta, che ne so, inferiore" la sua voce è dolce come il cioccolato fuso, e la sua mano è sempre lì a strofinargli la colonna vertebrale.
 
"Un po' difficile non farlo" borbotta Louis, tornando a nascondere il viso sul suo collo.
Harry ferma le carezze.
 
"Ti dico che non devi sentirti così. Siamo tutti diversi. Non ti devi basare su quello che fanno tutti, sugli standard che ti impone la società" lo riprende, sempre gentile ma quasi, allo stesso tempo, arrabbiato.
 
Quando Louis non dice niente, Harry sospira e "Mia sorella Gemma ha dato il suo primo bacio solo poco tempo fa, a ventun'anni" gli confida.
Louis quasi sussulta, sentendosi subito dopo immensamente in colpa.
 
"Ma non per questo è una sfigata" conclude gentilmente Harry, spazzolandogli via un capello dispettoso dalla tempia.
 
"Non penso sarebbe contenta di scoprire che vai in giro a dire le sue cose" farfuglia Louis in risposta, in mancanza di altro da dire. In mancanza della voglia di dire altro.
 
"Non sei mica una persona qualunque, tu" Harry liquida la faccenda con un occhiolino che Louis riesce a vedere persino nella penombra.
 
"Mh" si limita a mugolare qualcosa di indefinito e a premergli un bacio sotto l'orecchio.
 
"Cosa stiamo per fare, quindi?" poi si fa coraggio e, semplicemente, glielo chiede.
 
"Sempre l'amore, ma in modo diverso" replica Harry, prendendogli il viso e baciandolo caldamente sulle labbra.
 
"A volte penso che tu sia più grande della tua età. Non mi sembri affatto un sedicenne" gli rivela Louis, dopo che uno schiocco si libera tra di loro.
 
"Perché dici così?" mormora Harry, strofinando i loro nasi insieme. Pigramente, dolcemente.
 
"Sembri sempre così sicuro di te" risponde Louis, le labbra schiuse. Harry gli accarezza la tempia destra con il polpastrello del pollice, fissandolo in silenzio.
 
"La parola chiave sta in quel Sembri" ribatte finalmente, lanciandogli un sorriso timido.
Louis aggrotta la fronte.
 
"Puoi parlarmene, se c'è qualcosa che ti turba".
 
"Lo so".
 
"Quindi?" Louis lo guarda con gli occhi carichi di aspettative, "C'è qualcosa che ti turba?" torna alla carica, quando Harry lo fissa senza capire.
 
"Al momento il mio unico problema è come chiederti se possiamo masturbarci a vicenda senza sembrarti un maniaco sessuale" ride.
 
Louis grugnisce, le guance che gli si scaldano di almeno dieci gradi.
 
"Ti odio," informa Harry, mordendogli il collo, "Non mi sono mai sentito più in imbarazzo di così" geme.
 
"Esagerato" i risolini di Harry gli si infilano dritti dritti nelle orecchie. Louis sorride.
 
"La parola masturbazione è così volgare" sussurra, le guance ancora tinte di vergogna.
 
"Penso che dire Farsi una sega sia ancora più volgare" commenta Harry, sempre con quel tono da diplomatico. Louis sbuffa nuovamente.
Poi, gli pungola il petto con l'indice affilato.
 
"Tu che sei intelligente, per caso non è che sai il francese?" gli chiede improvvisamente, "Ho sempre pensato che parlare di sesso fosse eccitante e non imbarazzante solo in quella lingua" aggiunge successivamente, a mo' di spiegazione.
 
Harry gli bacia il naso.
 
"Punto primo, sei intelligente anche tu. Seconda cosa, ouibien sûr".
 
Louis non è fiero del mezzo gemito che gli sfugge dalla bocca.
 
Pensa di poter venire l'istante in cui Harry gli circonda l'erezione da sopra il tessuto corroborante dei boxer. Neanche si era accorto di avercelo duro. Non che sia stupito, però.
 
"Est-ce que je te peux branler?" mormora Harry, arricciandogli le dita intorno, affondando piano i polpastrelli.
 
"Non ho capito un cazzo, ma fai quello che ti pare" ansima Louis, gli occhi strizzati. Il tuono di risata che emette Harry alla sua uscita dovrebbe smorzare l'atmosfera, eppure.
 
"Vieni più vicino" mormora poi, e chi è Louis per disobbedirgli?
 
Appoggia la tempia sullo stesso cuscino dove è adagiata la testa di Harry, e socchiude gli occhi quando il ragazzo gli sfila del tutto, lento ma deciso, i pantaloncini, abbassandoglieli fino al livello delle caviglie. Ci pensa Louis a scalciarli via, poi.
 
Harry gli bacia lo spazio tra naso e bocca, e lo spoglia anche dei boxer, spingendoglieli lungo le cosce cosparse di pelle d'oca.
 
Louis si morde il labbro quando sente il proprio pene sdraiarglisi sulla pancia. Non ha il coraggio di abbassare lo sguardo.
 
"Sei così bello" ansima Harry, prendendosi un attimo per guardarlo da capo a piedi prima di avvolgergli l'erezione in un pugno. Louis pensa che gli si staccherà la testa dal collo da tanto sta arrossendo.
 
"Tranquillo," sussurra Harry sulle sue labbra schiuse, "Sei bello" ripete in seguito, sconnesso.
Louis inspira dal naso, e allarga di riflesso le cosce.
 
"Possiamo," ha la gola secchissima, "Farlo a vicenda?" riesce a chiedergli infine, guardandogli l'inguine. Basta un'occhiata al rigonfiamento negli shorts del riccio, per fargli salivare abbondantemente la bocca.
 
In qualche modo, Harry riesce a denudarsi senza privarlo della sua mano.
 
"Ti aiuto?" gli chiede gentilmente il ragazzo, nel vederlo fissare con fare quasi allibito il suo membro.
 
Louis scrolla il capo all'istante.
 
"Sarò un vergine, ma non sono così ignorante in materia," sbuffa, "Mi ero solo incantato".
 
Le risatine di Harry cessano l'attimo esatto in cui Louis gli stringe l'erezione.
 
"Preferisci piano o veloce?" gli domanda Louis, la mano che gli sta già lasciando lente e piccolissime carezze, sollevando ed abbassando la pelle sensibile che gli ricopre il glande.
 
Harry apre un po' la bocca, guardandogli le labbra per fargli capire di volere un bacio. Louis non esita.
 
"Lentamente, per favore" lo istruisce allora, direttamente tra uno schiocco bagnato ed un altro.
Louis geme piano, e prende a masturbarlo senza mai smettere di baciargli la bocca calda.
 
Non si è mai sentito così; non ha mai provato un piacere tanto travolgente, bollente. È talmente eccitato da sentire lacrime calde affluirgli agli occhi. Non ha mai pensato che sensazioni simili potessero essere reali.
 
Louis geme per i baci che gli dà Harry e per quelli che lascia lui stesso a Harry, per la mano di Harry e per la sua stessa mano intorno a Harry, per i versi di Harry e per i mugolii che Harry gli fa emettere. Una sorta di circolo vizioso senza fine.
 
Harry, Harry, Harry. Pensa che, in questo momento, il nome del ragazzo sia l'unica parola archiviata nel proprio cervello.
 
"Cosa" bisbiglia quando Harry mormora qualcosa sulla sua bocca schiusa.
 
Harry gliela bacia quasi pigramente prima di "Mio" gemere, succhiandogli piano il labbro inferiore.
Louis sussulta sulle sue labbra, e lo massaggia più rapidamente.
 
Si lecca con difficoltà la bocca, colpendo con la punta della lingua il labbro superiore di Harry, e "Sì," sussurra all'istante, "Tuo" lo bacia, il petto che gli si alza e abbassa troppo veloce.
Harry gli avvolge una guancia bollente con la mano libera e "Mio" ripete con voce spezzata, facendoglisi impossibilmente più vicino e affrettando il ritmo del pugno.
 
Louis dilata le narici, il bacino che scatta per conto suo in avanti. Non pensa di avere più potere su una singola parte del suo corpo.
 
"Tu me rends fou" gli rende noto Harry, stringendo un po' di più le dita intorno a lui ed ondeggiando a sua volta i fianchi.
 
Louis schiaccia il naso sul cuscino, nonostante non riesca più a respirare come si deve. Strizza gli occhi, un piccolo ansito acuto che gli esce incontrollato dalle labbra.
 
"Sei vicino, Lou?" anche Harry sta respirando affannato, e Louis pensa che pure il suo fiato sia in grado di fargli ribollire il sangue ed accelerare il battito cardiaco.
 
"Sì" pigola, la voce distrutta. Ne è quasi spaventato.
 
Harry non gli dice altro, si limita a massaggiarlo più veloce, sempre più veloce. Louis quasi si sente in colpa per i movimenti della propria mano, che in confronto a quelli di quella del ragazzo sono inesistenti. È che non ce la fa. Si sente troppo sopraffatto per fare qualsiasi cosa.
 
Harry articola un verso quasi sofferente, e smette di baciarlo. Louis prova a fare il lavoro per entrambi, gli succhia con paradossale pigrizia il labbro inferiore.
Mosso più dall'istinto che da altro, glielo mordicchia.
 
"Lou" geme Harry, gli occhi completamente neri dal piacere.
 
Louis spinge la punta del naso contro quella del ragazzo, ed affretta all'inverosimile i movimenti della mano.
Harry affonda i denti sul suo labbro, prima di venir colto da un piccolo spasmo. Sospira tremulo direttamente dentro la bocca schiusa di Louis, ed ondeggia i fianchi in ritmici scatti.
 
Louis sente la propria mano improvvisamente fradicia, ed alla sensazione calda che gli scivola sulle dita non può fare altro che gemere un po' più rumoroso.
Harry lascia cadere la testa sul cuscino e "Louis" sussurra semplicemente, gli occhi chiusi e le labbra rosse stirate in un sorriso soddisfatto.
 
"Harry" lo chiama a sua volta Louis, lasciando la presa su di lui per stringergli, invece, la mano intorno alla propria erezione disperata.
 
Harry riprende quindi a massaggiarlo con vigore e, in qualche maniera, gli accarezza il dorso della mano con il pollice. Louis sente una dolcezza enorme farsi largo dentro di sé, nonostante la situazione passionale.
 
Harry gli posa un bacio prolungato sulla gola e a quello, semplicemente, Louis viene.
 
"Bravissimo" sorride pigro Harry, senza smettere di accarezzarlo. Louis sussulta, sente di non avere neanche un centimetro di corpo non sensibile.
 
Sporca le loro mani, ed anche le coperte. Si sentirebbe leggermente mortificato, se non fosse che Harry si allunga subito su di lui per baciarlo con languore.
 
Louis gli cinge il collo con i polsi un po' bagnati ed abbassa immediatamente le palpebre stanche, rispondendo senza esitazioni al bacio.
 
Vorrebbe veramente non doversi mai staccare da lui.
 
 
**
 
Louis conosce veramente la gelosia a sedici anni e sei mesi.
 
Sta frugando con dita attente dentro il cassetto disordinato del piccolo comodino di Harry, alla ricerca di un'ampolla di smalto.
 
Ha da poco scoperto che guardare Harry tingersi le unghie, è una delle cose che più preferisce al mondo. È così rilassante.
 
Harry è concentrato quando fa scorrere il pennellino sulla cheratina levigata, ma allo stesso tempo ha la postura morbida e affatto rigida. A Louis piace appoggiare il mento sulla sua spalla ed osservarlo lavorare silenziosamente, sprofondare il naso contro la sua mandibola e solleticargli la pelle con le ciglia.
 
Harry gli ha proposto più volte un "Posso metterti lo smalto, Lou?", ma, per ora, Louis ha sempre rifiutato.
Tuttavia, se si conosce bene --e se conosce bene Harry-- sa già che, più presto che tardi, cederà.
 
Al momento, però, si limita a scegliere il colore per lui, oppure a stendergli lo smalto al posto suo.
 
Adesso Harry è in bagno e, prima di chiudere la porta, "Oggi o verde acqua o verde bottiglia o rosa pastello, decidi bene" lo ha istruito.
 
Quindi, Louis sta ravanando dentro il cassetto pieno di cose. Per ora, le sue mani hanno incontrato cinque boccette di smalto --nessuna di quelle nominate da Harry--, una foto in bianco e nero dei nonni in Giappone, un rametto secco d'ulivo, almeno una dozzina di elastici per capelli, una colla aperta, una stilografica mezza rotta, un plico di lettere. Un plico di lettere?
 
Louis si getta uno sguardo dietro le spalle e, mordendosi il labbro, lo accarezza con le punte delle dita.
È sempre stato curioso. Troppo.
 
Louis rizza le orecchie per capire se Harry sia ancora in bagno o meno, e per sicurezza sporge il collo all'indietro per vedere se il ragazzo sia nei paraggi.
 
Estrapola dal comodino le buste pesanti, tenute insieme da un cordoncino rosso, attento a non sgualcirle. La carta della prima busta è semplice, dalla sfumatura giallognola.
 
E Louis, in preda ai sensi di colpa, sta già per rimettere tutto a posto, lo potrebbe giurare sulla vita delle sorelline --si sente male all'idea di infrangere così beatamente la privacy di Harry--, ma poi nota una serie di scritte.
 
Aggrotta immediatamente la fronte.
 
Passa un pollice su quell'Amore, mi manchi così tanto scribacchiato sotto il nome di Harry e la via della casa, con la speranza di vederlo scomparire.
 
Louis deglutisce, una strana sensazione intorno alla gola. Il francobollo è di Londra, ed intorno al quadratino colorato vi è tracciata una data, nella stessa calligrafia dell'altra scritta.
 
Trentuno maggio 1989. Due giorni fa.
 
Louis corruccia maggiormente la fronte. Deve esserci una spiegazione. È sicuramente tutto un malinteso. Harry non--
 
"Cosa stai facendo?" una voce fredda ma allo stesso tempo frenetica riempie la stanza silenziosa. Louis sobbalza violentemente, il plico di lettere gli scivola via dalle mani, atterrando malamente a terra.
 
"Io, io" balbetta, cadendo immediatamente sulle ginocchia per raccogliere le buste. Gli tremano tantissimo le falangi e, sotto lo sguardo perforante di Harry, Louis si sente le guance andare a fuoco.
 
"Louis," una mano forte lo afferra per il braccio e lo tira su come se non pesasse niente, "Perché ti sei messo a curiosare tra la mia roba? Come ti sei permesso?" lo affronta Harry, stringendo la presa. Louis emette un piccolo verso ferito e "Non volevo, okay? Non l'ho fatto a posta!" blatera, in completo imbarazzo. Oltre alla vergogna per essere stato colto in fragrante, è anche arrabbiato. Deluso. Confuso.
 
"Ah, quindi quelle buste si sono momentaneamente incollate per sbaglio alle tue dita, mh? E stavi per aprirle senza rendertene conto?" sbotta Harry, il viso a pochi centimetri di distanza dal suo.
 
Louis si morde con forza gli interni delle guance, lo sguardo basso e le guance che gli diventano sempre più rosse attimo dopo attimo.
 
"Ti sembra corretto da parte tua?" torna alla carica Harry, la voce sempre tinta di una buona dose di agitazione.
 
"E a te sembra corretto illudermi? Stare con me quando stai già con qualcun altro?" esclama con voce rotta Louis, le lacrime che gli ballano feroci negli occhi senza preavviso.
 
Harry dopo un paio di secondi di pausa, passati ad osservarlo con una smorfia triste sul viso, inaspettatamente lo abbraccia. Forte ma tenero.
 
"Scusami," mormora, infilandogli una mano sotto la maglietta per carezzargli la schiena nuda e bollente, "Scusami, Lou. Piccolo. Piccolo, ti giuro che non è come sembra" Harry lo sta stringendo così forte che Louis giura di sentire la propria colonna vertebrale scricchiolare.
 
Il castano tira energicamente su con il naso e "Non volevo frugare. Scusami," mugola, "Però mi viene da vomitare, ora. Mi viene tanto da vomitare. Non capisco, non riesco a capire" sussulta, accartocciando le dita sulle spalle di Harry.
 
Il riccio gli avvolge il viso tra i palmi, e gli appoggia i soliti tre baci sul volto: sulla fronte, sulla punta del naso e sulle lentiggini della guancia sinistra.
 
"Sono lettere del mio ex. Lui mi scrive ancora, ed anche piuttosto spesso, nonostante ci siamo lasciati quasi un anno fa. Giuro che non gli rispondo mai. L'ho fatto solo una volta, quando ho ricevuto la prima lettera, e solo per dirgli di lasciarmi in pace" spiega con voce calma ed intrisa di sincerità.
 
"Dimmi come si chiama e dove abita, che gli spacco la faccia" farfuglia Louis, ridacchiando bagnato quando Harry gli soffia una risatina sulle labbra. Sa di sembrare un patetico e ridicolo criceto gonfio, in questo momento, con le guance schiacciate tra le dita di Harry e le ciglia attorcigliate dalle lacrime non ancora scese.
 
Harry gli appoggia un breve bacio a stampo sulla bocca schiusa e "Non ce n'è bisogno, Lou. Giuro che per me lui non esiste. Non mi ricordo quasi più che faccia abbia" prova a rassicurarlo.
 
"Perché non mi hai detto che ti perseguita" Louis tira nuovamente su con il naso, e scioglie all'istante la rigidità delle spalle.
 
"Non lo so. Forse perché non mi piace l'idea di parlare di lui con te. Non lo so" balbetta Harry, un sorriso finto sulle labbra e la testa chinata leggermente verso destra.
 
"Quand'è stata la prima volta che hai ricevuto una sua lettera?" è quasi di vitale importanza per Louis saperlo.
Harry si morde un labbro con fare pensieroso.
 
"Penso a fine febbraio?" dice un po' tentennante.
 
"È stato quando ti eri tagliato, lì a Terabithia?" si informa Louis, gli occhi assottigliati.
Harry annuisce silenziosamente, ed il castano sente nella mente come il suono di una serratura che finalmente, dopo mesi e mesi di tentativi, si sblocca.
 
"Come si chiama" pretende di sapere allora Louis, la bocca stirata in una linea dura.
 
Harry lo squadra da cima a piedi prima di "Xander" arrendersi e rispondergli.
 
"Che nome di merda," è la prima cosa che commenta Louis, "Giurami che non mi tradisci con lui. O con chiunque altro" è la seconda.
 
Harry strofina il naso contro il suo e "Te lo prometto su Anne. Su Des e Robin. Su Gemma. Su Terabithia e su Principe Terrien" sussurra, gli occhi fissi dentro i suoi azzurri e acquosi.
 
Louis deglutisce e "Ci sono solo io" ansima, modellando insieme le loro bocche. Harry non perde tempo e gli lecca la lingua caldissima con languore.
 
"Ci sei solo tu" ripete, gemendo pianissimo e spalmando ancora di più il petto su quello del castano.
 
"Xander non conta niente" Louis gli morde con forza il labbro, prima di lenirglielo con la saliva.
Harry ride dentro la sua bocca e "Xander non conta niente" gli fa eco, baciandolo ad ogni parola.
 
Louis gli infila lentamente una mano dentro i pantaloncini, ed è come se le dita gli si muovessero per conto loro.
Harry si stacca da lui, gli occhi ben aperti e le labbra rossissime schiuse.
 
"Chiudo la porta?" bisbiglia, prima di baciarlo ancora una volta.
Louis annuisce, sentendosi crescere dolorosamente tanto dentro gli slip.
 
Osserva Harry avanzare verso la porta, e pensa che se starà ancora un secondo di più in piedi, le gambe gli cederanno. Barcollando, indietreggia, quindi, fino al letto.
 
Accoglie a braccia aperte Harry, non perdendo tempo prezioso ed accarezzandogli subito il contorno delle labbra con la lingua.
In qualche modo si mette seduto sul materasso, con Harry in grembo. Il riccio gli sta avvolgendo i fianchi con le cosce, ed ha i polsi mollemente abbandonati intorno al suo collo.
 
Louis non è in grado di pensare, ma sa che è quello che vuole quando toglie la maglietta a Harry, sfilandogliela goffamente dalla testa e buttandola su uno dei cuscini.
 
Harry lo stordisce; con il profumo che emana la sua pelle, la morbidezza dei suoi capelli e l'intensità dei suoi baci. Con la costanza delle sue mani lisce e la determinazione delle sue labbra calde.
 
Guidato dall'istinto, Louis fa scivolare una mano dentro i suoi pantaloncini, sotto i suoi boxer, gli accarezza esitante ma paradossalmente determinato i glutei morbidi e nudi.
 
Harry si separa nuovamente dalle sue labbra.
Louis lo fissa per bene negli occhi quando fa sprofondare lentamente un dito tra le sue natiche.
Gli strofina il polpastrello sull'entrata, attento a non cedere alla voglia di penetrarlo subito.
 
Le ciglia di Harry sfarfallano, come se il ragazzo volesse solo abbassare le palpebre ed abbandonare la fronte sulla sua spalla. 
Louis deglutisce, si umetta le labbra, e continua ad accarezzargli la pelle grinzosa e sensibile, inizia ad esplorarla e a conoscerla.
 
Infila giusto-giusto la punta del dito, massaggia lo spazio strettissimo con una delicatezza che non sapeva di avere.
Harry respira tremante e torna a baciarlo.
 
I sospiri che abbandona dentro la sua bocca, Louis se li ricorderà per sempre.
 
 
**
 
 
Louis sa di avere molti difetti.
 
È orgoglioso, testardo, lunatico, spesso appiccicoso, ancora più sovente fin troppo sarcastico.
 
Ma realizza, forse fin troppo tardi, di essere anche intimamente rancoroso. Non lo fa appositamente, ma si lega quasi tutti gli affronti subiti intorno al dito.
 
Quando pensa a quei momenti, una rabbia inizia a bollirgli tra i polmoni, prende a ricordargli tutte le sensazioni negative che, per un motivo o per un altro, ha provato.
 
Lui ci prova a non reagire in maniera passiva--aggressiva, si violenta mentalmente per costringersi ad ammettere un candido Ce l'ho ancora con te anziché chiudersi in un silenzio ostinato, sorridere e dire Va tutto bene.
 
Non va tutto bene.
 
Louis non riesce a smettere di pensare a Xander, alle lettere con cui ha tempestato e continua a tempestare Harry.
 
Inconsciamente, pensa di aver interiorizzato una parte di rancore anche verso Harry.
 
Perché non ha detto alla sua ex fiamma della sua esistenza? È evidente che Xander non sappia nulla di Louis, se continua a scrivergli.
 
Harry si vergogna forse di lui? Non è abbastanza bello, sveglio, intelligente? Non ha capelli morbidi come quelli di Xander, o occhi ridenti come i suoi? Non ha sufficiente esperienza, è troppo noioso, banale, possessore di una vita essenzialmente grigia e sciatta? È troppo poco, per far sì che Harry lo presenti in giro?
 
Louis non si è mai sentito così insicuro ed esposto, ed è perfettamente consapevole di doverne parlare con il riccio, ma. Non ce la fa.
 
Riprende persino ad ignorarlo, non come ai primi tempi ma sicuramente non in una maniera gentile. Sempre se esista un modo educato e dolce per ignorare la presenza di una persona.
 
 
**
 
 
Louis riesce a pensare Mi odio almeno diciannove volte durante questa mattinata di metà giugno.
 
È il penultimo giorno di scuola, e Louis non si è mai sentito più vuoto di così.
 
Harry si è accorto del suo comportamento anomalo dell'ultima settimana, ovviamente, ed ha anche cercato di parlargli. Più di una volta. L'ultima, cinque minuti fa, agli armadietti, nel corridoio praticamente deserto del loro liceo.
 
Harry è apparso come dal nulla, ha richiuso gentilmente lo sportello arrugginito che Louis si era incantato ad osservare e "Lou. Dimmi che succede. Parlami, mi stai facendo preoccupare" lo ha affrontato con sopracciglia corrucciate. Louis non gli ha detto cosa gli stesse mangiando il cervello, ed il perché non lo sa nemmeno lui.
 
Si è limitato a sussurrargli un "Non ho niente, tranquillo", e a baciarlo sulle labbra morbide ed al gusto di arancia. Per l'unico scopo di non farlo più parlare. Harry ha ricambiato senza insistere, e Louis, forse per la prima volta, ha odiato la sua bocca.
 
Oggi gli parli, testa di cazzo, arriva a scriversi da solo durante l'ultima lezione di algebra dell'anno.
 
"Quando finisce la scuola. Sul pullman" sussurra a se stesso con convinzione, spingendo la punta della penna sul pezzo di carta. Una macchia d'inchiostro buca il foglio, arrivando anche a sporcare il banchetto. Louis non si dà la pena di pulire.
 
Sa che Harry lo sta fissando, sente i suoi occhi bucargli la fronte, e si sente così in colpa che non riesce nemmeno ad incontrare il suo sguardo.
 
Quando suona la campanella, Louis recupera tutti i suoi libri ed il piccolo astuccio che gli ha cucito la mamma e che usa da quando ha nove anni, raggruppa tutto dentro lo zaino e si incammina ad occhi bassi verso la porta.
 
Una mano gli circonda l'avambraccio mentre ha già una gamba oltre la soglia e Louis sta già per sbuffare un "Harry" un po' scocciato quando, con la coda dell'occhio, scorge un orologio argentato sul polso che lo sta trattenendo.
 
Quasi sobbalza quando si gira e si ritrova il professor James ad una distanza personale semplicemente non accettabile.
 
Come se qualcuno avesse premuto un interruttore, Louis arrossisce violentemente.
 
Da quando sta con Harry, in realtà, non pensa all'uomo come faceva un tempo.
Ovvio, non è diventato improvvisamente cieco. Gli occhi ce li ha ancora, grazie mille, e la bellezza del suo professore non è improvvisamente appassita.
 
Louis pensa non smetterà mai di considerarlo attraente; semplicemente, la sua cotta per lui non è paragonabile ai livelli dell'inizio dell'anno scolastico.
 
"Louis, posso parlarti?" gli domanda con tono gentile Greg, posandogli una mano sulla spalla. Louis aggrotta brevemente la fronte ma, "Certo!" acconsente in uno squittio. Deve tirarsi un pizzicotto dietro la schiena. Troppo euforico, per Dio. Non fare figure di merda.
 
Rientra quindi nell'aula, seguendo il professore come un paperotto che cammina dietro alla sua mamma.
 
Non si sarebbe neanche accorto di Harry che gli sta passando accanto, se non fosse che il ragazzo lo ferma con una mano sul petto. Louis quasi sobbalza.
 
"Harry, ehi" lo saluta stupidamente.
 
"Te ne stavi andando senza neanche aspettarmi?" gli chiede deluso il ragazzo. Louis sgrana gli occhi.
 
.
 
"Ma cosa dici?" ribatte, "È che mi mancava l'aria e avevo bisogno di uscire dalla classe" mente, anche se alla fine nemmeno più di tanto. Harry sembra lottare con se stesso per non accarezzargli la guancia.
 
Louis scocca un'occhiata agitata dietro la sua spalla, verso il professor James che, apparentemente ignaro, sta appoggiando e aprendo la sua ventiquattrore in pelle sulla cattedra.
 
"Senti, Haz, devo andare adesso," liquida il suo ragazzo, "Il prof ha detto che deve parlarmi. Penso ci vorrà un po'" gli confida con voce più bassa ed occhi più sgranati.
 
Harry sposta le pupille verso il docente, e poi di nuovo su Louis. Un'ombra gli offusca gli occhi.
 
"Ti aspetto fuori?" dovrebbe essere una domanda, ma suona più come un'affermazione.
 
Di soppiatto, Louis gli infila un indice nel passante dei Levi's e "No, no," scuote la testa, "Ci vediamo a casa. O a Terabithia. Ora vai, che altrimenti perdi il pullman" gli scocca un sorriso veloce.
 
Forse ci gode un po' all'idea di rimanere solo con il professor James. D'altronde, Harry ha anche Xander. Anche Louis ha tutto il diritto di farlo ingelosire un poco, in qualche modo.
 
Una mano invisibile gli scosta i capelli dall'orecchio e Quello che dici non ha senso, gli sussurra melliflua una voce immaginaria.
 
Louis deglutisce dentro di sé e "A dopo, okay?", una volta accertatosi che il professore sta dando loro le spalle, tira a sé Harry dal passante dei suoi jeans e gli scocca il bacio più silenzioso e frettoloso che gli abbia mai lasciato.
 
In ogni caso, quando esce dalla stanza, Harry ha gli occhi leggermente tristi.
 
Il ventesimo Mi odio della giornata non tarda a rimbombare dentro la testa di Louis.
 
 
**
 
 
Non appena Harry esce dall'aula, "Louis," il professor James richiama la sua attenzione, "So che è praticamente l'ultimo giorno di scuola, ma vorrei proporti una cosa" arriva al sodo, un sorriso gentile sulle labbra rosee e gli occhi ancora dentro la sua valigetta di pelle marrone.
 
Louis si scrocchia nervosamente le nocche prima di "Mi dica?" chiedere, timido e curioso.
 
L'uomo solleva il mento nella sua direzione, ed estrae una cartellina beige dalla ventiquattrore.
 
"Ho dato un'occhiata generale ai voti che hai nella mia materia" dichiara, e Louis non può fare altro che abbassare lo sguardo, immediatamente imbarazzato.
 
È vero, da quando la cattedra di matematica è presieduta dal professor James, Louis si è impegnato e si è sollevato le maniche per studiare e capire le varie nozioni.
 
Ciò non significa che sia sempre riuscito ad ottenere valutazioni brillanti. In geometria ed in statistica, per esempio, non arriva decisamente alla sufficienza piena.
 
"Del mio corso, solo tu, il signor Wright e la signorina Swift non avete un voto completamente positivo," continua il professore, appoggiando una manciata di fogli sul tavolo, "Mi chiedevo se saresti disposto a svolgere un test a sorpresa per provare a migliorare la tua situazione nella mia materia?".
 
"Adesso?" esclama sorpreso Louis, senza riuscire a contenersi.
 
Il signor James gli sorride come un felino sornione e "Adesso" conferma. "Qui ci sono tre prove diverse, ma il signor Wright è fuggito dalla porta prima che potessi acchiapparlo e Taylor oggi era assente. Quindi. Rimani l'unico ad avere questa possibilità di recuperare" conclude l'uomo, sempre con quel tono soffuso e diplomatico.
 
Louis affossa le spalle. Non era certamente ciò di cui pensava il professore gli avrebbe parlato.
 
"E se va male?" si informa timidamente.
 
"Valuterò questo test solo se prenderai una sufficienza" gli assicura il professore, accomodandosi sulla sua sedia di legno, leggermente rialzata rispetto a quella degli studenti. E con i braccioli. Louis non ha mai capito perché solamente i professori possano permettersi il lusso di appoggiare le braccia ai lati della sedia.
 
"Te la senti?" lo sprona il docente, accavallando le gambe ed indicandogli uno dei banchi in prima fila. Louis si morde il labbro superiore, ed annuisce piano.
 
Afferra una delle verifiche, e quasi gli viene un colpo quando il professore gli offre la sua stilografica. È ancora calda.
 
Louis sta stringendo una penna toccata un migliaio di volte da quelle dita. E morsicchiata altrettanto spesso, perché l'uomo ha la mania di mettersi l'estremità di quella stilografica in bocca, mentre fa delle pause nello scrivere.
 
Il pomeriggio non si prospetta poi così negativo, dopotutto.
 
 
**
 
 
Il test va bene. Il resto della giornata, no.
 
 
**
 
 
Louis consegna la verifica al professor James quasi due ore più tardi.
 
Sorride segretamente quando, nel passargli il foglio, riesce a sfiorare le dita lunghissime dell'uomo con le proprie.
 
Pigola un timidissimo No, grazie, quando il docente gli chiede se può accompagnarlo a casa.
 
"Sei sicuro?" gli occhi del professore sono assottigliati da tanto sta corrucciando le sopracciglia, "Sta sicuramente per piovere" lo avverte, puntando lo sguardo oltre la finestra sporca di ditate.
 
"Mi viene a prendere mia madre" la bugia scappa con fin troppa semplicità dalle labbra di Louis.
 
L'idea di trascorrere più di mezz'ora in macchina con l'uomo, senza sapere cosa dire o come atteggiarsi, lo mette profondamente a disagio. Preferisce tornare a casa a piedi, nonostante la strada da fare sia tutt'altro che breve.
Almeno potrà riflettere sul da farsi, escogitare la maniera migliore per affrontare più tardi il discorso con Harry.
 
Il professor James lo squadra senza troppa convinzione.
 
"D'accordo," non insiste, tuttavia, "Trascorri una buona estate, Louis".
 
"Anche lei" gli augura il ragazzo, impacciato.
 
Esce dal portone massiccio della scuola solo dopo aver spiato, dalla finestrella del bagno, l'uscita del professore.
La sua automobile lucidissima supera elegante l'angolo della strada, e Louis si pente già di non aver accettato la sua proposta.
 
Sta effettivamente piovendo.
Non tanto, ma quella pioggerellina fredda e cattiva che riesce a colpire persino sotto i vestiti.
 
Louis sospira.
Lo prospettano circa tre ore di camminata. Potrebbe correre per impiegarci di meno, ma a che pro?
 
Si afferra alle cinghie un po' sdrucite dello zaino e, ad occhi bassi, si avvia sul marciapiede ciottolato.
 
Si sente stanco. Il test di algebra lo ha esaurito di qualsivoglia energia, ed il pensiero di dover camminare così tanto gli fa solamente venire voglia di lasciarsi cadere sul ciglio della strada come un bambino capriccioso.
 
Incrocia le braccia, e sbuffa un lamento quando la pioggia fastidiosa continua a tamburellargli sulla testa. Non ha neanche un berretto, o qualcosa con cui coprirsi.
 
"Louis Tomlinson, sei proprio un coglione" si dice da solo, al ripensare che se solo avesse accettato il passaggio del professor James, a breve sarebbe già giunto a casa.
 
Presto, la pioggia inizia a cadere dal cielo con più veemenza, più cattiveria. Louis affretta il passo, ma le gocce che scendono sono pesanti ed imbattibili, ed in meno di un minuto si trova completamente fradicio.
 
E non ha neanche affrontato un sesto di strada. Perfetto.
 
"Stupendo" geme infastidito Louis, sollevando le mani per coprirsi quanto più possibile la testa. Digrigna i denti dal fastidio; l'acqua è eccezionalmente forzuta, e quasi sente male sulla pelle. Sembra che lo stia frustrando. Non si sorprenderebbe se iniziasse a grandinare, da un momento all'altro.
 
Poco più di un'ora dopo, Louis vuole morire.
 
"Che vita di merda" esclama rumorosamente, i capelli completamente appiattiti sul viso, e neri da tanto sono bagnati. I vestiti gli si sono letteralmente incollati alla pelle, e Louis sa già che dovrà buttare sia scarpe --pensa ci sia più acqua che piedi all'interno, oramai-- sia i quaderni rinchiusi pateticamente nello zaino, che sente almeno cinque chili più pesante del normale. È tentato dall'abbandonarlo in mezzo alla strada.
 
Quando scorge l'insegna mezza scolorita di un bar, non ci pensa due volte prima di corricchiare verso l'entrata.
 
I pochi clienti ed i camerieri gli lanciano occhiate un po' storte, ma a Louis non potrebbe interessare di meno.
Raggiunge il bagno, risatine isteriche che lottano per sfuggirgli di bocca ad ogni squish--squash che emette mentre cammina, e si chiude dentro il piccolo cubicolo sporco.
 
"Diamoci una sistemata" sospira tra sé e sé, nel piazzarsi davanti allo specchio.
 
Ha un aspetto ridicolo.
 
La carnagione rasenta il cadaverico, ad eccezione di due pomelli rossissimi sulle guance. Ha i capelli attaccati di qua e di là sugli zigomi e sulla fronte, e le dita delle mani sono completamente piene di rughette, come era solito avere da piccolo, dopo bagni straordinariamente lunghi e caldi.
 
Sospirando, Louis si strizza la maglietta sul lavandino, liberando più acqua di quanto potesse ritenere possibile dal tessuto.
Goffamente, solleva una caviglia dopo l'altra e, sempre sul lavabo, attorciglia le dita intorno ai jeans, per poterli liberare dalla pioggia in eccesso.
Infine, si lava le mani con dell'acqua calda, e si tampona il viso, il collo ed i capelli con la carta igienica.
 
Alcuni pezzettini bianchi gli rimangono incastrati tra la chioma, ma Louis si sente così stanco e patetico che non lotta nemmeno più di tanto per liberarsene.
 
Scopre di avere un paio di banconote stropicciate in tasca; ne approfitta per ordinare un thé ai frutti di bosco al bancone.
 
Mentre sorseggia dalla sua tazza, scosso da piccoli brividi, Louis punta lo sguardo sulla finestra ampia del locale che affaccia sulla strada.
Non ha smesso nemmeno lontanamente di piovere; semmai, l'acqua sembra star scendendo ancora più forte dal cielo, sempre più veloce.
 
Louis spalma i palmi intorno al bicchierone caldo, e sospira di piacere nel sentirne l'odore di frutta. Gli ricorda l'ultimo acquisto di Harry: un burrocacao al lampone. Louis aveva avuto il privilegio di assaggiarlo direttamente sulle sue labbra circa un minuto dopo che il ragazzo aveva ritirato lo scontrino dalle mani curate della commessa.
 
Alla fine, sceglie di rimanere nel locale ed aspettare che la pioggia cessi, o per lo meno diminuisca di quantità.
 
Un'ora più tardi, la sua tazza è completamente vuota da un pezzo, la ceramica si è già raffreddata intorno alle sue dita, ed il diluvio universale non ha avuto alcuna tregua. Louis si lascia scappare un verso sconfortato quando constata che l'acquazzone non ha fatto altro che peggiorare.
Deglutisce e, facendosi coraggio, scivola giù dalla sedia e si incammina verso la porta a vetri. È completamente appannata.
 
"Dio" sibila non appena mette un piede fuori dalla soglia. Non vede niente. Non vede assolutamente niente.
Un brivido aggressivo gli sconquassa la schiena, ed i capelli tornano senza troppe esitazioni ad attaccarglisi sulla faccia.
 
La pioggia sembra impossibilmente più fitta, fredda e violenta.
Louis non vede l'ora di seppellirsi sotto le coperte.
 
Ci impiega esattamente due ore e tredici minuti a scorgere il sentiero che porta a casa.
Dire che sia zuppo sarebbe un eufemismo; gli sembra di essersi appena arrampicato fuori da una fontana.
Ha la vista appannata, ed i vestiti minacciano ogni secondo di buttarlo a terra tanto sono pesanti e grondanti d'acqua ma, finalmente, riesce a vedere davanti a sé la porta di casa.
Potrebbe piangere dalla felicità.
 
L'unica cosa che fa, però, è fermarsi immediatamente. Si immobilizza come una statua di sale.
Che gli sia già venuta una febbre a causa della troppa acqua? Che abbia le allucinazioni?
 
Un sonoro tonk riesce ad entrargli nelle orecchie nonostante lo scrosciare incessante e fragoroso della pioggia.
Anche l'altro sportello dell'ambulanza viene richiuso e Louis sussulta di riflesso.
 
Senza neanche accorgersene, torna a muoversi. Lentamente, con cautela, gli occhi in allerta.
Davanti alla casa di Harry, ci sono almeno tre macchine della polizia ed una fottuta ambulanza. Alcuni uomini in divisa stanno tornando con il viso chino ai loro mezzi.
 
L'ambulanza viene messa in moto proprio in questo momento, e Louis la guarda con orrore mentre gli si accosta per poi superarlo. Non ha le sirene accese, e non sta procedendo sulla strada con velocità. Louis sente una nota di panico disperderglisi tra i polmoni.
 
Ansioso, prende a correre verso la casa di Harry. È sicuramente successo qualcosa, e Louis soffre mentalmente e fisicamente al pensiero di lasciare il suo ragazzo da solo, mentre Anne o Robin o Des sono stati appena caricati sul furgone di un ospedale.
 
Abbandona senza remore lo zaino grondante d'acqua e, mentre corre agitato verso la porta della casa di Harry, si scosta i ciuffi bagnati di capelli dagli occhi.
 
Supera due poliziotti coperti da impermeabili lucidi e neri, ignora i loro rumorosi "Dove credi di andare, ragazzo?" e si precipita sul porticato.
Quasi non sente nemmeno l'abbaiare fragoroso di Principe Terrien, che gli sta mordicchiando le caviglie per attirare la sua attenzione. L'unica cosa su cui riesce a concentrarsi è bussare con frenesia alla porta principale.
 
È un poliziotto ad aprirgli e Louis squadra l'uomo con occhi enormi prima di superarlo ed avventurarsi in salotto. Sta bagnando tutto il pavimento, ma non riesce a trovare in sé la preoccupazione di star rovinando tutte le tavole in legno antico.
 
Gli occhi gli si appannano violentemente l'attimo in cui mette piede nella soglia. Ci sono quattro persone sul divano bordeaux.
 
Un altro agente, munito di occhi tristi ed un blocchetto degli appunti.
 
Anne, con il viso sporco di lacrime e lo sguardo perso nel vuoto.
 
Robin, con una mano tremante premuta sulla bocca e l'altra mollemente appoggiata sulla schiena della compagna.
 
E Des, con il volto completamente nascosto dalle mani e le spalle che gli sussultano a scatti.
 
Senza neanche rendersene conto, Louis prende a respirare a fatica, ma rumoroso. Come se qualcuno gli avesse premuto i palmi sulla bocca e sul naso per troppo tempo.
 
"Harry?" sussurra pateticamente. Gli tremano le ginocchia, ma ha i piedi come di piombo. Non vede più, ma le orecchie gli fischiano.
 
C'era Harry sulla barella che gli infermieri hanno caricato sull'ambulanza. C'era Harry.
 
"Cosa è successo?" ansima. Gli viene da vomitare.
 
Non sa bene come, ma si ritrova trascinato fino al divano da mani gentili. Qualcuno lo spinge giù dalle spalle per farlo sedere. Il tessuto del sofà, sotto di lui, si bagna immediatamente a causa dei vestiti grondanti d'acqua. Si sente sprofondare.
 
Anne, improvvisamente, sembra come rianimarsi dal suo stato di trance. Liberando un singhiozzo spezzato, si inginocchia di fronte a Louis. Gli prende le mani. Louis se le sente completamente intorpidite. Pensa che se qualcuno gli conficcasse un pugnale nelle nocche, non se ne accorgerebbe neanche.
 
"Amore," piange Anne, piange fortissimo, e Louis pensa non ci sia una vista più straziante di un adulto con le lacrime agli occhi e i singhiozzi che gli escono dalla gola, "Amore, è successa una cosa brutta. È successa una cosa tanto brutta".
 
Louis la guarda terrorizzato. La bocca gli trema senza il suo permesso, e gli occhi gli si appannano cento volte di più rispetto a prima.
 
"Dov'è Harry" bisbiglia con un piccolo singhiozzo, il viso che gli si accartoccia ed il naso che gli pizzica da tanto è forte la voglia di piangere.
 
"È tornato a casa da scuola per le due del pomeriggio. Ha detto che andava a farsi un giro, e che sarebbe tornato per le tre" inizia a raccontargli Anne, e le sue parole sono quasi incomprensibili da tanto la donna sta tremando e piangendo e singhiozzando.
 
Louis tira su con il naso.
 
"Ma non è tornato. Non è tornato" sussulta Anne, stringendogli spasmodicamente le mani. Louis continua a non sentire niente.
 
''Alle quattro passate, lui non era ancora tornato a casa," la bocca della donna è scarlatta da tanto è bagnata di lacrime, "Allora abbiamo chiamato la polizia" sussurra.
 
Louis stringe fortissimo la mascella, si sente come dentro una bolla destinata a scoppiare da un momento all'altro. Fuori da quella bolla non ha idea di come si faccia a vivere, a respirare.
 
"Lo hanno trovato circa mezz'ora fa" Louis pensa che anche Anne abbia disimparato di punto in bianco a inspirare ed espirare ossigeno.
 
"Amore, lui si è fatto tanto male" sussurra addolorata, guardandolo con occhi impossibilmente grandi. A Louis sembra di stare guardando quelli di Harry. Abbassa subito lo sguardo, fissa senza vedere per davvero le loro dita intrecciate.
 
"Cosa" articola semplicemente, perché se solo provasse a dire delle sillabe in più la sua voce lo abbandonerebbe senza alcuna esitazione.
 
Anne gli passa i pollici sui dorsi delle mani.
 
"Cosa" ripete allora Louis, abbassando subito dopo le palpebre. Con gli occhi chiusi può sempre far finta di stare dormendo, che quello che sta per sentire non è altro che un incubo orrendo.
 
"I poliziotti hanno detto che stava saltando da una parte all'altra del fiume con una corda," Louis strizza ancora di più gli occhi, vorrebbe essere sordo, vorrebbe essere sordo, vorrebbe essere sordo, "Ma la corda si è spezzata. Si è spezzata, e lui è caduto nell'acqua. Ha sbattuto la testa contro una roccia" Anne sta singhiozzando così forte che Louis pensa sentirà quei versi nella testa persino quando avrà ottant'anni.
 
"Quando gli agenti lo hanno trovato era già morto da tre ore" e a quello Louis non ha idea se sia stato lui stesso o la donna ad iniziare a gridare.
 
 
**
 
 
La notte, ancora umido dalla troppa pioggia, Louis si rintana sotto le lenzuola.
 
Nasconde la testa sotto il cuscino, e si sistema tutti gli strati di coperte fin sopra la testa, nonostante il clima straordinariamente caldo della stanza.
 
Respira a scatti, la mente che lavora frenetica ma che non riesce a concentrarsi più di un attimo sullo stesso pensiero. Non riesce a smettere di tremare, ed è come se avesse un animale nascosto dentro lo stomaco, perché sente denti invisibili mordergli con forza la carne, come se qualcosa stesse cercando di uscire dal suo corpo.
 
Non ha idea se si sia semplicemente addormentato oppure abbia perso i sensi, quando finalmente gli occhi gli si chiudono per conto loro.
 
 
**
 
 
Ma Harreh, e se muori? Cosa succede se muori?
 
 
**
 
 
Louis apre gli occhi a causa di un bussare gentile contro la porta.
 
Sbatte confuso le ciglia, stupito di trovarle appiccicose. Quasi fatica a sollevare le palpebre. Un pulsare sordo gli fa martellare l'occhio sinistro e la fronte.
 
Quando butta giù le gambe nude dal letto, sente il sangue abbandonargli la testa, e gli ci vuole tutta la forza di volontà che possiede per non ricadere all'indietro sul materasso.
 
"Louis?".
 
Louis sobbalza sorpreso quando riconosce la voce di sua madre. Zampetta fuori dalle coperte, stropicciandosi l'occhio dolorante con un pugno.
Sbadiglia e rabbrividisce allo stesso tempo; l'aria nella stanza è frizzante.
 
Abbassa la maniglia, aggrottando con forza la fronte quando si ritrova una piccola credenza spostata malamente davanti alla porta.
 
"Che diamine" borbotta con voce roca, spingendola via con una fiancata ed aprendo finalmente la porta.
 
"Amore" sussurra sua madre, prima di avvolgergli le braccia magre intorno al collo. Il cipiglio di Louis aumenta considerevolmente.
 
"Mamma?" la chiama, confuso, tirandole piccole pacche gentili sulla schiena.
Jay inspira bruscamente, e si scosta da lui. Gli lascia una carezza veloce sulla guancia.
 
"Te la senti di venire con me a porgere le condoglianze alla famiglia di Harry?" gli domanda con voce misurata la donna, senza troppi filtri, arricciando brevemente le dita ruvide sul suo volto.
 
Louis indietreggia di un passo, come scottato.
 
"Condoglianze?" le fa eco, la testa che riprende a pulsare con ferocia, la nausea che inizia ad agitargli la pancia.
 
Jay gli indirizza un'occhiata confusa.
Louis rimane a fissarla per quelle che sembrano ore. Lo stomaco gli si contrae e gli si arriccia convulsamente quando la mamma, "Louis. Harry è morto" gli ricorda.
 
Ha usato un tono gentile, cauto, allo stesso tempo decisamente sorpreso dalla mancanza di feedback immediato. Louis sente di star per cadere a terra.
 
"Vieni con me a porgere le condoglianze alla famiglia, o vado da sola?" taglia corto Jay, pulendosi i palmi sul grembiule sporco che ha sempre allacciato intorno alla vita, quando è in casa.
 
Louis non riesce a respirare correttamente. Com'è che si fa? Si inspira aria dal naso o dalla bocca e poi la si rilascia, non è così? E perché Louis sente di avere tutte le cavità otturate? Non dovrebbe funzionare in questo modo, il suo corpo. Si sente difettoso.
 
"Certo che vengo anche io" sente una voce sussurrare. È costretto a chiudere le mani tremanti in due pugni, quando si accorge di essere stato proprio lui a parlare.
"Dammi il tempo di vestirmi" aggiunge, qualsiasi pelo sul suo corpo che si rizza.
La mamma annuisce, e si affretta verso il piano inferiore.
 
Louis rimane due minuti interi fermo sulla porta, le ciglia che sbattono l'unico movimento che fa, prima di entrare ed indossare i primi abiti che trova.
 
 
**
 
 
Un automa. Louis sente di essere un automa.
 
Quando cammina fianco a fianco a sua madre, nel breve sentiero che separa la loro casa da quella degli Styles, realizza meravigliato che le gambe gli si stanno muovendo da sole. Le ginocchia si piegano per conto loro, un piede supera l'altro senza aver bisogno di ricevere prima istruzioni. Non ha mai provato prima una sensazone simile.
 
Sta ancora osservandosi le stringhe delle scarpe di cuoio --saltellano di qua e di là, e quella sulla sinistra supera sempre in altezza l'altra-- quando realizza di essere sul porticato della casa di Harry. La percezione divertente di essere dentro il corpo di un'altra persona non è ancora comparsa.
 
Un pianto acuto riesce a catturare la sua attenzione. Louis sposta la testa da destra a sinistra per individuarne la fonte. Il primo sorriso sincero dopo ore e ore gli spacca le labbra quando la trova, e subito si abbassa per accogliere Principe Terrien tra le braccia.
 
A malapena si accorge di sua madre che bussa alla porta, e che viene risucchiata pochi attimi dopo dentro la casa da due braccia abbronzate.
 
Il cagnolino uggiola rumorosamente in direzione di Louis, sbatte la coda con forza sulle tavole di legno del pavimento.
 
"Cucciolo" tuba Louis, stropicciandogli il pelo con entrambe le mani, sentendosi come se non volesse rialzarsi mai più da terra quando Principe Terrien prende a leccargli con veemenza le dita.
 
"Ti senti solo, vero?" mormora pianissimo Louis, raccogliendolo dalle ascelle calde e risollevandosi con uno slancio delle rotule. Si appoggia il cagnolino al petto, lo abbraccia e chiude gli occhi nel sentirlo così caldo. Riesce a sentire il suo cuoricino battere fragoroso, e Louis si sente quasi confortato dalla forza dei suoithum-thum, thum-thum.
 
Schiaccia le labbra sulla fronte morbida del cucciolo e "Anche io" bisbiglia, strizzando così tanto le palpebre che quando le risolleva inizia a vedere aloni colorati e galleggianti davanti a sé.
 
Si muove sempre in automatico quando adagia Principe Terrien a terra ed entra nella casa, che da mesi considera come una seconda dimora, con un "Permesso" educato e soffuso.
Nessuno gli risponde, e Louis è tentato di tornare indietro sui suoi passi.
 
Sente vagamente del chiacchiericcio provenire dal salotto, e sta per raggiungere la stanza quando la sua attenzione viene riportata ad un piccolo tavolino all'ingresso. Harry lo sta fissando con occhi enormi e piegati all'insù, tre dita sollevate in aria.
 
Louis deglutisce, e gli sembra di avere appena inghiottito una manciata di aghi appuntiti. Le ginocchia gli tremano nel raggiungere il mobile.
 
Appoggia un polpastrello tremante sulla foto intrappolata nella cornice, sfiora l'indice di Harry da attraverso il vetro. Se si concentra riesce a sentire la morbidezza della sua pelle.
 
Louis non riesce ad osservare troppo gli occhi di giada di quell'Harry, versione risalente probabilmente ad un paio di anni prima, ma, allo stesso tempo, non ce la fa a staccare il dito dai lineamenti del suo viso, dal suo naso dritto.
Perché non ha mai visto prima di adesso questa fotografia?
 
Con un piccolo sussulto, legge il cartoncino color crema appoggiato alla cornice di bronzo. Le tue ali erano pronte, ma i nostri cuori no.
 
Louis premedita di fare qualcosa di sconveniente, come abbassare la cornice per non vedere più il viso di Harry e quelle parole scritte in un antipatico corsivo, oppure estrapolare la foto dal vetro e nascondersela sotto il maglione.
 
Non fa nessuna delle due cose, però, perché "Tu sei Louis, vero?" una voce gli si rivolge.
Louis sobbalza, quasi fa cadere il soprammobile dal tavolino.
 
Si gira lentamente, ma la testa riesce a scoppiargli lo stesso nel movimento.
 
C'è un'anziana donna a pochi passi da lui, dal trucco pesante e le guance rigate di nero. Non nasconde la sua commozione neanche davanti a lui.
 
"Harry mi ha parlato tanto di te" singhiozza, un fazzolettino ricamato premuto sulla bocca con dita tremanti e deformate dall'artrite.
Louis solleva il mento, senza replicare niente.
 
"Sono la sua nonna, sai?" continua la donna, la voce spezzata in più punti.
Louis non sa cosa dire.
 
"Il mio piccolino ora non c'è più" annuncia disperata l'anziana, sussultando sul suo fazzoletto di stoffa.
 
Louis assottiglia gli occhi. Vuole distruggerglielo. Strapparlo e dargli fuoco.
Rimane fermo in mezzo alla stanza come se Medusa stessa avesse incrociato il suo sguardo.
 
Quasi non si accorge dell'uomo un po' ricurvo che, secondi dopo, gli sta offrendo un cenno del capo e che, con bisbiglii e mani dolci, si occupa di trascinare l'anziana in un'altra stanza.
 
Louis sente il proprio labbro inferiore prendere a tremolare senza nessun permesso. Se lo morde con forza.
 
Non ha idea di quanto tempo rimanga lì in piedi, ma ad un certo punto, non sa bene come, si ritrova tra un paio di braccia famigliari.
Leggermente riluttante, Louis intreccia a sua volta le mani dietro la schiena di Anne.
 
"Sei stato l'amico migliore che abbia mai avuto" sussurra la donna, stringendolo forte. "Da quando ti ha incontrato non ha fatto altro che sorridere e parlare di te".
A quello, Louis è costretto a stringere con vigore la mandibola per non liberare nessun verso patetico dalla gola.
 
"Grazie" conclude Anne, con voce bassa e accorata. Louis sente le lacrime della donna bagnargli i capelli, e all'improvviso non riesce davvero più a rimanere tra le sue braccia.
 
Con un sorriso tirato, si scosta, le mani che gli ricadono inutilmente lungo i fianchi.
 
Anne ha gli occhi completamente iniettati di sangue, e Louis si deve mordere la lingua fino ad intorpidirla per non vomitarle addosso cose come Se non vi foste mai trasferiti in questa merda di posto, Harry non sarebbe mai morto.
 
Un pugno invisibile gli stringe le interiora, e Louis non è mai stato più grato di così quando Anne si congeda da lui con una lunga carezza sul viso e lo sguardo più triste e compassionevole che abbia mai visto su una persona adulta.
 
Di nuovo solo, Louis si trascina lungo le scale e, senza sapere esattamente cosa stia facendo, inizia a salire fiaccamente gradino dopo gradino. Ha le mani sudate, e nemmeno quando se le strofina sul maglioncino gli si asciugano.
 
Gli incisivi piantati sul labbro inferiore, socchiude la porta della stanza di Harry e ci si lascia scivolare dentro. Si appoggia alla porta, la chiude a chiave.
Tira su con il naso, e spalanca la bocca per rilasciare un sospiro spezzato.
 
C'è il suo odore. Non lo ha mai sentito più forte di così.
 
La bocca inizia a tremargli fortissimo, e Louis non le frena le lacrime che finalmente gli si arrampicano sulle ciglia e gli si gettano sulle guance. Scivolano velocissime, e Louis non può fare a meno di liberare un singhiozzo rumoroso quando nota il lettone ancora sfatto di Harry. I suoi cuscini colorati spiegazzati. Quelle magliette buttate alla rinfusa sul pavimento, e la scrivania disordinata all'angolo.
 
Le ante dell'armadio di legno sono schiuse, e Louis vorrebbe solamente mettere tutto a posto, ma tutto ciò che riesce a fare è caracollare a terra con la schiena premuta sulla porta. Ha così tanto freddo, si sente così tanto solo.
 
"Cosa cazzo faccio ora" sussurra a nessuno, perché adesso non c'è davvero più alcuna persona che riesca a sentire vicina.
 
Harry, da otto mesi a questa parte, è stato il suo mondo, il suo cuore, il suo tutto. Ed ora non c'è più. Non c'è più, e adesso a chi racconterà Louis la sua giornata? Da chi andrà quando vorrà parlare od essere abbracciato? Chi gli toccherà i capelli o gli morderà per scherzo le guance o le spalle?
 
Louis sbatte con più forza del necessario la nuca sul legno duro della porta.
 
Le labbra non smettono di tremargli, e le lacrime che si addensano nello spazio tra bocca e naso prendono a fargli venire il solletico. Si strofina energicamente quattro dita sulla pelle umida, e nuove stille gli scaldano le guance perché non ha nemmeno uno stupido fazzoletto con sé e in questo momento si sente veramente, veramente perso e come farà ad andare avanti con la propria vita con la consapevolezza di non poter più vedere Harry?
 
Non sarà qui questa sera, e nemmeno quando aprirà gli occhi, a scuola non sarà seduto scomposto sul banco o sulle panche della mensa, nel pullman non si sentirà più il suo odore e le sue gambe non si piegheranno più contro il sellino del sedile davanti a lui.
 
Louis rannicchia le ginocchia al petto, e si abbraccia forte-forte lo stomaco, che sente ad un passo dall'aprirsi e rilasciare a terra il sangue e gli organi in un mucchietto confusionario.
 
Scontra ancora una volta la testa sulla porta e si strizza la pancia con dita cattive quando pensa ai tre baci che Harry era solito dargli. Prova a concentrarsi, ma in questo momento è come se non riuscisse neppure a ricordare la forma esatta delle labbra del ragazzo. Del suo ragazzo. Che è morto. Non c'è più.
 
Louis non potrà più ricevere i suoi baci, od avere le sue braccia intorno alla vita, o farsi solleticare dai suoi ricci troppo lunghi.
 
Non è giusto, niente è giusto, e Louis crede che ci morirà su questo pavimento, perché non ha la minima forza o motivazione per risollevarsi da terra.
 
Si sente così solo che non vorrebbe rimanere neanche con se stesso.
 
 
**
 
 
Prima di costringersi ad abbandonare la stanza, Louis si nasconde sotto il maglioncino un paio di magliette a caso di Harry, due di quelle buttate a terra.
 
Hanno ancora il suo profumo.
 
 
**
 
 
La famiglia di Harry sceglie di cremare il suo corpo a Londra, e di non celebrare alcun funerale.
 
Louis si nasconde in bagno quando viene a saperlo.
Apre il getto di tutti i rubinetti, per non far sentire a nessuno che sta piangendo.
 
Non vedrà più Harry. Non vedrà mai più Harry. Né da vivo né da morto, perché i genitori hanno scelto di ridurlo in cenere e di non dargli neanche la possibilità di avere un posto concreto in cui la gente potesse venire a piangerlo. A parlargli.
 
Louis non potrà neanche adagiare un misero fiore sulla sua tomba, o accarezzare la foto sopra le date, o sdraiarsi sul marmo freddo dal vento, caldo dal sole, bagnato dalla pioggia e dalle lacrime.
 
L'ultima volta che Louis l'ha visto era arrabbiato con lui.
 
L'ultimo bacio che gli ha dato era svogliato e al sapore amaro di Dai, staccati, ho altro da fare. 
E non può più tornare indietro. Non può cambiare le cose, il passato, raccontarsi di avere un ricordo piacevole dell'ultima volta che si sono visti.
 
È difficile pensare a tutti i momenti meravigliosi che hanno condiviso, quando i sensi di colpa relativi ai loro ultimi giorni insieme non fanno altro che intrufolarsi sadici in ogni poro possibile della pelle di Louis.
 
Si accascia a terra, le ginocchia piegate, la schiena attaccata alla piccola vasca da bagno e le mani mollemente appoggiate a terra.
 
Se non mi fossi fermato quel giorno a scuola, Harry sarebbe ancora vivo, realizza.
Avremmo preso l'autobus insieme e non sarebbe andato a Terabithia. Non sarebbe morto.
 
Un gemito di dolore gli lascia le labbra e Louis fissa senza vederla veramente la propria mano, adesso accartocciata sulla coscia.
 
Se non mi avesse mai incontrato, sarebbe ancora vivo, perché non avremmo mai costruito Terabithia.
 
Si sferra un altro pugno, e quasi chiude gli occhi da quanto la scarica di dolore lo faccia sentire bene.
 
Se avessi accettato il passaggio del professor James, sarei arrivato prima a Terabithia e avrei potuto chiamare i soccorsi in tempo. Sarebbe in ospedale, adesso, e non in un forno crematorio.
 
Stringe di più le dita, e spinge con una forza che non credeva di possedere le nocche qualche centimetro sopra il ginocchio.
 
Se gli avessi detto subito di Xander non avremmo mai litigato. Gli avrei proposto di aspettarmi, dopo il test di matematica.
 
Un altro pugno, stavolta sull'altra gamba.
 
Se gli avessi detto di no, quel giorno, non avremmo mai inventato Terabithia. Non avrebbe usato più quella corda.
 
Un altro. Un altro. Un altro.
 
Non avrei mai dovuto fare amicizia con lui. Adesso non starei così male.
 
Si colpisce decisamente più forte, dopo questo pensiero, perché si sente un egoista, e mai avrebbe creduto che si sarebbe pentito di aver conosciuto Harry. Si fa schifo. Prova un totale e completo disgusto nei propri confronti. Vorrebbe sparire dalla faccia della Terra. Vorrebbe non essere mai nato.
 
È colpa mia. È colpa mia se Harry è morto.
 
Ci impiega almeno un'ora a rialzarsi, ogni volta che ci prova le gambe, completamente intorpidite, gli cedono.
 
 
**
 
 
Una delle conseguenze peggiori, forse, sono gli incubi.
 
Quando Louis spalanca di scatto gli occhi con ancora l'immagine dietro le palpebre di squarci sulla testa e corpi morti che galleggiano nell'acqua rossa, non riesce mai a riaddormentarsi.
 
Si massaggia lo sterno, ingolla tutta l'acqua che ha sul comodino, accende la torcia che tiene sempre nascosta sotto il materasso. A volte dice una preghiera.
 
Non riesce mai a smettere di tremare del tutto, e probabilmente la cosa più brutta di tutte è che Harry non gli concede mai veramente il privilegio di mostrarsi nei suoi sogni.
 
Tutto ciò che Louis vede sono capelli bagnati e sporchi di sangue, dita lunghe che escono dall'acqua, sprazzi improvvisi di colori.
 
Louis non si ricorda esattamente com'era vestito Harry l'ultima volta che l'ha visto, ed in ogni suo incubo la maglietta che lui indossa cambia. A volte è verde, altre è bianca. Spesso è quella che indossò il primo giorno di scuola, con le margherite.
 
Ma mai vede i suoi occhi. O la sua bocca. O parte del suo viso. È sempre una macchia sfocata, e Louis ha così tanta paura che non lo vedrà mai più.
 
Gli viene tanto da piangere, ma allo stesso tempo è come se la sua gola fosse perennemente otturata da una sorta di tappo che gli impedisce di sfogarsi.
 
"Mi manchi così tanto" sussurra, ed il naso gli tremola come quello di una lepre spaventata.
 
Abbraccia il cuscino con l'illusione che sia un corpo caldo, ci affonda la bocca ed il naso fino a faticare a respirare. Gli piace. È una delle sensazioni più belle, da quando Harry non c'è più.
 
Quando tutto è semplicemente troppo, si schiaccia un cuscino, od entrambe le mani, sul naso e sulle labbra. Chiude gli occhi, perché se li lascia aperti se li sente scoppiare, e si concentra sui fischi nelle orecchie, sul calore che prende a diffonderglisi sulle guance. È solo così che riesce a respirare davvero.
 
È paradossale ma, d'altronde, da quando non c'è più Harry, Louis non pensa la vita abbia ancora senso.
 
 
**
 
 
Quando si sveglia per l'ennesima volta di soprassalto nel cuore della notte, Louis ha la nausea.
Per la prima volta da quando Harry è morto, corre in bagno a vomitare.
 
In realtà non riesce a raggiungere il gabinetto e, sentendosi più patetico che mai, si vede costretto a passare uno strofinaccio a terra per disinfettare il pavimento.
 
La realizzazione crudele che è così che passerà le sue giornate d'ora in avanti, lo colpisce come uno schiaffo.
 
Perché Harry non tornerà. Non tornerà.
 
Questo non è un periodo di prova, una situazione temporanea che prima o poi ritornerà allo stato originario.
 
Harry è morto, e Louis non potrà più baciarlo, toccarlo, accarezzarlo, incazzarsi con lui o asciugargli le lacrime. Non potrà più parlarci, o prestargli dei vestiti, studiarci insieme.
 
Tutte le promesse che si erano fatti, i sogni su cui avevano fantasticato così tanto, non si avvereranno mai.
 
Non cammineranno mai nelle strade strette e ciottolose della Grecia mano nella mano, non si imboccheranno a vicenda con Il gelato più buono di tutta Londra, Lou, non si faranno le linguacce durante la consegna del diploma, non sguazzeranno di notte nelle fontane di Roma.
 
Harry ha finito di vivere. Non avrà più la possibilità di crescere, di imparare cose nuove, di visitare posti e conoscere altre persone, non potrà mai sposarsi o divorziare o lasciarsi o avere tre bambini o forse due o forse nessuno. Non sarà mai anziano, non potrà lamentarsi degli acciacchi e borbottare Quando ero giovane io...
 
Harry è morto. Non c'è più.
 
Con questa consapevolezza, Louis vomita una seconda volta.
 
 
**
 
 
Anne e Robin si trasferiscono. Louis non può dire di esserne sorpreso.
 
Tornano a Londra e, prima di salire sulla loro piccola macchina verde bottiglia, si premurano di salutarlo un'ultima volta. Lo abbracciano entrambi come stringerebbero tra le braccia un figlio, e gli mormorano all'orecchio cose come "Grazie per essere stato suo amico" e "Ti voleva un mondo di bene".
 
Louis non capisce se gli faccia bene o male sentirselo dire. Se le parole gli entrino dentro con la potenza di uno schiaffo o con la gentilezza di una carezza.
 
Quando Anne, ad un passo dal mettere in moto la macchina, gli allunga Principe Terrien dal finestrino e gli mormora "Avrebbe voluto che lo tenessi tu" Louis trema così tanto che è un miracolo le gambe gli reggano ancora.
 
Ringrazia flebile, recupera il cagnolino, e sa che è impossibile, ma gli sembra di sentire ancora sul suo pelo marroncino le carezze ed i baci che gli ha lasciato Harry.
 
 
**
 
 
Quella notte, Louis dorme abbracciato a Principe Terrien.
 
È un peso morbido e confortante, rimane docile contro la sua pancia, non si lamenta delle sue braccia intorno al suo piccolo stomaco, nonostante l'indole solitamente vivace ed iperattiva.
Si addormenta presto e Louis lo segue a ruota, il suo corpicino caldo lo rilassa.
 
Per la prima volta, gli incubi non lo tormentano durante il sonno.
 
 
**
 
 
Un paio di giorni passano, e niente va meglio.
 
Louis si sente una stanchezza enorme sulle spalle, ormai è diventata una sorta di routine svegliarsi con i capelli bagnati dalle lacrime o pensare costantemente cose come Voglio scomparire e Perché non io Non ce la faccio più.
 
Ogni volta che qualcuno gli rivolge la parola, o lo guarda con troppa attenzione, un'enorme voglia di piangere si arrampica dentro il suo corpo, le lacrime iniziano a lottare per uscire dai suoi occhi ed i singhiozzi provano in tutti i modi a scappargli dalle labbra screpolate dai troppi pianti.
 
Si sente come se le lacrime gli ballassero direttamente dentro la testa, come se il cranio fosse perennemente troppo pieno per contenerle tutte.
 
 
**
 
 
Louis non parla più tanto. Le uniche volte in cui vorrebbe volontariamente aprire bocca sarebbero per dire alla gente di smetterla di chiedergli se stia bene.
 
Sono stanco di mentire.
 
 
**
 
 
Louis ha il suo primo attacco di panico quando, nel riordinare la camera da letto --pur di tenere la mente occupata, pur di non pensare, invano, a lui-- gli capita tra le mani la valigetta dell'artista che Harry gli regalò a Natale.
 
Capita tutto in modo così veloce, ma allo stesso tempo lento. Senza quasi accorgersene, Louis inizia a tremare. Prima in maniera quasi impercettibile, e mano a mano sempre più violentemente. Osserva impotente la valigia cadere a terra dalle sue mani inutili, vomitare sul pavimento ogni pennello, tempera, pastello.
 
Quando sente un flebile crack, Louis non ha idea se sia proveniente dal legno della valigetta che si è incrinato a causa della caduta, o se sia il proprio cuore, che improvvisamente gli sta battendo rapido, troppo rapido, e che sembra quasi voglia strappargli la cassa toracica e uscirgli dalla pelle.
 
Louis non sa cosa fare, a malapena riesce a tenere la mente libera da pensieri.
Si accorge di avere la schiena improvvisamente più umida, ed una sensazione fredda alla base del collo prende a fargli attaccare i capelli alla pelle.
Non riesce a smettere di tremare, e non crede di aver mai avuto più paura di così.
Si sente terribilmente impotente.
 
Le mani gli si muovono a scatti e le ginocchia gli traballano talmente tanto che non vede altre alternative oltre a quella di lasciarsi cadere a terra.
 
Qualcosa di morbido e piagnucolante prende a strofinarglisi contro, a leccargli le tempie e le guance. Nel profondo, Louis sa di cosa si tratti, ma proprio il fatto di avere la risposta sulla punta della lingua e di non riuscire in ogni caso a capire cosa o chi sia l'entità che sta cercando in tutti i modi di rassicurarlo gli fa venire un'enorme voglia di piangere.
 
Singhiozza. Quando prova ad inspirare, si accorge con una punta di panico di non riuscire a respirare. Ce la fa a buttare fuori l'aria, ma inalarla, in questo momento, sembra la cosa più difficile dell'universo.
 
Louis si artiglia la gola, ed è come se qualcuno di invisibile lo stesse strozzando; un verso simile a quello di un animale morente si libera nella stanza, e sul viso di Louis scivolano veloci nuove lacrime bollenti quando si rende conto di essere proprio lui il fautore del suono.
 
Sente di star per morire. Non riesce più a respirare, non ce la fa nemmeno a frenare i tremolii, ora violenti, che gli stanno scuotendo il corpo, e non è normale, cazzo, non è assolutamente normale.
 
Gli manca il fiato, e il cuore gli sta sfarfallando ad un ritmo semplicemente assurdo, come se non vedesse l'ora di prendere il volo ed uscire dal suo corpo.
 
Louis sente caldo, e freddo, e di nuovo caldo, e di nuovo freddo.
 
La maglietta gli si incolla alla schiena da tanto sta sudando, e lui non è nemmeno in grado di capire se il viso sia più bagnato dal sudore o dalle lacrime.
A malapena si accorge di avere il volto ed il collo fradici.
 
Rantola in cerca d'aria, e cade inutilmente su un fianco, imponendosi di respirare. Non ci riesce. Non ci riesce.
 
E quello che sta provando non è sollievo, non si sente nemmeno lontanamente felice di stare per morire.
 
Da quando Harry non c'è più, non ha fatto altro che pensare alla morte, bramarla.
E, adesso che si sente ad un passo dallo smettere di respirare per sempre, non si sente grato, gioioso, paradossalmente vivo. Ha paura, è paralizzato dal terrore.
 
Sfrega le unghie di una mano sul pavimento, sgrana all'inverosimile gli occhi, osservando con vista sfocata le sue stesse lacrime creare una pozzetta salata sul legno.
 
Prova a deglutire. Non ci riesce.
Si sente la gola più stretta che mai, e la nausea gli sta iniziando a calciare lo stomaco e a bruciare i polmoni.
 
Forse, la cosa più brutta di tutte, quella che gli fa arrampicare il panico dentro il corpo con più frenesia, è il fatto che Harry non gli sta neanche concedendo di essere l'ultima cosa da vedere prima di morire.
 
 
**
 
 
Louis stacca la testa dal cuscino, un piccolo verso strozzato gli scappa dalle labbra.
 
Se si concentra, è ancora in grado di sentire le dita fantasma che, per tutta la notte, gli hanno accarezzato i capelli.
 
Lancia un'occhiata veloce a Principe Terrien, che lo sta guardando a sua volta con aria di rimprovero, ma allo stesso tempo comprensiva.
 
"Scusami," Louis gli tocca brevemente un orecchio morbido e a penzoloni, "Non volevo svegliarti".
 
Il cuore gli batte forte, più vigoroso del normale. Se lo sente rimbalzare perfino sulla punta della lingua.
 
Il suo corpo si muove da solo, quando scivola giù dal letto e raggiunge il cassettone in fondo al materasso.
Si inchina per aprirlo, e sente come la sensazione della spina dorsale che gli buca la schiena. Non sta mangiando granché, ultimamente.
 
Masticandosi con concentrazione il labbro, apre il baule rivestito in fodera bianca e scosta maglietta dopo maglietta.
Un morso un po' più forte incide la carne già delicata.
 
Louis recupera le due magliette che aveva rubato quel giorno a casa di Harry e, stringendosele al petto, torna ad arrampicarsi sul letto.
Il materasso cigola sotto il suo peso e Principe Terrien prende a leccargli con calma una caviglia.
 
Louis sorride tenue e "Mi fai il solletico" lo rimprovera, senza però spostare il piede.
Silenziosamente, indossa una delle t-shirt di Harry. Non sa perché non lo abbia mai fatto, da quando è morto. Gli regala una sensazione così bella.
Si stringe il davanti della maglietta con pugni gentili, e si porta il tessuto al naso per respirarne l'odore.
 
Non appena il profumo di Harry, flebile --ma sempre lì, sempre lì-- gli entra nelle narici, Louis chiude gli occhi. Una lacrima gli scivola all'istante sulla guancia.
 
Asciugandosela distrattamente, recupera il cuscino da dietro la schiena.
Facendo attenzione, lo infila dentro la seconda maglietta di Harry.
 
Domani cucirà gli angoli. Adesso, si limita a stendersi di nuovo sul letto, il viso premuto contro la nuova federa del suo cuscino. Non pensa la laverà mai.
 
Gli fa stringere la gola, sentire l'odore così forte e vivo di Harry sotto il viso e tra le braccia, ma d'altronde Louis non crede riuscirà mai più a respirare correttamente.
 
Si addormenta come un bambino, con il peso confortante di Principe Terrien sdraiato direttamente sul suo polpaccio, e l'illusione che Harry, in questo momento, sia sul letto con lui, e lo stia abbracciando forte-forte.
 
 
**
 
 
Louis rinuncia all'atletica. 
 
Non ha più senso conquistare alcuna borsa di studio. Harry non tornerà nemmeno se ottenesse i soldi dalla scuola e dallo Stato e si trasferisse a Londra, o in qualsiasi altra città. È tutto inutile.
 
Il corso della scuola, a partire da quest'anno, si è professato come continuo, senza interruzioni neanche durante l'estate. Tuttavia, Louis, verso l'inizio di luglio, parla con il coach Higgins ed annulla la sua iscrizione. L'uomo, con un sorriso tirato, gli porge un foglio da firmare come conferma definitiva.
 
È un elenco, e quando Louis scorge, sopra il suo, il nome Harry Styles cancellato con un tratto di penna, quasi dimentica come si faccia a scrivere.
 
È un miracolo se riesce a reggere la penna tra le dita. Alla fine, quasi non riconosce la propria firma. Il polso gli è tremato troppo, non appena ha posato la punta della penna sulla circolare.
 
 
**
 
 
Louis scopre che Harry è in tante cose.
 
È nel timido raggio di sole che, ogni mattina, si pianta sempre e senza nessuna eccezione sul suo cuscino, per fargli dispetto ed infastidirlo.
 
È nel sorriso delle gemelle, nel clangore delle tazze che sbattono l'una contro l'altra mentre Louis lava le stoviglie.
 
Harry è nell'erba spiegazzata e secca, in quella coccinella che, indefessa, continua ad arrampicarsi sulla gamba di Louis.
 
Harry è negli sbadigli assonnati di Principe Terrien, nelle risate trasmesse in televisione, che Louis riesce a sentire persino a tre camere di distanza.
 
Harry è nelle lacrime sul viso di Louis, che ormai non è mai completamente asciutto da quel maledetto giorno.
 
Harry è nelle coperte spiegazzate, nelle assi della camera da letto che scricchiolano, nell'odore di latte e biscotti caldi, nel rossetto sbiadito che mamma Jay si passa concentrata davanti allo specchio all'ingresso.
 
Harry è nei lividi sulle cosce di Louis, nei graffi in tutto il suo corpo, nelle costole ogni giorno più sporgenti.
 
Harry è nel filo del tappeto su cui Louis, praticamente ogni giorno da quando ha imparato a camminare, inciampa di continuo.
 
Harry è nell'abbaiare di Principe Terrien contro due piccioni, è in quella rosa che è appassita ieri ed in quella che è sbocciata oggi.
 
È nelle tende della cucina che svolazzano piano a causa del vento leggero, è nella polvere che si accumula sui mobili, è nel gelato che Louis si è costretto a comperare un pomeriggio d'agosto.
 
Harry è in quel peluche molto vecchio e senza un occhio che Louis non ha mai avuto il cuore di buttare via.
 
È nelle foglie che cadono dai rami, è nel cinguettio dei passerotti.
 
È nella pioggia che, a volte, scende dal cielo. Ogni volta che vede l'acqua cadere, Louis esce di casa e si sdraia sul praticello bagnato e fangoso.
Chiude gli occhi, e sorride ad ogni stilla d'acqua che gli colpisce il viso.
 
Una volta, Louis ha letto che le gocce di pioggia sono i baci dati da qualcuno che vive in Paradiso e che veglia costantemente sulle persone che ama.
 
Gli piace pensare che sia davvero così.
 
 
**
 
 
As I sit in heaven
And watch you everyday
I try to let you know with signs I never went away I hear when you are laughing And watch you as you sleep I even place my arms around you
To calm you as you weep I see you wish the days away Begging to have me home So I try to send you signs So you know you are not alone Don’t feel guilty that you have Life that was denied to me Heaven is truly beautiful Just you wait and see So live your life, laugh again Enjoy yourself, be free Then I know with every breath you take
You'll be taking one for me.
 
 
 
Anche con i crampi, con la fine sulla faccia, col dolore che mi schiaccia e non lo sai
Anche con la gioia di sapere che dovunque ce ne andremo non ci lasceremo mai.
 
 
 
 
 
N.D.A.
 

*risata nervosa* ciao?
Ho ucciso Harry. L'ho fatto morire. Mi sento una merda.
Ammetto che mentre scrivevo le ultime scene qualche lacrimuccia mi è scesa. Non mi era mai successo, e non so se sia accaduto perché questa storia è effettivamente un po' triste oppure perché mi sto lentamente trasformando in una piagnucolona troppo sensibile lol. Sono curiosa... fatemi sapere se i vostri bellissimi occhi sono rimasti asciutti oppure no, alla fine della lettura. E se volete darmi in pasto ai ratti delle fogne.
Vorrei ringraziare con tutto il mio cuore quella meraviglia della natura che è Lara, cioè la mia socia, la mia felina, la mia orsetta troppo bella ❤ Il banner è me-ra-vi-glio-so proprio perché è stato creato dalle sue manine piccine e abilissime, e se non avete trovato castronerie grammaticali è solo merito suo e dei suoi occhietti attenti. Potrei stare delle ore a parlare bene della mia papera, però dopo si monta troppo la testa e non va bene ❤ Ti amo, cucciola.
Se avete letto il libro o visto il film (a proposito, il tema di Harry sulle immersioni subacquee l'ho copiato papale--papale da lì) avrete notato che molte scene non ci sono, o che sono state drasticamente modificate. Spero non vi sia dispiaciuto troppo (Penso che Lara non mi perdonerà mai l'assenza della mitica scena PIPÌ LIBERA PIPÌ LIBERAAA) e che abbiate apprezzato le mie scelte :)
Ah, il titolo stavolta è preso dalla --stupenda-- "First day of my life" dei Bright Eyes.
Nel libro e nel film, Jesse e Leslie (cioè, rispettivamente, Louis ed Harry) sono dei bimbetti... hanno tipo undici anni. Non sentendosi molto a mio agio a scrivere dei Larry di quell'età (e, inoltre, volendo dare un risvolto romantico alla storia) (E VOLENDO SCRIVERE DELLO SMUT) ho deciso di alzare l'asticella e far avere loro sedici/diciassette anni anni :)
E niente, avrei tante altre cose da dire ma sono scema e non me ne ricordo neanche una ahaha.
Potete insultarmi qui su Efp (nelle recensioni o nei messaggi personali) :)
À la prochaine fois ❤ (Amore, lo so che è difficile ma non mi odiare) (♡)
  
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