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Autore: HanaSheralHaminail    28/05/2016    1 recensioni
* E' una storia introspettiva, un tuffo nella mente di un angelo in frantumi.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brevissima nota dell'autrice: Salve! Questa è la mia prima storia su EFP, vi prego di essere clementi! I personaggi (l'angelo e la voce narrante) appartengono a una storia interamente mia, che spero di pubblicare presto! L'illustrazione l'ho fatta io :3
 
 
Così fuggì l’arcobaleno, portando con sé i colori del mondo. 
 
***  

Era notte, e nessuno ti avrebbe visto, creatura spaurita e distrutta. Nessuno t’avrebbe visto, perché la tua luce si stava estinguendo pian piano, tacendosi per partecipare al tuo dolore, annullandosi, lasciando dietro sé solo il vuoto: questo ti circondava, una luminescenza pallida e inferma, invisibile, candela morente destinata al buio. Forse in te albergavi ancora una speranza, non posso dirlo, amico mio, ma il tuo aspetto era di chi si è già arreso.
Né la luna né le stelle mostravano il viso, celandosi dietro una cortina di nubi nere come l’abisso, come i tuoi occhi, voltandoti le spalle, scure al tuo cospetto. Il cielo sopra di te sembrava pronto a crollarti addosso, a schiacciarti, lo sentivi intorno a te, sul collo, sulle mani, soffocante e freddo.
Non voluto, reietto, ti spegnevi con grazia –in vita ma senza luce, qualcosa di crudele, assurdo, mostruoso: temevi te stesso e il tuo furore, temevi il gelo della tua solitudine, solitudine autoimposta, punizione infinita per una colpa che non ti apparteneva. Abbandonato, ridevi dolcemente, e la tua voce sapeva di morte, era il lamento straziato di una terra perduta; non mi hai cercato, angelo mio, angelo buono, e di questo mi rammarico: non c’era altro per te che non fosse lo strazio che ti accompagnava, e non avevi spazio per me, credo. Eri tradito.
A cosa pensavi, guardando il pallore delle tue braccia tremanti, l’argento riflesso su quella pelle che pareva una colata di metallo fuso? Ancora, ridevi, disgustato dalla tua infinita debolezza, dall’egoismo in cui ti permettevi di affondare, giù, giù, sempre più giù, fino a toccare un fondo che non esisteva.
Per amore, hai condannato un mondo.
È terribile, vero, angelo mio? Raccapricciante come in te non ci fosse orrore per quel pensiero, atroce come non fosse che l’unica tua certezza. La tua vita altro non è stata che un insieme di lucide bolle di sapone: fragili e variopinte, eteree, bellissime, riflettevano i colori di un arcobaleno che tu stesso generavi, e volavano, volavano… Tu le seguivi –ci seguivi, amorevolmente. E quando anche l’ultima di quelle tue bolle di pensiero è scoppiata… a quel punto hai perso tutto. Ti sei perso.
Che cosa cercavi, mio caro amico? Perché ancora scrutavi il cielo, cercando risposte assenti, risposte che solo tu puoi dare, risposte che perdono significato non appena abbandonano le tue labbra dischiuse e tremule? Perché, pur nella resa, non ti arrendi?
La pioggia che iniziò a cadere non ti infastidiva, e, d’altronde, non l’aveva mai fatto. Tingeva il tuo mondo di pallido grigio, carezzandoti piano, cullandoti nella tua tristezza –la tua Terra, tua figlia, piangeva per te, lo sapevi. Le piccole gocce d’acqua tiepida ti sussurravano all’orecchio terrificanti segreti, che, temo, non rivelerai mai, ma tu non sembravi ascoltarle: guardavi le tue mani e tacevi.
Erano macchiate di sangue, quelle tue mani.
Forse la pioggia l’avrebbe lavato via. Forse era per questo che l’amavi. Forse ti dava l’illusione di essere più pulito. Più puro.
La tua luce smorzata era riflessa un milione di volte nell’aria umida, eppure non c’era arcobaleno, era troppo buio, c’era troppo odio in te. Odiavi, tanto. Amavi, tanto. Non ti restava altro, in fondo, potevi soltanto vivere nella consapevolezza di essere inutile, di aver fallito, di non essere adeguato, di non aver fatto abbastanza. La resa era ancora più amara se giungeva dall’essere più potente dell’intero universo, il più buono, il più dolce.
La tua resa, più di ogni altra cosa, mi spaventava: aveva l’acre sapore della morte. Volevi salvare il mondo che hai creato, invece adesso saresti stato la causa della sua distruzione.
Ti sembrava giusto, vero? Era ciò che meritava, dopo averti tradito così, dopo aver reso vano ogni tuo sforzo, dopo che si era preso fino all’ultima stilla della tua luce. Davvero non ho la forza di contraddirti né biasimarti, perdonami, so che dovrei.
Dunque trema, O mondo, perché il tuo più grande protettore ha decretato la tua fine!
Che cosa ne sarà di te, angelo buono, quando avrai portato a compimento la tua vendetta? Troverai finalmente la pace? Io te lo auguro, te lo auguro di tutto cuore, anche se certo non sarò lì per vederlo.
Le gocce di pioggia sul tuo volto stanco sembravano lacrime, o così mi piaceva pensare. Non provavi rimorso, solo sollievo, e ancora sorridevi, seguendo la danza dell’acqua piovana con quei tuoi occhi color dell’universo. Mi chiedevo quando sarebbe giunta l’ora in cui l’universo sarebbe imploso, cancellandosi.
L’avvento dell’alba era vicino, eppure tu non accennavi a muoverti: in piedi davanti alla spiaggia deserta, le ali pesanti e zuppe abbandonate dietro di te, fremevi mentre il cielo si schiariva, compensando l’oscurità che stava mangiando la tua luce, rosicchiandola con la tenacia di un anziano roditore. Una volta, ti piacevano i topolini –lasciavi che camminassero sui tuoi palmi, zampettando qua e là, curavi i loro nidi. Ora nulla più ti smuove, nulla ti tocca, è così?
D’un tratto, ti vidi sollevare le braccia di scatto, come ad arrestare la venuta del sole, impresa impossibile perfino per te. Invece fu un arcobaleno a seguire il tuo gesto, quasi nascendo dalle tue mani, quando invece era tanto lontano quanto i giorni felici che ti eri da tempo lasciati alle spalle. La tua dolce, folle risata riempì l’aria, scampanellando, eri contento di bagnarti in quel mare di colori decisi e sgargianti, contento di lasciare che ti attraversassero con la forza e la crudezza di dardi affilati scagliati dall’etere.
Erano i tuoi sentimenti a volare via a cavallo dei raggi del sole nascente, o forse ero io che m’ingannavo, che m’illudevo di poter seguire il filo contorto dei tuoi pensieri? Eppure il tremore che ti scuoteva con violenza testimoniava la tua enorme sofferenza, e il modo in cui sembravi voler rincorrere l’iride tradiva la tua nostalgia. Sarei stato in grado di aiutarti, angelo mio? Rimpiango di non aver tentato…
Perdonami. Perdonami, te ne prego.

 
***

Così fuggì l’arcobaleno, portando con sé la tua dolce anima smarrita.


Nota di chiusura: Mi auguro di tutto cuore che questo breve viaggio nella storia dell'angelo vi sia piaciuto, e perdonatemi se è un poco dark... A presto!

 
   
 
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