Un impero ha sempre bisogno di ordine e ordini.
Ordine, regolamenti, leggi che permettono agli
abitanti di coesistere, pur
avendo idee, essendo di razze e pregando dei diversi.
Alcune di queste leggi sono emesse dagli stessi
pianeti, affinché la
popolazione che vi abita possa coesistere nella legalità.
Altre sono emessi dall’impero, per
conciliare le diverse leggi emesse dai
diversi pianeti, che potrebbero essere, tra di loro, in contraddizione.
Ordini e comandi vengono emessi da chi dirige
pianeti, zone della galassie
o l’intera galassia.
Ordini e comandi vengono dati anche alle truppe, ai
militari di stanza sui
vari pianeti, più o meno abitati, asteroidi o su tutto
quello che può permettere
ad un esercito di difendersi in caso di attacco.
Il punto dolente di tutto quell’ordine e
di tutti gli ordini emessi erano
le persone che li ricevevano, che dovevano comprenderli ed eseguirli.
Di certo, un ordine militare è un ordine
militare: spostare le truppe da un
pianeta all’altro non era certo come andare a fare un pic-nic.
Ma gli ordini o le leggi per i civili, per i
burocrati, dovevano andare
capiti ed interpretati.
Di certo la fantasia ai burocrati per interpretare
una legge, a loro modo
di vedere, non mancava e l’imperatore, troppo spesso, era
costretto ad emettere
specifici editti circa una interpretazione più o meno lesiva
per una parte o
l’altra.
I tribunali, ovviamente, erano spessi presi
d’assalto da quelli che
credevano che una legge fosse stata emessa a loro discapito.
Ma la cosa che l’imperatore odiava erano
le riunioni fiume con i burocrati
quando la legge, norma o editto doveva ancora essere emendato.
L’imperatore aveva deciso che il metodo
dei suoi predecessori, quello di
partecipare a quelle riunioni fiumi di persone, non andava proprio bene.
O almeno non si confaceva con il suo indomito
spirito.
L’imperatore aveva deciso di evitare che
la sua persona fosse messa in
pericolo abitando sul pianeta capitale dell’impero.
Ai tempi dei fatti che narriamo, l’impero
occupava la maggior parte di una
galassia a spirale, e la capitale dell’impero era un pianeta
di media grandezza
e come diceva, divertito, un famoso scienziato filosofo, “con
le cosine tutte
al loro posto”.
Il pianeta capitale era in un braccio della
galassia verso l’esterno.
Di certo la mutabilità delle stagioni, i
poli ghiacciati o le zone
desertiche vi erano come su qualsiasi altro pianeta e la concentrazione
delle
persone in molte aree aveva quasi riempito il pianeta di palazzi di
ogni
grandezza e forma, strade, case, sobborghi, favelas e altro ancora.
L’andirivieni di navi spaziali e persone
da quel pianeta era quasi al
collasso.
Gli oltre centro astroporti pubblici e
più di mille privati non bastavano a
sopperire alla richiesta di navi che vi arrivavano e gli incendi, tra
navi e navette,
era una realtà giornaliera.
Non vi era comandate di nave che fosse giunto al
pianeta capitale almeno
cinque volte di fila che in una non avesse fatto un incidente, magari
lieve, ma
pur sempre incidente, che rallentava la partenza o l’arrivo
di altre navi.
Il pianeta dell’imperatore, invece, era
sì in un braccio vicino, ma verso
l’interno, nascosto dai gas galattici.
Tutte e due i pianeti ruotavano intorno a dei soli
gialli, belli e caldi.
E questa era l’unica cosa che li
accumunava.
Il pianeta dell’imperatore, su cui vi era
la biblioteca, era poco abitato:
anziché alcuni miliardi di individui, ne vivevano alcune
milioni, che vivevano
solo per servire l’imperatore e la sua corte.
L’imperatore, dato che odiava spostarsi
inutilmente e passare tempo in
riunioni fiumi, aveva fatto costruire sul suo pianeta e su quello della
capitale due sale ologrammi, con una circonferenza di circa cento metri.
Erano in un’ala del palazzo reale verso i
giardini invernali, posti a est
dell’ingresso principale del palazzo, chiusi dentro ad una
enorme cupola, che
si estendeva per ettari e si alzava verso il cielo per più
di cinquecento metri.
Sulla capitale le sale erano poste
all’interno del palazzo dei giudici,
delle stesse dimensioni.
L’imperatore, in caso di riunioni, andava
in una delle due sale e
partecipava alle riunioni fiumi, qualche volta addormentandosi se la
discussione proseguiva senza giungere a qualche decisione, la qual cosa
faceva
arrabbiare i burocrati: che non partecipasse di persona alle riunioni
era una
cosa, che si addormentasse durante, quasi sbeffeggiandoli, questo non
lo sopportavano.
Se non addirittura, durante la riunioni, camminare
su è giù per la stanza,
sparire dalla vista delle telecamere dell’ologramma per poi
apparire con un
vestito diverso, sorseggiando una bevanda, se non addirittura vedersi
apparire
un servitore che gli portava da mangiare.
Più volte i burocrati si erano lamentati
con il gran ciambellano di corte,
ma l’imperatore non se ne interessava.
Anzi, più volte, in riunione, ebbe di
lamentarsi del loro atteggiamento.
Dopo tutto era l’imperatore a cui
obbedivano civili e soldati.
Se i burocrati non avessero sviato i suoi ordini.
E questo era successo con la nave camuffata che era
caduta su Icestar.
Era entrata da una parte del confine
dell’impero con l’altro impero,
piccolo, comandato da un imperatore folle e guerrafondaio.
Un burocrate l’aveva fatta passare, anche
se gli ordini giunti ai militari
era quello di fermare qualsiasi nave proveniente da quel quadrante
della galassia.
Ma i soldati, ben sapendo che avere a che fare con
i burocrati era una
pessima cosa, aveva avvisato dell’incidente il loro
comandante e rimasti lì, in
attesa di ordini.
E l’ordine giunse.
Non muoversi.
E i militari non si mossero, guardando la nave, ben
camuffata, passare il
confine e andare chissà dove.
Quando si seppe che quella nave era precipitata sul
pianeta prigione, i
militari guardarono torvo il burocrate di confine, che
sparì, improvvisamente.
Ma l’imperatore, che di solito non veniva
avvisato di queste inezie, lo
venne a sapere, anche per il fatto che la moglie era sul pianeta.
L’imperatore andò su
è giù dalla sala ologrammi, pensieroso, proprio
durante una di quelle riunioni fiume.
No, pensava, non era possibile!
Era andata ancora su quel pianeta a guardare il
prigioniero.
I burocrati lo guardarono in
quell’atteggiamento strano.
Lui, quando era pensieroso, metteva una mano, di
solito la sinistra, dietro
alla schiena e l’altra, in particolare modo con il mignolo,
giocherellava con
le sue labbra.
Era solito camminare a grandi falcate, entrando ed
uscendo dalle
telecamere.
Il primo ministro tossì,
tossì e ritossì.
Inutile.
L’imperatore stava pensando a qualcosa.
Poi improvvisamente si fermò.
No, non era possibile.
Il suo viso cambiò espressione e
guardò i burocrati, di sottocchio.
Dovevano ringrazia che non fossero lì
con lui, di persona.
La loro morte sarebbe stata lunga e dolorosa.
Schioccò le dita e l’ologramma
sparì.
I burocrati fecero strane facce, ma non potevano
farci niente.
Una giornata inutile, per loro, inconcludente,
anche se, a sera, non
avrebbero comunque concluso nulla, come sempre facevano con
l’imperatore,
ovviamente per ripicca nei suoi confronti.
Spariti gli ologrammi dei burocrati dalla stanza,
l’imperatore emise un
urlo animale, terribile.
I pochi presenti rimasero stupefatti da quanto
successo e scapparono.
L’imperatore di diresse a grandi passi
fuori della sala, salì su un veicolo
elettrico e si diresse verso la stazione radio, guidando personalmente
il
veicolo.
La stazione radio era posizionata nella zona
più lontana del palazzo
imperiale, a destra rispetto all’ingresso principale.
Molte persone della corte, che stavano
passeggiando, videro letteralmente
schizzare la macchina sulle strade, rischiando di travolgere molte
persone.
Arrivò all’edificio destinato
alla sala radio frenando di colpo e
abbandonando il veicolo sul prato di fronte all’ingresso
principale.
Entrò nella stanza dei servizi segreti,
posta al piano seminterrato, ove alcune
persone stavano controllando diversi pannelli di controllo, con le
cuffie ben posate
sulle orecchie, per meglio sentire tutto ciò che stavano in
quel momento
intercettando.
L’operatore capo si girò di
colpo, imprecando con chi fosse entrato
sfondando la porta.
Ma quando vide la faccia dell’imperatore
indiavolato, il capo si mise
sull’attenti, mentre gli intercettatori non se ne accorsero
di nulla.
Ma non poterono fecero finta di niente quando
l’imperatore fece scattare
l’allarme perché tutti gli dessero retta.
Il palazzo non fu svuotato per miracolo.
Il capo degli intercettatori era impietrito davanti
all’uomo.
Gli ordini che gli vennero dati erano a dir pochi
folli, ma gli
intercettatori ubbidirono senza aspettare che il loro capo desse quei
comandi.
I generali delle zone interessate, quella di
confine e quella vicina al
pianeta prigione, passarono ore nelle loro sale oleografiche delle lori
basi
militari, a discutere con l’imperatore e lo stato maggiore.
I due generali, diversamente dal solito,
all’interno delle sale oleografiche
erano soli. I loro attendenti e i loro stati maggiore rimasero fuori,
in
silenzio, preoccupati: non era cosa di tutti i giorni una riunione con
l’imperatore, lo stato maggiore e un comandante di
un’altra zona.
L’imperatore, nella sala, era con i suoi
più stretti collaboratori
militari: tre persone. Uno era il capo di stato maggiore, un cugino di
secondo
grado, a lui molto fedele, un altro era il responsabile
dell’intelligence
militare, fratello di una sua zia, un tipo strano, troppo intelligenze
per i gusti
dell’imperatore, e l’ultimo era il suo segretario
personale, un fratellastro,
di cui si fidava poco, ma che gli serviva lì, in quel
momento, per vedere la
sua faccia alle sue rivelazione ai generali: il nome
dell’uomo era sul famoso
elenco.
La discussione durò ore, quasi una
riunione fiume come con i burocrati,
solo che questa volta l’imperatore era ben sveglio e deciso a
sistemare la
questione velocemente.
Il generale della zona di frontiera uscì
dalla riunione sconvolto.
Il suo stato maggiore lo guardò
preoccupato.
«Qual è la nave più
vicina alla frontiera, verso l’esterno della
galassia?»
chiese ai suoi uomini.
«C’è la flotta C,
quella di Grovin. È lì da una settimana, che
pattuglia la
zona. Ma non è una nave sola …»
«Bene. Passatemelo in sala ologrammi e
venite pure voi.» Disse al suo stato
maggiore.
Il comandante Grovin era un tipo piccolo, con i
capelli rossi, la barba
rosso, la pelle rossa: tutti lo chiamavano “il
rosso” e lui ne andava fiero.
Il generale, quando il comandate si presento
nell’ologramma, si rivolse a
lui in modo amichevole.
«Salve, Rosso, come va?»
Il comandate Grovin si meravigliò, ma
decise di non rispondere allo stesso
modo.
«Bene , Generale. Grazie del suo
interessamento. Come posso esserle utile?»
«Devo darle un ordine che lei non ha mai
ricevuto. Superi la frontiera e
sconfini nella zona vietata dall’esterno della
galassia.»
Le persone presenti rumoreggiarono e il rosso
divenne ancora più rosso.
«Devo, se ho capito bene, uscire dalla
galassia, andare nel vuoto più
assoluto, e rientrare nella galassia dalla zona vietata? E
l’ordine non mi è
stato mai dato, ma sarà una mia iniziativa, senza ricevere
aiuto in caso di bisogno,
e per cosa?»
Il generale si passò la mano sotto il
mento.
«Deve scoprire chi, in questo momento,
comanda la zona vietata.
L’imperatore ha idea che il nostro vicino non sia in casa, ma
che sia a spasso
da qualche parte nel nostro impero.»
«Ah. Una visita di cortesia. E come spera
che io scopra se in casa c’è
qualcuno o no?»
«Si ricorda, Grovin, quel famoso
asteroide che passa vicino alla frontiera,
che esce dalla galassia e, rientrando, si avvicina al pianeta impero e
che abbiamo
più volte usato per i nostri viaggi ….»
«Certo. Ma ci vorrà tempo
…»
«No, mio caro, meno di quello che lei
pensa. Ultimamente il pezzetto di
roccia è stato fatto avvicinare ad un pianeta e ha preso
velocità, molta
velocità. Nessuno se ne accorgerà se lo userete
come nascondiglio. Lo sai,
Rosso, che quella è stata la tua migliore idea. E
l’imperatore ha deciso di
darti il comando dell’operazione, concedendoti il grado di
ammiraglio.»
«Oh, bene. Ammiraglio di niente. Va bene.
Ma ricordati che quella maledetta
bottiglia che tiene nel cassetto destro della tua scrivania
è mia. Che tu lo
voglia o no. E non svuotartela tutta da sola, se no faccio attaccare
dai miei
la tua cantina privata!»
«Va bene, maledetto! Ma datti da fare.
Hai solo due giorni prima del
rendez-vous con l’asteroide fuori della galassia!»
«Ah. Scusa,
generale, ma l’asteroide, ovviamente …»
«Lo sai benissimo come deve svolgersi il
piano C, capo D. Non fare inutili
domande!»
Il generale chiuse la comunicazione e il Rosso se
la rise come un matto.
Il suo piano era stato approvato
dall’imperatore.
Bene. Una visitina a quel maledetto cugino
rompiscatole non gli dispiaceva.
Dopotutto, con lui morto, il comando di quella zona
spettava a lui.
Si, era la volta buona che, anche se non
imperatore, un certo titolo
nobiliare gli sarebbe caduto tra le braccia e l’odioso cugino
sarebbe finito
nel fango.
Uscì dalla sala ologrammi e diede ordine
di partire alle sue navi.
La sua mini flotta era costituita dal suo
incrociatore spaziale, che vista
dall’esterno non dava l’impressione di essere in
gran forma, due porta caccia
stellari, due navi rifornimenti, dieci navi di scorta e alcune
più piccole che precedevano
in avanscoperta o seguivano la flotta in copertura.
La flotta parti a velocità luce verso il
confine della galassia.
Una delle navi di scorta attraverso velocemente il
confine e atterrò
sull’asteroide.
La flotta, intanto, trascinava un asteroide, della
stessa forma e
dimensione di quello che doveva coprire la loro piccola invasione.
La nave di scorta atterrata
sull’asteroide aveva a bordo circa cinquanta
uomini.
Il comandante si chiamava Gregorovich, statura
media, non troppo muscoloso,
viso con dei lineamenti marcati.
Per essere una donna era un po’ troppo
maschiaccio, ma i suoi uomini non ci
facevano caso: a bordo donne e uomini avevano gli stessi diritti e
doveri e obbedire
non era certo n optional.
Il comandante, dopo l’atterraggio, diede
ordine per piazzare dei motori
ausiliari che avrebbero spinto l’asteroide lontano, nello
spazio infinito,
mentre il sostituto avrebbe preso il suo posto, nascondendo al suo
interno la
flotta, che sarebbe giunta a destinazione senza dar troppo
dell’occhio.