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Autore: scrittrice in canna    01/06/2016    1 recensioni
[Si può leggere la storia anche senza aver visto Sense8]
Otto ragazzi da tutto il mondo, con storie diverse ma complementari, si aiuteranno a vicenda in un viaggio alla scoperta di loro stessi quando si troveranno legati in maniera inesorabile da qualcosa che va oltre il DNA e il fato: l'empatia.
La loro vita verrà messa in pericolo da un nemico comune e solo lavorando insieme potranno avere una possibilità di sconfiggerlo, senza però dimenticare i problemi di tutti i giorni e i demoni che si portano dentro.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Finn/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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3.

Guardare il mare l’aveva sempre calmata quando stavano in America, viaggiava fino alla spiaggia ogni volta che suo padre tornava a casa troppo ubriaco per intendere o volere, guidava e guidava lungo la costa di Los Angeles e lasciava che le onde la cullassero col loro rumore e l’odore salmastro.
Purtroppo, da quando era andata a vivere in Giappone, non aveva più avuto quel privilegio. Quanto le sarebbe piaciuto sentire la sensazione della sabbia sotto i piedi solo un’altra volta.
Fu così che si ritrovò seduta accanto a un ragazzo triste di nome Kurt che si teneva le gambe abbracciate al petto, la testa sulle ginocchia. Non piangeva, ma era miserabile, Mercedes lo poteva sentire. Doveva ancora abituarsi a questa cosa strana che le stava capitando, ma non era brutto sentirsi connesso a qualcuno quando si trovava in una nuova, terrificante città. Appoggiò la mano sulla spalla del ragazzo, doveva consolarlo in qualche modo.
“Ehi?” provò con voce leggera.
Lui alzò il capo, sembrava che non avesse dormito tutta la notte, invece erano passate solo un paio d’ore da quando si era rintanato in quella parte dispersa di mondo.
“Dove siamo?” gli chiese Mercedes guardano in avanti, verso il mare aperto. Erano su di un promontorio naturale ricoperto d’erba, non esattamente la spiaggia che aveva sperato, ma le colline offrivano uno spettacolo naturale da mozzare il fiato e l’odore di terreno umido le riempiva le narici, doveva aver piovuto da poco perché i ciuffi d’erba erano colmi di rugiada.
“Perfetto” rispose Kurt portando gli occhi al cielo: “Sei anche tu parte della mia ‘cerchia’?” chiese in tono sarcastico. Sinceramente pensava solo di essere impazzito del tutto.
Mercedes sbatté le palpebre, cercava di capire cosa volesse dire con ‘cerchia’, ma non trovava molti significati logici.
“La tua… cosa?” domandò alla fine.
“A quanto pare le mie allucinazioni sono persone vere, mio fratello l’ha scoperto da una ragazza che si chiama Brittany. Lei è Australiana, mai sentita nominare prima d’ora.”  E ora stava anche spiegando i complessi di suo fratello al frutto della sua immaginazione. Perfetto, semplicemente perfetto. Fece una risata amara, senza una briciola di umorismo.
Mercedes aveva l’aria di aver riconosciuto quel nome e in effetti sapeva che Brittany era una delle persone a cui era collegata.
“E tu non gli credi?” Stava cominciando a capire quale fosse il problema che lo aveva portato ad isolarsi dal resto del mondo.
“Come posso credergli?” Ribatté lui: “È da pazzi!”
“Dammi il tuo telefono” gli ordinò lei dopo aver riflettuto per un po’, stendendo la mano. Kurt le obbedì, la vide digitare qualcosa, poi premere il pulsante di chiamata, in poco tempo il cellulare della ragazza cominciò a vibrare e lei mostrò a Kurt il suo numero sullo schermo.
“Fammi chiamare da qualcuno che non ha le allucinazioni; se sentirà la mia voce avrai la prova che sono reale.”

Brittany era delusa, non aveva visto Santana, non ci era riuscita, e lei era ancora triste.
Mise le mani sotto il mento e sbuffò, coi gomiti appoggiati al tavolo rimase immobile a fissare il muro vuoto.
Le sarebbe piaciuto tanto rivederla, era stata in contatto con Finn e si era divertita tantissimo a vedere il suo sguardo perso nel vuoto mentre gli spiegava cosa volesse dire essere un sensate, sospettava che avrebbe visto molto spesso quell’espressione.
L’idea la fece sorridere, sapeva che almeno lui era tranquillo riguardo alla nuova situazione, l’aveva abbracciata ed accettata – probabilmente Rachel aveva molto a che fare con quella sua improvvisa accettazione – al contrario di suo fratello Kurt, che ancora non conosceva le sue nuove possibilità, non avevano mai parlato, ma Brittany sapeva che nella sua vita c’era un vuoto grande quanto un cratere, sperava solo che la cerchia l’avrebbe aiutato a sentirsi meglio.
“Siamo pensierose oggi.”
Brittany s’illuminò, lasciò cadere le mani sul tavolo e disse, quasi urlando: “Ti ho cercata tutto il giorno!”
Santana ridacchiò sotto i baffi, da dov’era appoggiata al bordo del tavolo da pranzo riusciva a vedere solo il profilo della bionda, ma le bastava anche in quel modo.
“Sono felice che tu mi abbia trovata” sussurrò alzandosi per sedersi di fronte a Brittany.
“Veramente sei stata tu a trovare me” la corresse l’altra indicandola.
Santana rise di nuovo, non aveva mai sorriso così tanto da quanto potesse ricordare.
“Diciamo che ci siamo trovate a vicenda.”
Ci fu un momento in cui le due ragazze trovarono piacere nello scrutare l’altra, ogni piccola imprecisione, per imprimerla nella loro memoria, poi Brittany prese un respiro profondo e chiese: “Allora, dov’è che sei tu? C’era un sole fantastico ieri!”
“Lesbo, è un’isoletta nel mare Egeo.”
La biondina corrugò la fronte, si sarebbe dovuta informare meglio su quell’isola.
“Non hai l’accento greco” disse, invece di fare qualche domanda inappropriata.
“Vivevo in Messico, prima.” Quello spiegava tante cose. Brittany annuì e si alzò per preparare del caffè, dando le spalle a Santana e cominciando a parlare: “Devo riuscire a venire da te ogni tanto, perché-” solo che quando si girò non c’era più nessuno al tavolo.
Intanto in un piccolo studio di danza di un’isola molto più piccola dell’ Australia, una ragazza cercava di trattenere le lacrime.

Negli ultimi giorni Blaine si era ritrovato ad essere estremamente triste e anche se molti gli avrebbero detto – logicamente – che era perché i suoi genitori erano appena morti, lui sapeva che non era quello il motivo, non gli mancava la presenza ostile di suo padre, era come se non importasse quanto riuscisse ad andare lontano da Parigi, da qualche parte lui lo stava giudicando perché non poteva credere che il suo prezioso bambino, il suo talentuoso primo ed unico figlio, fosse un diverso. Così, improvvisamente, il suo desiderio di diventare un artista divenne un sogno stupido e ogni scelta che facesse era semplicemente di seconda categoria agli occhi di suo padre.
Il solo pensiero lo fece rabbrividire, così si diresse verso l’unico oggetto in quella enorme villa che gli avesse mai dato un po’ di conforto, da sempre: il pianoforte di suo nonno.
Si mise a suonare una delle prime canzoni che gli vennero in testa: “Baby, It’s Cold Outside”, non era Katy Perry e di sicuro non era proprio il massimo per la sua situazione, ma se la sarebbe fatta bastare, l’importante era cantare nonostante quella canzone si dovesse fare in due, nonostante tutto.
Dopo le prime due righe di spartito chiuse gli occhi, si rese conto che tutto ciò che suonava in quei giorni sembrava più malinconico del solito.
This evening has been, so very nice.” Una voce più alta, più melodiosa della sua si unì all’improvviso. Blaine guardò il nuovo arrivato con un po’ di paura, tanto che saltò la sua parte per un paio di volte, l’aveva preso di sorpresa, però vedendo che era il ragazzo del funerale non poté fare altro che sorridere e andare avanti con l’esibizione. Una volta passato l’imbarazzo entrambi cantarono tranquillamente la loro battuta al momento giusto, come se avessero provato per giorni. Non aveva mai cantato così bene con nessun’altro, solo uno dei tanti motivi che portarono Blaine a rattristarsi nuovamente quando suonò l’ultima nota.
L’altro ragazzo rimase in piedi di fronte al piano, un sorriso da ebete – adorabile, commentò Blaine tra sé e sé – sul viso.
“Sei molto bravo” lo complimentò, la voce piena di adorazione.
Kurt – si chiamava in quel modo, non sapeva perché ma quella consapevolezza lo colpì all’improvviso. Ripeté il nome nella sua mente un paio di volte: gli piaceva – abbassò lo sguardo, chiaramente imbarazzato. “È solo un passatempo, non lo faccio spesso” disse prima di sedersi accanto a Blaine sulla seggiola in pelle dietro al pianoforte. E tutto d’un tratto quest’ultimo voleva solo togliersi il papillon perché la stanza stava diventando stranamente calda.
“Dovresti” lo riprese Blaine poggiando le mani su dei tasti a caso, non sapeva cosa fare con sé stesso e sulle guance di Kurt si era formato un leggero rossore.
“Grazie” mormorò a quel punto, consapevole che sarebbe stato inutile combattere contro Blaine – quando si erano presentati esattamente? Poteva anche averlo dimenticato, dubitava di ricordarsi il suo stesso nome in quel momento – e poi aveva sempre amato i complimenti, facevano bene al suo ego.
“Parigi, eh?” notò, per cambiare discorso. Dalla finestra si vedeva il museo Louvre.
Il riccio annuì, troppo emozionato per formare delle frasi di senso compiuto.
“Ho sempre voluto visitarla” ammise Kurt, gli occhi ancora puntati alla finestra.
“Te la mostrerò, allora” affermò sicuro Blaine.
L’altro si girò di scatto e i due si trovarono quasi naso a naso.
“Mi piacerebbe.”

Finn tornò dal negozio con la spesa per i prossimi giorni, si chiuse la porta alle spalle e chiamò: “Kurt! Sono tornato! Dammi una mano con le buste!” L’unica cosa che vide però fu suo fratello seduto con una tazza di caffè appoggiata alle labbra e un’espressione sognante sul viso.
Finn poggiò le buste sul tavolo e fece schioccare le dita davanti agli occhi dell’altro che si riprese dalla trance e poggiò la tazza sul tavolo.
“Sai? Forse questa storia della cerchia ha un senso. Torno subito.” Si alzò senza dare troppe spiegazioni e se ne andò.
“Cosa gli prende ora?” chiese Mercedes che era alla destra di Finn con le braccia conserte.
“Non ne ho la più pallida idea” ammise Finn guardando il corridoio. Era impressione sua o Kurt stava cantando nell’altra stanza?
“Lo so io cosa gli prende” intervenne Rachel, alla sinistra del ragazzo: “Si è preso una cotta.”
“Oh, No!” si lamentarono gli altri due.
Rachel annuì teatralmente, con gli occhi chiusi: “Anche bella grossa.”

Rachel rise divertita dalla reazione di Finn, peccato che la connessione si fosse interrotta, le sarebbe piaciuto poter vedere cosa avrebbe fatto dopo, se fosse scappato da suo fratello con quella faccia a metà tra lo scioccato e il terrorizzato, urlando il suo nome a vuoto, o se fosse rimasto lì in piedi, a fissare il corridoio.
Mise da parte ogni pensiero che riguardasse la cerchia e cominciò a sistemare la stanza da dov’era rimasta poco prima mentre cantava “Rolling In The Deep” che rimbombava in tutta la stanza.
Rimise i piedi in terra dopo una piroetta particolarmente ben fatta e si trovo di fronte Jessie St. James con il suo sorriso sornione, di nuovo.
Rachel alzò le sopracciglia per lo stupore, cominciò a boccheggiare. Il suo primo istinto era stato di prendere il telefono e chiamare la polizia, poi aveva realizzato che se lui era proprio lì c’era una sola spiegazione: erano collegati, il che le faceva venire la pelle d’oca.
Con quale sfrontatezza se ne stava tutto sorridente con le mani in tasca e l’atteggiamento da padrone di casa?
“che ci fa tu qui?” gli chiese alla fine senza guardarlo negli occhi, aveva ricominciato a mettere apposto.
“Rachel, fino a prova contraria nessuno di noi ha imparato a gestire queste…” Non trovava il termine giusto, gesticolò con una mano: “Visite.”
“Non posso crederci” mormorò Rachel mentre continuava a ignorarlo riprendendo le sue faccende, se non lo guardava il collegamento spariva, non era così che funzionavano le cose?
Apparentemente no perché Jessie era ancora nel suo salotto, magicamente seduto sulla poltrona davanti a lei.
Rachel stava cominciando a perdere la pazienza, i suoi movimenti erano sempre più rigidi e carichi d’ira, voleva prenderlo a pugni, ma non sapeva se il segno sul viso sarebbe rimasto o meno, non sarebbe stato divertente se il suo viso fosse rimasto integro.
“Potresti andartene?” domandò con finta gentilezza, le mani sui fianchi.
Jessie ghignò, sembrava persino che la situazione lo divertisse.
“Ci sto provando!” ammise, ma non era molto serio o credibile.
Sarebbe stata una giornata molto lunga con lui in mezzo ai piedi che la fissava.
“Hai ricevuto il mio copione?”
“No.” Buttò delle cartacce nel cestino.
Lui annuì, anche se lei non lo stava guardando e non aveva intenzione di farlo. Dato che Rachel aveva deciso d’ignorarlo, Jessie si era preso la libertà di guardarsi intorno, aveva sempre pensato che il modo più efficace di conoscere qualcuno fosse sapere cosa si trovava nella loro casa, almeno per lui era così. L’appartamento di Rachel Berry urlava: star di Broadway. C’erano poster dei più grandi musical degli ultimi sessant’anni su tutte le pareti, specialmente di Barbra, alcuni erano anche autografati. La ragazza sognava in grande, ammirava la sua dedizione.
Stava girando sui talloni per chiederle da dove venisse una foto in particolare, ma si ritrovò sul palco del teatro dov’era prima, solo.

Blaine aveva deciso che, dopo due giorni passati a vivere di cibi d’asporto, era il momento giusto di andare al supermercato e fare rifornimento. Se avesse dovuto vivere il resto della vita nella casa dei suoi tanto valeva farlo in grande stile e lui era sempre stato una buona forchetta, in più si sentiva rinvigorito dopo il duetto con Kurt. Aveva persino fatto una lista dove aveva scritto tutto l’occorrente per la cena di quella sera: si sarebbe cimentato in cucina, cosa che aveva fatto forse due volte nel corso della sua breve esistenza. Era così impaziente di tornare a casa che andò a sbattere contro un uomo più grande di lui, circa sulla cinquantina, che quando lo guardò negli occhi, mentre Blaine si scusava, sorrise e lo rassicurò con voce tranquilla: “Oh, non c’è problema, caro.”
Il più giovane gli sistemò il costoso cappotto scuro, assicurandosi di non aver fatto alcun danno: “Mi dispiace davvero tanto!” disse un’ultima volta prima di andarsene.

 
Scrittrice in canna's corner
Qualcuno mi dice che dovrei migliorare il mio effetto sorpresa, spero di non fare davvero così schifo come dicono *inserire faccina a disagio qui*
Anche questo capitolo è andato, momentaneamente sto scrivendo il sesto, ma avrò molto da fare nei prossimi giorni quindi non credo di poter aggiornare settimana prossima. Un po' mi dispiace, è l'unica storia in quattro anni che aggiorno e scrivo con regolarità, ma va be', andrà meglio col resto. 
Spero che la mia parte da Klainer disperata non sia troppo ovvia (?) giuro che cerco di essere imparziale, e lo vedrete nel prossimo capitolo che è anche quello in cui le cose cominciano a muoversi un po'.
Vostra,
Scrittrice In Canna, che litiga con l'HTML.
   
 
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