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Autore: Morgana89Black    03/06/2016    2 recensioni
Un giorno qualunque in una cella di Azkaban.
Circondata dai dissennatori la mangiamorte più fedele a Voldemort cerca di non cedere alla follia, mentre nella sua mente miriadi di pensieri si susseguono sconnessi.
Il potere dei dissennatori può rendere pazzo chiunque, a maggior ragione chi già un pò folle lo era.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Siamo anime nere come il carbone.'
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Ordinaria follia.

 

Freddo.

Sento freddo.

Ogni giorno, ogni ora, ogni secondo.

Solo tanto freddo.

Disperazione, odio, rancore.

È così gelido questo posto.

Non so dove sono.

È una cella.

Sì, dev'essere una cella.

È buia.

Fuori qualcuno si muove.

Forse qualcosa, non qualcuno.

Urla.

Stanno urlando.

Urlano sempre.

Anche io vorrei urlare.

Ma non riesco.

A volte rido.

Rido.

Perché rido?

Vedo dei volti, continuamente.

Immagini che comprendo appena.

Ricordi sfuocati ed appannati.

Mi sembrano lontani.

Troppo lontani.

Una bambina, piccola, appena nata.

In una culla d'avorio.

È bella.

Sorride.

Io non ho mai sorriso molto.

Ora rido, però.

Rido molto.

Mia madre me lo diceva sempre.

Sei cupa diceva.

Quella bambina.

Ne ero gelosa.

Narcissa.

Si chiamava Narcissa, così aveva detto mio padre.

Mio padre.

Già.

Quell'uomo burbero.

Era sempre elegante.

Sempre perfetto.

Io no.

Io non lo ero.

Ero cattiva.

Lui diceva che ero cattiva.

Non ha mai sorriso per me.

Mai.

Per la bambina sì.

Sorrideva quando era nella culla.

Perché poi?

Non stava facendo niente.

Era piccola, inutile.

E piangeva.

Piangeva così tanto.

Ed io la facevo piangere.

Sì.

A volte la pizzicavo, quando nessuno mi vedeva.

Così lei piangeva ancora ed ancora.

Sempre più forte.

Sorrideva anche con l'altra bambina, mio padre.

Mai per me.

Io ero cattiva.

Così diceva.

Lei no.

Andromeda non era cattiva.

Era perfetta.

Sorrideva sempre.

Ed era sempre così composta.

Gioiosa.

Odiavo anche lei.

La odio ancora.

Lui l'amava.

L'amava tanto mio padre.

Era la sua preferita.

Perché rideva sempre.

Sempre.

Cos'aveva da ridere?

Mia madre la odiava.

Non le piaceva Andromeda.

Lei amava l'altra bambina.

Narcissa.

Sì, lei amava Narcissa.

Ed io?

Io ero sola.

È andata via, però.

Lo ricordo quel giorno.

Mio padre era così deluso.

Aveva i capelli neri mio padre.

Mia mamma no.

I suoi erano biondi.

Come quelli della bambina.

Quella piccola: Narcissa.

Io ho i capelli neri.

Come mio padre.

Ma lui non mi amava.

Non amava i miei capelli.

Erano crespi.

Disordinati.

Come i suoi.

Ma non li amava.

Arrabbiato.

Sì, era arrabbiato mio padre.

Con tutti.

Anche con me.

Come se avessi dovuto impedirle di andar via.

A chi?

A chi dovevo impedire di andar via?

Come poteva farlo?

Cosa avrei potuto fare.

Non ricordo neanche chi è andato via.

Forse una delle due bambine.

Ma come potevano andar via.

Erano piccole.

Anche io ero piccola.

Cosa potevo fare?

No.

Non erano piccole.

Non sempre.

Sono cresciute.

Sì, cresciute.

Ricordo due ragazzine.

Giovani.

Una bionda.

Una castana.

Così diverse.

Una fredda, ma dolce.

Una dura, ma solare.

Due ragazzine.

Nulla in comune.

Anzi no.

Una cosa l'avevano in comune.

Quello stemma sui vestiti.

Un serpente d'argento su uno sfondo verde.

Anche io avevo quello stemma sui vestiti.

Non ricordo perché.

Non riesco a ricordare.

È tutto così sfuocato.

E fa freddo.

Tanto freddo.

Ora non ci sono stemmi sui miei vestiti.

Rido.

Folle.

Rido.

Perché questi non sono vestiti.

Stracci.

Indosso degli stracci.

Perché poi?

Ho molti vestiti.

Belli.

Morbidi.

Cupi.

Non ho abiti colorati.

Solo neri, verdi.

Scuri.

No.

Non è vero.

Avevo un vestito rosso.

Me lo ricordo.

Rosso sangue.

Come il sangue che esce dalle mie vene ora.

Sono ferita?

Come mi sono ferita?

È caldo.

Questo sangue è caldo.

Non è blu, è rosso.

Come il sangue delle mie vittime.

Anche quello è rosso.

Se li accostassi non ci sarebbe differenza.

Come potrei distinguere il mio?

Un modo deve esserci.

Il mio è migliore.

Deve essere migliore.

Sono una Black.

No.

Non sono una Black.

Non più.

Sono una Lestrange.

Cambia qualcosa?

Ho un marito.

Dov'è mio marito?

Non ricordo il suo viso.

Non bene.

Non lo vedo da molto.

Quanto?

Quanto tempo è passato?

Non ci sono orologi in questa cella.

Potrebbe essere un giorno.

Un anno.

Dieci anni.

Quanto?

Non lo amavo.

Comunque.

Anzi.

Non lo amo.

Lo odiavo.

Era un peso.

Lo odiavo.

Non ero felice di sposarlo.

Non avrei dovuto essere felice?

Sì dice che il giorno del matrimonio sia il migliore della vita di una donna.

È stato il giorno più brutto della mia.

Ero infelice.

Arrabbiata.

Con mio padre.

Lo odiavo.

Piangevo.

Non ho mai pianto.

Non è decoroso.

Quel giorno piangevo.

Erano tutti commossi.

Pensavano fossi felice.

Lacrime di gioia le chiamavano.

Io ero arrabbiata.

Triste.

Delusa.

Ed io?

Quanti anni ho?

Ero giovane.

Una ragazza.

Giovane.

Ora?

Le mie mani sono sporche.

Rovinate.

Screpolate.

Potrei avere sessant'anni.

Non lo so.

Ero giovane.

Ero bella.

Cupa.

Ma bella.

Ero attraente.

Nobile.

Pura.

No.

Pura no.

Non lo ero più da molto.

Forse non lo sono mai stata.

La pizzicavo.

Quella bambina nella culla.

La pizzicavo.

Forse ho smesso allora di essere pura.

Avevo quattro anni e non ero più pura.

Fa freddo.

Tanto freddo.

È gelida questa cella.

È gelida la mia anima.

Forse potrei dormire.

Potrei.

È l'unica cosa che posso fare.

Dormire.

Sì, penso dormiro.

 

   
 
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