Vivi ogni attimo e questo non sarà mai l'ultimo. |
Akira Kurosawa
Rimani, come le onde fragorose e odorose. Rimani ancora, come questi forti
alberi immortali, frutti di un seme ricco e vero. Rimani immobile sul mio viso,
come questo roteante soffio di vento che uggioso sparge e semina fuoco sulla mia
pelle.
-Sai, a volte quando sono con te mi sento un pedofilo.-, sussurri laconicamente
erotico.
Morbosamente mi fissi con lo sguardo scuro e luminoso del nostro mistero, astro
invisibile e buio, troppo lontano lui per poter essere ammirato e troppo
disattenti noi per notarlo. Inquietante questo cielo spinato che ci circonda
pretenzioso, confusionarie le tue dita sul mio viso…
Il sole illumina le tue oscure piume da corvo producendo riflessi grigio scuro e
color fumo, mentre la mia inettitudine di fronte al sole ed al tuo volto fertile
e terreno non fa che acuirsi sempre di più.
La mia croce, la tua croce, brucia
riflettendo i criptici raggi di un sole plumbeo, madreperlato, ombroso,
malinconico; pare uno specchio in cui le nuvole che ci celano all’astro primato
si gonfiano fino ad inghiottire il tuo bruno petto.
Eppure questo paesaggio è triste, cadente, piangente, come quei salici che
spiccano, eleganti e viziati come una frivola e leziosa ragazzina vagamente
donna, essenzialmente bambina; lo stesso salice i cui rami ospitarono le vergini
e candide vesti di Aretusa prima che s’immergesse letteralmente nelle vitree
acque del suo amato e sconosciuto Alfeo. I cipressi, avvolti nel loro
confortante apollineo mantello verde, piangono le loro principesche lacrime di
una sfumatura più cupa dell’erboso colore dei miei occhi. Una luna mattutina e
sfumata affiora da una goccia celeste di questo cielo ruvido e voluminoso.
E’ tutto così oziosamente oscuro… L’ombra dei tuoi spessi e pesanti capelli sul
mio viso fragile e delirante è più rassicurante di qualsiasi foglia immortale,
di qualsiasi ramo fruttifero e selvaggio, di qualsiasi albero sostenitore dei
mali della Terra, questa Terra che nessuno conosce e dei cui orrendi difetti
solo noi godiamo: puri in acque torbide, intoccabili, insaziati dal fango che
golosamente ingoiamo, dai vermi che ci calpestano senza rispetto né pietà. Sì,
persino gli insetti ci disprezzano, troppo occupati nel costruirsi una casta,
una tribù di cui rispettare regole varate dai più saggi e avviliti, dai più
stanchi della vita tanto da renderla salata e amare anche per coloro che non
sono altro che terra, che mangiano la polvere, che vivono in miseria, che
seminano scandalo, che sputano su erba profumata e accessibile per ungere la
loro turpe pelle con olezzi oleosi e marci baci.
Schiacciateci, oltraggiateci, umiliateci: preferiamo nutrirci di arboree lacrime
miste a sterco ammuffito piuttosto che usufruire di una falsa rugiada
proveniente da petali taglienti e fiori cannibali.
Un melanconico cuscino di nuvole acceca il sole, il suo splendente nitore.
-It’s going to rain, kids!
Be careful.-.
La tua mandibola scatta, il viso virile si gira, veloce, verso la ventosa voce
di Wendy, la dolce e giovanile madre della famiglia presso cui alloggiamo.
Il tuo collo si tende, si stende, attende… Oh…
-Don’t worry, Mrs. Brothster, we love rain. We can stay
here, in Japan we used to go walking when it rained. It’s a… tradition. Thanks,
anyway.-.
-Cos’ha detto? Cos’hai detto? Eh?-.
La curiosità non è minore della meraviglia, pur essendone figlia e sposa.
Attendendo la tua risposta, ti osservo; un punto nero, un frammento di onice,
unghia di Venere… No, due gemme notturne, due germi vespertini che mi cingono,
mi attraggono, mi circondano, mi pugnalano, redimono
la mia voluttà. Non mi tentare, amore mio, non mi stringere il cuore, non
lo arpionare con le tue scaltre dita.
Fallo, fallo, fallo…
Le tue pupille sono ritornate, infestano un’altra volta il fertile prato dei
miei occhi, fiamme di cloro bruciano il tuo cupo e tenebroso inchiostro, lo
incendiano, fuori controllo, sfrenati, incandescenti. Grinze sul mio cuore,
stonate e raschianti, artificiali, opache e doloranti: mi strozzi il cuore, lo
privi di aria pura, risucchi compiaciuto la mia anima, mi annulli, mi azzeri in
zolle di cenere zampillante, come un piromane disperato. Ancora il mio cuore,
ancora!
Fallo fallo fallo
fallo fallo fallo.
-Niente, la puttanella, il Golem e Paperino ci lasciano soli, finalmente.-,
bisbigli accarezzandoti il labbro inferiore e gettando gli occhi sotto il mio
mento.
-Non parlare così della signora Brosher, del signor Bruffer e di Jerry! Sono
molto gentili con noi e…-.
-Be’, almeno ne hai azzeccato uno su tre. Si chiamano
Brothster.-, puntualizzi al mio sguardo perplesso, mentre strizzo
l’occhio sinistro per un ciuffo di capelli entratovi. Cautamente, il dito prima
poggiato sul labbro mi carezza la palpebra, rotatorio e sensuale.
-Troppe consonanti.-, borbotto imbronciata.
La tua mano, fredda e sudata, mi storce un orecchio per scherzo, facendo
defluire quel momento di delirio (mio) e di compiacenza (tua) in un’allegra e
frivola leggerenza cangiante.
Sento i coniugi che ci ospitano e il loro bambino, Jerry, raccogliere in
movimenti stanchi e incoerenti con la voce festosa di Wendy le tovaglie a
scacchi stese sull’erba fradicia, le sfrigolanti buste bianche per la spazzatura
diligentemente piene, la guida per le campagne, i centri d’ippica e gli
agriturismi nei dintorni di Stecin, dove alloggiamo nei fine settimana, il
cestino di vimini per il pranzo e il barbecue portatile sporco di Ketchup;
percepisco accanto a noi i passi lievi e rasenti di qualcuno e, voltandomi,
scorgo il piccolo Brothster, la sua chioma castana, tanto lignea da ricordarmi
quella di Shaoran con sorprendente angoscia, quasi del tutto ottenebrata dal
cappuccio arancione della giacca a vento datagli con calore e preoccupazione
dalla mamma, il viso sempre contratto, come se combattesse perennemente con un
sole invisibile posto da un dio maligno davanti ai suoi occhi grandi e scuri da
bimbo, o come se fosse eternamente impegnato in un pianto perpetuo.
Ci voltiamo verso quell’ombra grigia nel cielo cinereo e sull’erba plumbea,
improvvisamente accesa d’arancio, e aspettiamo che apra quella piega, una delle
tante nella sua espressione uggiosa.
-Now you’re alone.
Screw in
peace.- (trad.: ora siete soli. Scopate in pace).
Touya sporge le labbra e aggrotta le sopracciglia, pensieroso e… divertito, in
maniera oltremodo sconsiderata, a giudicare dal sorriso furiosamente angelico
che gli balena sul viso, accartocciando la sua perfetta espressione rilassata.
Dal canto mio, non capisco cos’abbia detto quel ragazzino dalla pelle argentea e
lentigginosa per far reagire in tal modo mio fr… Touya.
Touya, Touya, Touya.
-Mind you own fucking business.- (trad.: fatti i cazzi
tuoi).
-Cosa gli hai detto? Che sta succedendo?-, bisbiglio al tuo orecchio
parzialmente nascosto dalle piume corvine della tua notturna capigliatura.
Palpito, non capisco cosa stia accadendo, le mie pupille rimbalzano nell’angusto
spazio delineato dalle palpebre, vorrebbero schizzare fuori come macigni che
scivolano da una rupe, sono biglie metalliche e brillanti attratte dalla tua
mente, desiderano ardentemente varcare le porte adornate della tua testa,
comprendere ogni tuo cambiamento di espressione, ogni grinza tura del tuo viso,
ogni distensione muscolare, ogni flessione articolare, ogni gioco di palpebra,
pregustare ogni tuo impulso, essere trasportata di sinapsi in sinapsi dai tuoi
stimoli, baciare la tua pelle come piastrine delicate, penetrare ogni tua
membrana, conoscere e assaporare ogni residuo di citoplasma, piegarsi e
accomodarsi in ogni tuo organulo, insinuarsi fra i legami misteriosi dei tuoi
atomi, per poi rifluire nel fluviale flusso ematico, accarezzare con leggiadria
le pareti dei tuoi vasi sanguigni, solleticandole e abbandonandomi alle tue
viscere.
Ma tu non rispondi, ignori la mia domanda, ancora concentrato a fissare
quell’undicenne (sì, quando ci siamo presentati ha detto
I’m thirteen, cioè che ha undici anni,
no? Anche Touya ha annuito e poi ha ridacchiato quando gli ho fatto notare ciò
che avevo capito…); sembra vagamente la scena di un film western, manca
solamente la polvere secca in nuvole opprimenti, sostituita dalla pioggia fina e
fitta che picchietta sui miei capelli sciolti.
-You’re just two rotten bogs...-
(trad.: siete solo due cessi schifosi), bisbiglia Jerry voltandosi.
-Jerry, come here! You’ll catch a cold!-, (trad.:
Jerry, vieni qui!
Prenderai il raffreddore!), urla Wendy dal finestrino del passeggero.
Che sorriso tagliente, amore mio. Come un dio greco, come un’entità vendicatrice
e superba, il tuo sorriso si flette come una lama affilata, come il coltello
folle di un sanguinario assassino.
Agitiamo contemporaneamente la mano per salutare la nostra famiglia inglese, che
aspetterà in auto finché non finirà di piovere – questione di minuti, come dice
sempre Wendy – mentre io e Touya rimaniamo seduti sull’erba acquosa, su questo
letto di alghe palpitanti e accoglienti.
-Troia.-, sussurri trionfante.
-Smettila di prenderla in giro! È una donna fantastica, non puoi trattarla in
questo modo.-, commento bruscamente, tirandoti con forza un piccolo ciuffo di
capelli dietro la nuca rugosa e soffice e facendoti ritirare il capo
all’indietro. In questa posizione mi osservi con gli occhi socchiusi, sensuali e
lascivi, scioccanti. Come minuscole mezzelune orizzontali, nuove e fondenti, le
tue pupille mi fissano, mi circondano, avvolgono il mio corpo, accentrano i miei
margini e rimodellano la mia figura, ammorbidendo le creste vesp…
Le tue labbra bagnate, fradicie di pioggia, pure e straripanti di umore,
innaffiano le mie, le fertilizzano, le fecondano, creano miracoli scoppiettanti,
turbinii di cellule, vita. Ritmo, note, musica, pennello, penna, violino, corda,
archetto, tavolozza, tela, calamaio, tastiera, disco, costellazione cromatica,
pulsione fonetica, orgasmo grafico, furia tattile, ovattata fiamma
d’ispirazione. Sei come arte per me, mi ravvivi con il legno bagnato del tuo
corpo, mi inaridisci come Scirocco, mi sazi con le labbra, mi impregni di denso
liquido vitale con le tue guance, mi avviluppi mortalmente, mi privi d’aria e me
la rendi con immensa misericordia, gonfi la mia disperazione per poi sminuirla,
adorni l’incuria del mio spirito e lo nutri di imprescindibili carezze
incessanti. Sei il mio periferico organo vitale, il guscio immortale della mia
anima, il sospiro che arricchisce ogni respiro di significati dolceamari, acri e
spiritosi.
-Ma sai almeno qualcosa, una cosa,
d’inglese?-, ridi esasperato e pazzo. Pazzo, folle, scellerato, con quello
sguardo tutt’altro che limpido, ma torbido, schiumoso e indecente. Il ciuffo che
prima ti stringevo ora è libero, le mie mani scivolano sulle tue spalle;
nonostante la liberazione, non sposti il viso, mi scruti ancora da quella
mezzaluna magistralmente intagliata in porcellana olivastra, assolata,
selvaggia.
-Certo!-. Mi sollevo, costringendo anche te ad alzarti, e inizio a piroettare
attorno al tuo tronco, accarezzo i tuoi rami umidi e ti sfioro le fronde
cospicue e copiose, intonando:
-I’m singin’ in the rain, just singin’ in the rain!
What a glorious feelin’… I’m happy again!-.
Che delicatezza, che… bellezza, semplice, grezza e vera. Pura bellezza, bellezza
pura! Oh, acqua volubile e serafica, salvatrice delle mie membra disseccate,
depuratrice! Uccidi, schiaccia, polverizza i vermi ipocriti che ci calpestano,
scioglici da questo dolore, dissolvi in acido i loro corpi e, con essi,
fertilizza la nostra passione! Liberaci dal male! Viola, grigio, bianco… Mischia
il mischiato e il mischiabile, lasciaci soli nel nostro putridume, nel marciume
che ci ricopre, nella muffa benefica che ci permea!
Trionfa, lordura!
Trionfa, sporcizia!
Trionfa, amore!
O dolore! O dolore! Il
Tempo si mangia la vita,
e l’oscuro Nemico che
ci rode il cuore
cresce e si fortifica
col sangue che noi perdiamo!
(Charles Baudelaire, Fiori del male,
X)
Nel cielo scoppia un turbine di stelle che si riflette sul tuo tenero viso e,
come prima ha iniziato a piovere, così finisce.
Come prima tutto è iniziato, così finisce.
Non è tutto tenero ciò che si semina,
come petali di rosa, dopo poco termina;
quel che il cielo riflette son solo dolcezze,
mentre noi, bagnati, siamo in preda alle brezze.
Ci dilaniano, turpi, gli insetti epuranti,
ci perdiamo, noi, naufragando distanti.