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Autore: AwkwardArtist    03/06/2016    0 recensioni
Attenzione! contiene SPOILERS e speculazioni sulla quarta stagione di Orphan Black.
Canon ma non troppo.
La storia si vive dal punto di vista di Cosima. Di ciò che vive fuori e dentro la sua mente.
Questa fanfic fa parte di un progetto che prevede altre parti che andranno ad integrarsi con la storia mano mano che prosegue.
I titoli dei capitoli e dell'intero lavoro sono presi in prestito da canzoni.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Cosima Niehaus, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 3 - I'll see it through

E' mattina oramai e la luce filtra da quella specie di finestroni che abbiamo sopra la testa.
Sono seduta di fronte alla tazza del caffè e ne inalo grata il profumo. Sento gli occhi di Scott su di me.
Penso di averlo spaventato a morte durante la notte appena trascorsa..

A morte, che bella definizione.

Rabbrividisco e lo vedo agitarsi inconsapevole sulla sedia.
“Sicura che non vuoi raccontarmi niente?” Mi chiede ancora una volta, sempre con quella sua gentilezza di altri tempi.
“Sicura.” rispondo e cerco di scacciare dalla mente il ricordo di quel sogno tremendo.

Non riesco a parlarne, non voglio parlarne.

Se chiudo gli occhi vedo di nuovo ogni particolare di Delphine stile sposa cadavere, anzi no! Colpa di Alien Resurrection.
Tutta la vita a fantasticare sul subtext tra Ripley e Call e l'unica cosa che sogno è quella roba bianca che cola... Fanculo!!
Mi alzo decisa e per un attimo rischio di portarmi dietro la mia amica del cuore, la bombola dell'ossigeno.
Armeggio con tubi e valvole. Oggi bella mia, tu stai a casa perché io invece ho intenzione di uscire.

Scott ancora non lo sa, ma verrà con me.

“Ehi. Mi accompagni?” gli dico indicando con la testa le scale che portano fuori dalla tana del nerd.
“Voglio fare una cosa.” aggiungo.
Lui sembra illuminarsi al pensiero di mettere piede fuori da qua,
però mi conosce troppo bene e quindi mi fissa stringendo gli occhi a fessura.
“Che genere di cosa?” chiede con una certa dose di timore.
“Niente di più pericoloso di quello che facciamo di solito.” dico, mostrando i canini nel mio sorriso migliore.

Lui sospira.

“Va bene, andiamo.” dice e io rido alla sua faccia rassegnata.


“Cosima, che diamine hai in testa!” sbotta Scott mentre l'autobus ci lascia a pochi passi dalla meta.
“Dei dreads?” rispondo io sapendo di farlo innervosire ancora di più.
Sbuffa e punta un dito accusatore verso la struttura che domina l'intero quartiere.
“Dai, spiegami come pensi di entrare la!!” dice tutto impettito.
“Non proprio la...” alzo le spalle “piuttosto nella parte sul retro,
sai quella cadente dove il buon Leekie ci ha gentilmente relegato.”
“Non me lo nominare.” si schifa il mio amico.

Passiamo dall'altro lato della strada rispetto all'imponente struttura.
Il sole sta oscurando totalmente la vista degli uffici,
protetti da quella lamina di specchio che riflette ogni cosa in faccia al vicinato.
Sembra un mostro fatto di ingranaggi, ferro e cristallo. Me ne accorgo solo ora.

Scivoliamo silenziosi come gatti, o piuttosto goffi come imbranati, oltre il parcheggio sotterraneo.
Oltre la struttura principale.
Il retro della DYAD è come quasi tutti i suoi simili. Molto meno curato del fronte.
Sto immaginando di dover forzare qualche porta o forse spaccare qualche finestra,
ma i miei grandi piani subiscono un improvviso stop. Qualcuno ci ha pensato prima di me.

Camminiamo lungo il corridoio coperto dai detriti.
Cristo, tre mesi e qui pare passato un secolo e due guerre.
Scott ansima dietro di me.

“Forse era meglio venirci col buio” mormora.
“Certo!” gli sibilo tra i denti
“Così ce la facevamo sotto di sicuro.
Non so se ti sei accorto che non siamo esattamente due cuor di leone.”

Tra uno scricchiolo di calcinacci sotto le scarpe e colpi di tosse soffocati causati dalla polvere,
o più probabilmente dalla malattia... arriviamo alla porta divelta del nostro vecchio laboratorio.

Mio, di Scott e di Delphine...

Dentro non è buio, le grandi finestre sono per lo più scardinate. La devastazione mi sembra completa.
Non c'è più niente di quello che c'era e quel poco è comunque sfasciato.
Gli strumenti sono stati portati via. Il resto demolito con una certa perizia e con un certo gusto, mi pare.

Cosa pensavo di trovare?
Mi improvviso Scully dei miei stivali e provo a dissotterrare Mulder dalla terra dei non morti?
Non funziona. Non sta funzionando niente.
Tiro un calcio ad un panchetto la cui unica colpa è quella di essere in piedi davanti a me ed è allora che lo vedo.
L'unico pezzo ancora integro a memoria dei tempi andati. Il dannato divano!

Mi avvicino, la plastica che lo ricopre riflette la luce e lo fa sembrare bianco. Un dannato divano di pelle bianca.
Impreco e non mi interessa se qualche 'ripulitore' è ancora nei paraggi.
Non riesco a staccare gli occhi da quel pezzo d'arredamento che sembra sfottermi con la sua intonsa immobilità.
Strappo il telo di plastica rigida e ricordo le lunghe dita di Delphine che giocano con le mie.

“Cosima... ti amo.” mi aveva detto proprio mentre eravamo su quel divano e io cosa avevo risposto?

Qualcosa nell'ordine di “Ho talmente tanto su di te da poterti rovinare la carriera a vita... e comunque ti amo anche io.”
Suppongo che in quanto a romanticherie anche Alison mi sorpassi di parecchio.
Ma Delphine aveva sbuffato una risata e si era portata la mia mano alle labbra.

Torno al presente. Non posso farne a meno.
Assesto una zampata con tutta la forza che possiedo contro il maledetto divano!

Sono sola nella stanza. Scott deve essere uscito per garantirmi un po di privacy.
Devo davvero uscire da questa tomba monumentale che un tempo era il mio laboratorio.

E' quando mi volto per andarmene che lo vedo.
Quel rettangolino di carta lucida che oscilla appeso ad un filo invisibile.
Mi avvicino strizzando gli occhi per metterlo a fuoco.
Da vicino mi accorgo che è legato con un sottile nylon ad un'asta per le flebo.
Lo strappo via senza tante cerimonie.

E' il biglietto da visita di Delphine.
Con il titolo e il nome in piccolo, sotto il marchio enorme e soffocante della DYAD.
Lo giro per vedere il retro e quei segni, vergati con la calligrafia del mio controllore,
mi colpiscono come uno schiaffo “324b21”.

'Holy fuck, Delphine' penso mentre mi salgono le lacrime agli occhi
'Che cosa tamarra, questo pennarello dorato'
poi lo sguardo scivola verso sinistra. Trovo dell''altro e finalmente capisco.
“Vieni e riportalo da me”. Una scritta elegante, la fine delle lettere premuta con decisione.
Un messaggio di Shay.

 

   
 
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