Capitolo XXI
I nostri amici umani
Avevo di nuovo parlato con il mio branco. Li avevo messi al corrente di quello che sarebbe stato il nostro immediato futuro, e seppur con grande incertezza, avevano scelto di seguirmi verso la nostra nuova meta. “Sicura che possiamo fidarci?” mi chiese Aura, in testa alla marcia proprio come me. “Conosco quell’umana sin dalla sua infanzia. È mia amica, e le ho perfino salvato la vita.” Dissi, ricordando il giorno legato all’eroico gesto che mi aveva permesso di guadagnare la fiducia dei genitori di Saskia. Una lunga pausa di silenzio fu ciò che accompagnò parte del nostro viaggio, ma improvvisamente, l’angelica voce di Xena mi distrasse dalla moltitudine dei miei pensieri. “Ti hanno addomesticata?” indagò, facendo uso dell’innocenza che la sua età comportava. A quelle parole, mi voltai subito verso quello che lei considerava suo padre. “Ace! Cosa le insegni?” dissi, redarguendolo per ciò che avevo appena sentito. “Lasciala stare, è solo una cucciola.” Rispose mia nonna Athena, ultima di noi a prendere parte a quella discussione, che rischiava di accendersi come la scintilla madre di un devastante incendio. Traendo conforto dalle sue parole, ritrovai la calma, e continuando a camminare, mi ritrovai di fronte al villaggio dei miei amici. “Siamo arrivati.” Dichiarai, gonfiando il petto e parlando in tono solenne. Qualche deciso passo in avanti mi permise poi di raggiungere casa di Saskia, e posando una zampa sulla lignea porta, mugolai nella speranza che venisse aperta. Per pura sfortuna non ricevetti risposta, e nel tentativo di ridurre i tempi della nostra attesa, mio fratello Rhydian iniziò ad abbaiare. I suoi latrati provocarono il pianto di Duncan e Lyuba, i due figli che Saskia aveva dato alla luce appena un mese prima. Ad ogni modo, il suo espediente parve funzionare, e la mia amica, accompagnata dal marito Truman, comparve sull’uscio di casa con la sua bimba fra le braccia. “Runa! Siete tutti qui!” esclamò, sorridente e felice di vedermi. “Che le succede? Sembra nervosa.” Le chiese il marito, avanzando poi una giusta ipotesi sul mio attuale stato d’animo. Mantenendo il silenzio, la mia amica mi si avvicinò per poi inginocchiarsi in terra, e posandomi una mano sulla testa, chiuse gli occhi per un singolo attimo. Tesa come una corda di violino, abbaiavo senza sosta, ma lei, persa in una sorta di mistico trance, pareva ignorarmi. “Portali alla grotta. Sai cosa accadrà con la pioggia.” Disse, rivolgendosi all’amato Truman e scivolando conseguentemente nel silenzio. “Ma…” biascicò lui, incerto e dubbioso sul da farsi. “Ho detto portali alla grotta.” Ripetè, ponendo inaudita enfasi sul nome del luogo che avremmo dovuto raggiungere. Ferma e immobile, rimanevo in silenzio, ma guardando la mia amica negli occhi, non potevo fare a meno di avere dei dubbi su di lui. Ad essere sincera, non l’avevo mai vista comportarsi in quel modo prima d’ora. “Che fosse spaventata? Che avesse paura come tutti noi?” questi i miei unici pensieri sul suo conto, che appesantivano la mia mente fino a minare la mia lucidità. Spostando il mio sguardo su Truman, lo vidi compiere un singolo gesto con la mano, al seguito del quale, scelsi di seguirlo. Obbedendo agli ordini della cara moglie, ci aveva condotto ad una grotta da me già conosciuta, e sdraiandomi in un angolo di quella spelonca, ammirai i disegni presenti sulla parete rocciosa. Alcuni minuti passarono, e allo scadere degli stessi, chiusi gli occhi. Non dormivo, ma ero felice. Avevamo trovato un riparo, e finalmente eravamo al sicuro. Tutto grazie ai nostri amici umani.