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Autore: Jade Tisdale    16/06/2016    1 recensioni
Raccolta di flashfic e one-shot sulla coppia Nyssara.
«Ti amo.»
«Platonicamente parlando, intendi.»
Sara scosse lievemente la testa, abbozzando un sorriso imbarazzato. «No. Ti amo e basta.»
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Nyssa al Ghul, Sarah Lance
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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#4 Prompt: Person B heartbroken, and going through a recently deceased Person A’s personal effects. They discover and decide to play a video made by A. Person B is eventually in tears as they watch Person A attempting to perfect a wedding proposal multiple times on the tape, stopping halfway through a sappy line or revising the phrasing to sound more suave. 

 

Cause our love is like a white rose

 

 

Sara Lance era morta da due giorni ormai.
Avrebbe dovuto passare una settimana a New York per un viaggio di lavoro, ma non è nemmeno riuscita a salire sull’aereo. La mattina della partenza, essendo in ritardo, aveva preso il primo taxi disponibile e, una volta giunta a destinazione, proprio mentre stava pagando il taxista prima di scendere dall’auto, un uomo ‒ ubriaco marcio ‒ sfondò a centoventi chilometri all’ora la portiera posteriore del taxi su cui si trovava.
Lei era morta sul colpo. Il taxista era in coma e se si fosse svegliato avrebbe sicuramente perso l’uso del braccio destro. C’erano stati tre feriti, tra i quali una bambina di otto anni che in quel momento stava attraversando le strisce pedonali insieme alla madre. E l’uomo che aveva segnato le loro vite per sempre, invece, non si era nemmeno fatto un graffio.
Sara aveva lasciato i genitori ‒ capitano della polizia il padre e professoressa universitaria la madre ‒, la sorella maggiore, Laurel Lance, noto avvocato di Star City, e la sua fidanzata, Nyssa Raatko.
Quest’ultima aveva saputo dell’incidente grazie al notiziario delle dieci, ma solo una mezz’ora dopo ‒ quando ormai aveva chiamato e richiamato Sara migliaia di volte sperando in una risposta che non ricevette mai, arrivando così al punto di giungere nel luogo dell’accaduto ‒ le arrivò la chiamata ufficiale da parte dell’ospedale.
«Ci dispiace molto, signora», aveva esordito una voce femminile piuttosto giovane, e quella frase era bastata per farle capire cos’era successo a Sara. «La sua ragazza è morta.»
Nyssa smise di ascoltarla in quel preciso istante. Capì solo qualcosa riguardo al fatto che l’infermiera, o dottoressa, o qualunque altra fosse la mansione della donna dall’altro capo del telefono, avesse già informato i genitori, e che Quentin, troppo scosso, le aveva chiesto di avvisarla.
La donna lasciò cadere a terra il telefono subito dopo, portandosi una mano davanti alla bocca e l’altra all’altezza dello stomaco.
Non poteva essere vero. Non poteva capitare a lei una cosa del genere. Era abituata a sentire persone che le raccontavano le proprie tragedie famigliari, ma mai si sarebbe immaginata che una cosa simile sarebbe potuta accadere a lei.
Poggiò la mano destra sopra al cofano di un’auto parcheggiata lì vicino, sorreggendosi per non cadere, e nel mentre scorse un’enorme macchia di sangue sull’asfalto vicino al taxi ‒ accuratamente circondato dal nastro della polizia e da una dozzina di agenti ‒ in cui Sara aveva perso la vita.
Non può essere il suo sangue, pensò, col cuore che batteva a mille. Era dentro l’auto. È morta dentro l’auto.
Sentì un conato salirle lungo la gola e nel giro di poco si piegò in due, vomitando quel poco che aveva messo sotto ai denti quella mattina.
Due uomini si avvicinarono chiedendole le stesse bene, la aiutarono a rimettersi in piedi e uno di loro si offrì di riaccompagnarla a casa, ma Nyssa rifiutò e andò di corsa ‒ letteralmente ‒ all’ospedale. Solo allora riuscì a comprendere ciò che era davvero accaduto.
Aveva perso la sua fidanzata. Per sempre.
La donna che aveva amato per quattro lunghi anni era morta, e lei non aveva potuto fare niente per salvarla.
Da quel momento in poi, sarebbe stata sola al mondo, e non aveva idea di come sarebbe riuscita ad andare avanti senza il sorriso di Sara ad illuminarle l’alba di ogni giornata.
L’amore della sua vita era morta a soli ventisette anni, mentre lei avrebbe vissuto per chissà ancora quanto, e ciò le fece provare un incolmabile senso di colpa.
Si sentiva uno schifo. Non sapeva che di lì a poco sarebbe stato anche peggio.




Due giorni dopo vi fu il funerale. Il cimitero si riempì ben presto di amici, parenti e colleghi di Sara, ognuno dei quali lasciò un mazzo di fiori ‒ le rose bianche, i suoi preferiti ‒ accanto alla sua lapide.
Nyssa, invece, se n’era rimasta in disparte durante tutta la funzione. Laurel aveva tentato di confortarla, ma era stato tutto inutile. Il suo mondo era finito nell’istante in cui Sara era morta, e da quel giorno in poi la sua vita non avrebbe più avuto senso.
La stessa Laurel l’aveva invitata a stare da lei in quei giorni, per cercare di superare il dolore insieme, ma ciò fu solo causa dell’ulteriore disagio di Nyssa.
Quando quest’ultima ritornò finalmente a casa, poco dopo la fine del funerale, il respiro le venne a mancare.
Davanti alla soglia c’erano la valigia e la borsa di Sara, che Quentin aveva riportato il giorno prima. Il suo cappotto preferito, quello che si era dimenticata prima di uscire di casa due giorni prima, era ancora appeso all’attaccapanni, e lì vicino c’erano le sue pantofole azzurre e l’ombrello a pois rosa che tanto adorava. Ma la cosa che fece andare fuori di testa Nyssa più di tutto, fu il fatto che l’aria fosse ancora impregnata del profumo di Sara.
D’istinto, la mora si affrettò ad aprire la valigia per assicurarsi che non ci fosse nulla di rotto, e lo stesso fece subito dopo con la borsa. La svuotò e tutto il suo contenuto cadde a terra, creando più rumore di quanto si sarebbe immaginata, ma fu lieta di scoprire che c’era ancora tutto ciò che apparteneva a Sara: il suo rossetto, i suoi guanti, il pacchetto di caramelle alla frutta che aveva preso dalla credenza prima di partire, il portafogli, gli occhiali da sole e il suo telefono ‒ che, stranamente, era ancora al ventidue per cento di batteria. Nyssa lo prese tra le mani e, nel farlo, un brivido le attraversò la schiena.
Osservò a lungo la cover che le aveva regalato il Natale precedente, con una loro foto che avevano scattato davanti allo specchio del bagno mentre si baciavano.
Si perse nell’osservare le loro labbra unite e i loro sguardi sereni per un tempo indecifrabile, fino a quando la vibrazione del cellulare non attirò la sua attenzione.
Sbloccò la schermata e, con grande sorpresa, vi trovò una notifica. Sorrise senza rendersene conto: Sara aveva sempre la testa per aria, per questo si appuntava spesso le cose che doveva fare in giornata sul telefonino, mettendo un punto interrogativo laddove non era sicura se avrebbe fatto o meno quella determinata cosa.
Nyssa lesse con attenzione la lista di cose che l’amata avrebbe dovuto fare una volta arrivata a New York: chiamare la mamma e dirle che il viaggio è andato bene, comprare a Laurel un souvenir degli Yankees, chiedere a Hank ‒ un suo collega ‒ di mandarmi via e-mail le foto della sua bimba appena nata?, avvisare il mio capo che sono arrivata, dire a Nyssa di guardare nel mio cassetto della biancheria?, inviare a Paul ‒ un lontano cugino ‒ un messaggio dicendogli che sono arrivata a NY e che lo passerò a trovare domani?.
Non appena lesse il proprio nome, il cuore di Nyssa perse un battito. Ritornò rapidamente al punto precedente, senza leggere il resto della nota, e rimase a fissare lo schermo del cellulare per diverso tempo chiedendosi di cosa si trattasse.
Che cosa c’era nel cassetto della biancheria di Sara? Era qualcosa di importante? Ma soprattutto, se così fosse stato, perché Sara aveva messo un punto interrogativo di fianco alla nota?
Un’emozione indecifrabile prese il sopravvento in Nyssa che, poco dopo, decise di scoprire cosa le avesse nascosto la ragazza. Raggiunse la camera da letto ‒ l’odore di Sara era ancora forte, così forte che iniziò a girarle la testa ‒ e aprì in fretta il cassetto, trovando, sopra ad una pila di reggiseni, un cd con su scritto x Nyssa con la grafia di Sara. Se lo rigirò tra le dita un paio di secondi prima di accendere il computer della defunta fidanzata ‒ non se lo sarebbero potute permettere, ma la bionda era stata costretta a comprarne uno per lavoro ‒, e ci vollero un’altra manciata di minuti prima che il viso di Sara occupasse tutto lo schermo.
Era un video. E stando alla data scritta in basso a destra, era stato girato la sera prima della morte di Sara, probabilmente poco prima che Nyssa tornasse a casa dal lavoro.
Quest’ultima esitò per un istante, chiedendosi se fosse un bene far partire quel video. Negli ultimi due giorni non era riuscita a chiudere occhio perché Sara era stata il suo unico pensiero, e aveva cercato in ogni modo di non pensare a lei pur di stare meglio. Se avesse ascoltato quella registrazione, la situazione sarebbe solo peggiorata. Inoltre, Sara le diceva sempre le cose importanti di persona: si limitava a scriverle dei bigliettini o ad inviarle dei messaggi solo quando si trattava di qualcosa che poteva aspettare. Ma, d’altronde, su quel dischetto c’era il suo nome, e a Nyssa la voce di Sara mancava tantissimo.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e, un istante dopo, come previsto, la voce dell’amata le entrò nella testa.
«Ciao», esordì, impacciata. Abbassò lo sguardo, fissando il vuoto per qualche secondo, cosa che faceva sempre quando esitava. «Se stai guardando questo video, significa che sono arrivata a New York e che ti ho chiamata.»
Nyssa percepì un immenso tuffo al cuore nell’udire quelle parole. Sara non aveva mai lasciato Star City, e ciò la fece sentire in colpa, perché non avrebbe mai dovuto guardare quel video. Essendoci il punto interrogativo davanti a quella nota, Nyssa avrebbe dovuto comportarsi onestamente e lasciare perdere, perché sarebbe dovuta essere la sua amata a scegliere se dirglielo o no.
Finiscila qui, le urlava la sua mente. Smettila ora. Ti stai solo facendo del male.
Ma il suo cuore non ne voleva sapere di starla a sentire.
«E ti chiedo scusa, perché ti devo dire una cosa veramente importante e avrei dovuto farlo prima di partire, ma non ne ho avuto il coraggio. Mi dispiace, davvero. So che non avrei dovuto farlo. Quando ci siamo messe insieme, ti ho fatto promettere che non avremmo mai utilizzato altri mezzi per dirci le cose che contano, e mi dispiace dover essere proprio io a infrangere quella promessa. Sappi solo che, quando ho registrato questo video, mi sono ripromessa che te ne avrei parlato una volta tornata a casa la settimana prossima, e che invece ti avrei detto del dischetto solamente se avessi capito che sarebbe stato impossibile per me parlartene di persona. Avevo promesso a me stessa che sarei stata forte, che avrei resistito fino al mio ritorno e che non mi sarei comportata da codarda. Ma, evidentemente, se stai guardando questo video significa che non ce l’ho fatta. Ci ho provato, ma questa cosa è davvero difficile da dire, per me.»
Prese un respiro profondo e subito dopo un enorme sorriso le contornò le labbra rosse e perfette. «Tu mi piaci, Nyssa. Mi sei sempre piaciuta. E mi è sempre piaciuto il modo in cui mi hai trattata fin dal primo istante. Mi piacciono i tuoi baci. Mi piace quando mi prepari i pancakes alla mattina, anche se in cucina sei negata e sono immangiabili. Mi piace quando ti basta uno sguardo per capirmi. Mi piace quando mi massaggi le spalle dopo una giornata dura. Mi piace il fatto che tu pianga insieme a me quando sono triste. Mi piacciono la tua tenacia e il modo in cui cerchi sempre di tirarmi su il morale quando sono triste con qualche tua battuta ‒ per la cronaca, ti ho sempre fatto credere che fossero squallide quando invece le adoro e mi trattengo sempre dallo scoppiare a ridere, ma sono sempre stata troppo orgogliosa per ammetterlo e adoro il fatto che, nonostante io ti abbia sempre detto che le detestavo, tu abbia continuato a raccontarle comunque. Mi piaci quando ridi, e quando ti spunta quella dolcissima ruga in mezzo alla fronte quando sei confusa, e mi piaci quando ti arrabbi per delle stupidaggini, come quando mi dimentico di cambiare il rotolo di carta igienica.»
Nyssa sorrise a sua volta, le guance rigate dalle lacrime. Nemmeno se n’era accorta di aver iniziato a piangere da quanto era presa dal discorso di Sara.
«Mi piace quando ti preoccupi per me e quando mi dai il bacio della buonanotte. Mi piace il profumo dei tuoi capelli, mi piace il modo strano in cui ti metti lo smalto, e mi piace quando fai progetti per il futuro. Mi piace il modo in cui mi guardi quando pulisco la casa e mi piace quando mi chiami Sarbear[1], anche se questo soprannome a dirla tutta mi fa schifo e tu lo sai, ma sai anche che, in fondo, mi piace che tu mi chiami in un modo tutto tuo.» Un altro sospiro, ma questa volta Nyssa poté scorgere negli occhi dell’amata un velo di malinconia. «Io… ti amo, Nyssa. Non te lo dico spesso, anzi, non te lo dico mai, e mi dispiace. Ma sto divagando, è che sai bene come sono fatta: quando ho qualcosa di importante da dire non vado mai dritta al punto, ma cerco sempre una scorciatoia per ritardare il momento adatto, perché ho sempre paura della tua reazione. Magari sai già dove voglio arrivare, perché tu sei mille volte più intelligente di me, e magari in questo momento starai sorridendo, o sarai in lacrime, oppure avrai già il telefono in mano pronta a farmi la ramanzina. Ma so anche che sarai felice di sentire le mie parole, perché è una cosa che aspettavi da tanto.»
La diretta interessata si pietrificò, e per un attimo il respiro le venne a mancare. Sara stava davvero… stava davvero facendo quello a cui pensava lei?
Si sentì grata e triste al tempo stesso, e non per il fatto che l’amata le stesse facendo una dichiarazione d’amore tramite una registrazione, quanto perché ora che era morta non avrebbero più avuto modo di parlarne.
I suoi pensieri tristi furono interrotti dalla soave, dolce e meravigliosa risata di Sara.
«Dio, sono proprio negata a fare queste cose. Tu sei molto meglio di me nel trovare le parole giuste.»
Nyssa si portò una mano all’altezza del cuore e non riuscì a resistere alla tentazione: mandò indietro la registrazione a pochi secondi prima, al momento in cui Sara era scoppiata a ridere fragorosamente. Riascoltò quei pochi istanti ancora e ancora, fino a quando lei stessa, consumata dalle risate e dalle lacrime, si ritrovò a singhiozzare in una maniera disperata. Il rumore dei suoi singhiozzi, però, non riuscì a coprire il suono della voce dell’amata, ancora chiara e luminosa, mentre proseguiva il suo discorso.
«Nyssa, io ti amo. Veramente. In un modo inimmaginabile. E starei qui a ripetertelo all’infinito se potessi, ma la vita mi ha insegnato che potremmo morire da un giorno all’altro. E io voglio vivere ora, con te. Per sempre. Voglio stare al tuo fianco fino alla fine dei miei giorni. Per questo mi sono decisa a farti la proposta: tu avresti voluto sposarti tanto tempo fa, ma io mi sono sempre rifiutata dicendoti che non ero pronta, che ero ancora insicura e che non sapevo cosa volevo farne della mia vita. Ma ora lo so, e mi dispiace non averlo capito prima.»
Sara prese tra le mani una scatolina blu scuro, e nel mentre, Nyssa lasciò scivolare il computer sul letto.
Era troppo per lei. Era troppo da sopportare in una volta sola.
Le lacrime iniziarono a cadere rapidamente sulle sue guancie, bagnando la tastiera, e, nel giro di poco, le si appannò la vista, ma ciò non le impedì di vedere cosa ci fosse all’interno del cofanetto che Sara aveva aperto davanti ai suoi occhi.
«Mi vuoi sposare?», chiese, con gli occhi lucidi. In una mano teneva l’anello e nell’altra una rosa bianca, che aveva probabilmente preso nell’istante in cui all’amata si era offuscata la vista. «Ricordi il nostro primo appuntamento?», proseguì poi, annusando il fiore. «Ti sei presentata con un mazzo di rose bianche, e quando ti ho chiesto perché le avessi scelte di quel colore, tu mi hai semplicemente risposto che ti ricordavano me. Da quel giorno, ho iniziato ad amarle, perché erano come diventate il segno del nostro amore.»
Nyssa strinse con forza le mani intorno allo schermo del pc, consapevole che avrebbe potuto romperlo da un momento all’altro. Tuttavia, accecata dal dolore, non riuscì a placare la voglia di mettere a soqquadro la stanza e di rompere tutto quanto. Ma sapeva anche che, se si fosse comportata in quel modo, se avesse perso la ragione, avrebbe distrutto tutti i ricordi della vita passata insieme a Sara, ed era una cosa che voleva evitare. Ora che lei era morta, voleva assolutamente essere circondata da ogni oggetto che le era appartenuto quando era ancora in vita. E poi, Sara aveva sempre detestato vederla arrabbiata, per questo avrebbe cercato di mantenere la calma. Lo avrebbe fatto per lei.
Si passò una mano sul viso, asciugandosi le guance umide, e tirò su col naso un paio di volte prima che Sara ricominciasse a parlare.
«Ora sicuramente mi starai chiamando per darmi una risposta, perciò…»
, sospirò, illuminando per l’ennesima volta lo schermo con il suo sorriso raggiante. «Ti lascio andare. Troverai tutto in terrazza. Un bacio, amore mio. A tra poco.» E subito dopo, quando Sara le schioccò un bacio con le dita, Nyssa si sentì morire.
Si accasciò a terra, sfinita, e questa volta il respiro le venne a mancare per davvero. Iniziò ad inspirare ed espirare velocemente, col cuore che minacciava di schizzarle fuori dal petto, e in un istante credette che sarebbe svenuta. Ci vollero alcuni minuti prima che si calmasse e si ricordasse delle ultime parole di Sara.
“Troverai tutto in terrazza.”
Prese un respiro profondo e, aiutandosi con la spalliera del letto, si alzò in piedi. Pochi secondi dopo trovò la scatola contenente l’anello sopra al tavolino di vetro nel terrazzo, e di fianco la rosa bianca ‒ che aveva già iniziato a seccarsi ‒ dentro a un vaso e un biglietto. La donna lo prese tra le mani con le gambe che le tremavano: quello sarebbe sicuramente stato il colpo di grazia che l’avrebbe fatta crollare.

Alla donna migliore che mi potesse capitare. Ti meriti questo e altro. Ti amo!
Per sempre tua,
Sara”

Che stupida che sei, pensò, con un lieve sorriso. Aveva lasciato incustoditi l’anello e la rosa all’aperto per chissà quanto: sarebbe bastata una folata di vento per rovinare tutto. Ma magari Sara aveva preparato tutto la mattina stessa della partenza, perciò aveva ipotizzato che dopo poche ore lo avrebbe detto a Nyssa.
«Non azzardarti a mettere piede nel terrazzo», le aveva detto quella mattina, sulla soglia di casa. «L’ho lavato stamattina. Aspetta qualche ora prima di uscire.»
«Ti sei messa a fare i lavori di casa prima della partenza?»
, aveva chiesto una Nyssa ancora mezza addormentata con un sorriso.
«Sai che quando sono agitata mi metto a pulire tutto. Non sono mai stata a New York, perciò sono eccitata e ansiosa al tempo stesso. Ora vado, altrimenti perdo l’aereo. Ci vediamo.» Detto questo, Sara aveva dato un bacio ‒ l’ultimo ‒ alla sua fidanzata, dopodiché era scomparsa per sempre dalla sua vita.
Col cuore al galoppo, Nyssa aprì la scatolina, osservò l’anello per un istante e se lo mise al dito. Era splendido e le stava d’incanto, anche se lei non poteva saperlo. Poi, riprese a osservare con attenzione il biglietto, e si accorse che di fianco alla firma dell’amata quest’ultima aveva lasciato il segno delle proprie labbra con un bacio. Nyssa se lo avvicinò al naso ed inspirò il profumo del rossetto alla ciliegia di Sara, e dopo poco si sentì nuovamente svenire. Abbandonò il biglietto sul tavolino, e subito dopo le venne l’idea migliore di sempre.




Arrivò al cimitero un quarto d’ora dopo, con le gambe doloranti e il respiro affannato. Si avvicinò alla tomba di Sara con la rosa tra le mani, e solo quando fu abbastanza vicina per arrivare a sfiorare con le dita l’incisione del suo nome ricominciò a piangere come non mai.
Osservò la rosa per l’ultima volta, inspirando a fondo il suo profumo quasi del tutto scomparso, per poi lasciarla cadere sul prato accanto agli altri innumerevoli mazzi di rose bianche.
Ma quella rosa era diversa. Era speciale. Perché era quella che Sara aveva comprato a Nyssa per farle la proposta di matrimonio. Perché era una delle ultime cose che Sara aveva tenuto fra le mani prima di morire. Perché era il segno del loro amore, che sarebbe per sempre rimasto nel cuore di Nyssa e nel ricordo indelebile che aveva di Sara.









[1] È un soprannome comune negli Stati Uniti per le ragazze che si chiamano Sara perché per loro chi ha questo nome è morbida, coccolona e dolce come un orso. Non fate domande, l’ho letto su internet ahahaha.






Premetto che ci ho messo un paio di giorni per scrivere questa storia e che è stata in assoluto una delle più difficili che abbia mai scritto.
Per l’incidente stradale di Sara ho preso spunto dal libro “Quando all’alba saremo vicini” di Kristin Harmel che ho finito ieri e che ho amato come non mai. Anche in quel caso Patrick, l’ex marito della protagonista, è morto su un taxi poiché una donna ubriaca ha sfondato la portiera posteriore dell’auto in cui si trovava. Per il resto le circostanze, le ambientazioni ecc. sono tutta farina del mio sacco.
Il fatto che le rose bianche siano il fiore preferito di Sara me lo sono inventata, mi è venuta l’idea mentre scrivevo la shot.
Invece, la frase: “Detto questo, Sara diede un bacio ‒ l’ultimo ‒ alla sua fidanzata, dopodiché scomparve per sempre dalla sua vita.” La parola “vita” sarebbe dovuta essere “vista”. All’inizio si trattava di un semplice errore di battitura, ma poi, rileggendo la storia, mi sono resa conto che mi piaceva di più così. È più d’impatto, secondo me.
Dovrei aver detto tutto! Ringrazio chiunque abbia letto :) xoxo

   
 
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