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Autore: Dobhran    17/06/2016    0 recensioni
Si avvicinò per sussurrarmi nuovamente nell'orecchio, a bassa voce come per rendere quella conversazione il nostro sporco segreto. «Lui ti ha fatto delle promesse che non può mantenere, assicurandoti che ti proteggerà. Io invece sono un uomo di parola e ti faccio la mia promessa: ti ucciderò. Non so come, non so quando, ma so per certo che morirai. Non ti lascerò tregua, ti tormenterò, ti farò soffrire e soprattutto farò soffrire lui che guarderà la sua protetta spegnersi per colpa sua».
- La distrazione di una sera e Amber si trova a dover affrontare un pericolo più grande di lei, un predatore spietato e all'apparenza imbattibile. Impaurita, isolata e incapace di distinguere gli amici dai nemici, la realtà dall'incubo, Amber sarà spinta al limite delle proprie forze. Ad aiutarla, un ragazzo misterioso e dall'aria innocente che afferma di essere qualcosa in cui Amber non ha mai creduto. In fondo, angeli e demoni sono solo frutto di sciocche superstizioni popolari...giusto? -
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Ciao! Intanto vorrei ringraziare quelli che hanno voluto visualizzare e leggere. So che la storia può sembrare finora piuttosto lenta, ma questo si spiega con il fatto che è piuttosto lunga e ci vuole il tempo per introdurre con calma gli eventi. Vi prometto che la svolta è alle porte e dopo di essa entreremo nella vicenda vera e propria. Spero che qualcuno trovi il tempo di continuare a leggere e di lasciare un commento. Mi farebbe davvero un enorme favore. A presto!









Come la siccità e il calore assorbono l’acqua delle nevi, così fanno gli inferi con il peccatore.

Giobbe, 24,19.






5.






Era chino su un tavolo da biliardo, la schiena arcuata e i muscoli in tensione sotto una maglietta nera aderente. Gli occhi, di un colore che da quella distanza mi era difficile scorgere, erano fissi e concentrati sulla pallina, e il braccio teso dalla pelle chiara era pronto a scattare in avanti fino a far cozzare l’estremità della stecca contro la sfera. Una sigaretta spenta gli pendeva dalle labbra, pericolosamente in equilibrio mentre lui scrutava ogni dettaglio davanti a sé per valutare la situazione.
Si prese ancora qualche istante per calcolare il tiro, vidi la sua schiena tendersi in un respiro profondo e la fronte aggrottarsi lievemente. Poi, proprio come avevo immaginato, la stecca venne spinta in avanti e mi parve quasi di udire l’impatto tra le sfere. Le immaginai mentre entravano in buca una ad una.
«Accidenti…». Il commento mi sfuggì involontariamente dalle labbra come se la mia mente avesse perso ogni filtro ogni mio pensiero scivolasse fuori dalla bocca senza argini. Fui grata di non aver espresso altri giudizi.
«Niente male!» si intromise Jennifer, attratta dalla mia esclamazione e seguendo la direzione del mio sguardo. Louis fece lo stesso, ma si divertì a farmi notare che il suo uomo era più bello. Certo, non potevo negare che il cameriere fosse molto attraente, ma sapevo a chi dei due avrei dato la palma d’oro.
Il ragazzo attese il suo turno, poi sferrò un altro tiro vincente, sorrise stringendo la stecca tra le mani come un bastone al quale appoggiarsi e il suo sguardo vagò nel locale fino a sfiorarmi.
Non potei essere certa che mi stesse davvero guardando, perché d’istinto abbassai lo sguardo sul bancone. Il grigio della pietra era tutto ciò che la mia vista avrebbe potuto sopportare, mentre le guance mi andavano in fiamme e il cuore faceva le capriole.
Un brivido freddo mi percorse la spina dorsale, diffondendosi lungo le braccia e facendomi venire la pelle d’oca mentre immaginavo i suoi occhi su di me, tanto intensi da potermi frugare la mente.
Solo quando il coraggio sembrò tornare dal luogo sicuro nel quale si era rintanato, osai alzare lo sguardo per controllare la situazione.
Gettò la stecca ad un compagno che la prese al volo, salutò gli amici e poi si avvicinò a noi, a me, con un incedere elegante e accattivante, che come un magnete mi impedì di distogliere ancora lo sguardo.
«Ehi, sta venendo qui!» notò il mio amico. «Ci avrei giurato che facevi colpo anche stasera».
«Oh, piantala!» lo rimproverai, sentendo lo stomaco contratto. «Non ti ci mettere pure tu, per favore, sono già abbastanza in imbarazzo».
«La mia era solo una considerazione, e tu faresti bene a trovare qualcosa di interessante da dire».
Qualcosa da dire? E cosa? Ciao, sei uno schianto, ti spiace se ti salto addosso? A proposito, mi chiamo Amber.
«Ok, un respiro profondo» mormorai, rivolta solo a me stessa. Mi imposi di guardare solamente davanti a me, tentando di concentrarmi sul via vai dei camerieri oltre il bancone, ma riuscii a resistere solo pochi secondi senza guardare il ragazzo, poi la mia forza di volontà si infranse come il cristallo più delicato.
Mi sarebbe piaciuto conoscere sua madre per farle sapere che aveva davvero fatto un ottimo lavoro con le proporzioni. I fianchi stretti si muovevano con lui, mentre diminuiva sempre più la distanza tra noi. Quando fu a qualche metro distolse lo sguardo da me e prese posto all’altro lato del bancone, a qualche metro da noi.
Ad un suo cenno della mano una cameriera lo raggiunse con un menù.
Una vampata di imbarazzo mi tinse le guance, mentre la mia mente ormai in tilt ripeteva insulti alla mia intelligenza.
Una stupida, non sapevo come altro definirmi. Abbassai lo sguardo sul bancone mentre la vergogna bruciava amaramente.
«Che figuraccia» dissi, mentre il viso di Louis si piegava in una smorfia di disappunto.
«Avrei giurato che stesse venendo qui da te».
«Mi sta guardando?» Jennifer scosse la testa infrangendo ogni speranza, ma allo stesso tempo dandomi una buona notizia. L’umiliazione avrebbe raggiunto picchi inimmaginabili se lui mi avesse fissato con aria di scherno.
Un’ottima distrazione mi fu offerta dall’arrivo delle nostre ordinazioni. Strinsi la mano attorno al vetro gelido del bicchiere. La condensa mi bagnò le dita e io fui quasi tentata di posarmelo sulle guance per alleviare il bruciore della vergogna. Mi sentivo tanto accalorata che probabilmente la cola sarebbe evaporata.
Ne sorseggiai un po’, mentre Jennifer armeggiava con la cannuccia, immersa in un liquido rosa che ben esprimeva il nome assegnatogli. Louis invece stringeva una bevanda di un verde acceso, molto simile alla sua maglietta. Sembrava fosse stata prelevata direttamente da un pianeta alieno.
«Ti sei persa lo spettacolo del cameriere con lo shaker. Mi sa che mi sono preso un mezzo infarto, non ho mai visto nulla di altrettanto sexy» disse quando l’oggetto della conversazione fu a debita distanza. Ascoltai le sue parole distrattamente perché la mia attenzione era ancora quasi del tutto rivolta al ragazzo misterioso seduto a poca distanza da noi.
Jennifer ridacchiò. «A quando le nozze?»
«Direi che mi servono un paio di notti per conoscerlo bene, poi potrei anche iniziare a pensare a qualcosa di ufficiale». Louis bevve una lunga sorsata del suo drink e sorrise come un bambino davanti ai doni natalizi.
«Sei amorevolmente sfacciato» gli dissi. «Almeno a te sta andando bene. Vorrei sprofondare».
«Dovresti andare da lui» mormorò Jennifer, pragmatica. «Forse crede di aver già fatto la prima mossa e aspetta solo che tu continui. È un po’ come il gioco degli scacchi, si muove a turno e ora tocca a te». Era una frase più lunga di ciò che mi aspettassi da lei, perciò ritrovai un briciolo di coraggio e tornai a guardare il giovane. Teneva lo sguardo basso e giocherellava con la sigaretta in attesa della sua ordinazione. Era probabile che la cameriera avesse fatto la civetta con lui, protendendosi e mettendo in mostra le sue forme. E lui come si era comportato? Era assurdo essere gelosa di un ragazzo che ancora non conoscevo, ma speravo che non avesse apprezzato la merce. Avevo come l’impressione che non fosse come gli altri, che ci fosse qualcosa di particolare in lui, nella serietà che leggevo nei suoi occhi e nel suo viso. Stringendo il bicchiere in una mano e picchiettando le unghie sul bancone, valutai il da farsi.
Restare al mio posto o andare? Mi sembrava una decisione ardua quando il dubbio amletico. Essere o non essere? Morire, dormire…forse era la mia occasione di cogliere i consigli di Louis e approfittare di ciò che la vita mi offriva. Cogliere la palla al balzo e vivere la serata senza troppi pensieri, senza timidezza. Se fossi rimasta me ne sarei di certo pentita, ma cosa avrei detto appena arrivata da lui? Deglutendo mi parve di avere un enorme rospo in gola.
«Non so che fare!» esclamai, appoggiando il capo sui palmi delle mani. Uno dei due era piacevolmente fresco e umido per aver stretto il bicchiere bagnato di condensa.
Louis mi rivolse uno sguardo comprensivo e si sporse verso di me. Il profumo del suo dopobarba era familiare e confortante.
«Amber, fossi in te non mi lascerei scappare per nulla al mondo una preda del genere» fece, convinto.
«Lo so, ho notato il tuo modo delicato e discreto di approcciarti».
«Ricorda la nostra conversazione al telefono di questo pomeriggio. Non puoi ignorare questa occasione e non credo che lui rifiuterà uno schianto come te».
«Certo, come no». Pensai alla mia bocca troppo grande. Non è che andando lì e sorridendogli avrebbe pensato che volessi divorarlo? Uno sguardo severo da parte di entrambi i miei amici mi convinse ad abbandonare ogni reticenza.
«D’accordo» feci, dopo aver incamerato aria e aver tirato il più lungo sospiro della mia vita. «Vado».
Bevvi una generosa sorsata di cola, per impedire alla mia lingua di attorcigliarsi come un serpente appena iniziato a parlare, poi scesi dallo sgabello, pregando perché tutto andasse bene e non cadessi lunga distesa a terra. Non ero mai stata particolarmente timida, ma in quell’istante iniziai a temere cose assurde, mentre mi avvicinavo a passi lenti verso quel bel ragazzo. Avevo una paura terribile di non gestire i tacchi alti, di cadere di fronte a lui e mettere così fine alla mia dignità, di avere qualcosa incastrato tra i denti pur sapendo che non poteva essere perché avevo passato quasi tutto il pomeriggio a fissarmi allo specchio.
Per tutto il tragitto dal mio posto al suo, che mi parve durare un’eternità, fui sul punto di lasciar perdere, voltarmi e ritornare sui miei passi. Ormai però la decisione era stata presa e nonostante i palmi sudati, il cuore a mille e la sensazione di dover svenire da un momento all’altro, mi trovai in pochi secondi accanto a lui.
Troppo tardi mi resi conto di non aver pensato a come iniziare l’eventuale conversazione. Rimasi a fissarlo per qualche istante, ammutolita come se in un attimo il mio cervello si fosse resettato e nell’hard disk della mia scatola cranica fosse rimasto solo il gioco del Pinball, attivo e con le palline impazzite che rimbalzavano senza sosta sulle pareti del teschio.
Anche pronunciare qualche parola di circostanza mi parve una cosa impensabile.
«Ehi…» mormorai, pensando subito dopo che non era stata l’entrata giusta, che forse avrei dovuto correggermi, oppure tornare indietro nel tempo e ricominciare daccapo. Valutai persino la possibilità di correggere la parola con un colpo di tosse e andarmene. O perché no, magari sorridere in maniera amichevole e dire Ops, scusa, ti ho scambiato per un vecchio amico. Addio.
Dall’alto del suo posto lui si riscosse dai suoi pensieri. La mia scarsa altezza non lo aveva di certo aiutato a notarmi, mi sentivo una formica al suo cospetto. Troneggiava su di me facendomi sentire intimidita.
Reggeva la sigaretta tra le dita della mano sinistra, mentre la destra era appoggiata sulla coscia e non appena mi fissò, il mio cuore già abbastanza imbizzarrito fece qualche balzo. Il suo viso era ancora serio e sperai che dicesse in fretta qualcosa. L’imbarazzo e l’attesa stavano per uccidermi.
Le mie richieste furono presto ascoltate, perché lui mi regalò un sorriso ampio e bambinesco, ma non per questo meno affascinante, e un’ondata di sollievo mi colpi lasciandomi spiazzata per qualche istante. «Ehi a te, ciao».
Ero troppo bassa per poter tentare qualsiasi approccio, perciò gli indicai lo sgabello accanto al suo e senza esitazione mi diede subito una mano a salire. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma desideravo sfiorarlo e quella fu l’occasione buona. Le sue dita erano calde, asciutte e la sua presa era forte mentre mi issavo grazie a lui sulla sedia. La sensazione della sua pelle a contatto con la mia fu quasi bruciante, elettrica, e mi fece desiderare di non allontanarmi mai.
Finalmente vicina potei di persona appurare che i suoi occhi erano di uno splendido, magnetico verde acqua. Sul mento e sul labbro superiore intravidi l’ombra di una barba di qualche giorno che creava un piacevole contrasto con ciò che di infantile c’era in lui. Il suo sguardo, per esempio: attento, sincero, incuriosito dalla mia presenza.
Come dargli torto? Una ragazza che si avvicinava a lui senza motivo, con niente di intelligente da dire se non Ehi!
«Io…beh…» biascicai. Davvero un ottimo inizio. Dirgli il motivo per cui ero lì o aggirare il problema? Buona la seconda.
«Mi chiamo Amber». Tesi la mano verso di lui, che la strinse con un entusiasmo che mi rassicurò. Il mio cuore fece qualche piroetta, esultante. Ancora quella sensazione di calore mi formicolò sulla pelle, le mie budella si contorsero quando il suo sorriso si fece più ampio. Avrei voluto tenergli stretta la mano in eterno.
«Io sono Simon, è un piacere conoscerti. Che cosa ti porta qui Amber?»
Eccola, la domanda fatale. Sentii il calore salire alle guance, distolsi lo sguardo e inspirai profondamente per prendere tempo. Ma la mia mente parve non volerlo sfruttare a dovere, completamente in balia delle onde dell’emozione e dell’imbarazzo e un ronzio di sottofondo, quasi più forte della musica, mi suggerì che il mio cervello era in tilt.
«Oh…veramente…» Mi schiarii la gola e lottai contro l’impulso infantile di indicare qualcosa alle sue spalle e approfittare della sua distrazione per fuggire via. Mi resi conto che la mia mano era ancora stretta nella sua, piacevolmente morbida. Con il pollice mi accarezzò la pelle e un brivido caldo annullò del tutto l’operato della mente.
«D’accordo sono qui perché volevo attaccare bottone con te, lo ammetto. Non sapevo che fare, ti ho visto al biliardo…a proposito, bel tiro…poi sei arrivato e mi sono decisa. E allora…eccomi qui». Più che parlare sbrodolai una frase dietro l’altra come se nessuno da piccola mi avesse insegnato ad articolare bene.
Lui scoppiò in una risata fragorosa che gli illuminò gli occhi verdi e mi fece sciogliere come il burro al sole, non sapevo se per la vergogna o per l’effetto che riusciva ad avere su di me. Da quanto non mi sentivo così? Come una ragazzina in balia della prima cotta.
«Mi piace la tua sincerità e ti ringrazio. Ad ogni modo…» si sporse lievemente verso di me, facendomi annegare nel verde dei suoi occhi. Da così vicino riuscii a percepire il profumo del suo respiro. «Io parlavo del locale. Vedo tanta gente che è venuta qui semplicemente per divertirsi, fare qualche salto in pista, godersi un paio di drink, flirtare un po’. Tu sei qui solo per questo o eri incuriosita dall’ambiente?»
Era troppo vicino perché riuscissi a pensare lucidamente. Mi scostai appena e sorrisi, abbandonando il viso contro il palmo della mano. La mia fronte era fresca ma mi sentivo il viso in fiamme.
«Bene, ho fatto una figuraccia».
«Ma no, figurati».
«Direi che sono qui perché io e i miei amici eravamo curiosi, ci capita di andare in locali carini ma molto banali quindi non potevamo farci scappare il famoso Mephisto. Abbiamo visto volantini praticamente in ogni angolo della città». Con il pollice indicai dietro le mie spalle Louis e Jennifer, che ovviamente non si stavano perdendo un solo secondo della nostra conversazione, sebbene il fragore coprisse le nostre voci. Non appena accennai a loro salutarono entrambi con la mano alzata e un sorrisino. Simon rispose con un cenno e un’espressione divertita.
«Simpatici…ti piace il biliardo?»
«Sono una frana. Tu sei bravo con la tua stecca» mormorai, pentendomi subito dopo della frase non appena mi sentii avvampare. Il suo sguardo assunse una scintilla di malizia che non mi sfuggii.
«Oddio, qualcuno mi fermi, sto facendo una gaffe dietro l’altra! Credimi, di solito non succede…per lo meno non a così breve distanza una dall’altra». Non sapevo se ridere o andare a nascondermi in qualche angolo buio, ma Simon scosse la testa con un’aria tranquilla che mi mise a mio agio.
«Non ti preoccupare, Amber. Lasciamo perdere il biliardo. Quindi il Mephisto è all’altezza delle tue aspettative?»
Gli fui grata per la disinvoltura con cui cambiò discorso per correre in mio aiuto.
«Molto di più. Tutto è perfetto, curato nei minimi dettagli, una meraviglia».
«Il sottofondo letterario e artistico affascina tanto anche me. Il Faust è una delle mie opere preferite».
«Goethe, giusto? Credo di averla trattata a scuola, ma temo di non saper dire altro». Esattamente come qualche istante prima la sua espressione mi rassicurò.
«Goethe è stato uno dei tanti a farsi affascinare dalla figura dell’enigmatico dottor Faust. Ne hanno trattato anche Lessing, Marlowe, Mann e Valery e tutt’ora è un personaggio vivo e attuale. L’essere umano insaziabile, bramoso di conoscenza, sempre teso a un ideale di sapienza irraggiungibile se non attraverso un patto con il diavolo: Mefistofele». Pendevo dalle sue labbra, ascoltando in silenzio la sua voce lievemente roca e molto attraente.
«Mefistofele si offre di servirlo per ventiquattro anni in tutto per farlo giungere alla conoscenza assoluta tanto agognata. Ma il prezzo è alto».
«La sua anima?» mormorai, sperando di averci azzeccato e di essermi guadagnata qualche punto. Il suo sorriso fu una conferma.
«Esattamente. Ho i gusti dei gatti coi topi».
Lo fissai in silenzio. Avevo capito bene o era parso solo a me che parlasse di topi? Forse la musica assordante aveva coperto parte delle sue parole impedendomi di comprenderle correttamente.
«Come scusa?» mormorai, e la mia perplessità lo fece divertire ancora di più.
«Perdonami, sto facendo il sapientone, ma è più forte di me con questi argomenti. In un dialogo tra Mefistofele e Dio, quest’ultimo dice Finché colui vivrà nel mondo, fino allora non ti sia vietato nulla. In pratica lo lascia libero di attrarre Faust nelle sue grinfie dato che Dio non ha il pieno controllo su un essere umano ancora in vita. Mefistofele sembra esserne felice perché ribatte così: Mai di morti m’è piaciuto occuparmi. Preferisco le guance piene e fresche. Non ci sto, per cadaveri. Ho i gusti dei gatti coi topi».
«Una frase bizzarra». Un ragazzo bizzarro semmai. Era così che conquistava le ragazze? Snocciolando frasi colte tratte dalle opere letterarie? Accidenti, con me stava funzionando alla grande.
«Sta semplicemente a significare che il diavolo ama tormentare gli esseri umani, giocarci mentre sono ancora vivi come fanno i gatti con le loro prede. È un’immagine che rende perfettamente l’idea della lotta impari tra mortali e forze del male. Gli uomini cascano sempre nella rete degli adulatori e scelgono volontariamente la loro sorte. Secondo le rappresentazioni ormai molto diffuse, Mefistofele è dotato di un libro rosso sul quale gli esseri umani che decidono di fare un patto con lui firmano e così vendono la loro anima».
Automaticamente ricordai il grosso tomo alla fine del corridoio e l’entusiasmo con il quale io e i miei amici avevamo firmato. Simon parve leggermi nel pensiero perché annuì.
«Esatto, è proprio il libro a cui stai pensando. Ogni ospite di questo locale ha ceduto senza esserne costretto una parte della sua anima quando è entrato qui, semplicemente attratto da una serata di divertimenti, da un piacere mondano. In fondo siamo nella bocca dell’Inferno!» Il suo entusiasmo era contagioso. Indicò le sporgenze di pietra che già avevo notato agli angoli del bancone, simili a grosse stalagmiti e stalattiti, poi capii che non erano niente del genere. Erano zanne!
«Moltissime rappresentazioni artistiche a partire dal Medioevo raffigurano l’Inferno all’interno delle fauci spalancate di Lucifero, una gola dove i dannati bruciano per l’eternità. Dante ne è un esempio, il suo Lucifero ha tre bocche, ognuna intenta a masticare un peccatore, ma non peccatori qualsiasi. Uomini che si sono macchiati del crimine del tradimento, l’affronto più grave che un uomo possa fare nei confronti dei suoi simili, ma soprattutto di Dio. E cos’è la vendita della propria anima a Mefistofele se non un tremendo tradimento della propria fede?» spiegò, con quella voce bassa, virile e magnetica. Era un piacere sentirlo parlare e non scollai un secondo gli occhi dal suo viso, mentre mi parlava dei tre peccatori che Dante aveva posto tra le zanne del diavolo: Cassio, Bruto e Giuda.
Così ogni elemento di quel locale assunse un nuovo significato per me, che prima di quel momento non ne avevo saputo quasi niente. Simon chiarì il senso della frase alla fine del corridoio: In girum imus noctem e consumimur igni, frase attribuibile ai demoni, eternamente consumati dal fuoco metaforico del peccato e quello fisico, tremendamente bruciante della loro condanna. Il significato era intensificato dal fatto che la frase fosse palindroma.
«Insomma, mi pare di capire che sei un vero appassionato di questi argomenti» dissi dopo un po’.
«Spero di non averti annoiata».
«Al contrario, è affascinante sentirtene parlare».
«Mi piace notare come la letteratura nella sua finzione possa comunque rispecchiare fedelmente la realtà. Gli umani sono estremamente deboli, avvezzi al peccato, pronti a rinnegare qualsiasi loro valore per avere di più. Il potere e il mistero affascinano chiunque, sono così facili da portare sulla cattiva strada. Si dice che Faust sia esistito veramente, ma credo che non sia importante, perché incarna alla perfezione la natura dei mortali, la brama di conoscenza e dell’ignoto, l’estrema e pericolosa curiosità».
Mi guardò quasi con aria di rimprovero, come se si riferisse al fatto che avessi ammesso di essere lì proprio per curiosità. Sì, ero colpevole.
La cameriera prosperosa nel frattempo era tornata e gli posò di fronte un grande bicchiere colmo quasi fino all’orlo di un liquido rosso. Con un cenno, Simon attirò la sua attenzione.
«Scusami, potresti portarne un altro per la signorina?»
«Oh, no, non posso» Mi affrettai a dire. «Devo guidare».
«Non ti farà male, te lo assicuro. Andiamo». Lo sguardo del ragazzo era convincente, il sorriso tutto rivolto a me, come se la cameriera di colpo fosse scomparsa in una nube di polvere magica. Rispettò il mio silenzio per qualche secondo, poi si sporse ancora verso di me e posò la mano sulla mia.
«Fidati di me, è solo un drink. Non ti toglierà la lucidità, inoltre da qui alla fine della serata farai in tempo a smaltirlo.»
Non accennai al fatto che non potevo restare a lungo perché la mia madre megera e dispotica non doveva sapere che avevo trasgredito i suoi ordini.
«Veramente io…» Tentai di replicare, ma le sue dita in un tocco leggero e delicato si mossero verso il polso, dandomi i brividi ad ogni millimetro di pelle che sfioravano. Mi sembrava quasi di avere le vertigini e se non si fosse allontanato almeno un po’ sarei di certo crollata dalla sedia gambe all’aria. Allo stesso tempo tuttavia non volevo che smettesse, come se allontanare quella mano significasse anche togliere all’aria ogni traccia di ossigeno.
«D’accordo.» Mi arresi. «Ma solo uno, non potrei bene nemmeno questo».
Quando la cameriera tornò con la mia ordinazione strinsi le dita attorno al bicchiere e lo alzai per un brindisi, ma Simon fissava con un sogghigno un punto oltre alle mie spalle.
«Ehi, tutto a posto? Che stai guardando?»
Si riscosse, mentre io mi voltavo per indagare. Osservai i divanetti, ma non vidi altro che un mucchio di persone intente a chiacchierare, sorridere e bere. Altre erano in piedi a ballare sul posto, ma non scorsi nulla che potesse essere l’oggetto dell’attenzione di Simon.
«Niente di particolare, ho solo visto un amico. Tutto qui» spiegò lui. Alzò il bicchiere, lasciando una traccia di condensa sul bancone.
«Alla conoscenza, al peccato e alla curiosità» dichiarò. I bicchieri tintinnarono al momento del brindisi, durante il quale il contatto visivo tra di noi non si infranse nemmeno per un secondo. Il mio stomaco restò stretto nella morsa dell’euforia e a stento mi opposi all’impulso di mostrare ai miei amici i pollici alzati in segno di trionfo.
Ero seduta al bancone di un posto fantastico, brindando assieme a uno sconosciuto bellissimo, con uno sguardo che avrebbe potuto fermarmi il cuore da un momento all’altro e il fisico asciutto da modello. Non poteva andare meglio di così.
  
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