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Autore: Enedhil    23/06/2016    0 recensioni
"Ci sono storie che vengono narrate di Era in Era.
Storie che parlano di coraggio e fratellanza.
Storie che parlano di amicizia.
Storie che parlano d'amore.
E ci sono storie che raccontano di qualcosa troppo intenso e travolgente per essere espresso a parole.
Ricorda questa storia... perché tu ne sei parte."
Ogni anno, Re Elessar narra la propria storia al figlio Eldarion, la notte precedente il suo compleanno. Racconta dei viaggi che ha intrapreso, della speranza e dell'amore incondizionato di due creature immortali che lo hanno aiutato ad affrontare il Destino che gli apparteneva. Ma dopo vent'anni, il giovane principe di Gondor decide che è arrivato anche per lui il momento di seguire i passi del padre e visitare la Terra di Mezzo, andando contro i suoi ordini e cominciando proprio dal regno in cui è convinto di poter trovare quel coraggioso principe delle Verdi Foreste che, fin da fanciullo, ha ammirato attraverso le parole di quella magica storia.
[Seconda storia della serie "Dall'Oscurità Alla Luce"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn, Eldarion, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'Oscurità Alla Luce'
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~ 2 ~

La debole luce dei primi raggi di sole stava ancora iniziando la sua discesa sulla Terra di Mezzo quando il giovane principe di Gondor si rimise a cavallo. Era sua intenzione raggiungere l'Antica Via Silvana ed arrivare al palazzo di Sire Thranduil prima di notte e questa volta non si sarebbe fermato nemmeno per mangiare perché, pur non volendolo quasi ammettere nemmeno a se stesso, si sentiva ancora turbato per quello che era accaduto e raggiungere i confini custoditi dai Guardiani del Bosco l'avrebbe, almeno in parte, fatto sentire più tranquillo.
Coprì una lunga distanza nel giro di poche ore, ma di tanto in tanto rallentava perché avvertiva dentro di sé la sensazione di essere seguito. Pur soffermandosi dei momenti a guardarsi intorno però, non riusciva a avvistare nessuno tra gli alberi e così si rimetteva in marcia, dicendosi che forse era solo il suo nervosismo a confondere quell'istinto che aveva imparato ad ascoltare.

Senza rendersene conto, di scatto, rallentò l'andatura del destriero, strinse gli occhi come se si aspettasse da un momento all'altro qualcosa e lentamente fece scivolare la mano sinistra lungo la gamba per raggiungere lo stivale.

Ed all'improvviso da una delle grandi querce che delimitavano il percorso, sbucò quello che, a prima vista, in base alle descrizioni udite dal proprio padre, pareva essere uno dei Guardiani del Bosco che si parò davanti a lui.
“Fermo straniero! Te lo ordino in nome di Sire Thranduil! Non puoi percorrere questi sentieri senza avere avuto il suo consenso!”

Eldarion restò un momento immobile, scrutando da sotto il cappuccio l’elfo che gli aveva sbarrato la strada. Aveva sentito un tuffo al cuore non appena il suo sguardo si era posato su di lui perché, nonostante i suoi abiti e parte del suo viso fossero celati da un ampio mantello con un cappuccio del colore della corteccia dalla quale era apparso, gli era sembrato di scorgere le stesse labbra carnose della creatura della sera precedente. E quel tono di voce determinato e autoritario era così simile a quello dell'ordine udito nella sua mente, ma poi la ragione lo rimise sulla difensiva, così, dopo aver fatto un profondo respiro ribatté:
“Non temere le mie intenzioni, non sono vostro nemico e mai lo sarò. Vengo da Gondor e sono giunto qui per poter incontrare Sire Thranduil e domandargli il suo permesso per camminare per qualche tempo nel suo regno. Chiedo solo di poterlo incontrare al più presto.”
Non ottenne un'immediata risposta e deglutì nervosamente quando vide il Guardiano fare qualche passo per avvicinarsi.
“Potresti dunque condurmi dal tuo sovrano?” gli chiese di nuovo, fissandolo incuriosito per quello strano silenzio.

“Scendi da cavallo e mostrami il tuo viso, straniero! E solo dopo che mi avrai consegnato le tue armi, forse, ti indicherò la via che conduce a palazzo.”

Eldarion strinse le labbra ma si disse che, in fondo, quello era un Elfo e non doveva temere, anche se i pensieri della notte continuavano ad infondergli dubbi, ma alla fine annuì e lentamente discese dal destriero. Gli accarezzò dolcemente il muso, sussurrandogli di stare tranquillo, poi si mise davanti all'animale, e si fece scivolare il cappuccio sulle spalle.
“Ora conosci il mio viso e non ho armi da consegnare, puoi dunque portarmi dove ti ho chiesto?”
In quell'istante si accorse che le labbra dell'elfo si erano incurvate nello stesso sorriso sensuale che aveva visto la sera prima e il suo dubbio divenne una certezza.

“Sei un giovane stolto se credi di mentirmi senza che me ne accorga! Non sarà con la lama di quel pugnale che nascondi che discuterai col mio Re!”

Il principe di Gondor trattenne per un istante il respiro, tentando di non mostrare l'agitazione che gli aveva fatto stringere con forza i pugni a quell'affermazione ed esclamò:
“Ti ripeto che non ho intenzioni ostili, consegnerò le mie armi prima di essere condotto da Sire Thranduil!”

“Fallo ora dunque. Consegnale a me e ti condurrò da lui,” disse l'elfo, facendo un passo verso il giovane. Il mantello si aprì, lasciando intravedere le lunghe gambe fasciate in stretti calzoni color della roccia.

“Non credo lo farò,” mormorò allora Eldarion quando la visione che aveva avuto riprese forma nella sua mente come per metterlo in guardia. “Non conosco il tuo viso e nemmeno il tuo nome.... ed inoltre è insolito che un semplice Guardiano, che dovrebbe controllare i confini di questi Boschi, pattugli la zona senza nemmeno un’arma di difesa.” Notò che l'elfo si era inumidito le labbra e senza controllarsi aggiunse: “O forse... la tua bravura nella lotta a mani nude ti consente di affrontare ogni possibile nemico solo col tuo corpo?”

“Non ti è concesso parlare in questo modo straniero!” mormorò la creatura immortale senza però nascondere quel nuovo sorriso che le parole provocatorie del giovane gli avevano rubato. “Consegnami le tue armi. Non te lo ripeterò di nuovo!”

“E se non eseguissi i tuoi ordini?” replicò il principe, osservando la creatura davanti a sé con un'ostinazione che non credeva di possedere. “Chiamerai rinforzi e mi farai arrestare?”

“No,” ribatté all’istante l'elfo, accennando ora un sorriso sicuro. “Ti trascinerei con la forza via dal tuo destriero e ti priverei di quelle armi... usando solo le mie mani!”

“Non sono giunto fin qui per combattere. Tanto meno lo farei con un Elfo, sono legato al vostro popolo da promesse e vincoli di sangue e non intendo infrangere nessuno di essi,” mormorò a quel punto Eldarion sospirando e alzando le mani ai lati in segno di resa. “Mostrami almeno il tuo viso come segno della sincerità delle tue parole e da me non otterrai più alcuna resistenza.”

“Le tue parole mi sono oscure,” rispose il Guardiano, tentennando qualche attimo. “Ma sembra che tu abbia ritrovato all'improvviso la ragione che sembrava mancarti, giovane Uomo.” Allora chinò indietro la testa per lasciar scivolare il cappuccio sulle spalle. “Ad ogni modo, sei insolente e sfrontato oltre ogni misura!” Con le mani si slacciò il mantello e lo lanciò di lato con un gesto rapido, allargando poi le mani sui fianchi coi palmi verso di lui. “Ora mi vedi?”

E il principe di Gondor sentì un fremito di timore ed agitazione lungo il corpo, come se tutte le sensazioni strane e impreviste della sera prima avessero violentemente preso consistenza.
Era lui.... quella creatura che splendeva sotto la luce della luna, ora stupendo e luminoso baciato dai raggi del sole, con addosso una camicia bianca legata con un laccio lasciato largo sul petto e una tunica verde pallido che gli raggiungeva metà coscia.
I lunghi capelli avevano assunto la piega di morbide onde e si muovevano dolcemente nella brezza che si era da poco alzata e i grandi occhi lo stavano fissando, chiarissimi e limpidi come quella stessa acqua che ora scorreva a una certa distanza da loro, ed in essi poté scorgere facilmente quella scintilla d'eternità che li rendeva attraenti oltre ogni aspettativa.
Si ritrovò senza parole, come se quell'arroganza che si era permesso di usare poco prima fosse svanita di fronte a quella figura eterea che, in quel momento, era diventata reale e consistente al di là di ogni immaginazione.
Ma quando riacquistò potere sulle proprie azioni, abbassò lo sguardo e si chinò su se stesso per estrarre il pugnale che teneva nascosto nello stivale.
“Ti chiedo perdono per le mie parole, ma non potevo sapere se fossi....”
Quella frase gli si bloccò nella gola quando, in poco più di un istante, il Guardiano del Bosco accorciò le distanze tra loro, afferrandogli il polso col pugnale.
Si sentì sospinto con violenza contro una delle querce che li circondavano ed ebbe solo il tempo di socchiudere le labbra in un gemito, prima di sentire alla gola la sua stessa lama.

“Tu mi hai già visto!” gli mormorò l'elfo col viso ad un soffio da quello del giovane. “Ed io ho visto te... è tua abitudine spiare chi non conosci o è stato un caso che la scorsa notte i tuoi occhi si siano soffermati su di me?”

Eldarion sentì il proprio respiro divenire rapido mentre le sue guance si tingevano inconsapevolmente di un rosso vivo.
“Non era mia intenzione... io... volevo solo accertarmi che non fossi un nemico.”

“E quando te ne sei accertato... perché sei rimasto?”

Fece per ribattere ma in quell'istante si accorse di quel sorrisino malizioso sulle sue labbra; quelle labbra che ora quasi sfioravano le sue, ma quella sensazione che avrebbe anche potuto sembrargli piacevole venne istantaneamente spazzata via dalla lama affilata che gli rasentava ancora la gola.
“Io non...” strinse i pugni lungo i fianchi per cercare di controllare il tremore lungo il corpo che lo faceva temere anche solo di deglutire, ma di nuovo quella voce sussurrata e al tempo stesso autoritaria gli provocò un brivido lungo la schiena.

“Posso far sgorgare dal tuo corpo la tua linfa vitale con un solo cenno del mio polso!” gli bisbigliò l'elfo, soddisfatto dell'espressione smarrita sul viso del giovane. “Rispondimi ora o l'ultima cosa che vedrai sarà il mio viso che con tanta attenzione hai osservato ieri notte!” Socchiuse le labbra per proseguire con quel tono intimidatorio ma poi una strana luce famigliare in quegli occhi spaventati, azzurri e sinceri lo fece desistere e accennò un sorriso, mutando quella minaccia in una sensuale provocazione. “Sei rimasto perché ti piaceva ciò che stavi osservando, ragazzino impertinente? Dovrei forse sentirmi lusingato?”

Eldarion abbassò le palpebre come se quel nuovo atteggiamento l'avesse scosso ancor più del precedente ma cercò comunque di ribattere
“I miei occhi sono liberi di guardare ciò che viene messo in mostra davanti ad essi!” credette di aver espresso quel concetto con più convinzione ma si rese conto di averlo appena sussurrato così tentò di accennare un sorriso tirato prima di continuare. “Eri conscio della mia presenza... dunque non avresti dovuto esporti alla mia vista se il tuo desiderio non era quello di essere guardato!”

E a quelle parole, l'elfo si lasciò sfuggire una risata divertita e piacevolmente sorpresa.
“Sei più perspicace di quanto la tua immagine di giovane insicuro voglia far apparire,” gli bisbigliò, fissandolo intensamente. “Ma benché le tue parole ostentino sicurezza, il tuo corpo ancora trema davanti a me.” Scese con lo sguardo su di lui come se lo stesse esaminando, senza mai spostare però il pugnale dalla sua gola e si rese conto che il ragazzo, per la sua giovane età, era comunque già alto quanto lo era lui e gli abiti che indossava non erano di fattura simile a quelli di un semplice viaggiatore... per non parlare del pugnale che era indubbiamente forgiato dalla mano degli Elfi di Lórien, e non erano molti i Mortali che potevano possederne uno, quindi o era un ladro o qualcuno vicino a coloro che avevano vissuto a contatto col Popolo Immortale. Allora gli mormorò: “Perché un amico degli Elfi teme la mia vicinanza? Chi sei e cosa ti porta qui?”

Il principe di Gondor socchiuse le labbra per rispondere ma alle sue orecchie, come a quelle del Guardiano davanti a lui, giunse un richiamo allarmato.

“Lanthir! Cosa fai qui? Ho trovato il tuo destriero abbandonato nella radura qui vicino... perché...”

E in quel momento un altro principe, questa volta figlio del sovrano del Bosco delle Foglieverdi, li raggiunse velocemente con la mano pronta sull'elsa della spada che portava legata in vita, sopra la tunica di un celeste argenteo che lo fasciava fino alle ginocchia.
“Cosa succede qui?”

“Ho trovato questo giovane straniero in viaggio verso il palazzo,” rispose Lanthir continuando però a tenere gli occhi fissi su Eldarion e la lama al suo collo. “Le sue intenzioni sono quelle di chiedere a tuo padre il permesso per restare nelle nostre Terre... ma c'è qualcosa in lui che non mi convince. Non conosco il suo viso ma reca con sé questo pugnale... e i doni di dama Galadriel non arrivano senza ragione nelle mani di un Mortale.”

Legolas aggrottò le sopracciglia e si avvicinò di più a loro, guardò il pugnale stretto nella mano dell'amico ma appena lo rialzò sul viso del giovane tenuto intrappolato contro la quercia, si sentì come se il suo cuore avesse affrontato una lunga corsa e solo in quell'istante si fosse fermato per trovare riposo.
“Questo è il pugnale che Sire Celeborn donò ad Aragorn quando ripartimmo da Lórien durante la nostra Missione,” mise una mano su quella dell'altro elfo e lentamente gli fece riabbassare la lama per potersi mettere davanti al giovane e guardarlo negli occhi. In quell'istante riuscì a percepire, in quell'azzurro limpido che conosceva bene, la luce della persona che possedeva il suo cuore e metà della sua anima... e non riuscì a fare a meno di alzare una mano e sfiorargli una guancia teneramente, prima di sussurrare con un sorriso radioso. “E lui è il figlio di Aragorn!”

Eldarion rimase immobile per quel lungo momento, non solo per l'apprensione per la situazione in cui si era cacciato, ma perché quando vide davanti a sé il principe delle Verdi Foreste, gli parve di essere tornato fanciullo e di poter ammirare con quegli occhi innocenti e pieni di meraviglia, uno dei personaggi che era stato protagonista delle sue fantasie.
E quando sentì quel tocco sul viso e poté guardare nei suoi occhi blu profondi come il Mare, si rese conto che le parole che suo padre aveva usato per descriverlo quasi non gli rendevano giustizia perché era tutto quello e molto altro ancora che non poteva essere espresso.
Si perse in quel sogno ad occhi aperti e udì solo vagamente la conversazione che i due elfi nel frattempo stavano tenendo.

Lanthir aveva fatto un passo indietro per lasciare spazio al proprio principe ma quando sentì quella rivelazione comprese tutte le vaghe sensazioni di famigliarità che aveva provato... ed anche quelle meno innocenti che l'avevano scosso fin dal primo momento in cui aveva notato la presenza del giovane la notte precedente. Per un attimo sorrise tra sé nel pensare a quanto figlio e padre fossero uguali e a quanto il Destino fosse astuto e subdolo nel tessere le proprie trame. Solo per una coincidenza fortuita non l'aveva raggiunto subito in quella tarda ora per mettere in pratica quello che invece aveva fatto con Aragorn, il quale, all'epoca, doveva avere pressappoco proprio la stessa età del figlio, e l'aveva invece seguito per tutto il giorno, spinto da una curiosità che ora sapeva spiegarsi.

“Questo è il figlio di quel...” si morse il labbro e si corresse, usando un tono più consono “...del Re di Gondor? Il principe erede al trono degli Uomini è giunto nelle nostre Terre e nessuno ci ha
avvertito?”

“A quanto sembra... infatti trovo strano che Aragorn non mi abbia avvisato prima del suo arrivo.”

“Siamo sicuri che sia veramente lui e non un ladro che ha rubato questo pugnale?”

“Avrebbe dovuto rubarlo direttamente dallo stivale del Re perché è lì che ancora lo tiene!” ribatté Legolas, ridendo debolmente. “E i miei occhi potrebbero ingannarmi ma non mi sembra così abile da poterci riuscire.” Respirò profondamente e riportò l'attenzione sul giovane che lo fissava con profonda ammirazione e incanto sul viso e sussurrò dolcemente: “I miei occhi potrebbero ingannarmi come ti ho detto, ma non il mio cuore... so che è lui!” gli sorrise e inclinò di lato la testa continuando ad osservarlo come se non riuscisse a farne a meno visto che le memorie di lui si fermavano a quasi dieci anni prima quando ancora era un piccolo fanciullo che si divertiva con giochi intagliati nel legno. “Puoi parlare, Eldarion. Ora sei al sicuro tra noi, mostra a Lanthir l'anello così ogni suo dubbio si dissolverà!”

Il giovane principe di Gondor, nel sentire pronunciare il proprio nome, parve svegliarsi da quel sogno e subito annuì, sfilandosi il guanto che portava alla mano sinistra per poi voltarla verso i due elfi... e lo smeraldo cinto dai due serpenti che formavano l'Anello di Barahir, simbolo della discendenza di Elendil alla quale apparteneva, brillò sotto la luce del sole nel Reame Boscoso ancora una volta.
“Sì io... mi dispiace, avrei dovuto dire subito il mio nome ma... mi è stato insegnato a diffidare da chi non conosco e ad ottenere ciò che desidero lasciando solo come ultima alternativa quella di rivelare il mio lignaggio.”

“Perché questo non mi sorprende?” mormorò il principe di quelle Terre, scuotendo la testa con un sorriso.

“E ti è stato anche insegnato a provocare con le tue parole sfrontate un Guardiano del Bosco fino ad indurlo ad usare la tua stessa arma contro di te?” gli chiese Lanthir senza però riuscire a fare a meno di sorridere. Rigirò tra le dita il pugnale prima di voltarlo col manico verso il giovane per riconsegnarglielo con un lieve cenno del capo. “Questo ti appartiene, Eldarion, figlio di Aragorn. Possa la tua permanenza nelle nostre Terre portarti il sollievo e la felicità che a suo tempo portò a tuo padre.”

“Ti ringrazio,” mormorò Eldarion con un tono ancora insicuro prima di riprendere il pugnale e riporlo di nuovo nello stivale. Vide lo sguardo divertito di Legolas a quel gesto ed allora trovò il coraggio per proseguire. “Nessuno vi ha avvertito del mio arrivo perché non era... previsto. Mio padre si è recato a Rohan per degli impegni presi in precedenza ed io ho... lasciato Minas Tirith per un periodo di tempo che credo possa arrivare fino a metà Autunno, con l'intenzione di visitare i luoghi che desidero rimangano impressi nella mia memoria. Volevo chiedere il permesso a Sire Thranduil per passare del tempo qui ma...” alzò lo sguardo al cielo sospirando e passandosi una mano sul viso “...solo ora rammento che non si trova nel suo regno ma in quello di Lórien, altrimenti suo figlio non sarebbe qui ma nell'Ithilien!” sbuffò e scosse la testa mugugnando tra sé “Sapevo che qualcosa mi sarebbe sfuggito!”

“Posso concederti io questo permesso!” ribatté subito Legolas, guardandolo stupito da quell'agitazione. “Sono qui per svolgere i miei doveri ma anche per esercitare i diritti che mi spettano e quello di accettare la tua permanenza nel mio regno è tra questi ma...” sorrise divertito e allargò le braccia, facendogli cenno con le mani di avvicinarsi “...solo in cambio di un abbraccio perché nell'ultimo di cui ho memoria ho dovuto inginocchiarmi per raggiungerti!”

Eldarion socchiuse le labbra in un'espressione piacevolmente sorpresa e fece subito un passo verso di lui ma poi esitò per qualche attimo, chiudendo le mani come se all'improvviso fosse diventato un gesto che non aveva mai compiuto e non sapesse da dove iniziare. Così fu l'elfo a riempire quella distanza che ancora li divideva, stringendolo con forza tra le proprie braccia e contro di sé.

“Non avrei mai osato sperare di vederti qui! Mi hai fatto un inaspettato e felice dono, Eldarion... a pochi giorni dal tuo compleanno, se non ricordo male. Quindi sei tu quello che avrebbe dovuto ricevere doni!”

“È stato un dono quello di poter giungere qui,” mormorò il giovane, cingendolo a sua volta ma debolmente come se con una pressione maggiore temesse di vederlo svanire. “Non ne desidero altri... almeno fino al prossimo anno!”

Lanthir li osservò con le sopracciglia lievemente aggrottate come se non avesse compreso qualcosa di tutta quella situazione e quando incrociò lo sguardo di Eldarion per qualche momento, d'un tratto tutto divenne chiaro e dischiuse le labbra in un sorrisino per poi inumidirle con la punta della lingua in una movenza intenzionalmente provocatoria.
“Questo ragazzino oltre ad essere impertinente è anche sfacciatamente bugiardo. Mi piace!” sussurrò continuando a fissarlo, rivolgendosi però all'altro elfo. “Non ha detto ad Aragorn di essere partito e di essersi diretto qui... è chiaramente scappato dalle mura del palazzo quando la madre era voltata dalla parte opposta.”

A quelle parole, Legolas sciolse l'abbraccio per poter guardare di nuovo il viso del giovane e quando comprese dal suo sguardo che tutto quello corrispondeva a verità spalancò gli occhi.
“Eldarion! Come hai potuto lasciare Minas Tirith senza il consenso di tuo padre? Arwen sarà preoccupata e sconvolta.”

“Le ho lasciato una lettera e lei non è mai stata contraria alla mia partenza!” cercò subito di difendersi Eldarion. “È mio padre quello che cerca sempre delle scuse poco plausibili per impedirmelo! E sembra finga di non ascoltare quando gli ricordo che lui stesso ha iniziato a intraprendere i suoi viaggi alla mia età!”

“E così hai atteso che se ne andasse per darti alla fuga,” esclamò il Guardiano del Bosco, incrociando le braccia sul petto. “Astuto da parte tua!” lanciò un'occhiata all'altro elfo, sussurrando: “Se il nostro Aragorn è diventato un padre severo e noioso, il ragazzino non ha totalmente torto.”

“Se te lo voleva impedire,” rispose Legolas alzando però una mano verso l'amico per non farlo continuare, “avrà avuto sicuramente delle ottime ragioni. Molti percorsi delle Terre Selvagge non sono ancora stati battuti dai cavalieri di Gondor e Rohan e per quanto ne sappiamo centinaia di alleati dell'Oscuro Signore sono sopravvissuti alla sua caduta.”

“Ho percorso solo sentieri sicuri e ad ogni modo sono in grado di difendermi!” ribatté all'istante Eldarion ma voltò la testa stringendo i denti innervosito quando sentì la risata dell'elfo dagli occhi chiari... e alla sua espressione irritata si unì quella del principe del Reame Boscoso che, a sua volta, guardò il compagno allibito.

“E come avevi intenzione di difenderti? Con un pugnale che ti fai rubare con facilità dalla mano? O con la tua lingua insolente e il tuo atteggiamento indisponente?” esclamò divertito Lanthir per tornare però subito con una parvenza di serietà quando notò lo sguardo ammonitore di Legolas. “Perdonami... pensavo volesse scherzare con noi!” e poi riportò gli occhi sul giovane. “Oh... ma parlavi sul serio?”

“Io so combattere!” esordì allora il principe di Gondor, facendo istintivamente un passo verso l'elfo. “So maneggiare una spada o un pugnale! Mio padre me lo ha insegnato e ho appreso ogni tecnica conosciuta all'uomo. L'unico motivo per cui non ho risposto alle tue provocazioni con un arma è per quello spirito Immortale che ti rende ciò che sei e perché mai colpirei un appartenente al tuo popolo con l'intenzione di ferirlo.” Sostenne il suo sguardo altezzoso che non accennava ad abbassarsi e si avvicinò ancora di più. “Ma non pensavo di incontrare un creatura che è tanto avvenente quanto scortese, arrogante, prepotente e... presuntuosa!” In quel momento vide, inaspettatamente, quelle labbra carnose che aveva ammirato la sera precedente incurvarsi in un sorriso lascivo e deglutì senza però riuscire a trattenersi dal terminare con un sussurro. “Ora che conosco te, posso sempre cambiare opinione e mettere in pratica ciò che ho appreso!”

“E mi conosci da nemmeno un'ora,” gli bisbigliò l'elfo, continuando a fissarlo intensamente. “Cosa farai quando trascorrerai un intero giorno in mia presenza?”

Legolas era rimasto in disparte ad osservare la scena, indeciso su come intervenire, ma quando udì le parole del giovane e vide la successiva espressione di Lanthir capì che non poteva permettere che quella discussione andasse oltre, così li raggiunse e allungò un braccio tra di loro, spingendo l'amico all'indietro e fissando il giovane davanti a sé.
“Eldarion, ora torna a cavallo! Prosegui fino a quando la via si inoltra tra le betulle e attendimi in quel punto. Ti porto con me a palazzo e manderemo subito un messaggero a Minas Tirith per informare tuo padre e tua madre dell'accaduto.” Attese immobile fino a quando il principe di Gondor annuì, allontanandosi per risalire sul proprio destriero, ed allora si voltò verso l'altro elfo con un sopracciglio alzato. “E quello cos'era? Non mi è sembrato il modo più consono per parlare con lui!”

“Perdonami,” mormorò subito Lanthir, chinando la testa con reverenza. “Non era mia intenzione mancargli di rispetto. Comprendo che è l'erede al trono degli Uomini ma il tono delle sue parole e il suo atteggiamento mi ha ricordato...”

“...un altro erede al trono col quale agivi nello stesso modo, me ne sono accorto!” concluse Legolas, accennando un debole sorriso. “Ma lui non è Aragorn... quindi cerca di moderare i toni con cui ti rivolgi a lui, se ti è possibile.”

“Non accadrà più...” sussurrò il Guardiano del Bosco, abbassando lo sguardo, ma poi aggiunse “...se lui non mi provocherà in quel modo.”

“Faremo in modo che anche lui tenga un comportamento rispettoso nei tuoi confronti come è giusto che sia. Ora prendi il tuo destriero e avvisa Ethilian che presto partirà alla volta di Gondor.”

Lanthir annuì accennando un lieve inchino ed attese fino a quando il principe riprese il sentiero dal quale era giunto. In quel momento rialzò lo sguardo sul giovane che stava incitando il cavallo a ripartire e si accorse che gli occhi azzurri di Eldarion erano puntati nella sua direzione, così si portò una mano sul cuore e poi la diresse verso di lui in quel saluto reverente che il suo popolo usava per congedarsi e sorrise quando l'erede al trono di Gondor lo ricambiò allo stesso modo prima di allontanarsi.

 
~ * ~

Eldarion venne scortato fino all'interno del grande palazzo nascosto nelle profondità della montagna e per tutto il percorso rimase in silenziosa ammirazione del modo in cui gli Elfi erano riusciti a ricreare i loro boschi perfino in quel luogo. Infatti lungo le alte pareti di roccia, attorno alle volte dei soffitti e in alcuni punti addirittura a ricoprire i corridoi, scivolavano piante rampicanti, splendide e lussureggianti. Edere, gelsomini e passiflore rendevano ogni angolo particolare, grazie anche alle morbide tende che cadevano come cascate di seta e broccati dando alla nuda e fredda roccia gli intensi colori della foresta. Una luce costante proveniva dalle cupole che con un gioco di vetri e specchi sembravano ricreare gli stessi raggi del sole che bagnavano le Terre circostanti ma quello che più colpì l'attenzione del giovane, furono le cascate d'acqua cristallina che di tanto in tanto sulle pareti o negli angoli, defluivano dalla pietra come fontane naturali dalle quali attingere e il loro perenne scorrere riempiva l'aria di un suono piacevole e rilassante che riportava la pace dei sensi.

Non diede peso al discorso che, durante il tragitto, il principe di quel regno stava tenendo con un altro appartenente al suo popolo, perché troppa era la sua curiosità e meraviglia al cospetto di quegli ambienti che solo nella sua immaginazione aveva potuto vedere.
Solo quando giunsero ad una porta, celata tra due tende di velluto argentato sulle quali erano ricamate un susseguirsi di foglie verdi, la sua attenzione tornò alla persona che l'aveva condotto lì, ma solo dopo aver udito il suo richiamo.

“E dunque Eldarion... credi sia adatta come soluzione?”

“Sì... certo,” rispose ancora sovrappensiero il giovane, sbattendo le palpebre come se fino a quel momento avesse sognato, ma poi tornando alla realtà, aggrottò le sopracciglia. “Come?”

“Sei più distratto di quanto ricordassi!” esclamò Legolas sorridendogli. “Ma immagino sia questo luogo ad attirare il tuo interesse.”

“Perdonami... è solo che mai prima d'ora avevo potuto vedere coi miei occhi da sveglio tale sbalorditive bellezze in un palazzo!”

“E avrai tutto il tempo che desideri per ammirarle nei prossimi giorni,” continuò allora, indicandogli con un cenno della mano la porta. “Questa è la mia vecchia stanza, puoi restare qui e riposarti fino a quando ne sentirai il bisogno, nel frattempo, se le circostanze lo richiederanno, ne farò preparare una per te. Come dicevo al mio Consigliere, ritengo opportuno che resti con noi per un periodo... almeno fino a quando il mio messaggero, che giungerà a Gondor recando la notizia del tuo arrivo qui, non tornerà con gli ordini di tuo padre.”

“Che saranno quelli di ritornare immediatamente a casa,” sbuffò Eldarion, alzando poi le spalle rassegnato. “Non mi aspetto altro da lui!”

L'elfo lo guardò incuriosito e amareggiato da quella totale mancanza di speranza nei confronti delle decisioni del padre, ma si limitò ad aprire la porta e invitarlo ad entrare.
“Fino a quel momento, sarai ad ogni modo nostro ospite! Ora va a riposare perché posso vedere la fatica sul tuo viso e quando avrai recuperato le forze, mostrerò ai tuoi occhi ben altre bellezze al di fuori di queste mura.”

Il giovane gli sorrise raggiante e dopo averlo salutato con un cenno del capo, varcò la soglia e rimase ancora una volta sbalordito quando gli parve di essersi immerso in una limpida cascata d'acqua illuminata dai raggi della luna.
Le pareti della stanza sembravano le morbide onde che si infrangevano sugli scogli sottostanti, ricreate dalle lunghe tende di impalpabile seta azzurra e argento, ed in un angolo scrosciava dalle rocce proprio una sorgente di quell'acqua cristallina che andava a riempire una polla sul pavimento.
Un basso letto era posto al centro ed anch'esso era ricoperto da lenzuola e cuscini delle stesse tonalità, tanto da sembrare un tutt'uno col resto che lo circondava.
Fece qualche passo, dopo aver richiuso la porta alle proprie spalle e lentamente si tolse il mantello per posarlo sul materasso. Girò su se stesso e gli parve di intravedere dietro ad alcune tende scostate, degli abiti appesi come se gli armadi fossero celati dietro ad esse e non poté fare a meno di sorridere nel pensare a quanto quegli Elfi tenessero a sembrare una sola cosa con la natura che li circondava.
Ed allora fece ciò che le sue gambe sfinite gli stavano consigliando, si distese stancamente sul letto e appena si sdraiò scorse il soffitto a volta sopra di sé dal quale penetrava una flebile luce che sembrava perfettamente adatta a quell'ambiente di riposo... e sospirando, chiuse gli occhi.

 
~ * ~

“Eldarion... Eldarion avanti, svegliati!”

Il principe di Gondor sorrise e si stiracchiò prima di rialzare le palpebre lentamente quasi lo stesse facendo con timore di risvegliarsi e vedere che tutto ciò che aveva nella mente era stato solo un sogno. Ma subito si rese conto di essere ancora nel letto in quella splendida stanza, immerso nel celeste argento delle cascate e seduto di fianco a lui c'era l'elfo che per tanti anni aveva solo immaginato.
“Mm... perdonami... credo di essermi addormentato,” mugugnò, mettendosi a sedere e passandosi le mani sul viso. “Ieri notte non ero riuscito a chiudere occhio.”

“Eldarion, hai dormito per un'intera giornata!” esclamò Legolas divertito nel vedere la sua espressione perplessa. “Ed oggi il sole è già alto nel cielo... coraggio! Bagnati quel viso ancora velato di sonno ed esci da qui.” Gli accarezzò la testa teneramente e subito dopo si rialzò. “In fondo al corridoio ti aspetta quel giovane che ci ha accompagnato qui, ti porterà a mangiare qualcosa e poi all'esterno dove potrai trascorrere tutto il tempo che desideri nei giardini.” Raggiunse la porta e prima di lasciare la stanza aggiunse: “Benvenuto nel Reame di Foglieverdi, Eldarion!”

Il giovane restò ancora qualche istante intontito a guardarsi attorno ma poi si lasciò sfuggire una lieve risata felice e balzò in piedi, pronto ad affrontare la sua prima giornata in quel regno che aveva tanto sognato.

Ma ciò che ancora il principe di Gondor non sapeva, era che dalle Terre degli Uomini un altro viaggiatore stava raggiungendo quel regno, e le sue intenzioni presto avrebbero spento quel sorriso radioso dal suo viso.

 
~ * ~

Re Elessar stava cavalcando ininterrottamente da tre giorni.
Dal momento stesso in cui un messaggero era giunto ad Edoras portando le parole preoccupate della sua sposa all'improvvisa sparizione di Eldarion. Non aveva atteso un solo istante e, dopo essersi scusato con Éomer per dover interrompere in quel modo brusco le loro riunioni, era partito verso il luogo dove sapeva di poter ritrovare il giovane stolto e testardo figlio che aveva trasgredito i suoi espliciti ordini.
Aveva usato tutta la gentilezza possibile per declinare le sollecitate richieste dei suoi cavalieri di lasciare a loro il compito di scortare nuovamente a Minas Tirith il loro principe, perché mai avrebbe voluto che il figlio imparasse a temere la collera delle proprie guardie invece di quella del proprio padre. Voleva che fosse il suo viso adirato a vedere nell'istante stesso in cui avrebbe messo piede nel Reame Boscoso e sue le parole di disapprovazione e rimprovero che avrebbe udito per i giorni a seguire durante il viaggio di ritorno.
Era così facile all'ira da quando gli era stata comunicata quella notizia che l'unica cosa che riusciva a pensare era quale pena fargli scontare per punire le sue folli azioni... fino a quando, prima di arrivare al guado sul Grande Fiume, incrociò un elfo che giungeva proprio dal regno che era intenzionato a raggiungere.

Ed allora tutta quella collera sembrò svanire in confronto al battito accelerato del suo cuore che solo in quell'attimo di recuperata lucidità si rese conto di stare per riabbracciare proprio la persona che gli stava mandando quel messaggio.
Comprese che non era per punire suo figlio che stava cavalcando all'impazzata da giorni, perché dietro all'atteggiamento di padre intenzionato a impartire una lezione, non c'era altro che l'uomo malinconico e imprigionato tra i muri del ricordo che aveva colto quell'opportunità per poter ritrovare di nuovo la libertà e l'unica luce in grado di farlo tornare a respirare.

E sorrise.

Sorrise come non faceva da tempo mentre superava i confini del Reame Boscoso e si inoltrava lungo il sentiero costeggiato da grandi querce che ormai conosceva a memoria.

Sorrise anche quando arrivò alla schiera di betulle che obbligavano a procedere più lentamente.

Sorrise... fino all'istante in cui percepì una presenza tra gli alberi, e nonostante sapesse di non avere niente di cui temere in quel luogo, scese da cavallo e si portò una mano alla cintura, tastando con le dita quel pugnale nascosto sotto al mantello scuro che indossava.

Si guardò attorno alla ricerca di un segno, perché sapeva bene che i Guardiani di quei boschi erano abili a nascondersi e a far perdere le proprie tracce come se diventassero parte di quella vegetazione rigogliosa che dovevano proteggere.
Ma quella sensazione di non essere solo divenne ancora più insistente e si ritrovò ad indietreggiare fino a raggiungere con le spalle il tronco di una alta betulla dietro di sé... e in quel punto trattenne il respiro.

Una lunga lama di forgiatura elfica comparve da dietro la sua posizione e gli raggiunse il petto, costringendolo ad immobilizzarsi contro quell'albero che da salvezza si era tramutato in trappola.

“Cosa vedono i miei occhi?”

Una voce dolce con una punta di provocazione... e il suo cuore iniziò a galoppare più forte di quanto il suo destriero non avesse fatto fino a quel momento.

“Un ramingo ha osato oltrepassare i confini del Bosco di Foglieverdi senza permessi.”

Strinse le labbra e cercò di controllarsi dall'afferrare quella mano che ora poteva scorgere con la coda dell'occhio e tirare a sé la creatura che ancora stava nascosta dietro al tronco.

“Potresti essere punito per un gesto azzardato come questo!”

E finalmente quella spada cambiò angolazione per permettere al suo possessore di spostarsi davanti a colui che aveva intrappolato.

“Dimmi, ramingo, cosa dovrei fare con te?”

Cercò di mantenere un'espressione seria ma la scintilla di felicità nei suoi occhi azzurri divenne un fuoco ardente quando il suo sguardo si posò sul principe del Reame Boscoso. Splendente come un raggio di sole disceso sulla Terra per baciarla col proprio calore e avvolto in un abito di un pallido argento dalle sfumature cerulee.

“Abbassare la tua lama e abbracciarmi?” rispose la prima cosa che la sua mente pensò, senza badare a quanto infantile potesse sembrare e difatti vide l'elfo rialzare un sopracciglio sorpreso ma dopo qualche attimo la sua mano ripose il lungo pugnale nella cinta che portava ai fianchi.

“Non è mia consuetudine abbracciare gli stranieri che giungono nelle mie Terre, che ti sia chiaro!” esclamò allora Legolas tentando di nascondere un sorriso. “Ma per questa sola ed unica volta...” rialzò lo sguardo su di lui e mormorò dolcemente “...non c'è altra cosa che vorrei fare!”

Aragorn si rialzò dal tronco e fece un passo verso di lui a braccia aperte ma tentennò quando notò sul viso del compagno una strana espressione sorpresa e di nuovo quei pensieri riguardo il passare del tempo evidenti nel suo aspetto si fecero strada nella sua mente.

Così, dopo qualche breve attimo, fu l'elfo ad accorciare quella distanza che ancora era rimasta tra loro.
“Che cosa stai aspettando?” bisbigliò quasi in un lamento quando vide l'amico fermarsi. Gli afferrò con un pugno l'abito di un regale rosso scuro che indossava e se lo tirò contro, gettandogli poi entrambe le braccia al collo. “Sono passati quasi sei mesi dall'ultima volta... e tu esiti?”

L'uomo si lasciò sfuggire un gemito quando entrò in contatto col corpo del compagno e per un lungo momento non riuscì a fare altro che cingergli la vita con le braccia e tenerlo stretto a sé, col viso premuto contro il suo collo mentre respirava quel profumo che amava e che, all'istante, aveva cancellato quello degli alberi, dell'erba, dei fiori e di ogni altra cosa che lo circondava.
“Ero solo...” mugugnò debolmente quando sentì tra i capelli le dita che lo accarezzavano “...il tuo sguardo sembrava... sorpreso.”

“E non avrebbe dovuto esserlo? Prima Eldarion ed ora tu!” sussurrò dolcemente Legolas nel percepire il suo respiro rapido contro la pelle e la sua stretta così energica da essere piacevolmente dolorosa. “Ero coi Guardiani poco lontano da qui e all'improvviso... potenti onde hanno iniziato ad infrangersi nella mia mente e nel mio cuore, trascinandoli nelle profondità di un tiepido mare. Il mio spirito si è ritrovato alla deriva in quei flutti.” Sorrise sfiorandogli il viso col proprio. “In quel momento ho capito che eri tu e non riuscivo a crederci! Ho corso e corso fino a quando ti ho visto... cosa fai qui, Estel? Com'è possibile? Ethilian non può essere giunto a Minas Tirith in così poco tempo... ma anche se il suo destriero avesse messo le ali, mai avrei sperato in un tuo arrivo!”

“Ho incrociato il tuo messaggero prima di guadare l'Anduin ed ero già in viaggio da quando Arwen ha mandato la notizia della scomparsa di mio figlio a Edoras,” rispose Aragorn senza accennare minimamente ad allontanarsi da lui. “Sapevo bene che questa sarebbe stata la sua prima meta... ed era mio dovere venire di persona a riprendere quell'incosciente.”

“E così sei giunto qui solo per riportare a casa tuo figlio,” gli bisbigliò Legolas all'orecchio consapevole però che quella frase avrebbe scatenato una risposta e continuò. “Dunque lasciami e ti mostrerò dove si trova, così potrete ripartire prima del calare del sole.”

“Non ingannare il tuo cuore come credevo di fare col mio,” mormorò subito l'uomo rialzando il volto per spingere teneramente la testa dell'amico con la propria e potergli parlare a sua volta all'orecchio. “Mi dicevo che era la collera per la sua disubbidienza a spingermi a cavalcare più forte ed invece era il desiderio di rivederti... di riabbracciarti.” Gli sfiorò il profilo con le labbra e il sospiro che udì di rimando gli percorse il corpo come una carezza rovente. “Il mio spirito correva come il vento perché sapeva di stare tornando a casa... al posto a cui appartiene... insieme al tuo.”

Legolas chiuse gli occhi a quel gesto ma non riuscì ad impedire al proprio corpo di reagire a quella vicinanza inaspettata e all'istante sentì rinascere dentro di sé tutte quelle emozioni che lo scuotevano ogni singola volta che riabbracciava l'amico. Era come una scintilla che rimaneva quieta per mesi ma che riprendeva ad avvampare incessantemente al minimo contatto tra di loro e oramai non era più in grado di tenerla a bada. Le volte precedenti, quando sapeva di tornare nell'Ithilien, cercava di prepararsi al loro incontro e quando accadeva, riusciva almeno in parte a controllare quello spirito che bramava di ricongiungersi a quello di Aragorn, ma questa volta era stato tutto così improvviso da non essere nemmeno riuscito a pensare, ed ora si ritrovava in balia di quel fiume di ardente argento che lo sospingeva verso l'altra metà della sua anima.

“Aragorn...” tentò di ribattere qualcosa ma udì vagamente dei richiami in lontananza che si stavano avvicinando e si ricordò degli altri elfi che lo stavano attendendo. “Aragorn, dobbiamo... devi lasciarmi ora. I Guardiani ci stanno raggiungendo... ti accompagno da tuo figlio.”

“Oh... certo!” rispose l'uomo allentando di poco la stretta e spostando la testa per guardarlo. Fu proprio quando incrociò i suoi occhi che perse nuovamente tutta la forza di compiere quell'azione. Restò immobile a fissarlo, spostando lo sguardo da quel mare blu in cui era caduto alle labbra socchiuse vicine, troppo vicine, alle sue e sospirò sconsolato. “Come può essere così difficile allontanare le braccia da qualcuno quando hai la certezza che non svanirà come un bel sogno al risveglio? Il mio cuore sta soffrendo solo al pensiero di non poterti toccare per qualche ora e il mio spirito mi impedisce di allontanarmi come se temesse di non avere più un'occasione per sentirti... com'è possibile?”

“Principe Legolas!”
“Mio signore!”

“Se tu sei di nuovo qui tra questi alberi, davanti a me... tutto è possibile!” rispose l'elfo, accennandogli un sorriso mentre faceva scivolare lentamente le braccia dal suo collo con la stessa difficoltà di cui il compagno aveva appena parlato. “Nessuno dei due svanirà al sorgere del sole... e prima della tua partenza avremo ancora del tempo per... restare soli.”

“È una promessa? Giuramelo o non credo che riuscirò a fare un passo indietro nemmeno se tutti gli eserciti dei Popoli Liberi arrivassero in questo preciso momento!”

Legolas non riuscì a trattenere una debole risata ma annuì, accarezzandogli una guancia quando sentì la stretta attorno alla vita sciogliersi.
“Te lo prometto. Troveremo sempre del tempo per noi tra questi alberi.”

I due Guardiani del Bosco li raggiunsero e accennarono un inchino quando riconobbero il Re di Gondor in quel viaggiatore appena giunto, ed allora il principe di quelle Terre parlò di nuovo con un tono più autoritario ma senza mai smettere di guardare l'amico davanti a sé.

“Continuate a pattugliare la zona e raddoppiate le vedette ai confini! La nostra dimora deve essere protetta giorno e notte fino a quando i Signori di Gondor resteranno nel nostro Regno.” Fece un cenno con la mano ad Aragorn. “Ora se vuoi seguirmi, ti condurrò dalla persona che sei venuto a cercare.”

 
~ * ~

Eldarion si girò per l'ennesima volta su se stesso per ammirare le bellezze naturali attorno a sé, quasi avesse paura di non avere il tempo per vedere ogni cosa.
Aveva seguito il consiglio di Legolas e, dopo essersi dato una sistemata, era sceso a mangiare qualcosa per poi uscire subito all'aperto.
Si era vestito con un abbigliamento simile a quello del suo arrivo, ma questa volta la tunica a mezza manica che indossava sopra alla stretta camicia grigia e ai pantaloni scuri, era di un candido bianco con inserti marroni sui bordi, per non attirare troppo il calore del sole in quella calda giornata d'estate.
Ma per fortuna, gli alti alberi e la rigogliosa vegetazione, attenuavano il caldo che invece a Gondor, in quella stagione, sembrava essere insopportabile.

Superò un complesso in pietra formato da quelle che sembravano colonne posizionate in circolo sulle quali si arrampicavano glicini in fiore e raggiunse un'altra struttura che attirò subito la sua attenzione. Delle piante alte e sottili creavano quello che, a prima vista, dava l'idea di essere un arco d'entrata ed oltre ad esso, a perdita d'occhio, si estendevano centinaia di altri alberi che parevano ricreare dei sentieri dentro ad altri sentieri.
Raggiunse quell'ingresso e guardò oltre ad esso incuriosito, tentando di comprendere dove conducessero quei percorsi nascosti... ed era così interessato a quella nuova scoperta da non accorgersi di una presenza alle sue spalle.

Lanthir restò qualche istante ad un passo di distanza, attendendo di essere notato ma quando questo non avvenne, trovò un modo migliore per rivelare la propria presenza.
Aveva visto il principe di Gondor uscire da palazzo poco prima e da quel momento aveva iniziato a seguirlo, divertito e affascinato dall'espressione stupita sul suo volto ad ogni passo che faceva, ma poi si era ritrovato a nascondersi quando il giovane si fermava per degli attimi, solo per poter continuare ad osservarlo.
C'era qualcosa in lui che attirava la sua attenzione... qualcosa che ancora non riusciva a spiegarsi, e così proseguì fino a quando lo vide giungere al labirinto, ed allora quell'istinto di cacciatore prese il sopravvento e non riuscì a resistere alla tentazione di istigarlo come quando l'aveva incontrato, per vedere la sua reazione.
Si mise silenziosamente dietro di lui quando lo vide varcare quell'ingresso e, tentando di restare serio, chinò la testa per mormorargli all'orecchio:
“Tuo padre ha tentato di...” ma non poté terminare la frase.

Inaspettatamente Eldarion si voltò di scatto non appena udì le prime parole e lo spinse contro uno degli alberi all'entrata, bloccandolo con un braccio piegato contro la sua gola mentre con l'altra mano gli aveva afferrato il polso destro e l'aveva rialzato sopra la sua testa.

L'elfo lo guardò sorpreso da quella reazione improvvisa ma rimase immobile perché, nonostante vedesse lo spavento nei suoi occhi azzurri spalancati, sapeva bene che quella posizione di difesa era completamente a suo favore ed una mossa sbagliata gli avrebbe tolto il respiro... se il giovane però l'avesse adottata verso un altro Uomo.
“Oh... ti sai difendere, ragazzino!” sussurrò accennando un sorriso e percepì la pressione sul collo diminuire.

“Io non... non credevo...” tentò di rispondere Eldarion col respiro ancora rapido e il cuore che batteva all'impazzata per quello che gli era venuto istintivo fare. “Non ti avevo sentito... perdonami!” e fece per allontanarsi ma subito si fermò quando sentì una pressione contro il fianco.

“Sta fermo!” esclamò Lanthir inumidendosi le labbra. “Sei stato svelto ma questa mossa può funzionare con un Mortale forse. Così mi hai disarmato la mano destra ma...” spinse debolmente il pugnale che stringeva nella mano libera contro di lui “...niente mi ha impedito di prendere con la sinistra l'arma che tengo alla cintura.” Si chinò leggermente in avanti mormorandogli con gli occhi fissi nei suoi: “Saresti morto ancora prima di renderti conto dell'errore commesso.”

Il giovane deglutì quando si accorse che l'elfo aveva completamente ragione ma quel sorrisino indisponente sul suo viso lo irritò a tal punto da impedirgli di lasciare la presa come poco prima aveva intenzione di fare.
“Vuoi... uccidere l'erede al trono di Gondor?”

“Pensavo non usassi il tuo titolo per ottenere ciò che vuoi. Non l'hai detto tu stesso?”

“Io... se ci sono costretto...”

“E quindi... cosa vuoi, principe di Gondor?” gli chiese l'elfo, sostenendo intensamente il suo sguardo con la stessa espressione sicura che sembrava non abbandonarlo mai.

“Abbassa il pugnale e... io ti lascerò andare.”

“Bene... come desideri.” Allontanò la lama dal suo fianco, riponendola nella cinta e sentì comunque la mano stretta sul polso tremare debolmente prima che Eldarion facesse un passo indietro. “Sappi che non ti avrei ucciso in ogni caso, anche se fossi un...” sorrise tra sé quando gli tornò alla mente qualcosa e proseguì “...semplice ramingo come lo era tuo padre quando è giunto qui la prima volta.”

Il giovane aggrottò le sopracciglia a quelle parole ma poi si ricordò di quelle che il Guardiano del Bosco stava pronunciando prima di essere assalito.
“Cosa stavi dicendo a proposito di mio padre?”

“Quando? Prima che mi attaccassi per mostrarmi le tue tecniche, per niente perfette, di difesa?” rispose Lanthir divertito nel vederlo abbassare lo sguardo timidamente e incrociare le braccia. “Ti volevo solo avvertire che anche tuo padre ha tentato di raggiungere il centro del labirinto e ha rischiato di spezzarsi una gamba. Per sua fortuna Legolas l'ha trovato in tempo e gli ha impedito di fare altre sciocchezze.” Fece un passo verso di lui, fermandosi al suo fianco. “Ma a quanto sembra è un dono di famiglia che vi tramandate.”

“Io non faccio...”

“Oh no, come ho potuto dire una menzogna simile!” proseguì ridendo e passando i pollici nella cintura attorno ai fianchi, indietreggiando di poco per poterlo guardare dall'alto in basso. “Sei solo arrivato qui fuggendo dalla tua casa e trasgredendo agli ordini... per non parlare del tuo atteggiamento verso chi avrebbe potuto, per ben due volte, toglierti la vita!”

“Hai appena detto che non mi avresti fatto del male,” ribatté Eldarion alzando la voce e incrociando i suoi occhi. “Quindi smettila di provocarmi!” vide ancora una volta quel sorrisino sulle sue labbra e strinse i denti. “Se agisco così è perché so di essere in grado di battermi! Forse non ancora con un Elfo, te lo concedo, perché mai prima d'ora ne ho affrontato uno e mai pensavo di doverlo fare. Ma se ci sono costretto... posso imparare anche a lottare contro uno come te.” Restò in silenzio appena percepì da quello sguardo fisso su di sé che non avrebbe dovuto rispondere in quel modo e difatti avvenne ciò che si aspettava.

Lanthir annuì lentamente tra sé, e si sfilò la cintura, posando a terra il pugnale per poi alzare le mani per mostrargli che non aveva altre armi con sé.
“Sto aspettando, ragazzino... sono ansioso di vedere cosa sei in grado di fare a mani nude.”

“Non voglio farlo ora!” reclamò subito il giovane spalancando la bocca ma la risposta che ricevette gli provocò un fremito lungo il corpo che lo lasciò per un istante sconcertato.

“Io sì, quindi chiudi la bocca e metti le tue mani su di me!”

Deglutì nell'udire quell'ordine e per la mente gli passò nuovamente quella visione che aveva visto due notti prima....

Ora dillo!”

...e tutte quelle sensazioni confuse lo assalirono all'improvviso lasciandolo per qualche attimo a fissare quella creatura a qualche passo da lui. Il suo viso baciato dai raggi della luna... il suo corpo bagnato dalle acque... e quelle labbra...

“Io non... non voglio farti del male,” fu l'unica cosa che riuscì a sussurrare mentre stringeva i pugni sui fianchi, cercando di domare quell'istinto che lo stava spingendo ad assecondare quell'assurda richiesta. Ma poi la risata dell'elfo gli tolse ogni controllo.

“Non me ne faresti nemmeno se lo volessi!”

Allora si avventò su di lui con dei colpi volutamente deboli che Lanthir parò facilmente senza nemmeno indietreggiare, così tentò di aumentare la velocità ma quasi senza rendersene conto, si trovò intrappolato di schiena contro il corpo dell'elfo con un braccio piegato all'indietro e quello dell'avversario sul petto che lo teneva fermo.

“Non ci stai nemmeno provando! Così non è divertente,” gli mormorò Lanthir all'orecchio. “Non mi hai ancora nemmeno sfiorato. Andiamo!” e lo spinse con forza in avanti per allontanarlo di nuovo.

Eldarion, che non si aspettava di essere lasciato libero così facilmente, barcollò e perse l'equilibrio, posando in tempo le mani a terra per voltarsi e sedersi sull'erba.
“Ci sto... provando!” esclamò stringendo i denti. “È solo che...”

“Che... cosa? Hai ancora paura di me?” disse l''elfo, socchiudendo le labbra in una finta espressione stupita. “Oh... è per questo che tremi ancora tra le mie braccia?” notò le guance del giovane tingersi improvvisamente di rosso e sorrise compiaciuto. “Avanti Eldarion! La mia lingua può essere affilata come una lama ma non mordo... a meno che non mi venga chiesto.” Rise quando vide il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente, così si avvicinò e allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. “Forza! Non è ancora il momento per restare distesi nell'erba.”

Eldarion cercò di controllare il respiro che era diventato veloce tanto quanto il battito del suo cuore a quelle parole allusive che di certo non si aspettava di ascoltare, ma appena afferrò la mano del Guardiano del Bosco, gli venne in mente un modo per ribaltare almeno in parte la situazione.
Invece di rialzarsi subito, lo trascinò verso di sé per distrarlo.
“Io non ho paura di te,” gli mormorò, fissandolo intensamente. “Scendi dal piedistallo, elfo... non sei così speciale!” Quando vide lo stupore sul suo viso per quella risposta, alzò un piede e lo mise sul suo ventre, spingendolo con forza all'indietro.

Lanthir si ritrovò improvvisamente schiena a terra e non riuscì a trattenere un gemito sorpreso che però si trasformò subito in una risata divertita quando, rialzandosi sui gomiti, vide il giovane in piedi sopra di sé che lo guardava con un sorrisino soddisfatto.

“Sarai anche forte e veloce,” esclamò Eldarion mettendosi le mani sui fianchi. “Ma il tuo corpo è leggero, posso gettarti da una parte all'altra senza problem.! E se è così che posso batterti... non esiterò a farlo.”

“Uno a zero per te, ragazzino,” ribatté l'elfo mentre con lo sguardo lo percorreva dalla testa ai piedi come se lo stesse studiando. “Hai scoperto uno dei miei punti deboli. Ora tocca a me trovare i tuoi.” Si passò la lingua tra le labbra mentre piegava le gambe per rialzarsi e alzò gli occhi su di lui, aggiungendo con un tono sensuale: “Ti piace restare lì a guardarmi mentre sono ai tuoi piedi? Come l'altra notte?”

Approfittando dello smarrimento di Eldarion a quelle parole, rapidamente allungò una mano e afferrò il pugnale che il giovane ancora nascondeva nello stivale. Si diede una spinta sulla schiena all'indietro, piroettando su se stesso e rimettendosi sulle ginocchia si avventò in avanti verso di lui. Lo sospinse contro il tronco di un albero e gli puntò la lama alla gola nel giro di pochi attimi, lasciandolo così esterrefatto e nell'impossibilità di liberarsi.
“Battimi ora, se ci riesci,” gli bisbigliò sulle labbra. “Quando si lotta corpo a corpo, devi depositare anche le tue armi, o rischi di diventarne tu stesso preda se il tuo nemico si accorge della loro esistenza.” Vide il principe di Gondor annuire debolmente. “Credi che per questa volta la sfida sia terminata in parità?”

“Se mi concederai la rivincita un giorno... sì, per questa volta possiamo finirla così,” rispose Eldarion, tenendo le mani sul tronco dietro di sé. “Ma dovrai... insegnarmi quello che ancora non so... su di voi... non posso battermi contro un nemico che non conosco e che non ho imparato ad affrontare.”

“Se lo desideri... anche se oramai mi stavo abituando a tenere nel pugno questo pugnale,” ribatté Lanthir, sorridendogli ironicamente. “Mi piace...” spostò lo sguardo sul suo viso e finì col fissargli le labbra per qualche attimo, aggiungendo “...anche tenere te contro un albero in questo modo.”

“Beh non... non abituarti troppo ad intrappolarmi così, perché non te lo permetterò più!”

“Non ho detto che mi stavo abituando,” gli sussurrò, tornando a fissarlo intensamente, “ma che mi piace.”

Il giovane principe di Gondor rimase spiazzato da quell'affermazione da non riuscire a trovare nemmeno una parola per ribattere. Per un istante pensò che anche a lui non dispiaceva la sua vicinanza ma poi una miriade di altre sensazioni contrastanti lo scossero fino a farlo tremare tanto da premere con forza i palmi contro il tronco per ottenere quella stabilità che, più stava accanto a quell'elfo attraente e sfrontato, più gli sembrava di perdere. Poi udì quelle parole che lo turbarono e incuriosirono ancora di più.

“Ti insegnerei ogni abilità che ho appreso, dentro e fuori la battaglia e a vincere ogni lotta fisica che il tuo corpo può affrontare. A cadere e a rialzarti... a sottometterti e a dominare... se solo tu non fossi il figlio di quell'Uomo.”

Lanthir abbassò per un istante le palpebre, rendendosi conto di aver esagerato con quelle allusioni, ma quel qualcosa che l'aveva spinto a seguire Eldarion poco prima, continuava a indurlo a tenere quei comportamenti disinvolti con lui. Non che fossero atteggiamenti che raramente teneva, anzi, ma era quell'impossibilità di controllo che lo intimoriva... e comprese che una cosa simile gli succedeva solo con Aragorn.
Quell'istintivo desiderio di sfida verbale e fisica che lo portava ad agire in maniera sconsiderata anche di fronte a Legolas, e come accadeva a quel tempo, lo stesso stava avvenendo ora, ed inevitabilmente col figlio di quello stesso Mortale che era in grado di fargli perdere la ragione col suo fare provocatorio e insolente.
L'unico Uomo che gli teneva testa tra le centinaia che aveva incontrato, l'unico Uomo che si divertiva ad ostacolarlo e a metterlo in difficoltà, l'unico Uomo che non si arrendeva mai, e anche se lo faceva fisicamente, quell'ostinazione nel suo sguardo non diminuiva difronte a niente... l'unico Uomo che osava sfidarlo... fino a quel momento.

“Cosa significa?”

Sentì la debole domanda del giovane che ancora teneva bloccato contro l'albero e riaprì gli occhi per fissarlo, cercando una frase ironica per uscire da quella situazione, ma all'improvviso, come proveniente dai suoi stessi pensieri, udì un'altra voce famigliare.

“Lanthir! Allontana il tuo pugnale dalla gola di mio figlio!”

Le sue labbra si incurvarono in un sorrisino piacevolmente sorpreso mentre, abbassando la lama, si voltava verso le due persone che stavano giungendo in quel luogo.

“Posso puntarlo alla tua, devi solo chiedere!” Quando posò lo sguardo sul re di Gondor restò un istante ad osservare il suo aspetto che, dopo tanti anni, aveva iniziato a manifestare lo scorrere di quel tempo che per lui passava tre volte più lentamente. “Sei invecchiato. Quanti anni sono passati da quando ti ho preso a calci l'ultima volta?”

“Troppi... visto che non è mai successo!” esordì Aragorn avvicinandosi a lui con lo sguardo fisso nel suo ma le mani unite dietro la schiena. “Vedo che il tuo braccio e la tua gamba stanno bene. Chissà chi dovrai mai ringraziare per questo?”

L'elfo fece per ribattere ma vide Legolas raggiungerli subito con uno sguardo severo sul viso e così si limitò a guardare l'uomo negli occhi in silenzio.

“Lanthir, Aragorn e suo figlio devono restare soli. Consegna il pugnale ad Eldarion e va a svolgere il tuo compito,” disse il principe del Reame Boscoso guardando l'amico. “Per questa volta passerò sopra all'azione che stavi compiendo e che ti avevo espressamente chiesto di evitare.”

Il Guardiano del Bosco annuì, inchinandosi leggermente prima di voltarsi e avvicinare il manico del pugnale al giovane.
“Tieni... ora hai altro a cui pensare.” Notò il suo sguardo palesemente terrorizzato alla vista del padre e gli sussurrò: “Non è così cattivo come sembra, ricordagli che lui ha fatto lo stesso e anche di peggio alla tua età.” Non ottenne una reazione e così aggiunse “Ma se la punizione che decide è quella di darti delle sculacciate, mi piacerebbe tanto assistere!” Allora vide la sua espressione perplessa, così gli sorrise dolcemente come mai aveva fatto fino a quell'istante.

Eldarion seguì con lo sguardo l'elfo che si allontanava, allibito da quella frase ma sorpreso da quel sorriso che sembrava volergli infondere coraggio e sicurezza. I suoi pensieri su Lanthir vennero però sospinti via dalla voce del padre che oramai l'aveva raggiunto.

 
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