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Ricorda la storia  |       
Autore: Enedhil    11/06/2016    2 recensioni
"Ci sono storie che vengono narrate di Era in Era.
Storie che parlano di coraggio e fratellanza.
Storie che parlano di amicizia.
Storie che parlano d'amore.
E ci sono storie che raccontano di qualcosa troppo intenso e travolgente per essere espresso a parole.
Ricorda questa storia... perché tu ne sei parte."
Ogni anno, Re Elessar narra la propria storia al figlio Eldarion, la notte precedente il suo compleanno. Racconta dei viaggi che ha intrapreso, della speranza e dell'amore incondizionato di due creature immortali che lo hanno aiutato ad affrontare il Destino che gli apparteneva. Ma dopo vent'anni, il giovane principe di Gondor decide che è arrivato anche per lui il momento di seguire i passi del padre e visitare la Terra di Mezzo, andando contro i suoi ordini e cominciando proprio dal regno in cui è convinto di poter trovare quel coraggioso principe delle Verdi Foreste che, fin da fanciullo, ha ammirato attraverso le parole di quella magica storia.
[Seconda storia della serie "Dall'Oscurità Alla Luce"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn, Eldarion, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'Oscurità Alla Luce'
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NOTE SULLA STORIA: Questa storia fa parte della serie "Dall'Oscurità Alla Luce". Rimando alle note di Ricorda Il Passato QUI per altri eventuali chiarimenti ^_^
PERSONAGGI PRINCIPALI: Legolas, Aragorn, Eldarion, Lanthir (OC), Thranduil, Elfi vari del reame Boscoso (OC), Arwen
RATING: Questa parte ARANCIONE. Nelle successive storie ROSSO.
GENERE: Sentimentale/Romantico/Introspettivo

RIASSUNTO: "Ci sono storie che vengono narrate di Era in Era. Storie che parlano di coraggio e fratellanza. Storie che parlano di amicizia. Storie che parlano d'amore. E ci sono storie che raccontano di qualcosa troppo intenso e travolgente per essere espresso a parole. Ricorda questa storia... perché tu ne sei parte." Ogni anno, Re Elessar narra la propria storia al figlio Eldarion, la notte precedente il suo compleanno. Racconta dei viaggi che ha intrapreso, della speranza e dell'amore incondizionato di due creature immortali che lo hanno aiutato ad affrontare il Destino che gli apparteneva. Ma dopo vent'anni, il giovane principe di Gondor decide che è arrivato anche per lui il momento di seguire i passi del padre e visitare la Terra di Mezzo, andando contro i suoi ordini e cominciando proprio dal regno in cui è convinto di poter trovare quel coraggioso principe delle Verdi Foreste che, fin da fanciullo, ha ammirato attraverso le parole di quella magica storia.
DISCLAIMER: I personaggi canon non sono miei, ma dell'incommensurabile genio di Tolkien e sono liberamente ispirati alle interpretazioni degli attori nella trilogia dei film de “Il Signore degli Anelli”.
I personaggi originali come Lanthir, capitano dei Guardiani di Bosco Atro, e gli altri Elfi e Uomini di cui leggerete sono di mia invenzione, ovviamente ^_^

 
A chi, come me, continua a credere nei sogni e cerca di non perdere mai la speranza.

~ ** ~


~ UN ATTIMO DI ETERNO ~



~ 1 ~


“Ci sono storie che vengono narrate di Era in Era.
Storie che parlano di coraggio e fratellanza.
Storie che parlano di amicizia.
Storie che parlano d'amore.
E ci sono storie che raccontano di qualcosa troppo intenso e travolgente per essere espresso a parole.

Quella che ti narrerò ora, parla di amicizia, d'amore e di sentimenti puri e forti che restano inalterati nonostante la lontananza.
Sentimenti che crescono rigogliosi, giorno dopo giorno e sono in grado di attraversare gli oceani del tempo.

Alcuni la considerano una fiaba, altri una realtà raramente possibile.
La cosa importante è il ricordo.
Ricorda questa storia perché in essa è racchiuso tutto l'amore che un uomo potrà mai desiderare di avere.

C'era una volta,
tanti e tanti anni fa, un giovane Uomo cresciuto dal popolo Elfico, per volere della madre e per necessità, in un tempo dove l'Oscurità stava ritrovando una nuova temibile vita.
Fin da bambino venne istruito ed educato come un appartenente alla stirpe immortale, ed amato come un figlio dal Sire di quel regno.
Ma accadde che un giorno, quel giovane di appena vent'anni, ritornò in quella che aveva imparato a chiamare casa, dopo un viaggio intrapreso con coloro che chiamava fratelli, e la sua vita cambiò.

Al tramonto, mentre passeggiava per i boschi, cantando di epoche passate, si ritrovò smarrito in un sogno. Perché altro non poteva essere che un sogno, tale era la bellezza e la grazia della fanciulla che i suoi occhi ancora ingenui videro camminare su di un prato, tra i grandi e bianchi tronchi delle betulle.
Si fermò stupefatto, credendo di aver ricevuto l'incommensurabile dono dei menestrelli elfici che sanno far apparire ciò di cui cantano proprio di fronte allo sguardo di coloro che hanno il privilegio di ascoltarli.
Il giovane infatti stava cantando la storia dell'incontro tra Lúthien e Beren nella foresta di Neldoreth e colei che le camminava a poca distanza, altri non sembrava che la bella Lúthien Tinúviel, con un ampio mantello azzurro e argento sulle spalle. Splendida come il crepuscolo nelle Terre Elfiche, i suoi lunghi capelli scuri volavano nel vento e sulla sua fronte brillavano gemme simili a stelle che incorniciavano un viso delicato e ammaliatore.
Per un momento egli la fissò in silenzio, incapace di esprimere a parole qualcosa anche solo lontanamente paragonabile all'avvenenza della fanciulla, ma infine, temendo che scomparisse, la chiamò gridando il nome di Tinúviel, proprio come aveva fatto Beren nei Tempi Remoti.
Allora la dama si voltò verso di lui e sorridendo gli chiese chi fosse e perché l'avesse chiamata con quel nome.
'Perché davvero credevo che tu fossi la bella Lúthien Tinúviel, della quale stavo cantando!' rispose lui.
Ed allora, scambiandosi i rispettivi nomi, il giovane comprese chi in realtà fosse.
Un prezioso tesoro tenuto celato da colui che riconosceva come padre perché, con meraviglia, apprese che ella, altri non era che la figlia del Signore di quelle Terre, della quale mai aveva udito parlare, benché lui stesso avesse dimorato fin dalla più tenera età nel medesimo luogo.
La ascoltò, in silenziosa e totale ammirazione, mentre ella narrava dei lunghi anni passati nella Terra della madre, e solo in quel momento comprese il motivo per cui il suo cuore, inizialmente affascinato da tale leggiadria, ora batteva turbato nel suo petto.
Quella dama era di lignaggio superiore al suo e aveva vissuto talmente a lungo in quel Mondo che per lei, egli non era altro che un germoglio in confronto ad una giovane betulla di molte estati.
Ma come spesso avviene, l'amore nasce anche dove all'apparenza non esiste terreno fertile e da quel preciso momento, quel cuore iniziò a battere per lei.

Ma i giorni si stavano rabbuiando e il Male iniziava ad incombere sulle Terre Libere, così il giovane decise di partire perché sul suo spirito gravava, non solo il pensiero di quell'incontro, ma anche la consapevolezza di avere sulle spalle un Destino già prefissato al quale, presto o tardi, avrebbe dovuto andare incontro.
Per quasi trent'anni percorse ogni sentiero conosciuto e altri che raramente venivano esplorati; in lungo e in largo, oltrepassò vallate, montagne, boschi e fiumi e combatté la lotta contro l'Oscurità. Viaggiò sotto molti aspetti diversi e conquistò gloria e fama con molti nomi differenti, cavalcando con gli eserciti degli Uomini e divenendo abile in ogni loro arte e colto in ogni storia.
Ma ad ogni vittoria, egli si allontanava per recarsi da solo in altri luoghi, perché altro non desiderava per sé, se non quella libertà e quella conoscenza che aveva iniziato ad apprendere.
E fu durante uno di questi viaggi, quando si spinse più ad Est, lungo l'Antica Via che portava alle Verdi Foreste delle Terre Selvagge, che la sua vita mutò un'altra volta il suo corso.

In quel luogo poté scorgere per la prima volta il Popolo Immortale che lì vi dimora, creature di immane bellezza e purezza, nate in epoche remote e vissute tra gli alberi secolari, il lungo fiume che li attraversa e i profondi e misteriosi monti nei quali si erge il loro palazzo.
Fanciulle esili con visi seducenti e perfetti, di chiara carnagione e biondi capelli, avvolte in lunghe e fluenti vesti dei colori della foresta e giovani guerrieri dal portamento fiero, il cui volto è in grado di confondere ed affascinare perché ai tratti tipicamente maschili, sono combinati quelli dolci ed eleganti della grazia femminile.
Fu condotto al cospetto del loro sovrano, un essere di tale saggezza e maestosità da sentirsi umili servitori davanti ai suoi occhi nei quali il tempo dimora, ed ottenne il suo permesso per camminare in quelle Terre perché il nome del giovane era già conosciuto a quel Popolo Elfico per via di quella discendenza alla quale apparteneva.
Ed in quel palazzo, il giovane Uomo conobbe colui che sarebbe diventato, negli anni a venire, l'altra parte della sua stessa anima.
Venne condotto dal figlio del Signore delle Verdi Foreste e quando posò lo sguardo su di lui, gli sembrò di avere di fronte a sé un raggio di sole sceso sulla Terra, tale era la luce e lo splendore che l'aveva abbagliato.
Per anni restò al fianco di quella creatura, imparando a conoscerla e ad amarla come il più stretto e sincero degli amici, e il suo spirito gioiva di quella vicinanza in grado di spingerlo verso quel Fato che l'attendeva senza mai costringerlo a dimenticare chi in realtà fosse o volesse essere.
Ed anche quando vallate e montagne li dividevano, il giovane sentiva che quel legame creatosi era così assoluto da impedire anche al tempo e alla lontananza di dissolverlo.

Ma quel Destino gli impose di ripartire ancora una volta e fu così che venne accolto in un'altra Terra Segreta degli Elfi. Un regno di cui aveva memoria sebbene non l'avesse mai visto coi propri occhi, perché di esso le aveva raccontato la dolce dama conosciuta molti anni prima.
E proprio qui, sotto gli alberi di Caras Galadhon, egli la rivide.
Gli anni mortali erano scivolati su di lei senza lasciare segno ma il suo viso sembrava più grave e il suo sorriso triste, perché ella già sapeva quale sarebbe stata la sua scelta nel ritrovarlo.
Per una stagione passeggiarono insieme e quando il giovane decise che era giunto il momento di ripartire, si diressero in cima alla collina di Cerin Amroth e lì, circondati da elanor e niphredil in fiore, si giurarono amore.
Eppure il cuore del giovane, seppur gonfio di gioia, era velato di rimpianto perché sapeva cosa la fanciulla stesse perdendo.
Ella si sarebbe legata a lui, rinunciando all'Immortalità del suo popolo.

Ma il tempo continua a trascorre e non ascolta i dubbi e i timori di un giovane che con gli anni si era fatto Uomo, e per i successivi trenta che trascorsero, lui proseguì il suo imperterrito incedere in quelle Terre provate dal crescente Male che si era risvegliato.
Ritornò nelle Verdi Foreste, dove una parte della sua anima era rimasta, e quando rivide il principe del Bosco si sentì nuovamente completo. Anche per lui il tempo non era trascorso, perché il suo sangue era puro ed eterno quanto la luce che ancora lo faceva risplendere, e sul suo viso non smetteva mai di esistere quel sorriso dolce e rassicurante che era in grado di spingerlo a superare ogni ostacolo che pensava insormontabile.

E venne il lungo anno della lotta all'Oscuro Signore e della vittoria dei Popoli Liberi, ma di ciò che avvenne puoi leggere nei libri che in molti stanno ancora scrivendo.
Quello che devi sapere, è che quel giovane divenuto Uomo fu sul punto di perdere la speranza perché il suo cuore divenne facile al rimorso e alla sofferenza.
Incontrò la sua amata fanciulla e per il suo bene la allontanò da sé, perché non poteva permetterle di rinunciare all'eternità per lui.
Ella ancora rinnovò quella promessa passata, attenendosi alle parole d'amore pronunciate anni prima e disse all'Uomo che avrebbe preferito dividere una sola vita con lui piuttosto che affrontare tutte le Ere di quel Mondo da sola.
Ma egli, in cuor suo sapeva che non poteva chiedere questo ad una principessa degli Elfi e figlia di colui che lui stesso chiamava padre, poiché quella scelta di vita Mortale avrebbe causato tremendo dolore ad entrambi.
Così le tolse la speranza di un suo ritorno e lasciò il luogo che aveva chiamato casa e la dama che aveva chiamato amore per andare incontro alla Grande Guerra.

Durante quei lunghi giorni e quelle interminabili notti, l'Uomo sentì il tormento della scelta da lui stesso imposta e l'amarezza del ricordo di ciò che non era stato altro che un sogno, uniti al peso di quel Destino che si stava precipitosamente abbattendo su di lui.
Tuttavia, in quelle ore di tristezza ed angoscia, egli non era solo. Al suo fianco c'era l'unica altra luce in grado di portargli la serenità che bramava con tutto se stesso.
Il principe delle Verdi Foreste l'aveva seguito e fu grazie al suo straordinario coraggio e alla sua immensa amicizia che quell'Uomo insicuro e debole ritrovò la propria fierezza e la forza per continuare.
Quando era sul punto di crollare, quella splendida creatura era in grado di sostenerlo e di ridargli la forza per affrontare un nuovo giorno, e quando i suoi pensieri d'amore perduto lo spingevano a cedere all'abbandono, da quel solo, unico e vero amico riceveva nient'altro che speranza per un qualcosa che non doveva essere dimenticato.
La sua presenza, il suo amore e la sua luce salvarono quell'Uomo dalle tenebre che lo tormentavano fuori e dentro il suo cuore.
E quando l'Oscurità venne sopraffatta e il bene tornò a regnare in tutte le Terre dei Popoli Liberi, l'Uomo accettò definitivamente quel Destino che a lungo aveva temuto perché al suo fianco c'era la dolce fanciulla che non aveva perso la speranza di riabbracciarlo, e il coraggioso principe che aveva creduto nel loro amore e aveva fatto in modo che quel sogno non andasse perduto.

Da quel sogno, poco tempo dopo, venne alla luce uno splendido bambino, figlio degli Elfi e degli Uomini e amato da entrambi i popoli perché in lui vedevano il rinnovamento dell'Antica Alleanza che li aveva uniti in passato e che sarebbe proseguita nel futuro fino alla fine del tempo.

Per dodici lunghi anni, il principe delle Foreste Verdi rimase ai confini di quel Regno per aiutare gli Uomini a farlo rinascere e lo stesso giorno di ogni anno, al tramonto, raggiungeva la casa dell'Uomo e della Dama per vedere il frutto della loro unione e festeggiare insieme a loro la sua nascita.
Infine venne richiamato nelle proprie Terre per adempiere ai suoi doveri in assenza del padre, e l'Uomo dovette dire addio per lungo tempo a colui che era amico e compagno, una parte della sua anima e Signore di metà del suo cuore.

I mesi passavano troppo lentamente mentre i giorni, durante i quali il principe ritornava ai confini del Regno dell'Uomo per una breve visita, scivolavano via come sabbia tra le dita, e quello che era un bentornato, diventava presto un arrivederci.

A volte si è costretti a stare lontano dalle persone amate ma questo però non significa che si inizi ad amarle di meno. La lontananza rafforza solo i sentimenti, rendendoli più intensi, e ci si scopre ad amare con ancor più vigore e passione.

Più di vent'anni sono trascorsi dal giorno in cui l'Uomo accettò il proprio Fato.
Oltre sessanta da quando quello stesso Uomo e la dolce fanciulla si giurarono amore eterno.
Quasi novanta da quando quel giovane insicuro conobbe il coraggioso principe delle Verdi Foreste.

E dopo tutti questi lunghi anni, niente è cambiato nei loro cuori.

Ricorda questa storia.
Non per gli atti di coraggio e le gesta ammirevoli.
Non per le battaglie, le sconfitte e le vittorie.
Bensì per la speranza che mai deve affievolirsi.
E per l'amore che si deve imparare a dare e ricevere.

Non importa quante altre storie ascolterai, non esiste Uomo su questa Terra più fortunato ed onorato, perché egli ha potuto conoscere l'amore di due creature immortali e le ha avute al proprio fianco, nel bene e nel male.

Un semplice Uomo che è stato salvato ed amato in ogni modo immaginabile ed in altri che solo i Potenti potevano permettere.

Ricorda questa storia.... perché tu ne sei parte.”
~ * ~

“Ada (Padre), mi racconti questa storia ogni anno, da quando ho memoria, la sera prima del mio compleanno. Potrei narrarla io stesso con l'identica ricchezza di particolari.... ma ancora non hai dato un nome ai protagonisti!”

Il giovane era seduto sul grande letto dalle coperte color porpora e ricamate d'argento, le gambe rannicchiate contro il petto e le braccia a circondarle, come sempre si metteva quella notte mentre ascoltava in silenzio il racconto del padre. I cuscini erano rialzati dietro la sua schiena per rendere più confortevole quella posizione e addosso portava già i calzoni e la tunica che usava per coricarsi.
Coi grandi occhi azzurri, limpidi e sinceri, aveva osservato l'uomo seduto sulla poltrona a lato del letto, scorgendo sul suo viso regale e fiero le stesse espressioni che era abituato a vedere in lui durante quel racconto.
Ormai conosceva i punti in cui avrebbe sorriso, o sospirato, o scosso impercettibilmente la testa, o quando le sue labbra si sarebbero incurvate con nostalgia al ricordo di quei tempi passati.
Eppure ogni anno restava a contemplare la passione con cui narrava quella storia e l'amore con cui parlava di quei personaggi dei quali, dopo tutti gli anni passati a immaginarli, aveva intuito i volti, almeno di due tra loro, che conosceva bene.
Vide lo sguardo del padre ancora assorto nei propri ricordi e così proseguì, alzando di poco la voce per farsi notare.
“Ad ogni modo, credo di sapere chi sia il protagonista di questa storia.... gli sto parlando ora, non è vero? E la splendida e dolce fanciulla appartenente al Popolo degli Elfi è mia madre.”

A quella dichiarazione, Aragorn, figlio di Arathorn e ora Re Elessar di Gondor, rialzò la testa e portò l'attenzione sul figlio, con un lieve sorriso malinconico.
“Immagino che tu ci abbia riconosciuto già da anni ormai.”

“Da quando ne compii quindici e iniziai ad ascoltare le tue parole con cuore di giovane uomo e non più da bambino affascinato dagli Elfi e da.... principi e principesse!”

“Ebbene sì, Eldarion,” esclamò allora, appoggiandosi stancamente allo schienale della poltrona. “Ma è una verità che il tuo cuore già conosceva a quanto sembra e non posso stupirmene dopo venti anni passati a narrarti di loro....” sorrise dolcemente e si corresse “....di noi!”

Nel sentirsi pronunciare quelle parole, abbassò di nuovo lo sguardo e quel sorriso divenne ancora una volta ricolmo di nostalgia. Ventidue lunghi e felici anni erano trascorsi dal giorno della sua incoronazione e per oltre dieci di quelli, la sua vita aveva assunto un'apparente perfezione.
Tutti i suoi sogni sembravano essersi tramutati in realtà fino al giorno in cui aveva dovuto dire addio a una parte di essi. E da quel momento si era ritrovato ad attendere in ansiosa trepidazione le rare volte in cui lo poteva ritrovare.... quel sogno, la sua luce, il suo amico.
E ogni singola volta, quando lo riabbracciava, le nebbie di quel tempo passato lontano sembravano svanire, lasciandolo nell'immutato e ardente desiderio di quell'unica persona che poteva placare il suo spirito e ridargli la serenità.
Niente cambiava su quel viso eterno, fatta eccezione per la profondità di quegli occhi nei quali poteva sempre ritrovarsi; solo in essi il tempo scorreva e li rendeva intensi ed infiniti.
Mentre su di lui, invece, gli anni iniziavano a tessere le loro trame, disegnando sul suo volto le gioie e i dispiaceri provati e dipingendo, con sottili pennelli, dei lunghi fili d'argento tra i suoi capelli scuri.
Spesso si era scoperto a fissarsi allo specchio, le notti che precedevano i giorni in cui l'avrebbe rivisto, chiedendosi se l'amico avesse scorto quei segni che il tempo aveva lasciato su di lui. Poi rideva di se stesso, nella consapevolezza che quegli occhi blu vedevano oltre l'apparenza e sapevano guardare col cuore quell'anima che condividevano.

“....ma non mi hai nemmeno mai accennato il suo nome!”

“Come?” la voce del giovane principe di Gondor lo scosse da quei pensieri e riportò l'attenzione su di lui quando lo sentì ripetere quella domanda.

“Il principe della tua storia,” ribadì Eldarion sorridendo, quasi fosse abituato a quei momenti di distrazione del padre. “Ti chiedevo chi fosse nella realtà, perché anche di lui non hai mai accennato un nome.... ma credo di conoscere anche quello. Il suo nome è Legolas?” Notò una scintilla avvampare negli occhi azzurri che lo stavano fissando e comprese di aver indovinato. “Ho sentito i discorsi tuoi e di mia madre nei quali spesso viene nominato ma malgrado questa costante presenza nelle vostre parole, io non riesco a ricordare il suo viso.”

“Lui è....” iniziò l'uomo dopo aver tirato un profondo respiro “....Legolas, sì, hai udito bene. È il figlio di Thranduil, il Signore del Bosco di Foglieverdi, ed è stato mio amico e compagno durante la Missione dell'Anello.” Accennò un lieve sorriso. “Per dodici anni è rimasto nell'Ithilien con gli altri appartenenti al suo popolo per dare aiuto ai nostri uomini e, durante quel tempo, spesso mi recavo a fargli visita, ma tu eri troppo piccolo per viaggiare. Ogni anno, però, come ti racconto, ci raggiungeva qui a palazzo per festeggiare il tuo compleanno e ti portava splendidi doni coi quali da fanciullo passavi la maggior parte del tuo tempo.” Vide il suo sguardo incuriosito e indicò un baule che a stento restava chiuso, posto in una angolo della stanza. “Gli animali intagliati, il palazzo coi guerrieri e i guardiani e quell'arco con le frecce in legno che hai distrutto dopo un intero anno passato a giocarci.”

“L'arco me l'ha regalato lui?” esclamò il giovane, spalancando gli occhi. “Come posso non ricordarlo?”

“Eri un bambino. Spesso a quell'età ci si ricorda il dono ma non chi ce l'ha portato,” ribatté Aragorn, sorridendogli per tranquillizzarlo. “Ma purtroppo dieci anni fa è dovuto ritornare nelle sue Terre perché Sire Thranduil è stato chiamato a Lórien ed era suo dovere prendere il suo posto.”

“E non è più tornato qui?”

“Non a Gondor. Ha lasciato i Boschi per venire nell'Ithilien solo due volte l'anno da allora, per poter incontrare gli altri Elfi rimasti e vedere coi propri occhi i lavori svolti.” Nel pronunciare quelle parole la sua voce divenne grave e il suo cuore si strinse nella morsa del dolore. “Mi manda uno dei suoi messaggeri con una lettera per annunciare il suo arrivo e, dopo cinque giorni, posso recarmi in quel luogo con la sicurezza di trovarlo.”

“Dieci anni e solo una manciata di giorni per rivedervi. Come può sopravvivere un'amicizia?”
Eldarion si rese conto di ciò che aveva detto solo quando vide il padre chinare la testa in avanti con le labbra tirate in un sorriso di circostanza mentre sul suo viso era evidente la tristezza e il vuoto che l'assenza dell'elfo creava in lui, così cercò di rimediare. “Ma come narra la tua storia, a volte la lontananza rafforza solo i sentimenti, rendendoli più intensi e si scopre di amare con ancor più vigore e passione, non è così?”

“Questo lo rammenti, quindi? Non ti sei addormentato durante tutti questi anni.”

“Ma non ricordo il suo volto. Posso vedere il giovane Uomo e la dolce fanciulla, ma non il principe della Foresta.”

Il re di Gondor rialzò allora lo sguardo verso la finestra aperta in quella sera di calda estate e dopo un lungo momento di silenzio, le sue labbra si socchiusero per pronunciare parole cariche di dolcezza e d'amore.
“Lui è una delle creature più ammalianti del suo popolo e ne incarna la forza, l'audacia e l'avvenenza. Ha lunghi capelli biondi, lisci come sottili fili di una seta troppo preziosa per tessere anche l'abito più regale, sui quali i raggi del sole scivolano, bagnandoli di caldi riflessi dorati. La pelle diafana all'apparenza di una fredda perfezione è in realtà calda e vellutata come un morbido tessuto che non si può fare a meno di accarezzare. I suoi occhi sono due gemme blu di rara e preziosa bellezza e tale è il loro splendore da sentirsi fortunati a poter solo guardare nella loro profondità. Ogni sua espressione, dalla più dolce alla più severa, riesce a scuoterti lo spirito e dalla lieve curva che prendono le sopracciglia riesci a comprendere quando parla seriamente e quando vuole scherzare.... e quando sorride....” si fermò un istante senza rendersi conto di stare sorridendo “....quando sorride, ti concede il suo cuore. Quando ride, puoi sentire la sua anima in quella risata e le sue labbra....” un sospiro “....le sue labbra sanno pronunciare parole con tale tenerezza e trasporto da sentirle scorrere dentro di te. Le sue labbra....” si fermò come se all'improvviso non riuscisse più a continuare perché il suo cuore aveva reagito alle sue stesse frasi, iniziando a battere con forza, ed allora riportò lo sguardo sul figlio, schiarendosi la voce. “Tra qualche mese dovrebbe tornare nell'Ithilien, potresti venire con me per incontrarlo.... desidero che tu lo ricordi!”

Eldarion abbassò lo sguardo con un sorriso sorpreso sul viso e con la mano si spostò all'indietro i lunghi riccioli castani che gli raggiungevano le spalle.
“Lo desidero anche io dopo che ti ho ascoltato parlare così di lui. Non hai mai descritto in questo modo.... con tale passione e ammirazione, nemmeno mia madre. Quest'Elfo deve essere una creatura straordinaria.”

“Lo è.... e parlo così per poterlo ricordare, anche se semplici parole non possono competere con le memorie che ho di lui. Tua madre invece ho la fortuna di averla sempre al mio fianco, ogni singolo giorno al mio risveglio.... ma di lei conosci già gli innumerevoli pregi.”

“E i difetti....” borbottò il giovane lanciandogli un'occhiata divertita.

“Ora dormi Eldarion,” esclamò Aragorn, rialzandosi dalla poltrona per potersi chinare su di lui e baciargli la fronte. “All'alba inizierà il tuo ventesimo anno su questa Terra. Buon compleanno, figlio mio!”

Il principe di Gondor attese qualche istante in silenzio riflettendo se fosse giunta l'ora di dire al padre ciò che già da tempo affollava la sua mente, e quando lo vide raggiungere la finestra, soffermandosi a guardare all'esterno, decise di parlare.

“Ada, tu lasciasti Imladris per dirigerti nelle Terre Selvagge quando compisti vent'anni.... e mi chiedevo se, ora che ho questa età, fosse arrivato anche il mio momento per viaggiare e scoprire le bellezze della nostra Terra.” Vide l'uomo voltare la testa verso di lui con un'espressione corrucciata e si bagnò le labbra nervosamente. “Io vorrei poter viaggiare come hai fatto tu, percorrere quei sentieri di cui mi parli, superare le vallate, le montagne e il Grande Fiume per poter vedere coi miei occhi i luoghi incantati dove ancora dimorano gli Elfi e ammirare i regni che gli Uomini hanno ricostruito dopo la Grande Guerra.”

“Eldarion....”

“Desidero andare a nord e visitare Rohan, entrare a Edoras e scoprire come il Fosso di Helm è stato rifondato. Superare la foresta di Fangorn e raggiungere la Contea per conoscere i Mezzuomini che hanno salvato la Terra di Mezzo. E poi dirigermi ad est, oltrepassare Colle Vento e giungere alla casa di mia madre dove tu sei cresciuto.... voglio vedere Granburrone, padre! Prima che venga abbandonato da coloro che intendono recarsi ai Porti Grigi.... e più di ogni altra cosa desidero con tutto il cuore recarmi nel magico reame di Lórien e salire in cima alla collina di Cerin Amroth dove tu e mia madre vi siete giurati amore. E ora non riesco a non pensare ad altro che attraversare l'Anduin e scoprire i misteri dell'antico Bosco Atro, il Bosco di Foglieverdi dove vive il tuo amico e quelle creature irreali.... e poi....”

“Eldarion, ho compreso!” lo interruppe Aragorn, facendo un profondo respiro e posando una mano sul cornicione di pietra. “Ho compreso che desideri ripercorrere i miei passi e conoscere la Terra in cui vivi ma devi capire che, quando ho mosso i miei primi passi fuori da Imladris, non ero solo e sono stato istruito dai figli di Elrond fin dalla più giovane età. Quello mi ha permesso di intraprendere quei viaggi in solitudine quando ho raggiunto gli anni di cui parli.... ed inoltre quei tempi erano ben diversi. Avevo la necessità e il compito di scoprire le trame del Male risvegliato a Mordor. Non erano che quelli i miei doveri.”

“Quel Male è stato sconfitto e le strade sono sicure. Non c'è momento migliore per percorrerle!”

L'uomo scosse la testa e si avvicinò al letto, incrociando le braccia sul petto per poter guardare negli occhi il figlio.
“Anche se questo corrispondesse a verità, e così non è perché i nemici di allora ancora camminano su questa Terra, sparpagliati e disorganizzati ma il pericolo permane, non è solo il pensiero per la tua sicurezza che mi impedisce di darti la mia approvazione.” Vide le sue labbra aprirsi per ribattere ma glielo impedì, continuando con un tono più alto e deciso. “Tu non sei un semplice ramingo agli occhi di chi incontri. Tu sei il principe, erede al trono di Gondor e quell'anello....” gli indicò con un cenno la mano sinistra che il giovane teneva stretta a pugno sul materasso “....quell'anello che porti all'indice e che io stesso ho tenuto al mio fino a quando sei diventato abbastanza grande per averlo, è la prova che non potrai mai viaggiare in queste Terre come qualsiasi altro uomo.”

“Così devo restare per sempre rinchiuso dentro i confini del nostro regno solo perché sono un principe? Non mi è permesso avere ricordo di ciò che andrà perduto col tempo? Quando gli Elfi lasceranno queste sponde per attraversare il Mare, non rimarrà niente di loro qui e i loro regni svaniranno come un bel sogno alle prime luci del mattino! Io voglio....”

“Anche io vorrei molte cose Eldarion! Ma non si può avere sempre ciò che si desidera!” lo fermò Aragorn senza accorgersi di quanto la sua voce avesse assunto un tono profondo e autoritario. “Sei figlio di re, come lo sono io ed è tuo dovere restare qui e imparare a governare. Forse un giorno potrai affrontare dei brevi viaggi con una guida esperta, ma quel giorno non è ancora arrivato.”

“Tu sei sovrano di questo regno ma non sei rimasto a osservarlo per tutti gli anni che hanno preceduto la tua incoronazione,” mugugnò Eldarion, allungando le gambe avanti a sé e posando la testa sui cuscini con un sospiro.

“Erano tempi diversi. Dovresti gioire di essere nato in quest'era di pace. Forse avrai la fortuna di non dover affrontare l'Oscurità e di non perdere amici per mano violenta del nemico. Devi esserne grato!”

“Sono un prigioniero in quella che chiamo casa. Di cosa dovrei essere grato?”

“Non aggiungerò altro!” replicò il re di Gondor nervosamente, voltandosi e raggiungendo la porta. Strinse con forza la maniglia, tentennando qualche attimo prima di aprirla e uscire.
~ * ~

Camminò fino ad arrivare al portone che dava sull'esterno ed uscì sull'anello più alto della città di Minas Tirith, dove l'Albero Bianco era in piena fioritura e la luna si specchiava su quei candidi petali rendendoli simili a evanescenti luci.
Passò vicino a quel punto, lanciando un'occhiata all'alto tronco e alle rigogliose fronde e all'improvviso gli sembrò che il tempo rallentasse.

Cosa vuoi, Aragorn?”

Voglio ricordare!”

Abbassò lo sguardo e non poté nascondere un sorriso, prima di giungere al parapetto e posare le mani su di esso.
Accarezzò la pietra fredda, nonostante il calore della nottata estiva e diede alcuni colpetti col palmo quasi volesse accertarsi che fosse reale, come i pensieri che affollavano la sua mente ogni volta che terminava di raccontare quella storia al figlio.
Per dodici anni era uscito in quello stesso luogo e al suo fianco c'era stato il coraggioso principe della sua fiaba a stringergli la mano.... ma per gli otto che ne seguirono, con lui non era rimasto altro che ricordi indelebili.
Belli, felici, appassionati eppure malinconici e amari.
E quella volta non faceva differenza.

Guardò verso Osgiliath, la città sul fiume che gli Uomini con l'aiuto degli Elfi avevano quasi completamente ricostruito e sospirò nel ripensare a quante volte aveva attraversato il guado per raggiungerla con la scusa di presenziare ai lavori, solo per poter passare una giornata con Legolas, per ascoltare la sua voce mentre gli descriveva ciò che era stato fatto e ciò che ancora doveva essere compiuto. Un spedizione inutile visto che si fidava ciecamente del suo giudizio ma non era di quello che non poteva fare a meno.
Aveva l'estremo bisogno di vedere il suo viso, di guardare nei suoi occhi e di ritrovare se stesso e ciò che era sempre stato.
La sua aria per respirare.
Ogni volta che si sentiva in trappola tra quelle mura, saliva a cavallo con l'intenzione di andare nell'Ithilien e, nonostante il parere contrario dei Consiglieri che aveva tenuto a palazzo come aiuto, partiva per una giornata.
E succedeva spesso. Molto spesso i primi tempi.
Ed era grato ad Arwen, la sua amata sposa, per la comprensione e la saggezza con cui accettava il suo continuo allontanarsi perché anch'ella conosceva in realtà il peso che gravava sul suo cuore e non poteva desiderare altro per lui, se non quella radiosa gioia che vedeva nei suoi occhi quando si apprestava a salire in sella.
Ma poi i suoi doveri di nuovo sovrano divennero incombenti e il tempo da poter trascorrere lontano da Minas Tirith sempre più esiguo.
Fino a quando i Potenti decisero di dare quel dono d'amore al suo matrimonio.
Quando scoprì che presto sarebbe nato un nuovo erede al trono di Gondor, l'immediata letizia per quell'annuncio venne presto sostituita da pensieri confusi e timori infondati che lo soffocarono per giorni, fino a quando riuscì finalmente a tornare a respirare dopo due notti passate sulle sponde del Grande Fiume davanti a un fuoco con nient'altro che una voce amica e calorose braccia che lo stringevano.
Il giorno seguente quello di Mezza Estate, a due anni di distanza dalla sua incoronazione, nacque il suo erede e venne chiamato Eldarion, figlio del Popolo Immortale per volere di entrambi i genitori.
Da quel momento i suoi doveri mutarono da quelli già pressanti di sovrano a quelli responsabili di padre e i timori e i dubbi assunsero consistenze diverse ma, come sempre, il modo per ritrovare la sicurezza rimase lo stesso.
Ogni anno che passava guardava il proprio figlio, nella notte che precedeva il suo compleanno, e si diceva che forse non aveva sbagliato; forse, nonostante tutto, aveva agito nel modo giusto con lui perché era diventato un giovane forte e intelligente, con un cuore nobile e uno spirito gentile.

Ma quella notte, comprese di aver commesso un grave errore.

Aveva fatto nascere in suo figlio lo stesso desiderio di libertà che ancora viveva nel suo animo.
Non era stato volontario, o probabilmente non avrebbe comunque potuto impedirlo, ma ora si sentiva in colpa perché aveva dovuto negargli quello che lui stesso aveva desiderato ardentemente e che ancora avrebbe voluto.
E di nuovo sentì l'immenso bisogno di avere al suo fianco l'unica persona che era in grado di infondergli nuovamente fiducia in se stesso.

Dovresti riposare.... non ci serve un re vivo a metà....”

Chiuse gli occhi e strinse con forza le labbra per tentare di ritrovare la stabilità prima di sussurrare al vento:
“Sto fallendo con lui come ho fallito con me stesso?”

E desiderò di poter vedere ancora una volta la figura di Legolas avvicinarsi come quella lontana notte. Desiderò udire la sua voce alle spalle che lo rassicurava e quelle braccia stringersi attorno alla sua vita per dargli affetto. Ddesiderò la sua luce dentro di sé come non era più accaduto.
Perché nonostante entrambi lo volessero, non si erano più concessi un momento intimo e passionale come quello. Quando si abbracciavano, accarezzavano o baciavano teneramente per brevi istanti, i loro spiriti vibravano nella spasmodica ricerca di quel contatto profondo ma, come in tacito accordo, sapevano qual'era il punto oltre al quale non potevano andare.
E a tutti e due sembrava bastare perché anche con quei lievi sfioramenti potevano sentirsi a vicenda e percepire quell'ardente e liquido fuoco dai bagliori argentei che ancora scorreva dentro di loro.

Ma in alcuni momenti quel desiderio viscerale diventava quasi insostenibile, quando, come stava accadendo, i timori e le debolezze di un Uomo lo rendevano schiavo della tristezza e dell'insicurezza.
E Re Elessar di Gondor tornava ad essere Estel, il giovane ramingo.

“Perché temi il tuo passato?”

Una voce dolce e melodiosa lo raggiunse. Diversa da quella che sperava di ascoltare ma altrettanto amata, seppur in modo alquanto diverso.

“Lui seguirà il tuo cammino per trovare il proprio. Non affliggerti per ciò che deve essere.”

“Hai sentito la nostra discussione?” si voltò per incrociare lo sguardo della propria sposa e la vide avvicinarsi fino a fermarsi a un passo da lui con un lungo abito verde decorato con disegni d'oro.
Strette maniche le fasciavano le braccia, terminando sul dorso delle mani che aveva allungato per stringere le sue.

“Stavo venendo a dare a nostro figlio la buonanotte e le vostre parole mi hanno fermata. Il suo è un desiderio comprensibile. Perché non fai in modo che un giorno possa essere esaudito?”

“Può essere pericoloso per lui.... e iniziare a percorrere le strade della Terra di Mezzo ora, può portarlo solo alla distrazione.”

Arwen annuì lentamente ma poi rialzò i grandi occhi chiari su di lui, mormorando:
“Sarà un grande sovrano degli Uomini quando il suo tempo verrà.... ma lo sarà con ancora più saggezza se conoscerà il Mondo sul quale deve regnare e il popolo che lo ama.”

“Ma potrebbe perdere....”

....se stesso.
Aragorn non terminò la frase e si limitò a sospirare, alzando lo sguardo al cielo limpido sopra di loro. La sua sposa non poteva comprendere cosa significasse per lui, per un Uomo, assaporare la libertà e poi doverci rinunciare per accettare il proprio Destino e seguire le orme dei propri padri.

“Ci penserò,” aggiunse allora, accennandole un sorriso. “Tra pochi giorni dovrò recarmi a Edoras come ho promesso a Éomer e al mio ritorno, se Eldarion non avrà cambiato idea, ne riparlerò con lui e vedremo di trovare il modo più opportuno per andare incontro a questo suo desiderio.”

 
~ * ~

“Vostra maestà! Il cavallo è stato sellato e vi attende nelle stalle,” esclamò una delle guardie, chinandosi al cospetto del sovrano.

Aragorn annuì per poi voltarsi nuovamente verso Arwen.
“Andrà tutto per il meglio,” le disse sorridendo, “ma se accadesse qualcosa, manda il cavaliere più veloce ad avvertirmi.”

La dama sorrise come risposta e gli diede un bacio sulla guancia.
“Non accadrà nulla, ora vai o perderai mezza giornata di viaggio.”

L’uomo la guardò ancora per un lungo momento, poi si incamminò per raggiungere le stalle. Quando arrivò in quel luogo vide il proprio figlio intento ad accarezzare la criniera del destriero scuro.
“Stai cercando di convincerlo a rallentare la sua andatura per fare in modo che io stia lontano più a lungo?” esclamò, lanciando un’occhiata al giovane, mentre sistemava le ultime cose nelle sacche.

“Perché dovrei volerlo?” ribatté incuriosito il principe, aggrottando le sopracciglia.

“Perché sembra che io sia l’unico a darti degli ordini qui,” rispose Aragorn, allacciando saldamente alla sella due borracce d’acqua. “Senza di me potrai divertirti dalla mattina alla sera.”

“Oh....” sussurrò Eldario,n pensando a quelle parole “....ma non è vero! Io svolgo ogni mio dovere, non è mia la colpa se sono rapido e finisco i miei compiti prima del dovuto.”

“Certamente,” bisbigliò l’uomo accennando un sorriso. Passò davanti al muso dell’animale e raggiunse il figlio. “In ogni caso, bada a tua madre. Sei tu ad avere il comando qui in mia assenza.” Lo guardò negli occhi, posando una mano sulla sua spalla. “Ora sei abbastanza grande per qualsiasi diritto o dovere che spetta a un sovrano. Hai la mia completa fiducia Eldarion!” Lo abbracciò teneramente per qualche attimo.

Il giovane rimase in silenzio, poi, quando il padre lo lasciò, annuì.
“Non ti deluderò,” mormorò sorridendo.
Attese che Aragorn si sistemò in sella al destriero, ma prima che partisse al galoppo, si avvicinò a lui.
“Anche mia madre è abbastanza grande per badare a se stessa, mi sembra.”

L’uomo aprì la bocca divertito, poi scosse la testa e, ridendo, spronò il cavallo.
“A presto!” gridò prima di uscire dalle stalle e galoppare via verso il regno di Rohan.

 
~ * ~

Era notte inoltrata a Minas Tirith. La terza luna da quando Re Elessar era partito con alcuni cavalieri per raggiungere il regno di Rohan, e nel silenzio della notte solo una scura figura si aggirava per i corridoi del palazzo.
Con passo leggero e veloce, caratteristico del popolo elfico, percorse il tragitto che lo divideva dal portone che dava sull'esterno e, non appena l'uomo di guardia si distrasse, aprì con mano silenziosa una delle finestre e si lasciò scivolare fuori da essa, accovacciandosi sotto il cornicione per qualche istante. Si rialzò solo il tempo di richiudere rapidamente i vetri e poi sgusciò via, tra le strette strade illuminate fiocamente dai raggi della luna, verso il punto dove un destriero era già sellato e pronto alla partenza.
Discese gli anelli con un'andatura lenta ma costante, sollevato nell'udire ancora voci e risate che provenivano dalle locande, in grado di nascondere il rumore degli zoccoli dell'animale che lo stava conducendo alle porte della città.
Giunto in prossimità delle guardie appostate ai lati di essa, fece fermare il cavallo e attese in un angolo buio il momento opportuno. Quando i due uomini si allontanarono per lasciare quel compito a chi doveva prendere il loro posto, ripartì lentamente, oltrepassando le mura prima che le nuove sentinelle raggiungessero la loro postazione.
E allora spronò il destriero scuro, galoppando lontano dalla città in cui era nato e vissuto fino a quell'istante.
Il cappuccio del lungo mantello nero gli ricadde sulle spalle e i riccioli castani volarono nel vento. Quello stesso vento che sferzava il viso sorridente ed euforico del principe di Gondor.

Aveva studiato quel piano per lasciare il palazzo come alternativa ad una risposta negativa del padre alla sua richiesta e quando la ricevette, non ebbe alcun dubbio su quale fosse l'occasione perfetta per metterlo in pratica.
Aveva scritto una lettera alla madre che aveva posato sul letto, dove la pregava di non preoccuparsi perché non avrebbe fatto niente di avventato. Avrebbe solo seguito le strade principali per raggiungere le mete che desiderava visitare e poi sarebbe ritornato, ma fece attenzione a non specificare l'ordine in cui le avrebbe raggiunte.
Da più di un anno aveva iniziato a studiare i percorsi sui libri e ogni volta che poteva, si informava con domande sempre più specifiche dai cavalieri che avevano viaggiato per il regno.
Aveva pensato e preparato tutto il necessario e ora, mentre cavalcava da solo verso la sua prima meta, quasi non credeva di esserci veramente riuscito.
Era un semplice cavaliere, con addosso una tunica di cotone marrone a mezza manica, lunga fino a metà coscia, sopra ad una maglia grigia che gli fasciava le braccia fino ai polsi e dei pantaloni anch'essi marroni dentro agli stivali di pelle nera. Un abbigliamento leggero per una notte d'estate, ma con sé aveva portato altri abiti perché era certo che il suo viaggio sarebbe durato almeno fino a metà dell'autunno.
Mosse le redini, incitando l'animale a correre e strinse le mani su di esse con convinzione. Poi allungò la sinistra sullo stivale, per controllare il pugnale con incisioni elfiche, dono di suo padre, che nascondeva.... e quella mano era coperta da un guanto con le dita tagliate a metà che celava quell'anello dal quale non era riuscito a separarsi.

Quattro giorni si susseguirono ed Eldarion li passò in sella, fermandosi solo quando era necessario, come per trovare il cibo prima che il sole tramontasse. Ormai si era abituato al vento tra i capelli e agli imponenti paesaggi che gli sfrecciavano di lato o nei quali si immergeva completamente durante le brevi soste per sgranchirsi le gambe e per far riposare il cavallo.
Il momento migliore era però la notte, quando si distendeva sul giaciglio che aveva portato con sé e guardava le stelle attraverso le fronde degli alberi. Si sentiva vivo e libero, un elemento di quella natura che lo circondava.
Era come se quella parte di sangue elfico che gli scorreva nelle vene si risvegliasse e gli facesse guardare il mondo con occhi diversi, ed era qualcosa di nuovo, intenso ed eccitante mai provato in precedenza.... e gli piaceva immensamente.
Quando il sole invece era alto nel cielo, anche il suo istinto da ramingo riviveva dentro di lui, spingendolo verso i giusti sentieri quando la memoria di studente lo tradiva, e nel tardo pomeriggio del quinto giorno, attraversò il guado sul fiume e raggiunse le Terre Selvagge.

Risalì l'Anduin per diverse ore, ma quando le prime ombre notturne iniziarono a scendere sulla Terra, decise che era arrivato il momento di fermarsi.
Trovò una piccola radura, a poca distanza dalla riva del fiume. Legò il cavallo, dopo essersi complimentato con lui per l'ottimo lavoro svolto anche quel giorno e preparò il giaciglio per la notte in un punto riparato tra delle grandi radici.
S'incamminò allora lentamente con in mano una delle borracce ormai vuota e, ammirando la maestosità di quegli alti alberi, si diresse verso il corso d'acqua.
Ad un tratto si ritrovò a fissare un enorme e antico tronco, parato di fronte a lui come a bloccargli la strada.

Alzò lo sguardo per scorgerne la cima ma gli fu impossibile, così posò la mano sulla corteccia, sussurrando:
“Mia madre dice che negli alberi scorre la vita dei millenni e che hanno sentimenti... che soffrono e gioiscono come noi e che hanno memorie antiche che si tramandano di Era in Era.” Si chinò in avanti e posò l'orecchio al tronco. “Ti sto ascoltando, cosa vuoi dirmi?” ma poi sorrise quando la parte razionale e umana del suo spirito prese il sopravvento e si allontanò. “Che se qualcuno mi vedesse ora penserebbe che ho perso la ragione? Già, lo credo anche io!”

Allora si accorse che due sentieri aggiravano il grande albero ed entrambi conducevano al punto che intendeva raggiungere ma probabilmente in due zone differenti. Tentennò qualche istante ma poi seguì l'istinto che non l'aveva mai tradito e che, in quel momento, lo spingeva a sinistra.
Proseguì a lungo con passo lento e gli parve che la distanza fosse notevolmente aumentata rispetto a quella percorsa in precedenza, ma poi comprese che il sentiero stava solo serpeggiando tra gli alberi e conduceva ad un angolo del fiume più nascosto.
Infine iniziò ad udire lo scorrere delle acque e sorrise. Anche questa volta il suo istinto non aveva fallito.
Immediatamente si abbassò, accovacciandosi dietro ad un cespuglio, pochi passi prima di raggiungere la riva sabbiosa, nell'istante stesso in cui si rese conto di non essere l'unica persona in quel luogo.

Trattenne il fiato mentre con lo sguardo cercava di scorgere attraverso l'intreccio di rami e foglie, quella figura che aveva avvistato, immersa nel corso d'acqua, per poter comprendere se potesse essere ostile o pericolosa od altro... e il respiro poco dopo gli venne a mancare per un motivo ben diverso.

Quello che all'apparenza poteva sembrare un giovane, stava nuotando sul dorso, nel fiume, e pareva essere un tutt'uno con lo specchio d'acqua, tanto i suoi movimenti erano lenti e fluidi, quasi fosse in grado di stare a galla senza dover fare il minimo sforzo di braccia o gambe.
Chinò la testa cercando di pensare al modo migliore per rialzarsi e allontanarsi senza farsi notare, visto che non gli sembrò il caso di constatare proprio in quel momento se fosse o meno un nemico, ma la curiosità di vedere il volto di quello che, di certo, non era un semplice uomo, lo costrinse a rialzare ancora gli occhi su di lui... e si sentì catapultato prepotentemente nella storia che il padre gli narrava ogni anno.

....e giovani guerrieri dal portamento fiero, il cui volto è in grado di confondere ed affascinare perché ai tratti tipicamente maschili, sono combinati quelli dolci ed eleganti della grazia femminile....

Fu esattamente quello che i suoi occhi azzurri spalancati videro davanti a sé e a quella visione il suo cuore mancò un battito.

Quella creatura stava riaffiorando dalle acque, avanzando verso la riva con passi lenti e continui, l'andatura lievemente oscillante per via dei piedi che posavano sul terreno sabbioso instabile sotto di sé.
Lunghi capelli di un pallido biondo cenere gli raggiungevano i fianchi stretti, aderendo alla pelle bagnata delle spalle e lasciando così, in piena vista il viso, rialzato verso il cielo stellato. Un volto ovale con lineamenti maschili, squadrati ed eleganti, zigomi alti e labbra carnose ben definite... e grandi occhi dei quali però non riusciva a scorgere il colore per via della distanza, ma osservò come le sopracciglia perfettamente disegnate, assunsero una piega lievemente corrucciata come se stesse in ascolto di qualcosa.
Il giovane principe di Gondor deglutì quando non riuscì ad impedire al proprio sguardo di scendere su quel corpo totalmente glabro, snello e tornito, sul quale le gocce d'acqua scorrevano attorno a ogni curva, e scivolavano lungo un percorso fatto dai muscoli asciutti e scolpiti dei pettorali e degli addominali, fino a giungere all'inguine e percorrere la sua virilità, finendo tra le cosce.
Era simile ad una statua di marmo candido e lucido, scolpita dal più ammirevole degli artisti e se l'avesse visto immobile, avrebbe di certo creduto che fosse fatto di quel materiale.
E invece lo vide chinarsi per raggiungere i propri abiti e quei muscoli si distesero e contrassero, lasciando intravedere l'evidente vita che scorreva dentro quel corpo quasi irreale sul quale la luna sembrava specchiarsi per donargli quel velo di pallida luce che pareva circondarlo.

A quel punto la creatura si infilò con dei movimenti estremamente lenti gli stretti pantaloni e successivamente si rialzò, per passarsi le mani tra i capelli e stringerli per privarli dell'acqua rimasta tra di essi... e allora scorse il suo profilo e notò le orecchie a punta, caratteristiche di quella popolazione elfica che doveva abitare quelle Terre.

Sbatté le palpebre come per scuotersi da quel piacevole torpore in cui era caduto nell'osservare quello che, ora, era sicuro fosse un Elfo delle Foreste, ma si lasciò invece sfuggire un sospiro quando lo vide passarsi le mani lungo le spalle, il petto e il ventre, premendo i palmi sulla pelle bagnata con un'estrema e sensuale accuratezza... e socchiuse le labbra sorpreso quando vide quelle, all'apparenza morbide, della creatura eterna, incurvarsi in un lieve sorriso seducente.

Riportò istintivamente l'attenzione su quelle mani con lunghe dita sicuramente in grado di impugnare con destrezza qualsiasi tipo d'arma, perché quello che aveva davanti doveva essere per forza uno di quei guerrieri di cui suo padre gli parlava. In quel preciso istante sentì un fremito lungo il corpo e le proprie mani tremare.

Un lampo di luce gli attraverso la vista, offuscandogli la visuale e trasportandolo in quello stato che, da qualche anno, aveva imparato a riconoscere... e con gli occhi della mente vide ciò che ancora doveva essere.

Era disteso su un pavimento di legno scuro e quella creatura stava ferma su di lui, seduta sul suo bacino mentre lo teneva bloccato a terra. Con una mano gli stringeva i polsi sopra la testa e stava avvicinando l'altra al suo collo. Con le dita gli sfiorò la gola...
Ora dillo!”
Un ordine...

La visione cessò all'improvviso, così come era cominciata, ed Eldarion abbassò lo sguardo sulla borraccia che gli era evidentemente scivolata dalla mano durante quei brevi attimi in cui quel dono proveniente della famiglia di sua madre l'aveva di nuovo colto di sorpresa.
E ora, ritornando alla realtà, comprese che forse era arrivato inevitabilmente il momento di andarsene... sperando che quell'elfo non si fosse ancora accorto della sua presenza.
Si rialzò e scivolò via velocemente tra gli alberi senza voltarsi, con la sola intenzione di tornare al punto in cui si era accampato e passare la notte per cercare di dimenticare quelle strane sensazioni che l'avevano pervaso.
Forse quella visione era stata un avvertimento. Forse quell'essere, nonostante la sua avvenenza, era davvero pericoloso e quel breve attimo di futuro che aveva scorto non era altro che un minaccioso evento che poteva impedire.
Ma a far fronte a quei pensieri, c'era il suo cuore che batteva con forza nel realizzare che sul volto di quell'Elfo che aveva visto nella propria mente, non c'era ostilità o cattiveria, ma qualcosa più simile a quella sensuale espressione di piacere che aveva notato in lui poco prima.

Arrivò finalmente alla radura e si sedette tra le radici sul proprio giaciglio ma il suo spirito era inquieto e quella notte non trovò riposo. I suoi pensieri erano così intenti a cercare una spiegazione razionale da aver tralasciato di riportare alla sua attenzione quella borraccia che aveva dimenticato vicino alla riva del fiume... e che qualcuno, ora, aveva scoperto.

 
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