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Autore: Wings_of_Glass    26/06/2016    1 recensioni
Una storia introspettiva e inverosimile che si svolge tra incontri "segreti" e chat tra Lei, una "principessa" che non crede più nell'amore e non vuole forse farsi salvare, ma che ha disperatamente bisogno di un abbraccio vero, quello pieno di affetto che ti fa sentire sulle nuvole finché quella stretta intensa dura.. e Lui, lo "stalker", il tipico bello, tenebroso e dannato, che attira tutte e vorrebbe far cedere anche lei al suo gioco. Anche se scoprirà suo malgrado che non è affatto una preda semplice da ottenere... Come andrà a finire? Forse con un sonoro schiaffo? o con un bacio rubato? o con un lieto fine da paura?
So che è un argomento già trattato in mille modi, ma spero che la mia nuova storia vi possa piacere ed intrigare, almeno quanto a me piace scriverla qui per voi :)
Dal testo:
-Lo sai.. se fossi un animale saresti sicuramente una tartaruga- mi disse così su due piedi.
-E questo che vuol dire?- gli chiesi accigliata, stava cambiando discorso di nuovo.
-Vuol dire che quando hai paura ti nascondi dentro il tuo guscio-. Si avvicinò e mi prese la mano lentamente. -Ma non ti preoccupare io sono bravo a romperli-.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo uno: Il primo incontro

Le persone non vanno scelte per la loro dolcezza d'animo, ma per quanto riescono a rendere dolci e felici le tue intenzioni...


 

Quella mattina al mio risveglio trovai un messaggio. Delle parole che non ero per nulla preparata ad affrontare, e così sgranai gli occhi per rileggerle poi, infinite volte, decidendo se provare rabbia o non so nemmeno io che altra emozione.

Lù, ho bisogno di parlarti, ti va di vederci per un caffè?”

Quel ragazzo era davvero stupido se pensava che gli avrei detto di sì. Avevo deciso di darmi una possibilità, una terza. Ma si è rivelato quel detto del non c'è due senza tre. Un ragazzo incontrato per caso durante uno stage per la scuola. Ci ero uscita qualche volta, era dannatamente dolce. Ancora se chiudevo gli occhi riuscivo a ricordare quando aveva insistito per comprarmi un dolcetto ed aveva scelto qualcosa con le mandorle senza sapere che mi piacevano da morire. Oppure quando mi abbracciava, gli avevo confidato i miei problemi, le mie paure e mi aveva detto che sarebbe rimasto, che mi sarei dovuta abituare al tocco della sua barba sulla guancia. Mi aveva chiesto di partire con lui per la Spagna in vacanza e messo in testa un sacco di sogni, come tutti gli altri. Per poi sparire, come tutti gli altri. Strinsi il cellulare, avrei voluto anche dirgliene quattro. Gridandogli che non si abbandona una ragazza solo perché dopo due uscite si sente a disagio ad entrare in casa tua. Dicendogli che non aveva fatto che aumentare la mia sfiducia nel genere umano. Le nocche quasi mi sbiancarono e lasciai andare il telefono sul cuscino. Avevo già tanti problemi in quel momento. Non ero una tipa che si faceva notare, anzi odiavo attirare l'attenzione, eppure ogni volta mi si avvicinavano ragazzi che volevano sicuramente vedermi sul loro letto e basta. Ma io non ero così. E perché li attiravo? Gusto del proibito? Facevo di tutto per evitare certe situazioni disagevoli. Non volevo pensarci, o autocommiserarmi chiedendo per la centomillesima volta che cosa avevo che non andava e perché tutti potevano fare a meno di me dopo un po', per cui semplicemente lo ignorai come lui aveva fatto con me. Orgoglio e rabbia ormai facevano a pugni nella mia testa. Anche se non ero per nulla vendicativa o brava a fare del male agli altri. Ricordai ancora un altra volta una cosa che mi aveva detto. Stare con me era come tornare bambini ed essere in un negozio di giochi. Quindi significava che ero un giocattolo? Sbuffai, avendo sempre voluto fargli quelle domande sospese, ma senza il coraggio di fargliele, forse perché temevo di ricevere le risposte che non mi piacevano. Scossi la testa, richiudendo quei ricordi in uno dei tanti scatoloni in cui si buttano le cose vecchie che non vuoi più vedere. Non si vive nel passato, mi dissi per aiutarmi a superare quelle piccole cicatrici brucianti. Ma questo non significava che ero disposta a metterci una pietra sopra e riuscirci assieme come se nulla fosse. Essere abbandonati da qualcuno a cui ti affezioni è come morire. Ed io purtroppo mi affezionavo in fretta, ed ero morta tante, tantissime volte. Aveva scritto che aveva bisogno di parlarmi, ed io di che avevo bisogno? Sospirai e qualcuno suonò al campanello, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Dannazione. Ero a casa sola, come spesso accadeva. Mia nonna era ricoverata in ospedale e i miei genitori erano spesso lì. Ero molto preoccupata per lei, perché purtroppo sapevamo che non sarebbe più tornata a casa. Il solo pensarci mi inumidì gli occhi di lacrime, che mi affrettai ad asciugare prima di controllare chi fosse venuto. Potevo fingere di non esserci, ma magari era importante. Il silenzio era un compagno educato, ma sapeva anche essere molto pericoloso. Non avevo semplicemente voglia di parlare con qualcuno, dopo quel messaggio che aveva traslato il mio umore verso il colore nero dell'inchiostro. Quindi mi feci forza e scesi le scale per raggiungere il cortile. Nella mia mente cercavo di capire chi fosse a quell'ora del mattino. Mamma non mi aveva avvisato che sarebbe passato il camion dei surgelati. Mi calmai dai pensieri di poco prima, scacciandoli come visitatori indesiderati, ciò che erano in effetti. Non potevo perdere le staffe per chi non se lo meritava affatto.

Ma non riuscii a frenare la sorpresa quando scorsi la sagoma che mi attendeva, dietro le piccole sbarre di ferro battuto del cancello. Sapevo esattamente chi era, conoscevo anche il suo nome. Nial. Dopotutto era il mio vicino di casa, anche se non avevamo mai parlato. A parte qualche raro e fugace ciao a scuola, nei corridoi, ma non si può certo definire conservazione. Era famoso ai tempi del liceo, la sua fama lo precedeva. Quel tipo di fama da “potenziale soggetto da evitare”. Che voleva da me? Così improvvisamente? In tutti quegli anni di vicinanza non ci eravamo mai veramente degnati di alcuna attenzione. Ci eravamo ignorati complici. Non mi sembrava neppure reale e non so per quanto tempo rimasi a guardarlo senza dire nulla. Quei capelli corvini e quegli occhi color del cielo. Non mi erano mai piaciuti gli occhi chiari. Sapevo che era più grande di me, ma non sapevo che cosa avesse fatto quando aveva mollato la scuola, giravano di per certo brutte voci sul suo conto. Non mi ero nemmeno mai chiesta che fine avesse fatto. Non mi interessava.

- Ciao – gli uscì quasi sospirando. A disagio evidentemente.

- Ciao – gli risposi nervosa. Il solito atto di cortesia, solo che ora era alla luce del sole e non più in uno stretto corridoio affollato di studenti e a quell'ora, fuori, c'eravamo solo noi.

Le parole che mi vorticavano in testa non uscivano. Continuavo a coprirmi il viso come un'idiota non sapendo che fare. Sperando fosse uno scherzo e che sparisse da solo. Puff! Ma lui era ancora lì a fissarmi.

- Io non pensavo in realtà di trovarti in casa.. ma ecco.. ci sei- ruppe lui l'imbarazzo e il silenzio nemico. - Perché sei qui? - finalmente mi uscì la voce. -Ti va di fare quattro passi? - chiese diretto, felice, incoraggiante e invitante. Non ci conoscevamo nemmeno. Perché? Perché doveva succedere? Non lo so, ma in quel momento il “soggetto da evitare” si trasformò in “occasione d'aria aperta in compagnia”. Ecco di cosa avevo bisogno, di respirare e magari distrarmi un po' da tutte le preoccupazioni che mi attanagliavano come una morsa l'anima. Mi munii di tutte le mie difese ed uscimmo per questi quattro passi, che in realtà furono molti di più. Mi chiese come mi chiamavo, e quasi mi venne da ridere per la comicità della scena. Parlammo del più e del meno e mi venne difficile credere che fosse una persona pericolosa. Avevamo molte cose in comune, letture, film di fantascienza, videogiochi, musica. Lui suonava in una piccola band che aveva improvvisato. Mi sembrava tremendamente triste e afflitto. Un po' come me e cercavamo di nascondercelo a vicenda. Per un attimo scordai i miei problemi, anche se lui sembrava stravagante. Mi parlava dei suoi viaggi, di quella volta in cui aveva incontrato un cinghiale, un orso, non so cosa, mentre dormiva in un cartone in un bosco di non avevo capito dove. Sembrava uscito da un film e che stesse recitando solo per ammagliarmi o conquistarmi con quei suoi pazzi racconti. Entrammo in una vecchia villetta pubblica, circondata da un piccolo parco coperto di alberi. Ci inoltrammo nel folto del bosco, per trovare riparo nella fresca ombra del tetto verde di foglie che si incastonavano tra loro, fino ad una collinetta di terra ed erba. -Qui venivo a giocare da bambina- dissi sorridendo al bel ricordo che mi accarezzava la mente. Sembrava un periodo così lontano. Mi strinsi nelle spalle, quasi imbarazzata come se gli avessi appena rivelato di che colore avevo le mutandine. Non so perché. Percepii solo in quel momento tutta l'ansia di quell'incontro.

-Qui io venivo a farmi – disse quasi ridendo, come se fosse una battuta. In quel momento “l'occasione di aria aperta in compagnia” ritornò il “soggetto da evitare” che probabilmente era e da cui dovevo per forza tenermi alla larga. Veniva a farsi? Intendeva ragazze o droga? Qualunque cosa intendesse lo trovai stomachevole. Il mio senso di protezione si mise in allerta, urlandomi di fuggire. Mi bloccai, senza seguirlo più, mentre si sedeva su un tronco disteso per terra. Diede una leggera pacca alla corteccia ruvida e muschiata, per invitarmi a prender posto accanto a lui. Strinsi i pugni. Lui sospirò notando il mio distacco improvviso. Che stavo facendo? Era stata una stupidata aver accettato di uscire con lui. Una domanda mi frullava nella testa, ma era chiaro che lui con me volesse solo divertirsi. Ricordai di quando lo avevo visto l'ultima volta. Stavo andando a scuola, e lui stava ghignando per strada, mentre una ragazza, la sua ragazza di anni fa, gli piangeva accanto facendosi colare il mascara sulle guance, sotto una cascata di capelli scuri. Lui non faceva nulla per rassicurarla e consolarla. Anzi, sembrava quasi soddisfatto di quel pianto, o almeno a me parve così.

-Torno a casa, si è fatto tardi.. dovrei proprio tornare- affermai. Mi sforzai di sorridere come se non avessi paura, e gli feci anche ciao ciao con la mano, prima di girarmi molto lentamente, cercando di non correre. Lui mi rivolse uno sguardo strano. Aveva gli occhi leggermente cerchiati di rosso, forse erano occhiaie? Ma ne dubitavo. Forse era ubriaco. Ma se lo era come aveva fatto a parlarmi con tanta spontaneità? I suoi occhi erano saturi di qualcosa che non sapevo decifrare ma che mi fece soltanto battere il cuore a mille e increspare la pelle dai brividi. Correre, avrei voluto correre. Iniziai a indietreggiare, cercando il vialetto per uscire da quel labirinto di tronchi e fronde. Ma qualcosa mi bloccò. Era lui, mi stava abbracciando da dietro le spalle. Le sue mani erano sui miei fianchi. -Mi piaci- sussurrò calmo al mio orecchio. Chiusi gli occhi cercando di concentrarmi su qualsiasi altra cosa intorno a noi, per non perdere il controllo e mollargli un pugno per autodifesa. Sarei potuta diventare karate kid in quel momento. Cercai di divincolarmi o chiamare aiuto, ma gli unici rumori erano i nostri respiri, il fruscio del vento e gli uccellini che popolavano quei rami. Lui non era lucido, la sua stretta non era troppo forte, ma era più pesante di me quindi non ottenni risultati. Non mi avrebbe fatto male. Qualcosa nella mia testa mi disse questo, ma forse era soltanto la speranza. -Come faccio a piacerti? Mi conosci da cinque minuti- insinuai, cercando di prendere tempo.

-Non in quel senso, dolcezza- e percepii le sue labbra ruvide e rovinate accarezzarmi il collo piano, come se avesse paura di spaventarmi. Ma tanto già lo ero, possibile che non se ne fosse accorto? Mi arrabbiai e sbottai -Sei un porco se pensi che io mi lasci andare a certe cose qui.. con te.. Certe cose vanno fatte con dei sentimenti solidi come base, vanno fatte con chi si ama, non per divertirsi..- iniziai la mia predica e lui in tutta risposta rise francamente. -Come sei cinica- mi interruppe -Dai non siamo più bambini e poi fa stare bene-. Cercò di accarezzarmi la pancia e insinuarsi sotto la mia maglietta ma io gli bloccai le mani. -Non sono il tipo, lasciami o potrei denunciarti – lo minacciai. Non mi venne altro in mente da fare. Lui mi fece girare contro se stesso e mi guardò alzando un sopracciglio divertito da tutta la mia bellicosità. -Per cosa? Per averti rubato un bacio? - mi rivelò la sua intenzione e si avvicinò con il viso verso il mio. Rapida gli appoggiai la faccia sulla spalla per nascondermi a quel tocco, a quegli occhi che mi trafiggevano alla ricerca di un modo per farmi cedere. Non sapevo come scappare. Fu allora che lo sentii sospirare, come se non fossi riuscita a evitare quel bacio e mi strinse a sé in un abbraccio scomposto. Trattenni le mani in tasca, evitando di aggrapparmi a lui. Puzzava di tabacco. Un odore che avevo sempre detestato, volevo solo scostarmi ma mi resi conto che dopotutto quello che stavo passando, un abbraccio era tutto ciò di cui avevo più bisogno. -Wow- continuò a ripeterlo, come un mantra, come impazzito. Finché non mi lasciò andare per guardarmi. -La tua anima è così bella e pura- mi disse, quasi accigliato per la scoperta. Okay era pazzo. Stava farneticando. Forse era sotto l'effetto di qualche droga, comunque io dovevo assolutamente allontanarmi se non volevo finire male. Me lo dissi mentalmente per farmi forza e concentrarmi su quella situazione e non su quello che affrontavo ogni giorno. Sbattei le palpebre e arretrai cercando di non farglielo notare, ma incontrai subito un nuovo ostacolo. Un tronco. Caspita. Chi ce lo aveva messo? Lui si avvicinò di nuovo. -Stai fermo- cercai di essere autoritaria ma mi uscì con un filo di voce, come una supplica. Sbattei leggermente la testa contro il tronco, mi ci appiattii contro, come se potessi salirci su e salvarmi o scomparirci dentro. -Ahi- esclamai. Allora lui mi guardò improvvisamente serio e con una mano mi accarezzò i capelli. Lo lasciai fare. Mi massaggiò dove avevo sbattuto. Un gesto premuroso, ma lui non lo era affatto. Non dopotutto quello che stava facendo e dicendo. -Non ti sei fatta nulla – mi disse come se dovesse studiarmi. Io annui in risposta e lui tolse la mano dalla mia nuca. Non sapevo più cosa fare. Strinsi gli occhi in attesa, premendogli le mani sul petto, cercando di spingerlo via, anche se non volevo toccarlo. Sentivo il suo petto abbassarsi regolare sotto la maglietta e le mie dita. Ma lui non cercò più di baciarmi, restava vicino a me. Con gli occhi chiusi, a mescolare i nostri respiri affannati per quella lotta. Sperava che facessi il primo passo? Gli rivolsi uno sguardo scettico che ovviamente si perse. Poi sospirando disse -Io non ti piaccio nemmeno un po'?- chiese quasi timido, come deluso dalla mia risposta non verbale restia. Non dissi nulla, non volevo ferirlo anche se se lo meritava per tutto lo spavento che mi aveva fatto prendere. -Va bene- tolse le mani ai lati del mio viso, dal tronco, concedendomi la via di fuga – Non ti farò del male. E' impossibile fartelo – continuò sorridendo e convinto di quello che diceva. Io scossi la testa in balia dei ricordi. Se fosse stato vero non avrei mai sofferto così tanto per amori sbagliati o di amicizie ottenute solo per profitto. Quelle sue parole erano così strane, ma mi scossero tremendamente. Me ne andai, correndo per davvero. Mentre sapevo che mi osservava scappare via. Non sarei mai dovuta uscire. Mai. Mi ripetevo. Una volta a casa, chiusi la porta a chiave di nuovo, come quando ero uscita. Mi lavai il viso, il collo, le mani, come a cancellare quelle tracce del suo tocco, come se mi avesse marchiato. Forse ero paranoica. Eppure già sapevo che mi sarebbe rimasto sempre impresso quell'incontro. Guardai fuori dalla finestra ma non lo vidi rincasare e mi preoccupai perfino di averlo lasciato solo in mezzo al parco, sotto chissà quale stupefacente, perché doveva essere così. Quale ragazzo è tanto pazzo da cercare di baciarti senza nemmeno conoscerti? Okay in luoghi come le discoteche lo facevano, ma si vedeva che non ero una ragazza facile che frequentava certi posti per fare certe cose. Ero stupida davvero. Infine era lui quello che aveva tentato di fare chissà quali cose con me e non dovevo preoccuparmi per lui. Fissai gli occhi sui girasoli appena sbocciati. Erano belli, gialli e carichi di petali. Luminosi sotto quel sole splendete. Decisi di uscire e tagliarne uno da portare alla nonna. Tanto sapevo già che una semplice chiave e una porta non sarebbero bastati a tenerlo fuori dalla mia vita o a farlo demordere dalla caccia. Sì perché dopo quell'ora io mi sentivo una preda. La sua preda.

  
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