Epilogo
“Qui
tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora,
e qui
Sugli
esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche
Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà
compiuto
Il
tempo che le spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se
poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
Io
non me ne andrò: della morte d’entrambi
godrete!”
[Ovidio,
Metamorfosi,
X]
Mi
dispiace. Non posso permettere che accada. In
fondo, anche voi lo sapete. Non c’è altra
soluzione.
Sono
stata egoista, a Camelot. Lily mi aveva
supplicata di non farlo, ma io ho pensato solo a salvarle la vita.
Salvandola,
l’ho condannata. Ha lottato contro
l’oscurità per anni ed io le ho imposto
un’oscurità ancora più terribile. Non
voglio che paghi, per questo.
Promettetemi
che andrete avanti e che vi
occuperete di Henry. Spiegategli perché ho preso questa
decisione. Fate in modo
che capisca.
Ho
chiesto a Regina di mantenere la promessa che
mi fece a Camelot e le ho detto di non parlarne con nessuno. Le ho
chiesto di
giurarmelo. Quindi, se potrà mantenere quella promessa,
ricordate che è stata
prima di tutto una mia scelta.
Emma
Lily
si accinse metodicamente ad
ubriacarsi.
Nel
frigorifero c’erano diverse
bottiglie di Heineken e lei ne prese alcune, stappandone una dopo
l’altra e
disponendo i tappi in fila sul tavolo.
Aveva
cacciato via sua madre. Non
voleva che lei l’aiutasse. Non voleva che
l’abbracciasse. Non voleva parlare di
quello che era successo o di come si sentisse. Non voleva gente
intorno. Era
sicura di essere stata troppo dura e di averla ferita, ma non
c’era nulla che
Malefica potesse fare.
Mentre
fuori albeggiava e le nuvole
sparse si tingevano di rosa, lei se ne stava là, nel suo
appartamento,
desiderando solo non essere più vista da nessuno, con il suo
strazio, la sua
rabbia, il suo senso di colpa e il suo desiderio d’essere
morta e lontana per
sempre da tanta crudeltà.
Credeva
che qualcuno sarebbe venuto
comunque. Pensava che almeno Uncino volesse ucciderla. Ci aveva
provato, la
sera prima, ma Tremotino l’aveva fermato. Sapeva che era
tornato sulla sua
nave, ma forse stava meditando di farla fuori. O forse si era attaccato
ad una
delle sue fiaschette di rum. O intendeva prendere il largo. Non le
importava
molto.
Finì
la sesta o settima bottiglia
(aveva perso il conto) in grandi sorsi, eppure quando si
alzò per prenderne
un’altra non barcollava nemmeno. La sua testa era sgombra.
Non le faceva male
lo stomaco.
Ma
continuava ad avvertire il
vuoto. E il silenzio.
Il
vuoto al centro del petto.
Aveva
trascorso la vita intera a
lottare contro il potenziale oscuro che era stato trasferito in lei
quando non
era nemmeno uscita dall’uovo. Da quando aveva scoperto la
verità grazie
all’Apprendista, aveva immaginato il momento in cui avrebbe
ottenuto la propria
vendetta. Aveva immaginato il momento in cui l’avrebbe fatta
pagare agli
Azzurri. Si era sempre chiesta se fosse possibile liberarsi di quella
maledizione. Se fosse esistito un modo per annullarla o invertirla.
Merlino le
aveva detto che quel modo esisteva, ma era rischioso. Si era chiesta
come
sarebbe stato vivere senza quell’oscurità. Pensava
che... che si sarebbe
sentita libera. Che avrebbe finalmente avuto il controllo delle sue
azioni.
Delle sue decisioni. Che avrebbe potuto fare delle scelte giuste, senza
che
quelle le si rivoltassero contro.
Invece
c’era solo il vuoto. Al
centro del petto si era aperta una voragine, profonda e oscura.
“No.
Non è questo che meriti”.
“Nemmeno
tu! La tua famiglia ha bisogno di te!”
“Ti
ho portata io a questo! Sono stata io ed io distruggerò
l’oscurità”.
La
voce di sua madre si frappose ai
ricordi. La voce di Malefica durante una delle poche lezioni di magia
che aveva
ricevuto.
“Esistono
delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per
costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi
riportare in vita i morti”.
“Non
puoi riportare in vita i morti”.
Vuotò
il resto della birra nel
lavello e poi prese la giacca. Frugò in una delle tasca.
Fino a che non riuscì
a trovare il giglio che Emma le aveva regalato a Camelot. Era appassito
di
nuovo. Ma Lily se lo portò comunque al naso, ricercandone il
profumo. Ne
avvertì una traccia, debole. Si stava disperdendo.
“Esistono
delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per
costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi
riportare in vita i morti”.
Poi
si intromisero altre voci.
Quelle
voci, però, erano voci
sussurranti. Un grumo di sibili incomprensibili.
Per
un bel pezzo credette che quei
suoni fossero unicamente nella sua testa, un’allucinazione
dovuta all’alcol. La
stanza ondeggiava intorno a lei.
Ma
continuavano, implacabili. Era
come avere nella mente un groviglio di serpenti infuriati.
Il
pugnale.
Non
era possibile. Il pugnale non
esisteva più. La spada si era dissolta dopo... beh, dopo.
Niente
pugnale. Niente più Oscuri.
Però
quel richiamo l’avrebbe
riconosciuto ovunque.
Lily
mise in tasca il giglio e si
infilò la giacca.
C’era chi pensava che vi fosse un
limite all’orrore e alla rabbia che una mente umana poteva
sostenere. In
realtà, non era vero. Quando l’incubo diventava
sufficientemente cupo, l’orrore
generava altro orrore, il male generava altro male, finché
la tenebra non ricopriva
ogni cosa.
A
Regina, infatti, sembrava di
precipitare in un vuoto sempre più buio. E quel buio era
pieno di rimpianti, di
pensieri rabbiosi, di sensi di colpa. Non voleva che il suo cervello
continuasse a ripercorrere gli stessi eventi, eppure non poteva farne a
meno.
Seduta sul bordo del letto, a casa degli Azzurri, seguitava a ricordare
il
momento in cui aveva deciso di non fidarsi di Emma e di rinchiuderla in
una
prigione. Il momento in cui Emma le era sfuggita e aveva tenuto in mano
il suo
cuore nero. Il momento in cui Emma le aveva chiesto di mantenere la
promessa
che le aveva fatto a Camelot. Il momento in cui l’aveva
baciata. E il momento
in cui lei non l’aveva mantenuta, quella promessa. Aveva
esitato.
Ce
l’aveva con tutti. Con
Tremotino, perché lui sapeva che non ce l’avrebbe
fatta. Con Lily, perché, al
contrario di lei, aveva trafitto Emma con quella maledetta spada,
assumendosi
una responsabilità che l’avrebbe segnata per
sempre. E con se stessa. Ce
l’aveva soprattutto con se stessa.
Non
sei la Regina Cattiva, le
disse una voce fredda e priva di
inflessioni, che le ricordava quella di sua madre. Non
sei la Regina Cattiva e non sei una Salvatrice. Tu non sei niente.
Sei debole.
Henry
era in cucina, seduto davanti
al bancone, con il suo libro aperto dinanzi. Regina gli aveva lasciato
il
vassoio con la colazione accanto, ma era sicura che lui non
l’avesse toccata.
Suo figlio non parlava. Non guardava nessuno. Teneva gli occhi fissi
sulle
pagine del libro che aveva letto un sacco di volte. Cercando, forse,
una
soluzione nelle storie che conosceva. Regina gli aveva accarezzato i
capelli.
Si era appoggiata alla sua spalla, ma nel farlo si era domandata se
stesse
confortando il figlio o se stesse solo cercando qualcosa a cui
aggrapparsi.
David
sembrava almeno
temporaneamente incapace di qualsiasi decisione. Si aggirava per casa
senza uno
scopo. Aveva gli occhi arrossati e la pelle del viso tirata. Sedeva al
tavolo
masticando pane tostato e mangiando i cereali preferiti di Emma. Non
gli
piacevano, ma li voleva ugualmente.
Regina
aveva curato le ferite di
Biancaneve. Tutte quante. Non appena aveva finito, si era alzata per
andarsene,
ma Biancaneve l’aveva trattenuta per il polso, lo stesso che,
fino a poche ore
prima, recava il marchio di Caronte.
-
Cosa? – aveva domandato Regina.
Biancaneve
le aveva messo un
braccio intorno alle spalle per abbracciarla. L’aveva fatto
come se per lei,
abbracciarla, fosse una cosa del tutto normale. Come se
l’avesse sempre fatto.
Regina
si era irrigidita. Poi aveva
risposto all’abbraccio goffamente. L’aveva tenuta
stretta, mentre singhiozzava.
Stava
ripensando a quello, quando
udì i passi sulle scale e Malefica comparve, appoggiando una
spalla alla
parete.
-
Dov’è Lily? – chiese Regina.
-
Oh, lei... non vuole vedere
nessuno. – Si spostò verso il letto, sedendosi
accanto a lei. Aveva un’aria
abbattuta e cupa. – Non ha bisogno di me.
-
Sì che ne ha. È solo troppo
orgogliosa.
Malefica
la scrutò con quei suoi
grandi occhi celesti. - E tu come ti senti?
-
Non lo so. – rispose Regina,
scuotendo il capo.
“A
Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi,
Regina”.
“Non
puoi”.
“Non
abbiamo altra
scelta”.
Regina
rabbrividì. Avvertiva il
gelo nel sangue e nelle ossa.
Malefica
si tolse la giacca che
teneva sulle spalle e la sistemò sulle sue.
Lily entrò in negozio e trovò
Tremotino comodamente seduto dietro al bancone.
-
Ultimamente vieni spesso nel mio
negozio, Lilith. – disse, accarezzando l’orlo del
bicchiere con la punta
dell’indice.
Le
voci erano molto più forti. Più
pressanti.
-
Il pugnale. Dov’è? – disse,
aggrottando la fronte e cercando di non lasciarsi confondere dai
sussurri.
-
Sei... un po’ turbata. Lo
capisco. – rispose Tremotino, sfruttando un tono
accondiscendente che aumentò
la sua furia.
-
Non provare a dirmi che cosa provo.
Dov’è il pugnale? Lo so che è qui. So
che ce l’hai tu. – ripeté.
Tremotino
rifletté qualche istante.
Infine, cedette. Allungò una mano sotto al bancone e prese
un involto. Lo
srotolò.
-
Sì, ce l’ho. – ammise, posando il
pugnale sulla superficie di vetro.
Tremotino.
Era
il pugnale. Non come lo
ricordava, però. Il nome del Signore Oscuro era impresso in
argento sulla lama
ondulata. In argento su sfondo nero.
Incredula,
Lily alzò lo sguardo
sull’uomo che le stava di fronte e che ora le appariva come
un maligno pupazzo
sbucato da un pacco a sorpresa.
-
Sei l’Oscuro.
-
Già. Avrei voluto tenerlo
segreto. Ma sai, Lilith... non mi aspettavo che lo sentissi. Dovevo
anche
pensare al fatto che molti ex Signori Oscuri... sono morti. Quasi
tutti, a
parte me e te.
Le
voci erano sparite. Le voci
avevano ceduto il posto ad una collera cieca.
-
Com’è possibile? Come hai fatto?
-
Dopo che Emma e Regina sono
venute da me per chiedermi qualche pozione... ho riflettuto. Beh, in
realtà ho
cominciato a farlo prima. Non avevo molto tempo a disposizione, ma ho
usato
quel tempo come meglio potevo.
-
Ingannando tutti.
Poteva
spiegare a Lilith Page che
cosa l’aveva spinto a tornare sui suoi passi? Poteva
spiegarle che cosa aveva
provato quando aveva capito di non avere scampo? O cos’aveva
provato quando
Cornelius li aveva attaccati? Non era stato in grado di difendere se
stesso o
Belle. Se Belle fosse stata il bersaglio di quell’Oscuro, lui
non avrebbe
potuto fare niente per aiutarla. Non aveva più la magia. Non
aveva una spada con
cui difenderla. Non aveva niente. Era solo un uomo. Un uomo con un
cuore nuovo
di zecca, un cuore reso puro da Emma Swan. In più, non aveva
potere contro
Caronte e il suo marchio. La solo idea di finire di nuovo negli Inferi
lo
paralizzava. Lo paralizzava l’idea di finire dritto nel
Tartaro, perché era
convinto che fosse quello il suo destino. Una pena eterna.
Poteva
spiegarglielo?
Tremotino
disegnò la spirale sul pavimento.
Era
uno dei simboli più antichi del mondo magico. Un simbolo di
potere. Emanazione.
Estensione. Sviluppo. Creazione. Energia. Il viaggio dopo la morte.
L’ordine
dal caos o il caos dall’ordine.
Per
l’incantesimo che stava per lanciare, la spirale era
fondamentale. Era un
conduttore. L’oscurità contenuta nella spada
sarebbe defluita in un luogo
sicuro nel momento in cui Emma Swan l’avrebbe usata su di
sé. O su Lilith, se
alla fine si fosse vista costretta ad ucciderla.
Sarebbe
defluita in lui.
Girò
la pagina e trovò le parole dell’incantesimo. Era
antico quasi quanto il
simbolo che aveva appena disegnato. Gli ingredienti erano allineati sul
tavolino. Tre semplici pozioni che aveva nel suo negozio.
Tremotino
le prese tutte e tre e si piazzò al centro della spirale.
No,
non poteva.
-
Un rito. – disse, semplicemente.
– Un rito che ho ritrovato tra le Cronache degli Oscuri,
mentre cercavamo di
capire quale fosse il tuo... terribile piano. Nel momento in cui tu hai
usato
la spada su Emma... si è attivato. E
l’oscurità non è stata distrutta, ma
solo
trasferita.
-
Dentro di te. – Sputava le parole
come se stesse sputando veleno.
-
Le cose sono come devono essere.
– concluse Tremotino, ammirando la sua arma.
-
Hai tradito tutti quanti. Di
nuovo.
-
È ciò che faccio di solito. Io
agisco così. – Senza esitazioni. Sempre con quel
sorrisetto perfido. – Adesso
ho il potere di tutti gli Oscuri, in me. Incluso il tuo.
-
Bene.
Tremotino
batté le palpebre. –
Bene?
-
Questo è l’uomo che sei. O forse
dovrei dire... questa è la bestia
che
sei. Quella che inganna la donna che ama continuamente, quella che ama
il
potere... e uccide il proprio figlio ogni volta che dimostra di non
essere in
grado di cambiare. – Lily sapeva di essere crudele. E aveva
una gran voglia di
esserlo. Non le importava come avrebbe reagito Tremotino. Era capace di
ucciderla con un semplice gesto della mano. Avrebbe potuto spezzarle il
collo o
strapparle il cuore dal petto e ridurlo in cenere. Aveva conosciuto
Neal, ora
lo sapeva. Quando aveva trovato la foto nella scatola dei ricordi di
Emma,
aveva riconosciuto il ragazzo che l’aveva accompagnata alla
fermata
dell’autobus quella sera, un ragazzo gentile, che
l’aveva aiutata pur non avendo
idea di chi lei fosse. Per qualche ragione Bae, come si era presentato,
le era
rimasto impresso. Non si era mai scordata la sua faccia. Bae. Baelfire.
Neal.
L’Oscuro
la fissò, sprezzante. Sollevò
una mano, in procinto di usare la magia contro di lei. – Non
parlare di Belle.
E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti
conviene.
-
Nemmeno a te conviene provocare
me. – precisò Lily. I suoi occhi erano dorati. Si
sentiva la testa in fiamme e
il drago si era appena destato. – Emma si è
sacrificata. Io l’ho uccisa.
Credevo che stessimo distruggendo l’oscurità, ma a
quanto pare... è stato tutto
inutile. Tu... l’hai reso inutile. Quindi ora parleremo
d’altro. Parleremo di
ciò che tu farai per me.
-
Perché dovrei fare qualcosa per
te?
-
Perché in caso contrario potrei
dire a Belle che razza di uomo sei. Ho ancora la magia.
L’avevo anche prima di
diventare un Oscuro. Potrei farcela ad arrivare da lei prima che tu mi
uccida. Potrei
anche farle del male personalmente. So trasformarmi. Perché
no? Non ho più il
potenziale oscuro di Emma, ma credo... che questo non cambi la mia
natura.
Sento di poter fare... cose terribili. - Lily si sporse verso di lui.
– E anche
se non ci arrivassi, ho lasciato un messaggio sulla segreteria di
quegli idioti
degli Azzurri mentre venivo qui. Sanno dove mi trovo, ormai. Se
sparisco,
sapranno che tu sei l’ultima persona che mi ha vista. Vuoi
vedere il sospetto
negli occhi di Belle? Vuoi... rischiare di nuovo di perderla?
Tremotino
sfiorò la lama del
pugnale, osservando il proprio nome su di essa. Pensò a
Belle, che ancora
dormiva, ignara di tutto. Pensò a Neal. E ad Emma Swan che
moriva davanti a
tutta la sua famiglia.
-
Che cosa vuoi da me, Lilith?
- Nell’Oltretomba? Vuoi andare
nell’Oltretomba? – Malefica non credeva alle sue
orecchie. – Lily, tu sei
sconvolta...
Lily
si limitò a scuotere la testa.
– Non sono sconvolta. Non lo sono più.
-
Non puoi, Lily. Non possiamo. –
Sua madre parlava lentamente, come ci si rivolge a chi è in
preda a un attacco
isterico passeggero, ma preoccupante. – Va contro una delle
regole più
importanti della magia.
-
Chi se ne importa delle regole! –
urlò Lily, costringendola a ritrarsi. – Stiamo
parlando di Emma!
In
cucina calò il silenzio. Tutti
la fissavano. Gli Azzurri, Robin, Regina, Henry. Persino Uncino, che se
ne
stava stravaccato sul divano, con i capelli tutti arruffati, la camicia
stropicciata e con il suo alito che sapeva di rum. La fiaschetta vuota
era
accanto a lui.
-
Lily, ci saranno delle
conseguenze. – spiegò Malefica.
-
Me la vedrò io con le
conseguenze! – ribatté Lily. – Noi...
abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E
Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si
è sacrificata, ma non è
servito a niente. Era una bugia!
-
Ma se la riportiamo indietro... qualcuno
dovrà morire. – disse Robin, con cautela.
-
Emma, a Camelot, mi ha detto che
voi due condividete un cuore. – rispose Lily, rivolgendosi
agli Azzurri. – Sei
morto, o sbaglio?
-
Sì, ma quella era una situazione
completamente diversa. – commentò David. Neve gli
appoggiò una mano sul
braccio. – Non so se può funzionare stavolta.
-
E voi sareste quelli che non
perdono mai la speranza?
-
Lily. – riprovò Malefica. – Qui
non si tratta di speranza. È nell’Oltretomba che
vuoi andare.
-
E allora rimanete qui! Rimanete
qui... con le mani in mano, a tormentarvi. Vi ricordo che siamo tutti
responsabili di quello che è successo! Io intendo andarci! E
nessuno me lo
impedirà.
Ancora
silenzio. Occhiate ansiose.
Uncino
si alzò. – Può funzionare?
Regina,
seduta su uno sgabello
davanti al bancone, si tormentò le mani in grembo.
– Sì. Potrebbe funzionare.
No,
Regina, state contemplando una strada che non dovete percorrere. Neal
è morto,
ricordi? Tremotino è tornato, ma Neal è morto.
Daniel è tornato, ma le conseguenze
sono state terribili.
Mise
a tacere quella voce. Il cuore
le batteva troppo forte nel petto. Quel bacio, il ricordo delle labbra
di Emma
premute contro le sue, era così vivido da farle male. Gli
occhi verdi di Emma,
gli occhi che l’avevano guardata mentre lei reggeva la spada
sollevata sopra la
testa, erano impressi a fuoco nella sua mente.
“Noi...
abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha
ingannata... ci ha ingannati
tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a
niente. Era una bugia!”
Una
bugia. Era quello che la
tormentava. Una bugia. Il sacrificio di Emma ridotto al nulla da
quel... mostro
di Tremotino. Aveva una gran voglia di strappargli quel suo dannato
cuore dal
petto...
-
Sono disposto a rischiare per
Emma. – continuò Uncino.
-
Allora andiamoci. – disse Henry.
La sua voce suonò incredibilmente adulta. Adulta, ferma,
franca, determinata.
Chiuse il libro che stava sfogliando da ore senza concludere niente.
– Vengo
anch’io.
-
No. – disse Regina.
-
Sì, invece. Emma è mia madre. Non
me ne starò qui ad aspettarvi. Ricordatevi che sono
l’autore. – replicò Henry.
-
Anch’io sono tua madre, Henry.
-
Se mi lasciate indietro, troverò
un modo per seguirvi.
Lily
sorrise.
-
Emma non me lo perdonerà mai. –
mormorò Regina.
-
Ci andiamo tutti. – disse Neve. –
Lily ha ragione. Siamo tutti responsabili di quello che è
accaduto. Abbiamo
tutti delle colpe. E abbiamo bisogno di Emma. Se esiste anche solo una
minima
possibilità... dobbiamo provarci.
Regina
annuì.
-
Non posso venire con voi. –
intervenne Robin. – Zelena ha portato via mia figlia ed io
devo... devo pensare
prima di tutto a lei.
Se
lo aspettava. Regina immaginava
che Robin avrebbe deciso di andare ad Oz per affrontare Zelena e
riprendersi la
bambina.
-
Come pensi di fare? Mia sorella è
una strega molto potente.
-
Porterò i miei uomini con me. –
la rassicurò lui.
-
Non basteranno mai.
-
Porterò anche quel mago, Knubbin.
So che vuole tornare nella Foresta Incantata. Non avrà nulla
in contrario.
-
Zelena se lo mangerà in un solo
boccone, quel mago da quattro soldi!
-
Devo andarci. O non rivedrò mai
più mia figlia.
Regina
decise che era meglio
tacere. La verità era che la sua mente era già
proiettata verso l’Oltretomba.
Per quanto le sembrasse una follia, stava già provando ad
elaborare un piano
per difendere suo figlio e gli altri dai pericoli che avrebbero
certamente
incontrato.
-
Userò la bacchetta per riaprire
il portale. – disse Lily. - Così potrai
raggiungere Oz. Sono stata io a
rispedirla laggiù. Ed io... rimedierò.
Robin
la fissò a lungo, senza dire una
parola. Poi accettò.
Il potere della bacchetta rischiò
di schiacciarla, stavolta. A Lily sembrò che fosse in
procinto di sfondarle la cassa
toracica, mentre esplodeva verso l’esterno e formava non un
tornado, ma una
porta. La maniglia ruotò da sola sui cardini ed essa si
aprì, rivelando il
passaggio verso Oz. Knubbin non esitò a gettarsi oltre la
soglia; non aveva
intenzione di rimanere un minuto di più in quel mondo per
lui troppo pieno di
cose folli.
Robin
aveva affidato Roland alle
fate e chiamato a raccolta tutti i suoi uomini. Si sistemò
meglio la faretra
piena di frecce a tracolla e poi rivolse un sorriso stentato a Regina.
Allungò
una mano per prendere la sua.
Lily
sperava solo che se ne andasse
in fretta. Tremotino la stava aspettando. Una parte di lei temeva che
se ne
fregasse dell’accordo, temeva che avrebbe trovato un modo per
venire meno ai
patti e per evitare
anche che parlasse
con Belle. Era l’Oscuro. Non solo, possedeva il potere di
tutti gli Oscuri.
Compreso il suo e quello di Emma.
“Non
parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di
provocarmi...
non ti conviene”.
Quando
giunsero al lago, però,
Tremotino era là, ad aspettarli, con il pugnale in mano. Era
sera. La nebbia
scivolava lungo lo specchio d’acqua. In cielo, la luna
sbirciava attraverso una
ammasso di nuvole.
-
Sei sicura? – chiese Tremotino,
appoggiandosi la lama sul palmo della mano.
-
Sì. Ti dispiace sbrigarti? –
rispose Lily.
Lui
annuì e si procurò un taglio. Aprì
il pugno, lasciando cadere le gocce di sangue nel lago.
Un’onda si espanse,
raggiungendo la riva opposta e agitando leggermente l’acqua
scura.
Per
qualche istante non accadde
nulla. L’aria era immobile. Lily avvertiva i respiri pesanti
delle persone
dietro di lei. Regina era accanto a suo figlio. Gli Azzurri si
stringevano
l’uno all’altra. Uncino se ne stava in disparte,
meditabondo. In attesa.
Poi
il lago mandò un lungo sospiro,
come se fosse stato una cosa viva, e il passaggio si aprì.
Il fumo bianco che
Lily ricordava inondò il lago e da esso sbucò la
barca di Caronte, con il
traghettatore che la sospingeva in avanti usando il lungo bastone. Le
fiamme
che circondavano gli occhi del demone si fecero più intense
e minacciose.
Tremotino
avanzò, camminando sul
sentiero invisibile che conduceva fino al centro del lago. Lily e gli
altri lo
seguirono.
Il
vento si levò, fischiando
brevemente attraverso gli alberi e inducendola a guardarsi intorno,
inquieta.
Malefica le mise una mano sulla spalla, stringendo appena, e Lily si
sentì in
qualche modo rincuorata.
Ti
riporteremo indietro, Emma, pensò,
mentre Tremotino
metteva piede sull’imbarcazione di Caronte. Non
importa che cosa dovremo fare per riuscirci. Noi ti riporteremo
indietro.
___________________
Angolo
autrice:
Eccoci
giunti all’epilogo.
Ringrazio
tantissimo tutti quelli
che l’hanno seguita e commentata, ma anche chi l’ha
seguita in silenzio, chi l’ha
aggiunta alle preferite e alle ricordate.
La
storia prevede un seguito,
ovviamente.
Solo
un appunto: per quanto
riguarda la citazione iniziale, presa da Ovidio, non sono sicura che la
traduzione sia corretta. Non ho mai studiato né greco
né latino, quindi ho
cercato un po’ di traduzioni del mito di Orfeo ed Euridice e
questa mi è
sembrata bella. Ma ripeto: se esistono traduzioni migliori,
segnalatemele pure.