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Autore: Roscoe24    04/07/2016    1 recensioni
Questa è la storia di Natalie Duvall (nipote di Bobby, figlia di una sua presunta sorella venuta a mancare in un incidente d'auto insieme al marito. Bobby l'ha presa con se e cresciuta) che è una presenza costante della vita dei Winchester. Si conoscono fin da piccoli, sono cresciuti insieme e cacciano insieme. Presumibilmente, Natalie ha vissuto tutte le esperienze che hanno vissuto i fratelli nel corso delle cinque stagioni che riguardano l'Apocalisse.
Nella storia sono presenti dialoghi che risulteranno familiari, quindi sappiate che sono volutamente ripresi, anche se non sono proprio precisissimi.
La trama della sesta stagione non verrà seguita in maniera perfetta, potrebbero esserci degli avvenimenti nominati che accadono prima o dopo e che, invece, in questa storia sono posizionati in modo diverso, o riferiti a personaggi diversi da quelli originali.
Non so cos'altro aggiungere, quindi credo che mi fermerò qui xD
Buona lettura! (Spero) :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
Capitoli:
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Bristol, Rhode Island.
Dean grida il nome di Sam che è sdraiato sul pavimento in preda a degli spasmi violenti. Rimane a guardare suo fratello sentendosi impotente, sentendosi incapace di poter fare qualcosa per aiutarlo. L’unica cosa che può fare è chiamarlo, afferrarlo per le spalle e sperare che questa crisi di convulsioni – è giusto chiamarle così? Potrebbe essere persino un attacco epilettico, per quello che ne sa lui – finisca. Lo sapeva che andare a grattare il muro non avrebbe portato nulla di buono. Lo sapeva che rimanere in un posto dove era già stato avrebbe portato solo guai.
Un cacciatore non usa mai lo stesso cesso due volte.
Suo padre aveva dannatamente ragione.
Lo scopo del muro era evitare che Sam rivivesse l’inferno, e adesso – Dean ne è certo al cento per cento – suo fratello è tornato laggiù.
Negli spasmi del suo corpo, Dean ci legge tutte le atrocità che Sam ha vissuto, tutte le torture che ha subito, tutta la furia distruttrice di Lucifero e Michele. E la sua impotenza gli fa salire un nervoso tale che lo sente in bocca, amaro come il veleno, che gli stringe la gola e si fa beffa di lui. Lui che dovrebbe proteggere suo fratello e non è nemmeno riuscito ad impedire che avesse una crisi, che stesse lontano da quel dannato muro su cui Sam è andato a grattarsi per bene per cercare di soddisfare quell’odioso prurito, dettato dalla voglia di ricordare, di scoprire tutti i dettagli vissuti in prima persona.  
Stupido muro.
Stupido Sam, doveva dargli retta.
Doveva ascoltarlo, ma ovviamente non l’ha fatto. Non lo faceva nemmeno quando era un mocciosetto perché dovrebbe farlo ora che è un adulto di un metro e novanta?
“Andiamo, Sam. Andiamo, andiamo, andiamo..” Continua a ripetere come un mantra, in preda al panico. Ma Sam non ha ancora finito, Sam non è ancora tornato da lui. Sam sta ancora lottando contro l’inferno e contro ciò che ha vissuto laggiù. E i suoi spasmi diventano sempre più violenti, un crescendo di tremiti che sembra non abbiano alcuna intenzione di cessare.
Dean sente le lacrime pungergli gli occhi mentre è obbligato ad assistere a quello spettacolo che gli frantuma il cuore e gli fa montare la rabbia. Si arrabbia perché si sente inutile, si arrabbia perché si incolpa, perché se avesse insistito di più sarebbero tornati nel South Dakota lasciando che qualcun altro si occupasse del caso – qualsiasi cacciatore avrebbe capito, perché ogni cacciatore sa che non bisogna mai, mai, tornare nello stesso posto due volte, per di più per occuparsi dello stesso mostro.
Fottuti ragni giganti.
L’Aracne che Sam era venuto a uccidere l’anno scorso insieme al caro e premuroso nonnino Samuel Campbell, aveva intrappolato le vittime e Sam, pensando non ci fosse più scampo per loro, aveva deciso di forare le loro teste con una pallottola ciascuno, ma così facendo aveva solo velocizzato il processo di trasformazione, e Roy, lo sceriffo che aveva dato loro una mano e che Sam aveva proposto di usare come esca, che successivamente era stato catturato e trasformato, voleva la sua vendetta.
Se se ne fossero andati quando lui aveva deciso che era giunto il momento di levare le tende, tutto questo non sarebbe successo. Sam adesso non starebbe soffrendo e lui non sarebbe costretto a guardarlo soffrire.
“Sam, ti prego. Ti prego, Sam…”
Lo osserva tirare indietro la testa, che va a picchiare contro il pavimento di legno di quella stupida catapecchia polverosa e puzzolente in cui si sono nascosti abusivamente; guarda la sua schiena inarcarsi e le gambe contorcersi per poi stendersi di nuovo, senza una minima coordinazione. Gli tremano i muscoli, tutti. Ogni singolo muscolo del suo corpo trema come se fosse in preda ad una scossa elettrica, come se sotto la sua pelle ci fossero tanti insetti che corrono frenetici diretti chissà dove senza la minima intenzione di rallentare.
È una tortura.
Una spietata tortura.
Gli prende il viso tra le mani per fare in modo che almeno le sue guance smettano di tremare e, come se quel contatto fosse stato una parola magica, improvvisamente Sam si ferma. Il suo corpo viene scosso da un ultimo spasmo e poi si ferma totalmente. Dean, istintivamente, gli mette due dita sul collo per sentire se ci sono pulsazioni: ci sono. Accelerate in maniera tremenda, ma ci sono. Sam è vivo e l’inferno l’ha lasciato. È tornato da lui, probabilmente senza sensi, ma è di nuovo con lui. Niente inferno, niente Gabbia, niente ricordi di Lucifero e Michele che lo torturano.
Tira un sospiro di sollievo e si siede sui talloni, passandosi entrambe le mani sulla faccia.
“Dean..?” la voce di Sam è roca, così flebile da sembrare un sussurro appena accennato.
“Sono qui, Sammy.”
Dean si sporge verso di lui, aiutandolo a mettersi seduto.
“Che è successo?”
“Hai grattato il muro, ecco che è successo. Te l’avevo detto che rimanere qui a risolvere questo caso era una cazzata, ma tu non mi hai voluto dare retta. Hai voluto fare di testa tua e per un pelo non ci rimetti la pelle!”
Sam si alza in piedi a fatica, aiutato da Dean.
“Smettila di urlare così, ti prego. Mi fa male la testa.”
Dean sospira di nuovo: “Ti rendi conto di quanto sia stato pericoloso, vero?”
“Se ti dico che avevi ragione ti senti meglio??”
“No, porca puttana, non me ne frega niente di avere ragione. Voglio che ti ficchi in quella testa dura che non. Devi. Andare. A. Grattare. Il. Muro!”
Scandisce le parole una ad una, come a volerle imprimere nel cervello di Sam.
“Va bene, come ti pare. Basta che smetti di urlare!”
Il minore si siede sul divano presente in quella stanza. Appena il suo peso tocca i cuscini del divano, una nuvola di polvere lo circonda, facendolo tossire. Dean continua a guardarlo, rimanendo in piedi davanti a lui.
“Come ti senti??”
“Bene, adesso. Un po’ stordito, forse.”
“Cosa hai visto?” gli chiede preoccupato, passandosi una mano sulla faccia.
Sam strizza gli occhi e si massaggia la parte alta del naso: “Non lo so, è tutto piuttosto confuso. È come se avessi visto tutto e non avessi visto niente allo stesso tempo.”
“Capisco. Motivo in più per non avvicinarti più a quel fottuto muro.”
“D’accordo, ho afferrato!” Sam si lascia cadere all’indietro, appoggiando la schiena allo schienale del divano da cui si alzano nuove nuvolette di polvere.
Dean si è allontanato solo di qualche passo, quando il suo cellulare inizia a squillare. Il maggiore dei Winchester risponde senza nemmeno guardare lo schermo.
“Dean, dovete andare nel Connecticut. Immediatamente!
La voce di Bobby è così agitata che Dean sente il sangue gelarsi nelle vene ancora prima di sapere di cosa sta parlando il vecchio cacciatore.
“Hanno preso Natalie. Ne sono certo.”
Un bagno di sudore freddo gli zuppa tutto il corpo. Natalie è in pericolo. Deve muoversi, deve fare qualcosa, deve salvarla, portarla al sicuro, lontano da ogni male. Il cuore accelera pericolosamente, pulsa in maniera frenetica; la sua mente elabora scenari che definire poco piacevoli è un eufemismo. Cosa stava cacciando? Un mannaro. Perché un licantropo dovrebbe darle problemi? Sa uccidere quelle bestie senza difficoltà, gliel’ha visto fare un milione di volte. Cosa le è successo?
“Cosa è successo?”
“Mi ha chiamato, voleva delle informazioni sulla cosa che stava cacciando, ma quando ho provato a richiamarla, non mi ha risposto. Non la sento da tre ore.”
“N-non.. non stava cacciando un licantropo? Magari è in un luogo dove non c’è campo!” ipotizza, scoprendosi a sperare ardentemente che Bobby gli dia ragione.
Sente il vecchio cacciatore dall’altro capo del telefono che sbotta qualcosa in un tono piuttosto burbero, un’imprecazione nemmeno tanto delicata, ecco cosa esce dalla sua bocca.
“Non era un mannaro. Aveva scoperto che la cosa, qualunque cosa fosse, eseguiva una specie di rito.”
“I lupi non fanno riti.”
“Capisci perché penso sia in pericolo, adesso?”
“Certo. Partiamo.”
“Sto andando all’aeroporto, ci sentiamo quando scendo.”
Bobby attacca.
Dean rimane a guardare il vuoto davanti a se, con ancora il cellulare muto tenuto all’orecchio. L’ultima volta che Nat era sparita per così tanto tempo era nelle grinfie di Zaccaria, quindi capisce benissimo perché Bobby sia così agitato. Lui, dal canto suo, è terrorizzato che possa accaderle qualcosa di irrimediabile, che possa perderla per sempre. Il solo pensiero lo fa impazzire. L’idea di vivere senza di lei lo stringe in una morsa ferrea che lo schiaccia a terra, regalandogli un attacco di panico con i fiocchi. La fin troppo familiare sensazione di annegare torna più viva che mai, violenta come un maremoto, spietata come un lupo affamato che banchetta di qualsiasi vittima innocente gli capiti tra le zanne. Sente l’acqua in bocca che gli tappa ogni via respiratoria. Si sente piccolo e impotente, incapace di riuscire a fare qualcosa di utile. È paralizzato. Il panico lo rende sordo, insensibile al mondo esterno a tal punto che quando Sam lo afferra per una spalla lui non si volta nemmeno a guardarlo. È troppo intento a cercare di riemergere dalle acque nere in cui quel pensiero funesto l’ha gettato.
“Dean!” grida Sam, scuotendolo per le spalle. Il maggiore dei Winchester segue la voce di Sam fino a che i suoi grandi occhi verdi non incrociano quelli azzurri del fratello. La fronte di Sam è corrugata in una smorfia preoccupata e apprensiva.
“Si può sapere che ti è preso?”
Dean apre la bocca, ma non gli esce alcun suono. La cosa positiva è che non esce nemmeno dell’acqua. Quella sensazione di annegamento sta sciamando piano piano. Ancora non capisce perché si stupisce di non vedere rivoli d’acqua trasparente mischiata alla sua saliva uscirgli dalla bocca, ogni volta che si sente così. Non dovrebbe stupirsi, tecnicamente, perché ciò che prova è solo una sensazione, qualcosa che nasce dalla sua testa.
“DEAN!”
“Hanno preso Natalie.” Boccheggia.
Un lampo di terrore attraversa il viso di Sam, che stringe la mascella e si passa entrambe le mani tra i capelli: “Dove e chi?”
“Connecticut. Dobbiamo partire. Bobby ci raggiungerà in aereo. Riguardo al chi non ne ho idea, non me l’ha detto.”
Dean, tornato di nuovo in se, inizia a raccogliere tutte le loro cose sparse per quella catapecchia cigolante, puzzolente e piena di polvere. Afferra tutte le armi che hanno lasciato su un letto sgangherato e le ripone dentro al borsone; Sam fa lo stesso, sistemando tutta la sua roba.
Cinque minuti dopo, chiudono la porta alle loro spalle, entrano in macchina e partono a tutta velocità.
                                                                                            
                                                                                            ***


New Haven, Connecticut.
Natalie sta piano piano riacquistando i suoi sensi. Avverte polsi e caviglie legati e del metallo freddo che le sfiora la pelle della schiena lasciata scoperta dalla camicia. È ancora vestita da agente federale. Rimane con gli occhi chiusi, in ascolto. Percepisce dei suoni indistinti, parole, probabilmente, ma è ancora stordita per riuscire a capire effettivamente cosa stiano dicendo. Una cosa chiara è il rumore del mare, sente le onde infrangersi violente contro gli scogli, e l’odore salato dell’acqua arriva forte e chiaro alle sue narici.
Si muove appena, riscontrando, con suo disappunto, che il cuoio che la tiene legata le sta così stretto che, oltre a impedirle movimenti fluidi, impedisce al suo sangue di fluire correttamente. La testa le pulsa così forte che sembra ci sia qualcosa di vivo nel suo cervello. Sicuramente, lo stronzo che l’ha colpita, l’ha fatto con qualcosa di estremamente pesante. Appena riuscirà a liberarsi, lo farà a fettine, quel bastardo.
“È sveglia.” La voce che sente è femminile.
Apre gli occhi per mettere a fuoco la figura a cui quella voce appartiene e, con sua grande sorpresa, scopre che si tratta di Mandy, l’avvenente barista.
La vede avvicinarsi al tavolo con passo deciso. I suoi occhi, azzurri come il cielo, la guardano famelici.
“Sai, inizialmente dovevo ucciderti solo per fare in modo che ti togliessi di mezzo, ma poi ho dato una sbirciatina qui dentro.” Comincia, con voce suadente. Le passa un dito prima sul viso, scendendo lungo il collo e fermandosi all’altezza del cuore, che picchietta con l’indice.  
“E ci ho trovato cose così interessanti che non nutrirmene sarebbe un peccato.” Sorride, passando la lingua sui denti perfettamente dritti e splendenti.
La sua bellezza, si trova a pensare Natalie, è accecante. È un pensiero tremendamente fuori luogo, visto che la tizia con tutta probabilità vuole estrarle il cuore, ma non può fare a meno di non guardare il viso della donna che ha vicino: la pelle liscia e luminosa; i suoi lunghi capelli dorati, che cadono in onde perfette fino al suo seno, gli occhi brillanti, grandi e dalla forma allungata, di un azzurro quasi surreale, tanto che è immacolato, le folte ciglia che contornano gli occhi come la più perfetta delle cornici; le labbra rosee e piene che formano un cuore perfetto, come quelli che si disegnano sui fogli, quelli con le due gobbe perfettamente identiche. Tutto, in lei, è perfetto. Non riesce a trovare altro aggettivo per descriverla, se non questo. Non ha mai avuto a che fare con una cosa del genere.
“Cosa sei?” le domanda, curiosa. Improvvisamente, la rabbia che provava nei suoi confronti, sciama, lasciando spazio solo a quella voglia di sapere, di scoprire, di imparare – venire a conoscenza della natura della creatura che ha davanti per riuscire a riconoscerla in un futuro.
Futuro, pensandoci bene, che forse non avrà.
“Voi non credete più in me, ufficialmente. Sui libri c’è scritto che un tempo venivo venerata, ma ne parlate come se fossi estinta.”
“Sei una divinità?”
La donna si apre in un sorriso compiaciuto: “Esatto.”
“Quale?”
“Perché non provi ad indovinare?”
“Perché vuoi giocare con me, quando l’unica cosa che vuoi veramente è farmi fuori?”
L’avvenente Mandy incrocia le braccia al petto e sbuffa sonoramente, facendo alzare un ciuffo che le era caduto davanti al viso. Un filo dorato che va a riunirsi insieme agli altri.
“Perché a lui piaci,” si volta, indicando la figura alle sue spalle, e Nat riconosce Liam, “dice che sei una combattente e a lui piace chi combatte.”
“Mi ha seguita in un parcheggio e aggredita, combattere è ciò che mi hanno insegnato a fare in questi casi.”
Natalie porta la sua attenzione sull’uomo, che ha fatto qualche passo verso la bionda. Sono uno l’opposto dell’altra. Lui ha una stazza imponente, una presenza che definirebbe massiccia, anche se sicuramente ci sono altri millemila aggettivi da usare, ma – vista la situazione di imminente pericolo di morte – non le viene niente di meglio. Liam, o qualsiasi sia il suo vero nome, sembra una quercia secolare, saldo e robusto, forte e imbattibile. I suoi occhi scuri sembra abbiano visto tutti gli orrori che questo mondo ha da offrire e, ora che la luce artificiale che illumina la stanza le permette di osservarlo meglio, sembra che questi orrori abbiano lasciato su di lui il segno. Infatti, l’uomo, ha delle evidenti cicatrici sulle braccia, di vario taglio e dimensione.
Lei, invece, è totalmente diversa. La sua fisicità comunica altro, mostrando solo la bellezza di un fiore immacolato, che ha guardato solo cose belle, nella vita. È abbastanza alta, slanciata, bella da sembrare irreale. Nessun difetto vive nel suo viso, o nel suo corpo. Nessuna cicatrice ha sfiorato quella pelle candida, segno che nemmeno nessuna lama l’ha mai accarezzata. Lei, a differenza di Liam, non ha mai vissuto nessun tipo di incubo. Lei non ha mai visto gli orrori del mondo, ma, al contrario, ne è stata protetta. Esonerata dalla guerra. Una creatura delicata, nata solo ed esclusivamente per essere ammirata e tenuta al sicuro sotto ad una campana di vetro.
Le ricordano tanto…
“Ares e Afrodite.” Sussurra, piano. Potrebbe avere senso. Già una volta pensavano che Gabriele in realtà fosse Loki, perché non potrebbe valere la stessa cosa per alcune divinità greche?
La donna inizia a battere le mani, euforica: “Sei in gamba, cacciatrice.”
La dea si avvicina ancora di più a lei e Natalie, d’istinto, scalcia. La sua azione, però, viene interrotta dalle cinghie alle caviglie. Si sente come un animale in trappola, una preda in balia di un predatore a cui piace giocare con il cibo, prima di divorarlo.
“Piano, cacciatrice. È inutile agitarti. Ormai sei mia.”
“Perché lo fai??” ringhia, frustrata e spaventata. Comincia seriamente a pensare che per lei non ci sarà via d’uscita. Non fino a che rimarrà legata a questo dannatissimo tavolo. Inizia a muovere impercettibilmente i polsi per fare in modo che il cuoio ceda quel tanto che basta per far sgusciare fuori le mani
“Perché ho bisogno di rafforzarmi. Vedi, quando credevano in noi, ci offrivano sacrifici di continuo, che io apprezzavo molto. Ma poi è arrivato il cristianesimo e tutte e nuove religioni, e la gente si è dimenticata di noi. Ma siamo dei e in quanto tali, immortali. L’unica cosa che facciamo, però, è indebolirci. E un dio debole non può essere definito dio, non trovi? Così, ho deciso che mi sarei offerta dei sacrifici da sola.”
“Sei un mostro.”
“Non tanto diversa da chi mi offriva vergini, no?”
“È per questo che li hai uccisi? Perché erano vergini??”
Natalie si trova a pensare che non aveva trovato niente che accomunasse le vittime, questa potrebbe essere una ragione.
La dea, però, scoppia in una risata derisoria e irriverente: “Assolutamente no. Le vergini sono sorpassate, ormai.” Afrodite inizia a girare intorno al tavolo, così Nat smette di muovere i polsi per non essere vista. La dea, estrae da una cassetta situata vicino al tavolo un coltello dalla lama lunga e affilata. Il cuore di Natalie sale alla sua gola e il respiro accelera, frenetico.
“Devi rilassarti, altrimenti sarà peggio.”
“Cosa avevano in comune, allora??” domanda, sia perché vuole saperlo, sia per provare a guadagnare tempo.
La dea sembra meditare sul darle una risposta o meno, e poi si decide a parlare: “Erano tutti innamorati alla follia, coloro che vengono definiti pazzi d’amore. Quell’amore radicato nel cuore che li rimane fino alla fine dei giorni. Sai, la gente, in Grecia, credeva erroneamente che preferissi le vergini perché erano pure, ma cosa può sapere dell’amore, qualcuno che l’amore non l’ha mai fatto?
Hai idea di quanto sia potente il sentimento, se scegli di concederti a qualcuno non solo spiritualmente, ma anche carnalmente? Devi scegliere di donarti a qualcuno, di diventare tutt’uno con lui o con lei, e solo l’amore più puro e radicato ti spinge ad un gesto simile. Ma tu lo sai bene, non è vero? Il tuo cuore trabocca d’amore. Tu sei perfetta, per me. Dentro di te vivono così tanti sentimenti, che rendono il tuo cuore così forte, che potresti essere il mio ultimo sacrificio, per questo periodo, e riuscirei a raggiungere il pieno delle mie forze.”
“Ne sono lusingata!” il sarcasmo nella voce di Natalie non piace per niente alla dea, che si avvicina pericolosamente brandendo la lama del lucido coltello affilato.
“Non usare questo tono con me, non mi piace.”
“Afrodite..” interviene Ares, la voce esce roca, probabilmente per aver passato troppo tempo in silenzio. I suoi occhi neri incrociano quelli della dea e, ancora una volta, Natalie si trova a pensare che nel loro essere l’uno l’opposto dell’altra, vadano a completarsi, “..basta giocare con lei, falla finita una volta per tutte.”
Afrodite si volta verso il dio della guerra: “Lei ti piace sul serio.” Deduce, riducendo gli occhi a due fessure. “Non vuoi vederla soffrire.”
Ares non abbassa gli occhi, ma il suo sguardo viene attraversato da un lampo di colpevolezza, come un bambino che viene rimproverato dopo essere stato colto in flagrante dalla mamma.
“Non posso crederci!” sbotta isterica, “devo essere gelosa di una misera mortale?”
“Smettila di fare così, voglio solo che tu la smetta di torturarla. È tua. Poni fine alla sua agonia.”
“No. Devo eseguire il rito. E il rito richiede tempo.” La dea si avvicina a Natalie, aprendole la camicia con un gesto secco e deciso. I bottoni saltano per tutta la stanza e Nat si ritrova mezza nuda, con la pelle coperta di brividi.
Afrodite rimane a guardare il corpo scoperto di Natalie, passando i suoi meravigliosi e scintillanti occhi sopra la lunga cicatrice che percorre la cacciatrice. Poi, fa una smorfia che Nat non riesce ad interpretare.
“È per questo che ti piace, non è vero? Riesci a percepire tutto ciò che ha vissuto e pensi che sia come te?”
Ares, al fianco della dea, passa l’indice sulla superficie della cicatrice. Natalie inarca la schiena, cercando di ribellarsi a quella carezza, ma il dio non si cura della sua reazione e continua a toccarla, continua a guardare i segni sul corpo di Natalie come se fossero dei trofei.
“Lei è come me. Ha visto cose che gli altri non riescono nemmeno ad immaginare, ma nonostante tutto, è ancora al mondo. Fiera e senza paura.” Afferma, passando il dito sui segni dei cinque artigli che circondano il cuore della cacciatrice.
Natalie vorrebbe sottolineare che quel senza paura è piuttosto discutibile. Soprattutto adesso, che vede la morte più imminente che mai. Soprattutto adesso, che non è riuscita ad estrarre nemmeno una delle mani dalla cinghia di cuoio.
“Rimarrà al mondo ancora per poco.”
Afrodite inizia a tracciare i segni sul costato della ragazza e, non appena la lama entra in contatto con la pelle di Natalie, la ragazza si trova ad urlare. Sente la pelle bruciare e il sangue colare. Tutto ciò la riporta indietro di anni, a quando al posto di Afrodite c’era Zaccaria. Una lacrima scappa silenziosa e calda dal suo occhio destro. Ares la raccoglie, passandole la mano calda e callosa sul viso. Non sa perché, ma Nat si trova a cercare gli occhi di quell’uomo che ha contribuito alla sua cattura e quando i loro sguardi si intrecciano, sembra che il dio sia davvero dispiaciuto per la sua morte imminente.
“Silenzio, silenzio. Abbiamo finito.” Sorride Afrodite, famelica. Afferra dalla cassettina degli attrezzi un bisturi e lo alza, mostrandolo a Nat.
La cacciatrice, vede la sua fine più vicina che mai. La paura inizia a impossessarsi di lei in maniera violenta; la consapevolezza che il suo tempo sta per finire è così concreta che le fa mancare il respiro. Ha paura di morire. Una paura così tangibile che riuscirebbe persino a darle una forma, se il suo cervello riuscisse a lavorare normalmente.
C’è chi dice che quando stiamo per morire, vediamo tutta la nostra vita che ci passa davanti. Nat, in questo momento, vede solo dei visi. I visi di chi ama e di chi ha amato e adesso non c’è più, e si trova a pensare che se davvero dovesse lasciare questo mondo, andrebbe in un posto dove ci sono i suoi genitori, e finalmente potrebbe conoscerli; andrebbe a stare con Jo ed Ellen e Ash.
Forse, la morte non è che l’inizio di una nuova vita. E allora, con questo pensiero in testa, la sua paura sciama, lasciando posto ad una tranquillità quasi irreale, ad un’accettazione pacifica. La sua ora è giunta. Probabilmente, appena la lama le trapasserà il petto e la dea estrarrà il suo cuore, vedrà Morte apparire nel suo completo nero che, solenne come solo un’entità del suo calibro sa essere, l’accompagnerà dall’altra parte.
È pronta.
Chiude gli occhi.
Torna a sentire le onde infrangersi sugli scogli e nella sua testa compare la Nascita di Venere di Botticelli, dove la dea, nuda e con un senso di pudore che la porta a coprirsi con un braccio e con i lunghi capelli, viene spinta su una conchiglia dal mare verso la terra, spinta da Zefiro, vento fecondatore, e accolta da una donna – di cui non ricorda l’identità – che ha tutta l’intenzione di coprire la dea con un panno rosso.
Non è poi così strano che si trovino vicino al mare, dopotutto.
“Guardami.” Intima Afrodite, e Nat obbedisce.
Obbedisce perché deve farlo, perché vuole farlo. Vuole affrontare l’ultima prova della sua vita a testa alta: guardare la morte in faccia senza avere paura, senza temerla, senza nascondersi. Non se ne andrà da questo mondo con gli occhi chiusi, se ne andrà guardando in faccia chi è stato abbastanza furbo e forte da sconfiggerla – lei, che nella sua vita può contare innumerevoli vittorie. E può dire di essere anche abbastanza orgogliosa del modo in cui sta lasciando questo mondo: l’unica che sia mai riuscita a batterla è una divinità, non qualcuno di comune.
“Fallo.” Ringhia, con voce ferma e priva di paura.
I suoi occhi fissi su quelli della dea. Non abbassa lo sguardo perché non ha paura. Ne di lei, ne di quello che l’aspetta. Non più.
“Fallo.” Ripete, decisa, e Afrodite la asseconda, incide il suo petto con un movimento deciso e minuzioso che fa si che nella gola di Natalie si formi un lamento che, però, lì rimane intrappolato.
Sente la ama che affonda nella sua carne e va a formare una riga che si allunga sempre di più. Il bruciore è così forte che a Natalie tornano le lacrime agli occhi. Le caccia indietro, evitando che scendano di nuovo sul suo viso. Osserva il viso concentrato della dea e si morde il labbro per controllare il dolore e la voglia di urlare.
Presto sarà tutto finito, si trova a pensare.
Sarà come addormentarsi, non te ne accorgerai neanche.
Si aspetta di percepire le mani della dea dentro il suo petto da un momento all’altro, quando, invece, con sua grande sorpresa, la cosa che percepisce è una voce, una terza, diversa da quella di Afrodite e Ares, ma così familiare che non ha bisogno di guardare per sapere a chi appartiene.
“Toglile le mani di dosso, o giuro che ti ammazzo.”
Dean.
Dean, che tiene la sua pistola puntata su Afrodite.
Dean, che sta in mezzo a Sam e a Bobby, entrambi armati.
Dean, che ha un fuoco tale nello sguardo che sembra possa uccidere due divinità solo con il pensiero.
Dean, che è lì per lei, per salvarla.
Dean, che le fa tornare la voglia di vivere, che fa si che quella sensazione di accettazione sparisca e risvegli, invece, quella di lottare per la propria vita.
Dean, che non ha contato Ares.
Ares, dio inarrestabile noto per la sua furia in battaglia, che si scaglia proprio su Dean come un toro alla carica. L’unica cosa che riesce ad elaborare, per un lasso di tempo che non riesce a calcolare, è il colpo sordo dei pugni di Ares che si scagliano contro Dean, che reagisce come un leone che cerca di lottare contro un titano.
“Ares, smettila. Subito.” L’ordine di Afrodite è così perentorio che il dio della guerra obbedisce senza battere ciglio. A Natalie sembra di guardare il soldato perfetto, dotato di straordinarie capacità in battaglia e una spiccata capacità di eseguire ordini.
“Vuoi lei, non è vero?” Afrodite si rivolge direttamente a Dean. Non presta più attenzione a Natalie, non degna Sam o Bobby di uno sguardo, come se la loro presenza non la preoccupasse minimamente.
Si dirige verso il cacciatore con passo sicuro e deciso. Incatena i suoi occhi in quelli di Dean, prima di parlare: “Sei disposto a fare qualsiasi cosa per la donna legata a quel tavolo, non è vero?”
Dean lancia un’occhiata a Natalie, soffermandosi troppo a lungo sul sangue che le vede colare dal petto.
“Si.”
“Fammi un esempio.”
Gli occhi di Dean, saettanti di rabbia e odio, tornano sulla dea, colmi di disprezzo nei suoi confronti.
“Morirei, per lei. Ucciderei, per lei. Rovescerei il mondo intero, per lei. Abbatterei il Paradiso, L’Inferno, qualsiasi cosa, per lei. Bombarderei l’universo, per lei. Ti è abbastanza chiaro il concetto, o devo andare avanti?”
Afrodite sorride, di nuovo con quel suo sorriso da predatore famelico a cui piace giocare.
“No, non è necessario.”
Si avvicina a Dean così tanto che l’uomo riesce a percepire il respiro della donna su di se.
“La parte che mi è piaciuta di più è quella in cui dici che moriresti per lei. Dimostramelo,” gli passa il coltello con cui poco prima aveva inciso Natalie, “ucciditi. Poni fine alla tua vita e io la lascerò libera.”
Natalie inizia ad agitarsi legata al tavolo. Sam e Bobby fanno per avvicinarsi, ma Ares sbarra loro il passaggio.
“Dean!” grida la ragazza, ancora legata al tavolo, “Dean non lo fare, ti prego!”
“Va tutto bene, Nat.” La rassicura il cacciatore, “questo sarà un vero sacrificio e lei smetterà di uccidere per un bel po’. E tu sarai salva.”
Natalie inizia a scalciare, con ancora quelle dannate cinghie che le impediscono i movimenti. I suoi talloni picchiano contro il metallo, tutto il suo corpo in preda al panico, si muove come se stesse avendo un attacco epilettico. La paura che Dean possa effettivamente uccidersi per salvarla si fa strada dentro di lei, così violenta da non riuscire nemmeno a gestirla, da non riuscire a tenerla a bada. Non sopporta l’idea di perderlo, non di nuovo, non probabilmente per sempre – perché sa che se Dean questa volta dovesse morire, non ci sarà nessuno a riportarlo indietro e lei dovrà continuare a vivere senza di lui, senza la sua presenza, senza la metà del suo essere, senza il suo cuore. Perché è questo che rappresenta Dean, per lei.
No, non può accettare che muoia per salvarla.
“Prendi me! PRENDI ME!” urla, disperata; la gola che le brucia: “Prendi me, hai già cominciato il rito.”
La dea sorride compiaciuta.
“È questo il tipo di amore che preferisco. Morireste uno per l’altra senza pensarci due volte. È una cosa così rara da trovare oggigiorno. Vi ammiro, ragazzi. Ma cuori come i vostri mi servono, capite? Sono preziosi e carichi di energia, quindi.. vi ucciderò entrambi.” A quelle parole, Afrodite scatta in avanti verso Dean, afferrandolo per la gola e sollevandolo. L’uomo reagisce calciando la dea dritta in petto. Afrodite barcolla all’indietro.
Dean, con la coda dell’occhio, guarda Sam mentre tiene occupato Ares. Il dio sta usando suo fratello come sacco da boxe. Mentre Bobby, fuori dall’attenzione delle divinità, prepara l’arma necessaria ad uccidere la dea.
Afrodite riprende l’equilibrio e si getta su di lui, ma questa volta Dean è preparato rispetto alla prima volta, quindi la schiva, facendola finire contro il muro dietro di lui. Con un movimento rapido, Dean costringe la dea al muro, tenendola bloccata per le braccia. Il viso della donna schiacciato alla parete con forza. Se non fosse una divinità, probabilmente Dean avrebbe già dato sfogo alla sua voglia di fracassarle la testa al muro, solo perché ha ferito Natalie di proposito, solo perché voleva usarla come vittima sacrificale.
“Per quanto questo possa farmi male, non mi ucciderà cacciatore, lo sai, vero?”
“Certo che lo so, stronza!” le ringhia Dean all’orecchio prima di farla girare verso Bobby che, con un movimento deciso, le conficca un palo di legno proprio dentro al cuore.
Afrodite lancia un grido talmente acuto che sembra che le pareti tremino; le acque del mare, già agitate, infuriano sempre di più, andandosi ad innalzare spropositamente e picchiando contro gli scogli con una violenza inaudita. La violenza della Natura, che si arrabbia per aver perso qualcosa di prezioso e perfetto come solo la dea dell’amore può essere.
La dea si accascia, rannicchiandosi su se stessa.
In quell’esatto momento, Ares lascia perdere Sam e corre da lei, dalla sua amata.
La guarda mentre la vita si spegne in lei, rimane impotente a guardare l’amore della sua vita che lo abbandona per sempre e, quando Afrodite chiude gli occhi per l’eternità, il dio della guerra sente tutta la potenza della sua indole salirgli alla gola e andare a formare un groppo violento alimentato da un profondo desiderio di vendetta. E, se prima che tutto questo accadesse, poteva provare anche un briciolo di simpatia – addirittura compassione – per Natalie e la sua sorte, adesso l’unica cosa che vuole è fare in modo che la donna muoia per mano sua, affinché il misero essere umano che ha osato privare lui, un dio, dell’amore della sua intera esistenza, soffra le pene che adesso stanno tormentando il cuore di Ares.
Osserva Dean, già pronto al combattimento, e osserva Sam e Bobby che si sono già diretti verso Natalie per liberarla.
Lascia stare il cacciatore e si dirige verso il tavolo, scagliando entrambi i cacciatori ai lati opposti della stanza; la sua furia e forza sono libere e quei miseri mortali non possono competere con lui, non ora che la sua indole non viene tenuta a freno, ma che, al contrario, viene privata delle redini – redini che solo Afrodite sapeva tenere a bada.
Afferra Natalie per la gola e la solleva con una violenza tale che le cinghie che le tenevano legati polsi e caviglie si spezzano come se fossero fuscelli.
“No, non farle del male!” Grida Dean, avvicinandosi al dio.
Ma Ares non prova pietà; Ares è vendicativo, violento e malvagio; Ares è sanguinolento, spietato e crudele. Lo sanno tutti. L’hanno sempre visto tutti così. L’unica che vedeva del bene in lui, l’unica che riusciva a vedere altro in lui, era la donna che adesso giace priva di vita sul pavimento. E se lei non c’è, non ha più senso cercare di essere migliore.
“Tu hai ucciso l’amore della mia vita. Io ucciderò il tuo.” Non ci pensa due volte, stringe il collo di Natalie e, mentre Dean corre verso di lui di lui per impedire che possa portare a termine la sua opera, estrae dalla sua tasca una pistola e spara contro l’addome della cacciatrice, con tutta l’intenzione di provocarle una morte lenta, dolorosa e terribilmente certa: non c’è niente che possa salvare un essere umano da un foro allo stomaco.
Quando Dean riesce finalmente a braccarlo e a scaraventarlo a terra, il danno ormai è fatto. Lo sparo rimbomba tra le pareti ed esce dalle finestre per andare a disperdersi nel mare. Dean si alza da terra, abbandonando il dio alla sorte che gli riserveranno Sam e Bobby, che dopo lo schianto provocato da Ares hanno riacquistato le forze, e si fionda su Natalie, che è a terra e si preme le mani sullo stomaco; il sangue esce dalla sua pancia, le sporca le mani e arriva fino al pavimento.
“No, no, no, no.”
Dean l’afferra e la tira a se.
“Non te ne devi andare. Non puoi lasciarmi in questo mondo da solo. Non posso farcela senza di te, ricordi?” le passa una mano tra i capelli per liberarle il viso dalle ciocche che le si sono appiccicate alle guance.
Natalie gli sorride, debolmente, cercando di rassicurarlo.
“Va bene così, Dean. Ce la farai anche senza di me.” Sussurra debolmente.
Gli occhi del cacciatore si riempiono di lacrime: “Non voglio farcela senza di te, voglio averti qui. Averti con me, per sempre.”
La guarda mentre percepisce la vita che l’abbandona, osserva i suoi grandi occhi spegnersi e il suo sorriso morire con lei. E l’unica cosa che riesce a pensare è che se lei muore, muore anche lui.
L’unica cosa che gli passa per la mente è che vivere senza di lei, non è vivere. È esistere passivamente in attesa che la sua vita giunga al termine, e allora tanto vale suicidarsi e porre fine alla triste esistenza che gli spetta senza di lei.
“Non mi lasciare, Nat.” Sussurra, mentre si china su di lei per sentila più vicina. “Ti prego.”  La stringe forte a se, il viso nascosto nell’incavo del suo collo e le lacrime che scendono senza sosta, copiose e incontrollabili.
Ma la sua preghiera è inutile, perché Natalie ha già chiuso gli occhi; Nat non lo sente più e se ne sta andando, per sempre.

“Castiel.” Dean sente la voce di Sam in lontananza. “Chiama Castiel!” gli grida, e adesso lo percepisce forte e chiaro.
Ma non serve che Dean pronunci il nome dell’amico, perché l’angelo appare nel momento esatto in cui Natalie sente le forze abbandonarla definitivamente.


                                                                                                   ***

Natalie non ha mai riflettuto su come potesse essere il Paradiso, anche perché non si è mai posta la domanda fatidica: Dove finirò quando morirò?
Ma quando vede la casa di Bobby, capisce che molto probabilmente, alla fine, il Paradiso se l’è meritato.
Involontariamente, pensa alla conversazione che ha avuto con Castiel qualche anno fa, appena dopo l’incidente. L’angelo era andata a trovarla in ospedale – era così impacciato, ma manteneva ancora la sua andatura dal soldato – e non appena entrato nella sua stanza, Natalie l’aveva invitato ad avvicinarsi a lei. Cas era rimasto ai piedi del letto, con le braccia lungo i fianchi, rigido come una statua di gesso. Era in evidente imbarazzo, ma la voglia di starle vicino in un momento simile, aveva fatto si che si sforzasse a fare qualcosa che per gli umani è tremendamente normale, ma per gli angeli è tremendamente strano: andare a trovare qualcuno di caro all’ospedale.  
Cas, non devi stare lì impalato, avvicinati.
Castiel aveva ubbidito e si era messo al fianco del suo letto, sempre in piedi con la sua postura rigida. Nat aveva accennato un sorriso sincero.
Siediti, rilassati, non.. non sentirti a disagio.
L’angelo aveva corrugato la fronte e l’aveva guardata con espressione interrogatoria: Come fai a sapere che sono a disagio?
La tua postura, Cas. Sei rigido come una statua.

Castiel aveva abbassato i suoi profondi occhi blu sulle sue mani: Scusa. Non… non so come ci si comporta, in queste occasioni.
Natalie si era messa a sedere, aveva appoggiato la schiena all’enorme guanciale che le era stato dato per dormire, e aveva fatto spazio a Castiel in fondo al letto, incrociando le gambe per fare in modo che l’angelo avesse spazio a sufficienza per sedersi comodamente.
Cas, senza abbandonare il suo imbarazzo, si era seduto esattamente dove Nat gli aveva indicato.
Mi dispiace per quello che è successo, Natalie. Potrei.. potrei sistemare la ferita, se tu volessi.
A Natalie erano venute le lacrime agli occhi, ma aveva scosso la testa.
No.. non- non ti preoccupare, Cas. Qualcuno ha tentato di uccidermi e sono sopravvissuta, è questo che rappresenta, questa ferita, e voglio che rimanga esattamente dov’è, va bene così – Castiel aveva nuovamente abbassato lo sguardo, sapendo benissimo che niente andava bene, e Nat si era sporta verso di lui, mettendogli una mano sotto al mento per far incrociare i loro sguardi: Va tutto bene, intesi?
Tu e Dean dite sempre che va tutto bene quando invece siete a pezzi. Perché lo fate?
 La guardava con intensità, con una sincera curiosità. Castiel voleva capire come mai gli esseri umani ragionano in questo modo, come mai dicono che tutto va bene anche quando non è vero.
Nat aveva abbassato lo sguardo, incapace di reggere ancora quello dell’angelo e aveva cambiato discorso.
Raccontami qualcosa. – Gli aveva chiesto, con un groppo alla gola e gli occhi lucidi, forzando un sorriso. Si era appoggiata nuovamente al cuscino e, in quel gesto, Castiel aveva riconosciuto lo stesso comportamento di Dean quando vuole evitare un argomento che lo fa particolarmente soffrire, quindi aveva deciso di assecondarla: Ad esempio?
Non lo so, quello che vuoi… Parlami… parlami del Paradiso. Com’è per gli umani?

Castiel si era sistemato meglio sul letto, tanto che sembrava – sembrava – quasi rilassato.
Non esiste un Paradiso solo, per gli umani. Ogni umano ha il suo Paradiso e spesso e volentieri è rappresentato da un luogo in cui in vita sono stati bene, si sono sentiti a casa, felici e sereni. Esistono tanti Paradisi fatti su misura per tutti gli umani che salgono in Cielo.

Per questo, quando si trova in casa Singer, pensa di trovarsi in Paradiso, perché è in quella casa, in quelle quattro mura, che lei ha trovato la felicità, il più delle volte nella sua vita.
Cammina per le stanze che conosce meglio delle sue tasche, fino a quando non arriva in cucina e rimane perplessa da ciò che le si para davanti agli occhi:
Natalie sta guardando se stessa a cinque anni, seduta al tavolo con le gambe a penzoloni e i piedi nudi. Ha addosso un vestitino azzurro, decorato con delle piccole margherite. Bobby, dietro di lei, è ai fornelli e sta preparando da mangiare. Sente nell’aria il profumo del ragù improvvisato e leggermente bruciacchiato.

“Zio Bobby, di che colore sono le zampe delle galline: gialle o arancioni?”
Bobby si volta verso di lei e la raggiunge. Tiene gli occhi bassi sull’album da colorare con cui Natalie sta occupando il suo tempo.
“Penso siano gialle, tesoro. Ma se preferisci farle arancioni, nessuno troverà nulla da dire!”
“Nemmeno le galline?”
Bobby ride e le liscia i capelli: “No, bimba, nemmeno le galline!”
L’uomo torna ai fornelli e Natalie continua a colorare le zampe della gallina – di arancione, ovviamente. I suoi capelli sono tirati indietro da un fermaglio rosa, la sua mano destra intenta a colorare perfettamente dentro ai bordi e gli occhi fissi e concentrati sul disegno.
“Zio Bobby,” Natalie chiama nuovamente il cacciatore, “che ore sono?”


Natalie ricorda quel giorno.
15 Aprile 1988, il suo compleanno. Il suo quinto compleanno.
Ricorda che Bobby le aveva comprato quel vestitino in una bancarella in città perché le era piaciuto tantissimo. Avevano invitato Dean e Sam perché trascorressero la giornata tutti insieme.

“L’una e mezza, cara.”
“Sono in ritardo.”
“Hanno avuto un contrattempo, ma arriveranno.” L’uomo continua a mescolare il sugo con un mestolo di legno, cercando di evitare in tutti i modi che non si bruci irreparabilmente.
“Sei sicuro?”


Bobby non fa in tempo a rispondere a quella domanda che la porta d’ingresso si apre. Natalie va a controllare, trovandosi faccia a faccia con Dean, che ha nove anni e Sam che ne ha cinque – o quasi, visto che compie gli anni a maggio e in questo ricordo siamo ad aprile.

Alle loro spalle, John sale in macchina e lascia la proprietà di Bobby.
Natalie corre verso Sam e Dean. I suoi piedi scalzi zampettano per tutto il tragitto dalla cucina all’entrata e poi abbraccia Sam, che ricambia.
Dean, invece,  le mette una mano sulla testa e le scompiglia tutti i capelli, spettinandola e facendo scivolare il fermaglio che poco prima era sistemato perfettamente.
“Buon compleanno, nanetta!”
Natalie si apre in un sorriso sdentato: “Grazie, Dean.”
Sam, al fianco di suo fratello, le porge un piccolo pacchettino, fatto con la carta di giornale, ornato da un nastro rosso che va a formare un fiocco storto.
“Non era necessario, ragazzi.” La voce di Bobby attira l’attenzione dei bambini, che si voltano a guardarlo.
“Si, invece” dice Sam, con ancora le braccia tese verso Natalie. Bobby fa cenno alla bimba di prendere il regalo.
“Grazie” dice la piccola, rivolto ad entrambi i fratelli.
“Dai, aprilo,” dice Dean, “guarda se ti piace. In quel caso l’ho scelto io. Se ti fa schifo, l’ha scelto Sammy e quindi è tutta colpa sua!”
Natalie ridacchia mentre le sue mani sono intente ad aprire il pacchettino. Bobby, notando che la cosa le causa qualche difficoltà, si china alla sua altezza e l’aiuta nella piccola impresa.
Quando anche l’ultimo pezzo di carta è stato tolto di mezzo, Natalie lancia un gridolino euforico alla vista di quel piccolo peluche contenuto nel pacchetto: un panda, morbido e soffice. Il suo animale preferito.
“È bellissimissimo!”
Saltella per la stanza stringendo il panda al petto, euforica. Al terzo giro, si avvicina ad entrambi i fratelli e li abbraccia uno alla volta.
“Adesso, è arrivata l’ora di mangiare.”

Natalie guarda se stessa e i fratelli seguire Bobby e sparire in cucina.

Poi, lo scenario cambia:

Natalie si trova in una stanza di un motel, non diversa da quelle in cui ha passato tutta la sua esistenza. È piccola, con le pareti coperte da carta da parati piena di strappi, il letto ha una coperta blu scura alquanto sporca e le federe dei cuscini sono così sudice che hanno i bordi grigiastri.
Ricorda quel motel e involontariamente, sorride.
Cammina per la stanza, facendo attenzione a non fare rumore, come se potesse davvero farlo. Lei sta vivendo cose che ha già vissuto, non può essere percepita.
Passa lo sguardo sul portatile acceso sul tavolo, la batteria quasi scarica. Osserva il borsone pieno di vestiti aperto e abbandonato ai piedi del letto.
30 Aprile 2001.
Natalie era uscita di fretta, aveva scoperto come risolvere il caso e, afferrata la borsa con le armi, si era precipitata fuori dalla porta per salire in macchina e andare a fronteggiare un mutaforma. Ricorda benissimo come fosse riuscita a scovarlo e come era riuscita a fronteggiarlo. Era la prima volta in assoluto che Bobby la lasciava cacciare da sola, dopo l’incidente con il lupo mannaro avvenuto l’anno prima.
Era riuscita a sconfiggere la creatura con le sue forze – non senza riportare delle ferite piuttosto toste, ma niente di irrimediabile, per fortuna.
Ricorda come, nel tragitto per tornare al pulcioso motel, una macchina l’avesse pedinata. Superato lo spavento iniziale, le ci era voluto pochissimo per riconoscere l’auto: un’impala nera del ’67.
In quel preciso momento, ancora assolta nei suoi pensieri, Natalie viene destata da una porta che sbatte abbastanza violentemente.

“Non posso crederci! Bobby ti ha mandata a pedinarmi!”
Natalie osserva una se stessa diciottenne entrare nella stanza furiosa come un uragano, seguita da Dean, allora ventiduenne.
“No, Nat. Non mi ha mandata a pedinarti!”
“Allora che ci fai qui? Mi credi stupida??”
Dean si passa una mano tra i capelli corti: “No, non ti credo una stupida.”
Natalie incrocia le braccia al petto e guarda Dean con un’espressione severa in viso: “Spiegami la tua presenza qui.”

La cacciatrice si trova a sorridere, perché ricorda benissimo cos’è successo, quella sera, che rientra sicuramente tra le sue serate preferite in compagnia di Dean.
Dean fa avanti e indietro, percorrendo lo stesso tratto di stanza, nervoso. Continua a passarsi la mano tra i capelli, cercando di riordinare le idee: “È possibile che fossi passato da casa Singer per venirti a trovare e, quando Bobby mi ha detto che eri a caccia, io abbia provato l’impulso di venire a controllare se stessi bene.” 
La guarda con un sorrisetto stampato in viso, quello tipico di chi sa di aver fatto qualcosa che fa innervosire l’altro, ma che cerca comunque di addolcire la pillola e moderare i danni.
“Quindi non mi credi stupida, ma mi credi un’incapace? Pensi che, perché sono una ragazza, io abbia bisogno di un babysitter? Cristo santissimo, sono un’adulta, ormai!”
“Andiamo, Nat. Non è necessario far uscire la femminista che è in te, non volevo trasformare la cosa in una delle tue battaglie per la parità sessuale!”
Natalie assottiglia lo sguardo e in quel preciso istante, Dean si rende conto di aver peggiorato la situazione, così si affretta a rimediare – almeno ci prova.
Il giovane cacciatore alza le mani in segno di resa: “Non guardarmi  così, non prenderla male, dai. Intendevo solo che ero preoccupato.”
Dean si avvicina a lei, con quel sorrisetto furbo e vispo stampato in viso, quello che Nat gli aveva sempre visto rivolgere alle altre ragazze quando voleva fare colpo –  e che le aveva sempre fatto provare una punta di gelosia, se deve essere onesta.
Le è così vicino che riesce a sentire il suo respiro; è così vicino che Natalie deve tenere il viso sollevato per riuscire a guardarlo negli occhi.
“Da quando ti preoccupi per me?”
Dean le scosta una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro all’orecchio, e il cuore della ragazza prende ad accelerare come impazzito. È la prima volta che fa una cosa simile, è la prima volta che la guarda in quel modo così… tenero. Lo stomaco di Natalie si riempie di così tante farfalle che la rabbia svanisce del tutto.
“Da sempre, nanetta.”
Ancora quel sorriso.
Natalie si trova a deglutire, mentre Dean continua a guardarla negli occhi.

Da quando era cotta di lui, dobbiamo chiederci?
Da parecchio.
Da quando, dopo la Louisiana, lui si era avvicinato molto di più a lei e cercava di passare sempre più tempo a casa Singer – talvolta arrivando anche da solo – e aiutandoli con i casi.
Lei, lavorando a stretto contatto con lui, si era resa conto che non lo vedeva più come Dean il suo fratello maggiore, ma come Dean la possibile cotta storica.
Chi l’avrebbe mai detto che aveva dannatamente ragione e si sarebbe perdutamente innamorata di lui?
“Cosa eri venuto a fare a casa?”
Natalie si trova a complimentarsi mentalmente con la se diciottenne per la capacità di mantenere il controllo.
Dean aggrotta le sopracciglia, come colto da un ricordo improvviso: “Giusto, si,” sembra che anche lui debba concentrarsi per mantenere una sorta di controllo, “ero venuto a portarti una cosa!”
Il giovane inizia a frugare dentro ad una tasca interna del suo giubbotto di pelle, fino a quando non estrae un piccolo pacchettino e glielo porge.
“Mi sono perso il compleanno ufficiale, ma non vuol dire che mi sono dimenticato che avessi compiuto gli anni.”

Era vero, Dean non aveva potuto essere presente alla festa dei suoi diciotto anni perché John aveva bisogno di lui. 
Quell’anno, Sam era andato a Stanford e John chiedeva a Dean di rimanere accanto a lui più di quanto facesse di solito. Così, aveva festeggiato con Bobby, Ellen, Jo e May – che era venuta dalla Louisiana perché non si sarebbe mai persa il compleanno della sua piccola. Era stata bene, ma aveva sentito terribilmente la mancanza di entrambi.
Ricorda che Sam l’aveva chiamata la sera verso le undici e avevano parlato fino all’una passata. Era stato un bel momento, perché la sua lontananza la faceva stare più male di quanto ammettesse ad alta voce e sentirlo l’aveva resa felice.
“Non avresti dovuto.”
“Si invece. Mi è dispiaciuto terribilmente non esserci.” Ammette, sinceramente dispiaciuto.
Natalie gli sorride: “Rimedierai l’anno prossimo.”
Dean ricambia, allargandosi a sua volta in un sorriso luminoso: “Puoi contarci. Ora, aprilo.”

Quell’anno non c’era Sam, insieme a loro, per poter fare la solita battuta che piaceva fare a Dean, e che era diventata una specie di rito; quella secondo cui, se il regalo le piaceva, era merito di Dean perché l’aveva scelto lui, altrimenti, era tutta colpa di Sam.
Entrambi avevano sentito la mancanza di quella frase, ma nessuno dei due aveva proferito parola a riguardo, perché sarebbe stato come rivangare l’assenza di Sam e a nessuno dei due andava di farlo.
Natalie si concentra sul suo pacchettino, accuratamente avvolto in una carta argentata e ornato di un fiocco blu. Lo apre interamente, trovando al suo interno un ciondolo: un pentacolo argentato con al centro della stella una piccola ambra.
Se lo rigira tra le mani, osservandolo e sorridendo.
“Ti piace?” la voce di Dean è insicura, ma colma di speranza.
“Scherzi? Lo adoro!” Natalie passa il ciondolo a Dean, si volta, dandogli la schiena, e solleva i lunghi capelli. Dean fa passare la collana davanti al suo viso e chiude il gancetto dietro al collo.
“Mi ha aiutato May a farlo. Volevo qualcosa di speciale, ma non ho la manualità, come ben sai. May era felicissima di darmi una mano! Ha fuso l’argento e fatto la stella dentro al cerchio, io ho comprato la catenella e le ho chiesto se aveva dell’ambra da aggiungerci, perché so che ti piace.”
Natalie passa la mano sopra alla pietra e alza gli occhi su Dean
– Natalie adulta nota solo adesso quanto il suo sguardo fosse languido, mentre guardava Dean. Era davvero così palese che le piacesse?
“Ah si? Sai che mi piace?”
“Certo. So più cose di te di quanto tu possa immaginare, Natalie Duvall.” I suoi occhi tornano a cercare quelli di Nat e li rimangono, inchiodati dentro al grigio della ragazza.
Si avvicina di nuovo a lei, come un attimo prima, facendo in modo che i loro visi siano terribilmente vicini. Inizia a giocare con una ciocca dei suoi capelli lasciati sciolti sulle spalle.
“So che ti piacciono i panda, adori i cani e ne vorresti uno. Ami la musica, di ogni genere, ma prediligi il rock e, se dobbiamo approfondire questo argomento, apprezzi i Metallica, ma preferisci gli AC/DC. Il tuo colore preferito è il rosso, ma apprezzi molto il nero – che abbini ad ogni cosa possibile ed immaginabile – il blu e il viola che, però, indossi raramente. Ami il mare, ma hai paura di spingerti troppo al largo perché temi che un Kraken possa decidere che, essendosi stufato delle navi, gli umani possano essere meglio. Odi con tutta te stessa i ragni, detesti quelle bestie e ti terrorizzano – anche se non capisco il perché. Non ti piace passare sopra ai ponti perché 1) li trovi pericolanti; 2) l’altezza in generale ti spaventa. Ti piace mangiare gli spicchi di limone, il giallo della buccia e il loro profumo ti mettono allegria; odi i kiwi perché dici che la loro peluria ti fa senso e il loro sapore ti fa addormentare la lingua; so che canti sotto alla doccia, sbagliando le parole, ma è così che ti piace cantare.” Dean non lascia mai il suo viso, mentre parla, continuando a giocare con i suoi capelli. Poi accenna un sorriso: “Posso continuare all’infinito, Nat.”
La giovane non sa come reagire, essendo troppo intenta a tenere a bada il suo cuore che ha iniziato a battere così forte che adesso riesce a sentirlo in tutto il corpo. Batte forte e violento contro la cassa toracica per far sentire la sua presenza, o semplicemente per farle capire, senza ombra di dubbio, l’effetto che Dean ha su di lei.
“N-non serve.” Sorride, timida. “N-non pensavo prestassi così tanta attenzione a me.” Abbassa gli occhi, mordendosi il labbro, imbarazzata.
Dean porta una mano sotto al suo mento e fa in modo che i loro sguardi si incrocino di nuovo: “Ho sempre prestato tanta attenzione a te, solo che negli ultimi tempi il mio modo di guardarti è cambiato.”
“Da quando?” Natalie si trova a guardare intensamente gli occhi di Dean, di quel verde così brillante che anche provando a descriverlo nel modo più attento possibile, il risultato sarebbe comunque banale, rispetto alla loro essenza perfetta. Gli occhi di Dean non sono fatti per essere descritti, sono fatti per essere guardati e per perdercisi dentro.
“Da quando Jacob McAdams ti ha portata via da me. Ogni volta che entravo a casa tua e tu non c’eri, sentivo la tua mancanza in un modo che mi ha fatto riflettere, e sono arrivato alla conclusione che forse non ti vedo più come la mia sorellina.”
Nat sfiora la mano con cui Dean sta giocando con i suoi capelli, così il ragazzo fa intrecciare le loro dita. La giovane cacciatrice sorride, timida.
“Per questo trovavi ogni scusa per venire a casa nostra?”
“Si, volevo assicurarmi non ci fossero altri Jacob che ti ronzassero intorno. Monitoravo la situazione.” Dean alza un angolo della bocca.
“E perché me lo dici adesso?”
“Perché mi hai sempre dato l’impressione di non mettermi sotto a quella luce e non volevo espormi.” Confessa, alzando una spalla.
“Quindi mentre ti assicuravi che non ci fossero altri Jacob, tu andavi con ogni ragazza che incrociava il tuo cammino solo perché non eri sicuro che ricambiassi?”
“Non ti ho mai impedito di avere altre relazioni.” Dean le accarezza il dorso della mano con il pollice.
“Hai ragione. Ero io che non le volevo.”
“E non volevi perché….?” Le sorride, furbo.
“Lo sai perché!” Natalie gli punta l’indice della mano libera al petto.
“Voglio sentirtelo dire.” 
Dean scioglie la stretta e le afferra il viso tra le mani, sfiorando con i pollici le sue labbra. Natalie sente le guance andare in fiamme e il suo cuore impazzire definitivamente.
“Perché mi piaci, Dean.”
Il giovane sorride, prima di chinarsi su di lei e stamparle un bacio sulle labbra, in attesa che Nat schiuda le sue. E quando lei lo fa, le loro lingue iniziano a giocare in sintonia, muovendosi insieme come se l’avessero sempre fatto. È un bacio timido solo all’inizio, poi diventa sempre più naturale, come se quel momento fosse stato scritto per finire esattamente in quel modo, con le mani di Dean sul viso di Natalie, le mani di lei allacciate dietro al collo di lui e le loro bocche unite
.

Natalie vorrebbe rimanere ancora un po’ a rivivere quel ricordo, ma lo scenario cambia nuovamente:

Si trova di nuovo a casa Singer, nella sua stanza. Il buio la circonda, fatta eccezione per la televisione davanti al letto tenuta accesa, che trasmette un alone di luce biancastra che illumina, a cono, lo spazio davanti a se.
Natalie ricorda anche quel giorno.
25 Ottobre 2006.
Natalie, con un’influenza terribile, è nel suo letto, sotto al piumone per rimanere al caldo; indossa un pigiama di pile blu e dei calzini di lana gialli. I brividi febbrili le percorrono tutto il corpo, segno che la temperatura sta aumentando.
“Fantastico,” borbotta, tra se e se, “come se averla avuta fino ad ora a trentotto non fosse abbastanza!”
Si sistema meglio, tirando il piumone fin sotto al mento e continua a guardare la tivù: ha messo dentro al lettore DVD uno dei suoi film preferiti, Gli Intoccabili.
Tira su con il naso, mentre Eliott Ness si reca all’accademia di polizia per scegliere il  tiratore perfetto, che risulterà poi essere George Stone. È intenta a seguire lo sviluppo della trama, quando sente bussare alla porta.
“Avanti” mugola.
Dalla porta entra Dean, con una delle sue camicie a quadri, i jeans chiari, un sorriso incoraggiante stampato in viso e un vassoio con un piatto pieno di zuppa fumante in mano.
“Ti ho portato da mangiare!”
“Non dirlo con così tanto entusiasmo, altrimenti crederò che sia qualcosa di buono, tipo la pizza. E non un brodino puzzolente.”
Dean corruga la fronte: “I miei brodini non sono puzzolenti!”
Natalie ridacchia: “Si, lo sono.”
Dean le fa una pernacchia, mentre si avvicina a lei con cautela, facendo attenzione a non rovesciare  per terra il liquido bollente all’interno del piatto. Natalie, mentre si sistema a sedere, preme l’interruttore sopra alla testata del letto per accendere la luce. Strizza leggermente gli occhi, quando la stanza viene inondata dalla luce elettrica – conseguenza, quella, di essere stata troppo al buio.
Il vassoio che Dean ha in mano è uno di quelli che può essere adibito anche a tavolino, quelli che si usano per fare la colazione a letto quando si è troppo pigri per camminare fino alla cucina e – soprattutto – quando si ha qualcuno disposto ad alzarsi al posto tuo per prepararti qualcosa di buono da mangiare come primo pasto della giornata.
Quando il ragazzo le mette sotto al naso quell’intruglio puzzolente di pollo mischiato con qualche verdura di cui Nat non vuole conoscere la natura – meglio non rischiare di venire a sapere che dentro al brodo stiano facendo il bagno dei broccoli tritati. Lei odia i broccoli – non riesce a trattenere una smorfia schifata.
“Puzza. Non lo voglio.”
“Devi mangiarlo.” Dean afferra il cucchiaio, lo riempie del liquido caldo e glielo porta alla bocca. Nat si gira di lato, così Dean insiste: “Non costringermi a tapparti il naso. Guarda che lo faccio!”
La ragazza scoppia a ridere, divertita: “D’accordo, lo mangerò. Dammi quel dannato cucchiaio!”
Dean le porge il cucchiaio e Natalie, dopo averlo preso, comincia a mangiare, gettando di tanto in tanto occhiate alla tivù. Il ragazzo segue il suo sguardo, portando a sua volta i suoi occhi alla televisione: “L’hai cominciato senza di me? Avevi detto che mi avresti aspettato!” si toglie le scarpe e poi si arrampica sul materasso fino a raggiungere il posto del letto vuoto, vicino a Nat, dove si sistema, mettendosi a suo agio.
“Ci mettevi troppo a preparare l’intruglio, quindi ho cominciato!”
“Ingrata.”
Natalie gli fa una linguaccia e continua a mangiare. Nonostante quel brodo puzzi, alla fine deve ammettere che non è così male. Finisce tutto, come una brava bambina che sa di essere tenuta sotto osservazione da un padre fin troppo apprensivo, e quando il suo piatto è finalmente vuoto, appoggia il cucchiaio sopra al vassoio.
“Visto? Non era poi così terribile!” Dean si alza dal suo posto, fa il giro del letto e afferra il vassoio che mette sopra alla scrivania: “Lo porto giù dopo, altrimenti mi perdo altri pezzi di film!”
Natalie gli fa cenno di sedersi nuovamente accanto a lei picchiettando la superficie del materasso con il palmo della mano aperto. Dean non se lo fa ripetere e si sistema come un attimo prima, ma più vicino alla ragazza.
È così vicino che Natalie può sentire il suo profumo – che riconoscerebbe in mezzo ad altri milioni.
È così vicino che impiega una frazione di secondo a prenderla per mano.
Natalie porta lo sguardo sulle loro dita incrociate: “Che stai facendo??” domanda, prima di spostare lo sguardo su di lui.
“Mi sembra una cosa piuttosto ovvia.”
“No, non lo è. Vorrei ricordarti com’è andata l’ultima volta.”

L’ultima volta risaliva a due anni prima quando, dopo aver passato tre anni insieme come una coppia, Dean aveva dovuto andarsene con John, che aveva chiesto la sua presenza accanto a lui in modo categorico. Dean, che all’epoca vedeva suo padre come una specie di eroe, aveva deciso di seguirlo senza battere ciglio. Gli ordini sono ordini e i bravi soldati obbediscono senza obiettare.
“L’ultima volta non è stata una mia scelta.”
“Ma ci hai tagliati fuori. Mi hai tagliata fuori.”
Natalie ripensa a qualche giorno prima, quando lei e Dean avevano avuto una dettagliata chiacchierata in cucina e lui aveva parlato di tutto ciò che era successo da quando si erano separati. La storia della caccia al demone che aveva ucciso Mary; dell’incidente; di Tessa la mietitrice; della sua quasi morte e di quella certa di John, che gli aveva fatto sospettare avesse fatto un patto con Occhi Gialli per salvare Dean, condannando se stesso all’Inferno. Quella, seppur tragica, era stata la prova che, per quanto si potesse pensare il contrario, John Winchester era profondamente legato ai suoi ragazzi, anche se non era mai riuscito a dimostrarlo.
“Era complicato. Erano gli affari di famiglia e non volevo che tu venissi coinvolta nel pericolo.”
“Caccio, Dean. La mia vita è sempre in pericolo.”
“Non sto dicendo di non aver sbagliato, ok? Dovevamo coinvolgervi di più, sia te che Bobby.”
Dean tira un profondo sospiro, senza mai allentare la presa sulla mano della ragazza: “Ascolta, Nat, so che questo..” abbassa gli occhi sulle loro mani incrociate, poi torna a guardarla, “..può sembrarti strano, ma standoti lontano ho capito che non potrei mai sopravvivere a tutto questo, se non sapessi che, dopo tutta la merda che vedo ogni giorno, ci sei tu che mi aspetti da qualche parte – che sia questa casa o qualche motel. Andiamo, anche quelle bettole in cui passiamo i nostri giorni diventano meno schifose, quando con me ci sei tu.”
 Natalie lo guarda, senza sapere esattamente cosa dire. Sente le guance diventare rosse – e di sicuro non è la febbre – e il cuore accelerare, come se fosse di nuovo una ragazzina. Probabilmente, si trova a pensare, anche quando avrà sessant’anni – se ci arriverà – ogni volta che Dean la guarderà, o le dirà cose del genere, reagirà nello stesso modo. Perché lei, nel bene e nel male, ama l’uomo che ha vicino, che è capace di uccidere chiunque a mani nude solo perché ha
pensato di trattarla male, ma è anche capace di premure gentili, come quel puzzolente brodo di pollo. Dean, che non è bravo a parole, ma che si è sforzato di essere il più sincero possibile. Dean, che la guarda come si guardano le cose belle, le cose preziose, le cose che ami.
Dean che la ama, anche se non riesce ancora a dirlo.
“Sai una cosa, Winchester? Io ti amo, e sono piuttosto sicura lo farò per il resto della mia vita. Se è questo..” con un cenno indica le loro mani, “..che vuoi, devi sapere che è esattamente la stessa cosa che voglio anche io da quando, cinque anni fa, mi hai baciata per la prima volta.” 
Dean sorride, prima di prenderle il viso tra le mani e stamparle un bacio sulle labbra, beffandosi della febbre e dei germi. Chissene frega dell’influenza, Nat gli ha appena detto che lo ama e che lo vuole al suo fianco esattamente come lui vuole lei. Tutto il resto è secondario. 


Dopo ciò, lo scenario cambia di nuovo.
Natalie si trova ancora a casa Singer, ancora nella sua stanza, e sta guardando se stessa distesa sul proprio letto, priva di sensi. Questo è piuttosto sicura non sia un ricordo, ma il presente. Di colpo, si rende conto di non essere morta, ma di vivere una specie di esperienza extracorporea. La cosa non le piace per niente, se deve essere onesta. L’ultima volta che ha sentito di un’esperienza simile, stava ascoltando Dean che le raccontava di Tessa, che fingendosi inizialmente sua amica, voleva solo convincerlo a lasciare questo mondo.
Sente la porta aprirsi e, d’istinto, si volta a guardare. Vede Dean entrare facendo meno rumore possibile; indossa una maglietta a maniche corte grigia scura e i jeans. Si avvicina al suo letto, sedendosi su una sedia lasciata accanto a lei.
“Ehi,” le sussurra, accarezzandole una guancia con delicatezza, “come ti senti oggi?”  Le chiede, dolcemente, poi si passa una mano sulla faccia, stanco. Natalie nota che Dean non si è ancora tagliato la barba, ma piuttosto l’ha fatta crescere folta e rossa.
Vorrebbe trovare un modo per comunicare con lui, per dirgli che lei sta bene che non si deve preoccupare, ma non sa come fare. Vederlo in quello stato, con il viso così tirato e gli occhi lucidi e privati delle necessarie ore di sonno, le fa stringere il cuore.
“Cas dice che questo tuo stato comatoso è normale, ma sto letteralmente impazzendo.” Appoggia i gomiti alle gambe e si prende la testa tra le mani. Sembra perso. Spaventato. Angosciato.
“Devi tornare da me, Nat.” Sussurra, con il viso rivolto verso il pavimento, “Devi farlo.” Alza la testa e si sporge verso di lei, stringendole entrambe le mani, “Devi.” Ripete un’altra volta, con gli occhi che iniziano a riempirsi di lacrime. Si morde il labbro inferiore per evitare di cominciare a piangere.
Natalie vorrebbe gridargli che lei è proprio lì, in quella stanza; vorrebbe gridargli che lo sente e che non vuole vederlo ridotto in quello stato, ma sa che sarebbe tutto inutile. Sono in due dimensioni diverse, adesso. Dean è nel mondo dei vivi, lei è in quel limbo tra la vita e la morte. È diventata ciò che ha sempre cacciato: un fantasma.
Si avvicina a Dean, che stringe ancora le mani della Natalie sdraiata sul letto, e gli appoggia una mano sulla spalla. Provare non le costa nulla. Alla fine, non è ancora morta del tutto.

“Non può sentirti, tesoro.”
Una voce che conosce fin troppo bene giunge dalle sue spalle, così Nat si gira, trovandosi faccia a faccia con May.
“May? Che ci fai qui?”
“Ti sto vicino, bambina mia.” la donna si avvicina a lei e la abbraccia. Natalie si stupisce della fisicità di quel gesto, di quanto riesca a percepirlo su di se, di quanto riesca a sentire la pelle delle braccia nude di May sopra alla sua. Tutto ciò la confonde.
“N-non capisco,” poi un pensiero devastante la colpisce all’improvviso, “Non ti è accaduto niente di grave, vero??” chiede, temendo che la donna le dica che sì, ha rischiato la vita anche lei negli ultimi giorni ed è finita in uno strano coma causato da un angelo.
May si allarga in un sorriso rassicurante: “No, piccola, io sto benissimo. Sono nella tua testa da quando Dean mi ha chiamato in preda al panico, quattro giorni fa, chiedendomi di fare qualcosa per svegliarti.”
“Eri tu che mi hai fatto vedere quei ricordi?”
May annuisce.
“Perché?”
“Perché so che quei momenti li hai impressi nel cuore a caldo. E so che volevi tenere Dean sulle spine. Volevo ricordarti come sei felice quando sei con lui; volevo che il tuo cuore, reso amaro dalle battaglie e dalle atrocità che hai vissuto, ricordasse l’amore. Guarda cosa è successo ad Ares, quando ha perso la sua Afrodite. Guarda come si riducono gli esseri viventi, quando perdono l’amore: lasciano che la loro esistenza venga corrotta e avvelenata dalla violenza, dalla tristezza, dalla crudeltà. Non fare la fine di Ares. Perdona Dean, per quello che ha fatto. Lui stesso si odia per ciò che ha fatto, ma le sue azioni erano tutte in buona fede.”
Natalie sente una lacrima cadere silenziosa sul suo viso. May la raccoglie con dolcezza.
“Sapevo che l’avrei perdonato dal primo istante che è tornato. E ciò mi metteva a disagio, perché pensavo che avrebbe potuto farmi qualsiasi torto volesse e io l’avrei comunque perdonato, ma non voglio che sia così. Non voglio dipendere così tanto da lui da permettergli di farmi qualsiasi cosa, purché torni da me. Lo amo, May, Cristo, se lo amo. Ogni centimetro di me lo ama. Ma devo amare anche me stessa.” Le si spezza la voce e le lacrime iniziano a scendere silenziose.
“Tesoro,” May la stringe forte a se, “ciò di cui parli è estraneo alla situazione in cui vi siete trovati. Ciò che dici varrebbe se Dean ti ferisse per il gusto di farlo, o perché è talmente concentrato a soddisfare se stesso che continua a fare determinate azioni, anche se sa che queste sue azioni ti fanno male. In quel caso, se lui fosse un uomo del genere, sarei la prima a dirti di dargli un calcio nel sedere e allontanarti da lui. Ma Dean non è quel tipo d’uomo. Dean ti ama più di qualsiasi cosa al mondo. La sua intera esistenza gira intorno a te. Dean farebbe di tutto per te, per renderti felice. Ciò che ha fatto l’ha fatto perché all’inizio pensava di salvarti. Solo dopo si è reso conto che così era peggio.”
“È troppo impulsivo.” Dice, tra i singhiozzi, tirando su con il naso.
“Lo è.” May le accarezza il braccio,  “Ma voi siete anime gemelle, tesoro mio. Non ti sei persa in lui, semplicemente vicino a lui nasce una nuova te, una te più felice. E nessuno vuole rinunciare alla felicità, quando sa di avere trovato quella vera. Perciò, quando dici che dipendi da lui, dico che dipendi dalla felicità. E, piccola, è una cosa così rara da toccare che mi sento obbligata a dirti di non lasciarla scappare.”   
Natalie ci pensa su, in silenzio. Riflette su ciò che ha detto May e si trova a concordare.
“Devo dirglielo. Devo dirgli che l’ho perdonato. Ma non so come, non se sono intrappolata in questa dimensione.”
May sorride, tenendole il viso tra le mani.
“Per questo non sono venuta sola.”
Al fianco di May, in quel preciso istante, compare Morte, vestito di nero e con il suo profondo sguardo che, nonostante Nat si sforzi, continua a metterla in soggezione.
“Tu s-sei qui per uccidermi?”
Morte, impassibile, si avvicina ancora di più a lei, facendo in modo che May, invece, si allontani. Improvvisamente, Natalie si sente più vulnerabile, più in pericolo, come se la vicinanza di May limitasse in qualche modo i poteri di Morte. Che cosa sciocca, pensa. Nemmeno May, per quanto dotata e in gamba sia, è in grado di tenere a bada Morte.
“No. La tua ora non è ancora arrivata.”
“Ma Ares..”
Morte alza l’indice ossuto e perlaceo con un movimento perentorio che Nat interpreta nell’unico modo possibile e inequivocabile: vedi di tacere.
D’istinto, ritira le labbra all’interno della bocca – come se, così facendo, si cucissero – e porta le mani dietro alla schiena. Rimane rigida, come un soldato in attesa di ordini.
“Non sono qui perché tu possa stare con Dean Winchester, sono qui perché la tua presenza sulla Terra, in questo momento, è importante. Non mi piace, chiariamoci. Se Castiel non fosse intervenuto saresti morta e quindi questo, per me, è sconvolgere l’ordine naturale delle cose – che i tuoi compagni di caccia hanno scombinato un po’ troppo. Ma mi sento obbligato a dire che in questi tempi, c’è qualcuno che mette a soqquadro l’ordine molto più di quanto abbiano mai fatto i Winchester: la Madre. È risorta e sta creando figli suoi che popolano la terra…”
“Ma i mostri ci sono sempre stati..”
Morte, vista l’interruzione non richiesta di Natalie, porta i suoi neri e freddi occhi su di lei – un muto rimprovero così severo che le fa partire un brivido di terrore dalle budella e si disperde per tutto il corpo.
Tacere, Natalie. Devi. Tacere. – pensa la cacciatrice.
“Non posso darti torto, i mostri ci sono sempre stati e hanno sempre popolato la terra, ma.. ci sono sempre stati abbastanza cacciatori che provvedevano ad ucciderli e a creare un equilibrio bilanciato. Adesso, visto che la Madre ne crea di nuovi e sempre più feroci, ci sono sempre più vittime umane. Questo significa che, se dovesse continuare così, ben presto i mostri saranno più degli umani e non ci sarà più un equilibrio, non ci sarà più l’ordine naturale delle cose che faccio funzionare. Quindi, ho bisogno di voi tre e della vostra esperienza. Uccidete la Madre, ripristinate l’ordine e vedete di non morire nell’impresa, perché questa volta farò in modo che nessuno vi riporti indietro. Intesi?”
Natalie, con la gola secca e incapace di pronunciare anche solo una sillaba, si trova ad annuire il più vigorosamente possibile.
“Bene. Una piccola dritta: ciò che vi serve è nella libreria segreta dei Campbell.”
“Cosa ci serv-”
Morte alza di nuovo l’indice, ma questa volta per toccarle la fronte. Natalie si sente risucchiare, come se qualcuno le avesse messo un’aspirapolvere gigante dietro alla schiena. Improvvisamente, vede le figure di May e Morte scomparire, lasciando posto al buio totale.
Qualche istante dopo, l’unica cosa che sente, sono le mani calde di Dean che tengono strette le sue.
È di nuovo a casa.  


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Ciao a tutti :) 
So che avevo detto che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma stava diventando davvero lungo, quindi ho deciso di continuare in un altro - complimenti a me e alla mia disorganizzazione! (Spero abbiate ancora un po' di pazienza) 
Il capitolo... pareri? Vi è piaciuto, vi fa schifo, non mi sopportate più? 
Siete stufi di leggere mitologia greca quando si tratta di mostri? La fantasia non è il mio forte, in quel caso, e se devo essere sincera, i miti greci mi piacciono tantissimo - anche se, molto probabilmente, Ares e Afrodite non erano proprio così, ma spero comunque che non vi abbiano delusi. 
Ho citato Gli Intoccabili, finendo per fare quella cosa che gli scrittori veri non fanno perché, si sa, non è proprio professionale: inserirmi nella storia. Amo quel film e soprattutto, dopo l'episodio della settima stagione, mi piacerebbe tantissimo vedere un remake con Jensen nei panni di Eliott Ness. 
Comunque, niente.. vorrei sapere cosa pensate di questo capitolo, se vi va. 
Ringrazio come sempre chi legge, chi recencisce, chi segue o mette fra i preferiti la storia - non smetterò mai di dirlo, ma sapere che c'è qualcuno che l'apprezza è davvero importante, per me. 
Alla prossima, che spero non sia troppo tardi! <3



 







 
   
 
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