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Autore: Celtica    07/07/2016    7 recensioni
[ Modern!AU! | Sansa/Petyr | Sansa/Sandor ]
È come se la stessero strattonando:
Da una parte c’è Petyr Baelish, che Sansa accoglie come il salvatore, colui che l’ha portata via dal suo ex, Joffrey; dall’altra il Mastino, in una spirale di amore/odio.
In una città dove a regnare è l’azienda dei Lannister, Sansa sembra trovarsi al centro di un complotto.
Ma chi è il vero nemico?
Dal capitolo uno:
«Vieni con me» dice Petyr, facendole segno di salire in macchina.
Sansa non sa perché, ma obbedisce. È ciò che ha fatto per tutta la vita: obbedire. Sempre e comunque.

Dal capitolo due:
«Dove mi stai portando?»
È un sussurro, ma a lei sembra di averlo gridato.
Si chiede cosa ci sia oltre gli alberi, magari un luogo nascosto dove Petyr vuole farle del male.

Dal capitolo sei:
«Per favore…» sussurra ancora lei, spingendo la mano di Sandor con la sua.
È ruvida e fredda come il ghiaccio, eppure, nello sguardo di lui, Sansa riconosce qualcosa che è abituata a vedere da tutta una vita.
Desiderio.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Jon Snow, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Vieni con me cap 6
Trailer

La Fuga




A

ffacciata alla finestra, Sansa osserva Petyr attraversare la strada, il passo leggermente ciondolante, l’aria furba che non lo abbandona mai.
Sospira, pensando a cosa ne sarebbe stato di lei senza l’amico di sua madre, ora suo zio acquisito, se non fosse intervenuto lui un paio di giorni prima. È stata davvero una stranissima coincidenza: quante probabilità potevano esserci al mondo di incontrare proprio lui sulla strada di casa?
Sansa si morde l’unghia del pollice, guarda le auto fermarsi davanti alle strisce pedonali, lui che si allontana verso il parcheggio.
Ha quasi voglia di chiamarlo.
Se non fosse che non può farlo… Il cellulare è rimasto a casa di Joffrey, e lei non conosce nemmeno il numero di Petyr. E poi, cosa direbbe Lysa se sapesse che si sentono al telefono?

«Vieni, cara» la voce di sua zia sembra arrivare da lontano, quasi come se avesse udito i suoi pensieri. «Vieni di là con me, ci sono dei pasticcini al limone.»
Sansa la raggiunge a passo svelto, con il sorriso di chi comincia a fidarsi.
In fondo, che male potrà mai farle Lysa? È pur sempre sua zia.
«Li adoro» confessa, lisciandosi l’abito verde preso in prestito dall’armadio.

Attraversano la sala, sua zia le prende la mano, Sansa lancia una veloce occhiata a Robin, impegnato con qualche videogioco, cuffie nelle orecchie e occhi fissi sullo schermo.
Sta facendo una strage di nemici, il sangue virtuale vola ovunque, mentre lui grida da vincitore.
«Lasciamolo giocare» dice Lysa, tirandola verso la cucina.
Non ha le mani morbide come sua madre, ma di più… sono unte di crema, un po’ viscide, ed estremamente calde.

«Siedi qui, vicino a me.»
Una sedia viene spostata per Sansa, una sedia rivestita di paglia, su un pavimento azzurro cielo.
Ci sono diversi banconi intorno a lei, tutti dello stesso colore, e un tavolo guarnito di fiori e frutta. I dolci, che lei tanto adora, fanno la loro figura al centro della tovaglia, sopra il disegno di un’aquila in volo.
«Anche tua madre li adorava» racconta Lysa, vedendo Sansa prenderne uno. «Da piccola non faceva altro che ingozzarsi di dolci… Se non si fosse sposata con tuo padre di certo sarebbe diventata una balena.»

Sansa si lecca il dito, posa il dolce sul tavolo con aria colpevole.
Sua madre una balena? Impossibile.
Catelyn era come un giunco e lei non l’ha mai vista mangiare un dolce.

«Davvero, zia? Quando la mamma era viva, lei…» le fa ancora male parlarne, ma in fondo si tratta di sua zia, chi potrebbe capirla meglio di Lysa? «Lei non ci lasciava mangiare molti dolci, giusto una volta a settimana, la domenica. Diceva che potevamo integrare lo zucchero con la frutta.»
Lysa alza gli occhi al cielo, sorridendole.
«Le manie rigide e salutiste di tuo padre!» critica la zia, sporgendosi in avanti, come per invitarla a continuare.
Lei accavalla le gambe sotto il tavolo, tamburella le dita come su una tastiera, è tentata di riprendere in mano il dolce al limone. Ma non lo fa, si limita a fissarlo.
«Sì» ammette Sansa, lanciando una veloce occhiata a Lysa. «Papà era un po’ severo in queste cose… Ma non ci ha fatto mancare mai niente, lui… mi manca. Mi manca tanto, zia.»
Lysa posa la mano sopra la sua, gliela stringe concedendole un sorriso colmo di tenerezza.

«Lo so, mia cara… Lo so» sussurra con fare materno e, per un momento, a Sansa sembra di riconoscere la voce di sua madre. Ma non è lei. «Anche a Robin manca suo padre. È un ragazzo così dolce! Meraviglioso.»
Lei risponde con un sorriso. Non sa cosa dire, non conosce suo cugino, non sa come sia. Ma è in casa sua, ora, non può certo negare quanto sta dicendo sua zia.
«Sarà fortunata la donna che lo prenderà» dice lei, sapendo che è ciò che sua zia vuole sentire.
«Proprio così, Sansa. Molto fortunata.»
Non sa perché, ma le è dispiaciuto cambiare argomento, smettere di parlare dei suoi genitori. Sperava, forse, che Lysa le dicesse qualcosa di nuovo?
Che li facesse rivivere, seppur per un solo istante?

«Puoi prenderlo» continua la zia, facendo un cenno verso il dolcetto. Le sta ancora accarezzando la mano, ma Sansa vorrebbe che smettesse. «Puoi mangiare tutti i dolci che vuoi. Robin non ama il limone.»
«Piacciono a te, zia?»
«Nemmeno.»

La voce di Lysa si è fatta più dura, come se avessero toccato un argomento scottante. Sansa si chiede perché abbiano comprato quei dolci senza l’intenzione di mangiarli.
Le dita di sua zia afferrano le sue, la presa si stringe appena, ma Sansa avverte qualcosa che non va.
«Li ha comprati Petyr» spiega Lysa, guardandola fisso negli occhi. Ha una voce stranamente dolce, stranamente dura, come se stridesse sull’acciaio. «Stamattina. Apposta per te.»
È gelosa.
Non ci voleva un genio per capirlo, eppure Sansa, per un momento, ha creduto che sua zia potesse volerle bene, che potesse voler trascorrere qualche minuto con lei, a parlare di sua madre.
«Petyr è… molto gentile.»
Non sa cosa rispondere, sente la mano di Lysa stringere forte la sua, come se non potesse sfuggirle.
«Sì, Sansa. Come mai?»
Muove leggermente il polso, cercando di liberarsi, di farle capire che non le piace quel contatto, che vuole essere lasciata in pace, che non ha più intenzione di restare lì, in cucina, sola con lei.
«Cosa?» chiede, facendo pressione sulle dita per liberarsi.

«Come mai Petyr è così gentile con te?»

Ha paura, Sansa ha paura. Non ha idea del perché Petyr passasse da quelle parti, perché le abbia offerto di salire in macchina. Non sa come mai sia sceso di prima mattina a cercarle dei dolci al limone. Vuole solo essere lasciata in pace. Perché Lysa non riesce a capirlo?
«Sono tua nipote» tenta infine, sentendo la mano di sua zia uguale a un artiglio nella pelle. «Lo avrà fatto per questo. Per l’affetto che…»

«Tua madre ha cercato di portarmelo via» racconta Lysa, piantando le unghie nella carne.
«Mi stai facendo male… Zia, per favore…»
«Eravamo solo ragazze, Petyr moriva dietro a lei, ma Cat era troppo orgogliosa per volerlo. Credeva di meritare di più» Lysa le afferra il polso con l’altra mano, si avvicina tanto, troppo, e Sansa sente il cuore battere all’impazzata. «Ma c’ero io a consolarlo, povero Petyr… Io. Quando la tua cara madre si è accorta di me e Petyr… beh, voleva raccontare tutto a nostro padre. Ha parlato con lui, gli ha chiesto di lasciarmi.»

Adesso, la tensione che corre nel braccio di Sansa le fa sentire dolore. Le gira la testa, non riesce a capire cosa sia successo, vorrebbe solo andarsene, abbandonare quella casa, non vedere mai più sua zia.
«Per favore…» tenta ancora, ricordando il modo in cui Joffrey le stringeva i polsi per farle del male. Del modo in cui la teneva ferma per i suoi comodi, mentre le lacrime scorrevano sul suo viso udendo la risata crudele di lui.
«Capisci?! È stata lei! È stata Cat a dividerci!»

Lysa ha preso a gridare sul suo viso, il terrore dilaga fuori dagli occhi di Sansa.
«Ti prego! Lasciami, zia!»
«E adesso arrivi tu, proprio ora che possiamo finalmente stare insieme. Perché sei venuta qui, perché? Lo vuoi per te, vero? Sei la sua amante?»
Non sente più la mano, solo tanto dolore, mentre con l’altra cerca di liberarsi. Fa per alzarsi in piedi, la sedia cade sul pavimento, ma Sansa nemmeno se ne accorge.

«No, no!» grida, in lacrime. «Cosa dici? No, zia! Non è così! Per lui sono solo una stupida ragazzina! Ti prego, basta! Lasciami! Dice sempre che sono stupida, che ama te, che ha sempre voluto te! Per favore…»
In un istante si ritrova stretta tra le braccia di Lysa, non riesce a trattenere i singhiozzi, mentre la mano di sua zia le accarezza i capelli. Sansa vorrebbe non sentirla, non saperla vicina, ha solo paura.

 

La casa di Joffrey è in una zona residenziale.
Bei giardini, case grandi, e l’enorme palazzo dove Sansa divideva l’appartamento con lui.

Petyr si appresta ad avvicinarsi al portone, quando lo vede: il Mastino.
Fa la guardia, proprio come un cane. Ha il volto sfregiato, i capelli lunghi che tentano in qualche modo di coprire quella cicatrice, il corpo alto e muscoloso di un buttafuori. Le braccia incrociate sul petto, un lieve accenno di barba, sicuramente mirato a coprire i segni sul viso.
Anche uno stupido capirebbe che è partito tutto da un’idea di Cersei: lei ha sempre creduto di poter comandare gli altri a bacchetta, Petyr lo ricorda bene, anche lui ha lavorato per quella donna.
Bellissima e spietata, sempre attenta a tutto ciò che succedeva.

Lascia la macchina parcheggiata per strada, segue il marciapiede rosso, raggiunge l’entrata del palazzo.
«Clegane!» esordisce Petyr con un sorriso, allargando le braccia. «Sempre di guardia?»
«Baelish…» La voce del Mastino stride, i denti si digrignano quando lo vede. «Che ci fai qui?»
Bambini che gridano correndo alle sue spalle gli lasciano il tempo di pensare a cosa rispondere. Si gratta la tempia, facendo un passo avanti.

«C’è Joffrey? Dovrei parlargli.»

Sandor solleva una mano per fermarlo, ha il volto di un cane rabbioso. Sposta il peso da un piede all’altro con fare nervoso.
Non è mai stato un tipo paziente, Petyr lo ha sempre saputo.
«Dovremmo farci una bevuta, io e te…» mormora lui, come a dirgli che sa benissimo di quanto spesso si ubriachi. «Che ne dici?»
Altro silenzio, il Mastino sembra pronto ad afferrarlo con i denti pur di farlo girare indietro.
Petyr capisce che non c’è modo di farlo spostare da lì, non può portare Sansa a casa, farglielo incontrare. Sa che Sandor la porterebbe dritta da Joffrey, che gliela consegnerebbe come un cane che riporta l’osso al padrone.

Fa per voltarsi indietro, pronto a tornare a casa, quando la voce raschiante del Mastino lo ferma.
«Magari telefona la prossima volta.»
È una battuta, e il sorriso orrendo di Sandor è la più chiara delle minacce.
Il sole mette in risalto le cicatrici, i capelli scuri che cadono a ciuffi per coprirli… Petyr sorride e se ne va.

È tentato di chiamare Varys, di chiedergli come fare per “comprare” il Mastino, ma si risponde da solo: non è in vendita.
Quel poco di dignità che poteva avere è andata a Cersei Lannister, secoli prima.
È troppo tardi per conquistare la fedeltà di un cane. Può solo tornare a casa, sperare che Sansa capisca, che decida di richiedere nuovi documenti, che accetti di farsi comprare un nuovo cellulare.
Raggiunge l’auto con passo sicuro, svelto, apre la portiera senza guardarla nemmeno, i pensieri rivolti altrove.
A una donna che non vedrà più, se non negli occhi di sua figlia.

Mette in moto, guida per un terzo della città prima di raggiungere casa. Spera che Lysa gli lasci un minimo di privacy con Sansa, che non si ingelosisca ancora, che non minacci di nuovo di buttarla fuori dal loro appartamento.
Dopotutto, il piccolo attico è anche suo, ora.
La divisione dei beni è stata sufficiente a fargliene acquisire la proprietà.
Sistema la giacca di pelle scendendo dall’auto, cammina per un breve tratto prima di ritrovarsi davanti alla porta di casa. Ha usato l’ascensore, come sempre, e ora è pronto a infilare la chiave nella serratura.
Ma non ce n’è bisogno…

La trova aperta, socchiusa di due dita appena.
«Lysa?» chiama, chiedendosi cosa possa essere successo durante la sua assenza. «Robin?»
Attraversa l’ingresso: un’unica, enorme, vetrata che si affaccia sulla città. Nel salotto, il suo figlioccio sta giocando a un videogame, Lysa è sdraiata sul divano dietro di lui, intenta a ricoprire di smalto rosso le unghie dei piedi.
«Ho trovato la porta aperta.»
Lei non solleva nemmeno gli occhi, alza le spalle, come se non le importasse, come se non fosse affar suo.

«Dov’è Sansa?»

Quando Lysa lo fulmina con lo sguardo, Petyr capisce che è successo qualcosa in sua assenza.
Corre in corridoio, trova la camera aperta, vuota, la finestra spalancata e le tende che si muovono come onde del mare. Ma lei non c’è.
Petyr controlla in ogni stanza, bussa anche in bagno, prima di aprire per vedere se è lì.
Non c’è traccia.

«Dov’è Sansa?»
Stavolta lo chiede con voce dura, stringendo la mano a pugno.
Lysa è capace di tutto, anche di averla buttata giù dalla finestra. È pazza, malata, e questo, Petyr lo ha sempre saputo. Ma aveva bisogno di lei… Aveva bisogno delle sue terre, dei suoi soldi, dell’influenza che ha Lysa su certi uomini di potere.

«Perché la vuoi tanto?» squittisce sua moglie. Ha le lacrime agli occhi, il pennellino ancora in mano che cola smalto sul divano. «È solo una ragazzina, Petyr!»

C’è corrente, ora.
La finestra della camera di Sansa e quella del bagno, con le porte aperte, hanno fatto entrare troppa aria, e Petyr deve sistemarsi i ricci prima di parlare.
Si avvicina, si inginocchia sul tappeto davanti a Lysa, le sfiora la spalla.
«Ho sposato te, non lei.»
«A volte sembri dimenticartene.»

«Un amico mi ha chiesto di prendermene cura… Non mi importa nulla di Sansa.»
Lysa gli sorride, docile.
Sembra pronta a baciarlo, così Petyr si tira in piedi, aspettando che gli dica quanto vuole sentire.
Cos’ha fatto a Sansa?

«Non lo sapevo… Non mi dici mai niente.»

Petyr trattiene il disprezzo per sé: è sempre stato bravo in questo.
Muove una mano per chiederle di continuare, girando attorno al divano, ma Lysa non sembra intenzionata a sbottonarsi tanto facilmente…
Teme il peggio, eppure rimane impassibile, grattandosi la tempia e aspettando che sua moglie si decida a dirgli la verità.

«Abbiamo parlato» confessa Lysa, evitando i suoi occhi. «Lei ha detto qualcosa e… è andata via.»
«Di cosa avete parlato?»
Lysa muove la testa da una parte all’altra, come se non riuscisse a ricordare.
«Cos’ha detto? Dov’è andata?»
Petyr conosce già la risposta, eppure è da sua moglie che vuole sentirla.

Non sembra intenzionata a dirglielo.
Robin non si è accorto di nulla, con le cuffie nelle orecchie e il volto piantato nel televisore. Indossa ancora il pigiama e ha il mento sporco di latte.
Le gambe di Petyr lo conducono alla porta. Esce senza dire una parola.

 

 

È bastato dire a Lysa di volersene andare per ricevere dei soldi per il taxi.
Sansa non ha dovuto nemmeno chiamarlo… Nel momento stesso in cui ha raggiunto il marciapiede, ecco un’auto gialla arrivare nella sua direzione.
Non si sente più coraggiosa, solo… non le importa.
Ora come ora non le importa di cosa dirà Joffrey, non le importa di cosa le farà. Le basta andarsene, recuperare i documenti, il telefono e i soldi sufficienti per raggiungere Robb a Londra.
Ha pensato di andare da Jon, a nord, ma è bastato un minuto per capire che era un’idea stupida.
Sansa odia il freddo, ha seguito il suo fidanzato nel caldo sud apposta…

Mentre il taxi prosegue la sua corsa, lei ripensa a Petyr: cosa dirà di lei?
Ormai non manca molto. Riconosce gli ultimi isolati prima del palazzo, le case con giardino, i bambini che corrono gridando per strada. Il verde degli alberi che, per un momento, la riporta al bosco dove è stata con Petyr, dove lui l’ha baciata…
Dove l’ha consolata per il suo futuro, dove le ha promesso di occuparsi di lei. Sempre.

«Arrivati.»
Il tassista si volta per prendere i soldi, la guarda uscire dall’auto, ma non dice nulla sul livido giallastro che ha sul viso: ha fatto presto a cambiare colore…
Ma è ancora in bella vista. Sansa lo sa.

Quando scende dal taxi sente le gambe tremare: c’è il Mastino davanti al portone.
L’uomo orrendo dal volto sfigurato, che non sorride mai, la cui sola voce basta per metterla a disagio. È vestito di nero, appoggiato con la schiena al muro rosso, le braccia incrociate sul petto.
Anche lui la vede.
Ed è qualcosa che la uccide dentro. Improvvisamente, Sansa non ha più voglia di proseguire, vorrebbe solo voltarsi e fuggire, ma non riesce a muoversi, ha i piedi inchiodati a terra, le braccia ancorate al corpo.
Potrebbe mettersi a gridare, agitare le mani e attirare l’attenzione.
Ma non ci riesce.
È come se qualcuno avesse tolto il volume dalla sua bocca, come se le avesse tolto ogni energia.

E quando vede Sandor fare alcuni passi verso di lei, si sente perduta.
«Uccelletto» dice lui, sovrastandola con la sua altezza. «Non dovevi tornare.»

Sansa sente la mano possente di lui accompagnarla verso il portone, ma le è tutto così estraneo adesso… Come se non lo stesse vivendo davvero, come se qualcun altro stesse per subire quanto toccherà a lei.
«Ti prego» mormora con voce supplichevole. «Non portarmi da lui…»

Sta per piangere, ma qualcosa la trattiene: la speranza che il Mastino non sia il mostro che ha sempre creduto.
Sì, forse ha capito il motivo per cui è tornata… Forse la sta solo scortando dentro l’appartamento, così che possa riprendere quanto le serve e fuggire via.
Forse, pensa ancora Sansa, Joffrey non è in casa.
Sandor sa cosa le ha fatto… Non può voler vedere altri segni sul suo viso, non può voler sentire altre grida, altre suppliche. Non sarebbe umano.

«Non dovevi tornare» ripete il Mastino con voce dura.
Sembra arrabbiato, la tira per il braccio, la sua presa è salda, eppure non la sta stringendo, non le sta facendo male. E con il fisico che ha, basterebbe davvero poco per distruggerla.
«Cosa ti è saltato in mente?»

Sansa non riesce a rispondere… Si chiede come abbia potuto essere così stupida, cosa le sia passato per la testa quando ha abbandonato il rifugio sicuro che era Petyr.
Lui non le avrebbe fatto del male.
Non l’avrebbe riconsegnata a Joffrey…
Lui voleva solo aiutarla.

«Per favore…» sussurra ancora lei, spingendo la mano di Sandor con la sua.
È ruvida e fredda come il ghiaccio, eppure, nello sguardo di lui, Sansa riconosce qualcosa che è abituata a vedere da tutta una vita.
Qualcosa che ha spinto Joffrey a essere geloso, qualcosa che la fa sentire indifesa davanti a un uomo. Qualcosa che ha letto anche negli occhi di Petyr.

Desiderio.

 n

 
Note dell’autrice:
Grazie per aver letto anche questo capitolo!
E vorrei ringraziare un paio di persone per avermi aiutata a cercare la musica per un altro video su Sansa e Petyr (stavolta non moderno): Rita e Fabio. Grazie di cuore! Rita mi ha fatto un elenco completo di musiche perfette per un video… fino a trovare quella giusta!
Spero di leggere presto le vostre impressioni.
Celtica

   
 
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