per il semplice fatto che si è battuti in partenza
- Harper Lee, Il buio oltre la siepe
Guardami e chiedimi se sto bene.
Non lo farai perché sei sempre stata presa da te stessa.
So perché la gente paga per strusciarsi su un estraneo: vogliono dell’affetto che non possa scendere a compromessi, che possa essere comprato.
Perché decidi te cosa farne in quell’ora.
Decidi di dominare la situazione e liberare le perversioni.
Voglio diventare biologa marina, scoprire i fondali e magari capire la differenza fra un’orca e una balena.
Le mie amiche tutte a lingue o lettere e io come una cogliona a studiare scienze naturali.
E a me piace così.
O forse sarebbe stato più bello scegliere e studiare veterinaria ma mi avevano detto che ti preparano a diventare un aiuto-macellaio.
Quindi studiare alghe è più semplice e più appagante di cento autori morti e sepolti, magari ricoperti di muffa.
Che poi certa gente non rende loro giustizia: le interrogazioni di letteratura al liceo erano un accozzaglia di gente che non sapeva esporre l’ideologia dello scrittore preso in esame.
Ti ho mai detto che non sopportavo i tuoi monologhi su Calvino e le città invisibili?
Hai mai pensato che a me non fregassero un cazzo?
E ora sto senza di te su questo stupido tavolino a sorseggiare caffè e studiare l’ultima lezione di oceanografia chimica e ripenso a noi e l’ultima estate passata insieme.
Io che ti parlavo delle alghe e delle meduse, del loro eco-sistema, dei plancton e di come è la nutrizione specifica delle orche
tu mi parli da novella Montale – l’ho apprezzato grazie a te e non a qualche professore impettito.
Dimentico spesso il tuo linguaggio ricercato, l’aria sofisticata con cui t’atteggiavi.
Avevi un enorme senso del rispetto che quasi t’invidiavo.
Come tu invidiavi i miei voti in chimica e in matematica: alla fin fine come materie ti piacevano,
ma avevi un animo vago e viaggiatore che le cose terrene non le calcolavi nemmeno.
Ti chiamavi Vanda e lo detestavi con tutto il cuore quel nome.
Il mio è Eugenia e non so chi delle due sia messa meglio.
Pardon, era messa meglio.
Non ridevo mai, perché allora dicevo che i veri scienziati non si danno a bazzecole del genere.
Mi sbagliavo e pensa, ora sorrido pure.
Mi chiedono se ce la farò mai a superare il lutto e rispondo che in fin dei conti sei morta il giorno in cui hanno scoperto che avevi il cancro a tutti e due i polmoni.
Giù di chemio, giù di radio e ti vedevo spossata, magra e il sangue non defluiva più nei vasi sanguinei – almeno così mi sembrava,
ma era un’impressione data l’atmosfera che si respirava in ospedale.
Ricordo i tuoi occhi quando s’illuminavano solo a sentir parlare di Stephen King.
E al tuo amato computer, in cui trascrivevi i tuoi pensieri.
Questo è il mio ultimo anno universitario e lo dedico a te, Vanda Annichiarico.
Poi sarò dottoressa, in tuo onore.
Sembra stupido, banalmente romantico ma ci tengo.
Mi hai insegnato che il partner va trattato come pari e non come un possesso.
Mi hai insegnato a non dare retta alle parole di mio padre e vedere l’amore che c’è in giro.
Ma dicevi che l’odio rimane sempre, perché gli umani sono egoisti comunque.
E l’egoismo è un’erba difficile da estirpare.
Pago il conto alla cameriera e le sorrido, un sorriso che sfiora il flirt involontario.
Ha i tuoi stessi capelli corvini e il portamento da ballerina.
Torno a casa e l’appartamento è irrimediabilmente vuoto, mi manca la tua voce
specialmente quando gridavi di sbrigarmi perché c’era questo o quell’altro da fare.
Domani ho l’ultimo esame della mia carriera universitaria e parlerò della Pangea e dei continenti alla deriva.
Dicevi sempre che eravamo delle stelle nel firmamento.
Io rispondevo che dimenticavi sempre il mare.
Perché tutti dimentichiamo che in realtà la società è la prima lezione di affogamento.
Poi si muore e non c’è più nulla da fare, sei spacciato.