Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Call it Maglc    13/07/2016    3 recensioni
Elsa non avrebbe mai dovuto fare la conoscenza del traditore nelle prigioni. Hans non avrebbe mai dovuto rivelare i segreti più oscuri della sua famiglia alla regina che aveva cercato di uccidere. Ma le aspettative esistono per essere infrante.
{ Hans/Elsa | Long fic | 101648 parole | Fire!Hans | Traduzione di Hiraeth | In revisione }
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): ed eccoci all’ultimo capitolo! Aaah, che emozione. È stata una soddisfazione immensa tradurre questa fanfiction, ma ammetto che è anche un sollievo terminarla. Rimane però in uno stato perenne di revisione, dato che ogni volta che la rileggo trovo sempre degli erroracci da correggere, haha.
 Se vi chiedete perché dopo la maratona di capitoli che c’è stata verso la fine di giugno ho postato gli ultimi due solo adesso e se vi chiedete perché mai in generale c’è stata quella maratona di capitoli, è perché avevo intenzione di festeggiare il secondo anniversario di questa traduzione (il 3 luglio) postando il capitolo 33; ma non riuscendoci, ho adocchiato il 13 luglio perché, ehi, guarda un po’, è l’ideale, Hans e Jørgen (13/07)! Sì, purtroppo tengo a queste sottigliezze idiote — e ignoro completamente il vero anniversario di tPatS, il 22 aprile.
 Voglio ringraziare per aver recensito tutti coloro che hanno recensito, ma in particolare hera85, mergana e stevvy_jj, perché ho custodito ogni commento e il feedback ricevuto mi ha rischiarato le giornate.
 Voglio inoltre ringraziare Call it Maglc, perché, duh, è una grande per aver scritto tPatS, e mia sorella (❤), perché è fantastica per avermi sopportata quando le rompevo sui termini migliori da usare.
 Smetto di occupare spazio augurandovelo per l’ultima volta: buona lettura!


***



Trentatré

Per qualche ragione, Elsa aveva creduto che il castello di Arendelle nel frattempo fosse cambiato. Era stata sicura che con la sua assenza la sua casa d’origine aveva alterato il proprio aspetto. Eppure, mentre la conducevano verso i corridoi familiari con gli stessi esatti dettagli marchiati nella sua mente, si accorse che ogni cosa era rimasta uguale. Era lo stesso palazzo dove Anna aveva perso la propria memoria, lo stesso dov’erano morti i loro genitori, lo stesso di adesso. Pensare che con la sua mancanza qualcosa sarebbe mutato era stato da stupidi.
 Quando s’infilò all’interno della sala del trono, la neve cadeva all’esterno delle finestre. Questa volta, invece di essere una prigioniera incatenata, era legata a Hans, stringendogli la mano e vivendo l’euforia della loro vittoria quasi universale. Non importava quello che avrebbe detto o fatto Ingvalda, Elsa era consapevole della grandezza delle azioni compiute da loro quel giorno. Finché Hans aveva suo padre e la sua famiglia, lei era a posto.
 La sala del trono era fredda e illuminata e le guardie erano allineate lungo il suo perimetro, chiamate da una Ingvalda probabilmente smarrita. La donna sedeva sul seggio ed Elsa avvertì solo una fitta di dolore e di rabbia quando vide la corona posata sulla sua testa. Ingvalda pareva invecchiata – le zampe di gallina le raschiavano la pelle e, notando l’espressione permanentemente preoccupata in viso, Elsa si chiese cosa fosse successo durante il suo esilio. Al ricordo del suo bando tuttora in vigore, strizzò ulteriormente la mano a Hans.
 Re Lewis, i fratelli e il resto dell’entourage entrarono e si fermarono di fronte alla sovrana. Anna fu l’ultima a mostrarsi e, quando lo fece, Ingvalda trasalì. Elsa scommise che fosse sconvolta all’eventualità di dover cedere il dominio, ma la custode si alzò in piedi con gli occhi spalancati e ansiosi.
 «Siete viva!» rantolò Ingvalda. «Ero certa che vi avessero uccisa. Io… Io…»
 «Non osate». La calorosa e gentile Anna la interruppe, sorprendendola. «Sono al corrente di quello che avete fatto a Elsa e io non tollero che le sia torto un capello».
 Elsa, che si teneva a distanza, assisteva alla scena con sentimenti contrastanti. La passione di Anna le scaldava il cuore, dimostrando che, nonostante tutto, l’una avrebbe difeso l’altra fino alla fine. Ma Ingvalda… Elsa non aveva un’opinione precisa di lei.
 Quell’anno la regina delle nevi aveva incontrato due tipi di persone assetate di potere: Ingvalda e Carol. All’inizio Ingvalda le era sembrata un’assoluta tiranna, il peggio del peggio. L’aveva cacciata e le aveva sottratto la corona. Era per caso diversa da Carol, arguta, omicida e che erano riusciti a sconfiggere poco prima? Qualche settimana fa, Elsa avrebbe detto che le due erano praticamente sorelle. Ma adesso cominciava a rendersi conto che Ingvalda era di tutt’altra specie. Era sì avida del comando, ma solo perché desiderava accertarsi che la legge venisse rispettata in modo attento e appropriato. E, in verità, Elsa si distraeva troppo facilmente e non aveva la preparazione che occorreva per continuare a regnare. Ingvalda aveva agito scorrettamente, ma Elsa aveva pietà di lei.
 «Anna» l’ammonì con delicatezza, «va tutto bene».
 Sia Anna che Ingvalda si girarono verso la donna, chi più stupefatta dell’altra. Ingvalda si sentiva in colpa ed era imbarazzata e Anna grugnì con riluttanza e annuì in direzione della custode, ma non ribatté.
 «Vostra Maestà», re Lewis prese il controllo della situazione, «temo che vi spettino degli opportuni chiarimenti».
 Ingvalda esaminò la fila composta da fratelli e affiliati, dopodiché assentì senza aggiungere successive parole.
 Lewis raccontò di Carol e di Bhumi e del perché ad Arendelle fossero comparsi dei cadaveri. Spiegò che Hans era stato incastrato e di come c’entrasse con la vicenda la magia, la quale era simultaneamente la causa e la soluzione dei loro problemi.
 «Vi chiedo di tenere prigioniera Carol nei vostri carceri per i delitti commessi contro Arendelle e contro tutti i paesi vincolati al patto commerciale» concluse Lewis. «Lasciate salpare me e i miei figli con i corpi dei nostri caduti, affinché possiamo tornare finalmente a casa».
 Senza la minima esitazione, Ingvalda rispose: «Sì. Vi concedo le scorte e le provviste necessarie per raggiungere la vostra destinazione e vi giuro che coveremo la criminale ad Arendelle».
 Lewis fece un cenno con un sorriso amabile. «Vi ringrazio, Vostra Maestà».
 E la faccenda finì lì. Elsa era meravigliata dall’assenza di discordia, dopo che a lungo la vita le era parsa una sequela di scontri dopo scontri. Furono assegnate delle stanze per la notte al gruppo, che fu invitato a una sontuosa cena per poi stabilire la partenza al giorno dopo.
 Hans seguì Elsa nella sua ex camera, dove niente era stato toccato durante il suo esilio.
 «Non ho mai considerato l’idea di tornare qui» confessò Elsa sommessamente, scorrendo le dita sopra il comò, il letto, ogni cosa intorno a sé.
 «Di certo è adatto a una regina» commentò Hans.
 Elsa si diresse verso la porta del balcone. Schiuse la serratura e spalancò le ante, mettendo piede sulla superficie ricoperta di neve. Posò le mani sulla ringhiera mentre ammirava i fiocchi che cadevano, danzando e ricoprendo con un velo bianco la cascata. Chiuse gli occhi e ascoltò l’acqua che scorreva, sentendo l’aria gelida che l’accerchiava. Con una fitta di nostalgia, ebbe la smania di fuggire via.
 Alzò le palpebre quando avvertì una presenza calorosa dietro a sé. Permise a Hans di circondarla con le braccia e appoggiare il capo sulla sua spalla.
 «Qui fuori è bellissimo» mormorò lui.
 Elsa canticchiò, concordando pienamente e traendo piacere dal tepore che l’avvolgeva come una bella coperta. «Mi mancherà».
 «Allora hai già deciso?» Hans rise. «Stavo per domandarti se avessi intenzione di restare ad Arendelle».
 Elsa sorrise leggermente. Le loro menti erano in sintonia. «Ci ho pensato. Per un attimo ho sperato di rimanere. Arendelle sarà sempre la mia casa, però…»
 Si bloccò, scrutando ancora la cascata. Si ricordò di come mesi fa si fosse rifugiata lì, dopo aver discusso di cavalli e di avventure con lo strano prigioniero. Si ricordò di aver desiderato di scappare. La stessa sete di avventura la riempiva in quel momento, mentre realizzava che l’esperienza provocata da Carol era sul punto di giungere a una fine. E lei non voleva che finisse.
 «Però?» la invitò a proseguire Hans.
 «Però mi hai promesso che mi avresti insegnato a cavalcare».
 Il principe era confuso.
 «Quando eri ancora nella tua cella, mi hai parlato del tuo cavallo e di quanto amassi cavalcare e io ti ho rivelato di non averlo mai provato. Mi hai garantito che un giorno me lo avresti insegnato» chiarì Elsa. «Non posso stare senza di te e tu devi riacquistare familiarità con i tuoi fratelli, giusto?»
 «Elsa» disse lui con una voce flebile, come se sapesse di dover rifiutare l’offerta, ma non ne avesse il coraggio.
 Elsa tuttavia scosse la testa. «Qui non c’è più spazio per me. Ho perso la corona e nell’ultimo periodo ho assaporato troppe volte il gusto dell’imprevisto. Non sono più in grado di vivere con tranquillità: devo imparare a montare a cavallo».
 Fissò nelle iridi Hans – che in faccia aveva un sorriso che non riusciva a nascondere – e lo baciò. «Me lo prometti?»
 Lui la strinse in un abbracciò e sorrise ulteriormente contro le sue labbra. «Te lo prometto».

Fin troppo presto a suo parere, Elsa si ritrovò ai moli di Arendelle, pronta a lasciarsi alle spalle una gran parte di se stessa. La neve del giorno prima aveva smesso di cadere, ma era ammassata in cumuli sul suolo, uno strato sottile sotto le suole delle sue scarpe. Il fiordo sgombro era invitante e terrificante e vasto ed Elsa fu costretta a regolarizzare il respiro. Stava per cominciare un nuovo capitolo della sua vita.
 Udì il suono di qualcuno che le si avvicinava. Passi regali, un’entrata silenziosa: poteva trattarsi di una sola persona. Elsa si girò per confermare i propri sospetti inerenti a Ingvalda, un mantello che l’attorniava delicatamente per tenerla al caldo. La donna sollevò il viso ma non aprì bocca, senza troncare il suo cammino.
 Ingvalda era muta quando la raggiunse. Elsa era disorientata.
 «Ingvalda» la salutò piano.
 «Elsa» ricambiò lei con un lieve gesto, il volto a terra. «Io… io non so che dire».
 Si arrestò nuovamente, senza incrociare il cipiglio di Elsa. L’ex regina si rese conto che Ingvalda stava tentando di scusarsi.
 «Io…» Ingvalda ci riprovò. «Ho sbagliato a scacciarvi. È stato noncurante e poco professionale. Ero in ansia per la nazione e la sua sicurezza e ho creduto—»
 «Non mi servono le vostre giustificazioni» contestò gentilmente Elsa. «Non ne ho bisogno».
 Ingvalda tacque e assunse un’aria colpevole. «Sì, naturalmente».
 «Vi perdono» riprese Elsa. «Avete errato, ma siamo entrambe consce della mia incapacità a governare».
 «Oh, non intendevo—»
 Elsa sorrise e l’azzittì agitando la mano. «No, va bene. È per il bene del regno».
 Ingvalda teneva lo sguardo in giù. «Sospetto di non potervi restituire la corona. Una volta reo di tradimento, un monarca non può essere riabilitato. È la legge».
 Elsa squadrò ancora il mare infinito, l’acqua che rifletteva il grigio monotono del cielo nuvoloso. «Ne sono informata. Mi allontanerò da Arendelle. Ma visto il favore di cui mi siete debitrice, vi do una condizione da seguire».
 «Sì?»
 «Così come non siamo mai state vicine, prendete Anna sotto la vostra ala» intimò Elsa, costringendo Ingvalda a guardarla negli occhi per farle capire di essere seria. «Istruite Anna e fate il meglio che potete, il più affettuosamente possibile, e assicuratevi che lei apprenda esattamente l’importanza del governare. Anna sarà la regina più giusta e più premurosa che Arendelle abbia conosciuto».
 Ingvalda batté le palpebre. «È tutto qui?»
 «Sì» replicò, studiando l’oceano. «E se al mio ritorno Anna non sarà perfettamente educata, vi farò presente la mia disonesta espulsione».
 «Ovviamente» rispose Ingvalda, un filo meno elettrizzata. Le toccava lavorare duramente per rimediare ai torti commessi, ma era per i migliori interessi di Anna. Elsa avvertì una fitta di dolore alla prospettiva di abbandonarla, ma non poteva far altro per lei.
 «Elsa!» urlò una voce, come a comando. Elsa si volse e vide Anna che correva a tutta birra nella sua direzione. La principessa rallentò per non sbattere contro la sorella, ma dovette aggrapparsi a lei per non perdere l’equilibrio.
 «Anna», Elsa rise, «non me ne vado adesso. Non lo farei mai senza salutarti».
 «Lo so, lo so» disse, recuperando il fiato, le guance arrossate a causa del freddo. «Ero preoccupata di non riuscire a beccarti. Devo fare qualcosa di molto importante».
 Anna era ansiosa, persino nervosa. Saltellava spostando il peso da un piede all’altro, come se fosse sul punto di esplodere.
 Elsa corrucciò la fronte, confusa. «Che devi fare?»
 «Vedrai» canticchiò Anna, voltandosi. Kristoff la tallonava rapidamente, a sua volta seguito dalla maggioranza dei membri dell’equipaggio e coloro che provenivano dalle Isole del Sud.
 Tutti si fermarono in prossimità delle tre donne. Ingvalda si unì alla folla ed Elsa individuò immediatamente Hans, rivolgendogli un cenno. La gente parlottava e Anna si schiarì rumorosamente la gola.
 «Ehi a tutti» richiamò. «Prima che mia sorella e buona parte di voi se ne vadano per sempre, devo fare un annuncio importante».
 Il silenzio cadde sulla massa, che osservava la donna dai capelli rossi raccolti e uno sfarzoso vestito rosso.
 «Mio sorella per me è tutto» iniziò a proclamare Anna. «Ha sempre auspicato il meglio per me, ha sempre cercato di proteggermi e, se calcolassi il suo valore in lingotti d’oro, prosciugherei tutti i caveau al mondo. Se non fosse stato per lei e i suoi poteri magici, Arendelle non avrebbe mai affrontato l’inverno durante l’estate di due anni fa. E se non fosse mai successo, io non avrei mai incontrato Kristoff Bjorgman».
 Gli occhi dei presenti si girarono con una bruciante curiosità verso il montanaro biondo e dalla voce carezzevole che diventava man mano sempre più rosso. Aveva l’aria di volersi far piccolo piccolo nel proprio cappotto per l’imbarazzo, ma le guance di Anna erano avvampate e lei non smetteva di sorridere. Gli si avvicinò e lo attirò a sé.
 «Quest’uomo mi ha insegnato tanto. Mi ha insegnato a prendere le vita con calma, ad accontentarmi e a non buttarmi a capofitto. E ho tentato e tentato e tentato di essere paziente, Kristoff. Ma Elsa sta per lasciarci e preferirei che anche lei fosse presente in questo momento, perciò…»
 Anna s’inginocchiò inaspettatamente, tirando fuori dalla tasca del suo mantello una scatoletta – una custodia. Elsa si emozionò subito e non era capace di stare ferma mentre guardava l’intera marea di persone che iniziava a tripudiare e a gioire. Kristoff era rosso come un pomodoro e si copriva la bocca con le mani.
 «Kristoff Bjorgman, mi vuoi sposare?»
 Lui dava l’impressione di star per morire, ma annuì, completamente ammutolito. Anna sorrise e si erse in piedi, balzando addosso all’uomo e baciandolo. I fratelli esultarono e gridarono dall’emozione ed Elsa si accorse di aver provocato una seconda nevicata.
 La coppia ricevette le felicitazioni di ognuno e c’era un’atmosfera di risate e di contentezza. Elsa scorse Bhumi nel trambusto. Anche la principessa aveva ottenuto da Ingvalda una nave e un equipaggio e aveva intenzione di avviarsi qualche giorno dopo la partenza del naviglio diretto alle Isole del Sud. In sua compagnia c’era un Charles impacciato e dall’espressione colpevole che ad Aruna avrebbe scontato le proprie pene servendola. Ma Elsa sapeva che la sentenza non era minimamente tanto crudele quanto Bhumi insisteva che fosse: lei era cambiata e la trasformazione era evidente.
 Elsa andò ad accomiatarsi da Bhumi e a ringraziarla per tutto. Se non fosse stato per lei, dopotutto, nulla di ciò sarebbe successo. La donna indiana contraccambiò la riconoscenza e si complimentò con la principessa e il montanaro.
 Tra tutta quella felicità e commozione, Elsa perse la cognizione del tempo e improvvisamente si ritrovò sulla nave con Anna che la stringeva forte.
 «Mi mancherai tantissimo» mormorò la principessa e futura regina. «Eravamo distanti quando eravamo vicine e adesso siamo vicine malgrado la distanza».
 Anna fece qualche commento incomprensibile mentre tuffava il viso nella spalla di Elsa. Quando rizzò la schiena, aveva i lucciconi agli occhi, ma sorrideva.
 «Che giornata lunga, eh?» rimarcò. «Chi avrebbe immaginato di finire qui?»
 Elsa cinse di nuovo sua sorella in un enorme abbraccio e poi la dovette di nuovo salutare. Molte lacrime e diversi “Arrivederci!” più tardi, la nave era carica e salpò in mare, fino a quanto Anna, Kristoff e tutti coloro che erano venuti a sventolare i loro fazzoletti divennero granelli sull’orizzonte da cui spiccava la figura del castello che un tempo era stato casa sua.
 Qualche ora dopo, il tramonto ricoprì il cielo come una tenda. Sebbene nella frizzante notte invernale facesse freddo, i dieci fratelli rimasti, il re ed Elsa si erano riuniti sul ponte, ascoltando le esperienze descritte da ciascuno nei loro istanti prima di essere uccisi da Bhumi. Uno dopo l’altro, i principi si alzarono in piedi di fronte al loro pubblico, raccontando drammaticamente il modo con cui si erano approcciati al loro decesso.
 «Avrei giurato che non ci fosse nessuno dietro di me, ma quando mi girai» narrò John, il terzogenito, reinterpretando in maniera comica la paura che aveva provato, «sentii dei passi! Cominciai a correre – ero terrorizzato! Era un fantasma, ne ero sicuro! E poi mi volsi un’ultima, fatidica volta…»
 Elsa s’era accoccolata contro Hans, non perché aveva bisogno che lui la scaldasse, ma perché amava la sua compagnia. Dall’altro lato c’era Jørgen, con cui era stata lieta di riunirsi.
 «Bam!» urlò d’un tratto John. «Era finita. E dire che l’ultima cosa che pensai fu che non avrei più avuto la possibilità di mangiare quel fagiano».
 Il pubblico rise e applaudì mentre John s’inchinava e tornava a sedersi.
 «Nessun altro?» chiese il primogenito, Campbell. «Jørgen?»
 Il settimo scosse il capo. «No, non sono mai stato ucciso. Non ho storie da raccontare».
 Tutti lo fischiarono, ma risero. Anche Elsa rise quando Jørgen scosse le spalle, adducendo la buona sorte al suo essere il fortunato numero sette.
 «E se Elsa si esibisse?» suggerì Anderson.
 I fratelli si zittirono e guardarono il principe più giovane e la donna che lui cingeva. Hans s’irrigidì istintivamente e la strinse ulteriormente.
 «Che?» domandò Elsa.
 «Sfoggia i tuoi poteri del ghiaccio» la delucidò lui. «Vediamo cosa sai fare con la magia».
 «Oh» rispose Elsa, dando dei colpetti al braccio di Hans per fargli comprendere che lei approvava. Lui non ne era felice, ma la liberò dalla propria presa. «Be’, se proprio lo vuoi».
 «Sì» la incitò Christian. «E anche Hans!»
 Gli occhi di Hans erano più spalancati della luna. Elsa intuiva quello che gli ronzava in testa. È uno scherzo?
 Lo dovettero percepire anche gli altri, perché iniziarono a esortarlo e incoraggiarlo. Hans, che sedeva inerte come una lumaca, ci mise un po’ a rendersi conto che lo stavano sollecitando a prendere posto accanto alla sua donna sorridente. Si levò goffamente in piedi e si diresse da lei, il timore in faccia.
 «Vogliono che utilizzi la magia» sussurrò a Elsa, incredulo.
 Lei gli sorrise per rassicurarlo. «Lo so».
 E con un’occhiata, lui sembrò capire che andava tutto bene. Per la prima volta in vita sua, i suoi fratelli volevano vedere quello di cui era capace. Volevano che lui usasse la magia e non lo stavano deridendo. Era surreale.
 Elsa si distanziò da lui di qualche passo. Erano trascorsi mesi dalle lezioni, ma era certa che avrebbero presto ritrovato l’equilibrio.
 Raddrizzò le dita, la neve e il ghiaccio che si arricciarono lungo e intorno a esse, esplodendo nell’aria come una tenue nebbia. Hans, malgrado la leggera insicurezza, sollevò il palmo da dove nacque un fuoco ruggente. I presenti esclamarono in coro: «Oooh».
 Elsa mosse entrambe le mani, creando fiocchi e nevischi che oscillavano come foglie nel vento, mentre Hans sferrava piccole fiamme nelle gelide scintille. Disegnarono fiori, petali di fuoco e di ghiaccio che cadevano ma che scomparivano prima di toccare terra.
 Hans era più che deliziato all’idea di essere finalmente sostenuto dalla sua famiglia, ma presto nei paraggi non ci fu più nessuno oltre che lui ed Elsa. Neanche la superficie che pestavano era quella della nave: c’erano solo loro due. Creavano e ballavano in schizzi incantevoli e strani che si completavano a vicenda da qualsiasi prospettiva. La loro magia era bellissima e assistere ai loro poteri insieme era come ammirare splendide sequenze di vita allineate in una perfetta armonia. Era uno spettacolo compiuto e ciò che contava ora – tutto ciò contava – erano loro due che danzavano nel fuoco e nel ghiaccio.

   
 
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