Harry ingoiò un cucchiaio troppo bollente di zuppa. Con gli occhi lucidi per via del dolore rivolse lo sguardo verso Ginny che svogliatamente rimestava il contenuto del suo piatto.
Il sapore delle cipolle ricordò a Harry una zuppa molto simile, una che aveva mangiato anni prima alla Tana. Condivise quella cena con il signor Weasley. Da quando tutto era tornato alla normalità, secoli ormai, Harry si ritrovava a meravigliarsi per i ricordi che a volte ritornavano così nitidi da sembrare vicinissimi, nel tempo e nello spazio.
"Ginny" cominciò Harry. Rimandavano quella conversazione da mesi. Forse anni.
Ginny sollevò lo sguardo dalla sua zuppa e guardò Harry dritto negli occhi.
"Cosa, hai già gli occhi lucidi? Non abbiamo neanche cominciato a parlare".
Harry rise suo malgrado. Negli occhi castani di Ginny, così intensi, Harry rivide la ragazzina forte, sicura, divertente, di cui si era innamorato al sesto anno.
Rivide il coraggio con cui aveva affrontato innumerevoli pericoli per proteggerlo. Rivide gli occhi che si erano illuminati di gioia la prima volta che avevano incrociato lo sguardo del piccolo James per la prima volta.
"Harry, non c'è molto da dire" continuò Ginny, rispondendo all'impossibilità di Harry di aprire bocca.
"Tu sei Harry Potter, l'eroe del mondo magico. Lasciare tua moglie non è un ruolo che ti si addice. No, aspetta, fammi finire" aggiunse prima che Harry potesse aprire bocca. "So cosa stai cercando di fare. Stai cercando di ricordare la Ginny di cui ti sei innamorato. La Ginny bella, popolare, simpatica. Così da rimandare questo momento, ancora una volta. E magari stai ricordando la Ginny del primo anno, la vittima di Tom Riddle, per provare pietà. Perché è più facile, no? Più facile illudersi che le cose cambino, che l'amore ritorni domani, così, come per magia. Anzi, sai cosa? Noi siamo maghi! Possiamo fare magie! Proviamo a chiamarlo? Accio Amore. Accio Amore. Accio Amore! ACCIO AMORE! ACCIO AMORE!".
"Ginny, ti prego..." Harry si era alzato e aveva tolto la bacchetta di mano a Ginny. Sentì un calore ostile al tocco del legno.
"Ridammi la bacchetta".
"No".
"Ridammi la bacchetta".
"Ginny, calmati...".
"Sai cosa" disse Ginny, asciugando inutilmente le lacrime, "Io non sono mia madre, e tu non sei mio padre. E non siamo nemmeno i tuoi genitori".
"Tu mi ami, Ginny? Mi ami ancora?" la domanda arrivò alle labbra di Harry prima che potesse controllarsi.
"Oh sì, Harry Potter, ti amo. Ti amo talmente tanto da non averti lasciato andare quando ho capito che per te non era più lo stesso. Non sai quanto mi costa amarti quando vorrei semplicemente odiarti. Voglio odiare te, la tua cicatrice, la tua gentilezza. Voglio odiare i ricordi che ho di te. Voglio odiare tutto, ma ti amo come il primo giorno. Mi dispiace, non ti renderò le cose più facili dicendo che non ti amo più".
"Mi dispiace, Ginny..." stavolta le lacrime di Harry non erano causate dal calore delle cipolle, ma dal senso di colpa. Non riusciva a spiegarsi perché avesse smesso di amare Ginny. Si sentiva meschino, egoista, in qualche modo sporco, per la prima volta nella vita. Le lacrime di Ginny, il suo dolore, erano tutta colpa sua. Ma non poteva più fingere che le cose andassero bene.
"Anche a me. Dispiace anche a me". La voce di Ginny era tornata ferma, non tremava più di rabbia o dolore. Sembrava solo stanca.
"Ti conosco abbastanza, Harry, da sapere che non avrai il coraggio di terminare questa conversazione. So che tipo di uomo sei. Sei esattamente l'uomo di cui mi sono innamorata e non mi pento di nulla. Sei un Grifondoro codardo. Perché preferisci la codardia al coraggio che potrebbe farmi male. Malgrado tutto, malgrado tutto, rifarei ogni cosa, e cercherei di essere diversa, di farti stare bene. Ma le giratempo le abbiamo fatte fuori tutte, vero?" abbozzò un sorriso. Finalmente le lacrime si erano fatte strada lungo le sue guance e le riempivano la bocca.
"Domani scriverò una lettera ai ragazzi. Dovresti fare lo stesso. E dovresti telefonare Dudley e dirgli che per qualche giorno dormirai sul suo divano".
Anche Harry aveva cominciato a piangere. I suoi singhiozzi sottolineavano le parole di Ginny, parole che aveva immaginato tante volte, ma che ascoltate gli avevano fatto più male di qualsiasi Maledizione senza perdono.
"Mi dispiace" fu tutto quello che riuscì a dire tra i singhiozzi, con le unghie conficcate nella carne delle sue mani.
"Anche a me", ripetè Ginny, lasciando la stanza.