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Autore: Nereides    17/07/2016    1 recensioni
Diane Lesley è in debito di due promesse, una fatta ad una ragazza sconosciuta, mentre le teneva la mano e aspettava l'arrivo dell'ambulanza, l'altra fatta ad un amico, un eterno Peter Pan con la fobia per i legami. Cercherà di tener loro fede, tra fantasmi del passato con il volto dell'affascinante Edward Hamilton e lo spietato e freddo cugino della ragazza, Mark Hansen, che il destino continuerà a mettere sulla sua strada. La vita di Diane alla Derbydale University si ritroverà intrecciata agli scomodi segreti delle due famiglie più potenti della città e metterà a dura prova le sue amicizie, le sue certezze e i suoi principi.
Sentirsi soli in un dormitorio universitario è difficile, ma quella sera si sentiva più sola che mai. Due promesse, due pesi, due debiti che aveva stretto senza sapere se sarebbe riuscita a colmarli. Un segreto pericoloso, che rischiava di rovinare tutto ciò che aveva costruito con tanta fatica se solo fosse uscito da quelle mura di cartongesso, così leggere, fragili e inaffidabili.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Debt of Promise




VI






-Sophie, stai calma. Tieni, bevi.-
La principesca Sophie McShera stava per avere un crollo emotivo di fronte a lei. La vide tracannare in un solo sorso ciò che rimaneva del suo terzo gin lemon, ma nemmeno l’alcol riuscì a frenare il pianto che le solleticava gli occhi. La sicurezza della più popolare studentessa della Darbydale University stava crollando con la stessa facilità di un aquilone quando cala il vento, e Susan non si trovava da nessuna parte. Era lei quella forte del gruppo, quella empatica e comunicativa. Diane era brava con i fatti, non aveva la minima idea di come impedire che quegli occhi lucidi si trasformassero in lacrime salate.
-Cosa ho io che non va? Perché il suo stupido cervello non gli dice che io potrei amarlo per quello che è? Non dovrebbe nemmeno fare la fatica di convincermi! Dannazione, perché io non riesco a farmene una ragione e dimenticarlo?- le chiese, facendo avverare il suo incubo. Diane l’abbracciò e la rassicurò, ma tutto ciò a cui riuscì a pensare era che Chris Howes non si meritava l’attenzione di due ragazze del genere. Sophie sarà anche stata la Regina delle Nevi, ma Jasmine era la Regina del Deserto. Pelle ambrata e lineamenti disegnati con finezza, occhi scuri come l’onice e capelli da leonessa. Si muoveva con la grazia e la sicurezza di una regina egizia, Cleopatra tornata in vita dall’Amenti. Ed era arrivata con Mark Hansen.
-Diane, ti prego, vacci a parlare- mormorò tra le lacrime.
- Con Jasmine?-
-Con Chris!- esclamò, come se solo il sentir nominare il nome della egiziana scatenasse impulsi omicidi. Poteva farlo, Chris era un suo amico, Jasmine invece le metteva i brividi. Le promise che sarebbe tornata presto e la lasciò seduta sul sofà di una delle centinaia di stanze di villa McShera. Mazzi di rose bianche sbucavano da vasi a forma di àncora romana e piogge di mughetti cadevano delicati in ogni angolo, richiamando l’idea della stanza di una sposa. Ma non c’era niente della gioia di una giovane promessa sul viso perfetto dell’amica che, al contrario, piangeva per quel desiderio di felicità, trasformatosi in tormento.
Diane tornò alla festa desiderando di non avere degli affari alti dieci centimetri ai piedi che non facevano altro che distrarla dalla sua missione. Quando ricomparve, in giardino nulla era cambiato. Gli ospiti continuavano a divertirsi con la musica e il tasso alcolico sempre più alti, senza neanche chiedersi che fine avesse fatto la padrona di casa. Diane fece una smorfia di disgusto e tornò a concentrarsi sul suo obbiettivo. Non sarebbe stato difficile trovare il più pigro e annoiato genio della statistica che si fosse mai visto a Derbydale: era lì dove lo aveva lasciato, sul comodo divanetto di tessuto bianco a bordo piscina su cui si era seduto appena arrivato e su cui, poco ma sicuro, avrebbe trascorso l’intera serata. Solo che su quel morbido sofà c’erano anche le cosce abbronzate e ben tornite di Jasmine Abu.
Diane deglutì e andò loro incontro. Non sapeva cosa avrebbe detto a Chris per convincerlo a staccare gli occhi da tutto quell’ambrato bendidio e l’istinto le diceva di temere quella ragazza così maestosa, bella e sicura di sé. Dovette mettere da parte il suo sesto senso perché ormai era di fronte a loro, poteva persino sentire il profumo di fiori di loto di Jasmine. Tuttavia, nonostante continuasse a stare impalata a meno di un metro da loro, erano così impegnati a parlare che nemmeno si accorsero della sua presenza.
-Chris … -
-Leslie.-
Camicia bianca, pantaloni neri e uno sguardo raggelante, Mark aveva l’eleganza di un vampiro scandinavo pronto a strapparle la vita. Era sbucato all’improvviso e tra le mani teneva due bicchieri di champagne.
-Che diavolo ci fai qui?- gli domandò avvicinandosi quel tanto perché nessuno, a parte lui, potesse sentirla.
Mark non rispose subito. Rimase ad osservarla per qualche istante, finché le allungo uno dei due calici. Diane accettò con la spontaneità di un automa.
-Immagino lo stesso che ci fai tu- replicò serafico.
-Sophie non ti ha invitato né ha invitato quella specie di regina d’Egitto!-
-Si chiama Jasmine ed è la figlia del console egiziano. Io ne parlerei con un po’ più di rispetto- replicò.
Mark l’aveva perseguitata per una settimana con la sua costante e indesiderata presenza, ma non credeva che fosse tanto ossessionato da spingerlo a imbucarsi in casa della sua migliore amica. La sua insistenza la spaventava, quasi più del suo carattere irruento.
-Mi stai seguendo?- gli chiese senza troppi giri di parole. Jasmine poteva anche essere figlia del faraone Tutankamon, non gliene importava niente, ma voleva mettere in chiaro che doveva lasciarla in pace.
-Mi stai evitando?- domandò di rimando.
-Certo! Tutte le volte che ho a che fare con te mi insulti. L’ultima volta mi hai detto che sono … -
-L’ultima volta non mi hai fatto finire di parlare- la interruppe sovrastandola. –Ti ho detto che sei … -
-Assurda!- esclamò lei rabbiosa.
-Già, assurda. Perché non scendi a compromessi, come fanno le persone normali- Mark finì la frase interrotta tempo prima, sotto una pioggia scrosciante. Diane con un gesto delle mani fece segno che ne aveva abbastanza. –Normali, certo. Figurarsi se ero normale, per te. Stammi alla larga, Hansen.-
Gli voltò le spalle, rincuorata che avesse finalmente messo in chiaro le cose, quando si sentì afferrare per il braccio. Mark la stava trattenendo. Il suo sguardo, reso felino dal trucco, guardò le sue dita stringersi attorno alla pelle scoperta del suo avambraccio. Mark era a meno di un passo da lei e la sensazione vulnerabilità scatenata dal suo tocco indesiderato si trasformò in paura.
Tutti le avevano detto che non bisognava fidarsi di lui, che era pericoloso, e ora i loro ammonimenti si stavano realizzando. Quel contatto fisico non era gradito, specialmente con indosso un abito troppo scollato e troppo corto, che lanciava messaggi facilmente male interpretabili. Mark Hansen aveva scoperto dove abitava, dove studiava e aveva cercato di incontrarla per una settimana. Il campanello d’allarme era scattato solo in quel momento, ma forse avrebbe dovuto farlo prima.
-Se speri che ti supplichi di aiutarmi ti sbagli di grosso- le disse infine con durezza, lasciandole il braccio ma senza allontanarsi. Diane era così confusa da non capire di cosa stesse parlando. –Ti propongo un accordo. Tu mi scali li ore, io ti faccio vedere Hilary.-
Aveva archiviato la possibilità di una loro collaborazione nel momento in cui le aveva chiaramente espresso di non sopportarla, e in realtà la sua idea di collaborazione si basava più sull’empatia e gentilezza umana, che su un vero e proprio accordo. Ed ecco spiegato perché non era normale, ai suoi occhi, ed ecco la sua idea di compromesso. Non le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello di scalargli davvero le ore, l’aveva detto solo per provocarlo. Ma aveva dimenticato con chi stava parlando. Mark Hansen, che avrebbe chiesto una ricompensa in denaro per aver chiamato un’ambulanza.
-Sei davvero spregevole- gli disse, cercando di esprimere il più possibile il suo disgusto.
-La tua opinione non mi interessa, voglio solo una risposta- replicò secco.
Diane spostò lo sguardo, non riuscendo più a mascherare di essere a disagio. Voleva davvero mantenere la promessa fatta ad Hilary, ma accettare la proposta di Mark era un prezzo che avrebbe macchiato la sua coscienza. La sua mente cercò disperatamente un altro modo per arrivare ad Hilary, ma ci aveva già provato, e sapeva che non esisteva. Quando alzò lo sguardo su Mark aveva preso la sua decisione e si sentiva bruciare dentro.
-D’accordo- gli disse a denti stretti. –Ma decideremo insieme quali ore potrai saltare. La professoressa Smith non deve accorgersene, chiaro?-
Mark annuì. –E io sarò presente ad ogni incontro con Hilary.-
-Cosa?! Non ti voglio ad origliare i nostri discorsi!-
-Non so chi sei, non sei sua amica e hai già mentito al riguardo- replicò con sicurezza. –Sarei un’irresponsabile se non prendessi le mie precauzioni. Nemmeno mio zio Jeff deve accorgersene.-
Diane sapeva che aveva ragione, ma non riuscì ad accettarlo. –Solo i primi tre incontri, gli altri da sole, se Hilary non ha nulla in contrario.-
-Ad orari in cui ci siamo entrambi- precisò Mark, indurendo lo sguardo. Diane sospirò con il naso e lo fissò con la stessa determinazione.
-Affare fatto- gli disse, allungando la mano destra, ma Mark non la strinse. Confusa, alzò lo sguardo. Il suo viso si era improvvisamente indurito e i suoi occhi erano tornati ad essere affilati come lame appena molate, puntate dietro le sue spalle. Diane si voltò: Thomas si stava avvicinando con un’espressione ben diversa da quella che era solita vedergli. Non c’era niente di solare in quello sguardo furioso, né c’era allegria tra quelle labbra tese.
-Di al tuo amico di starmi alla larga- sibilò Mark.
Diane ascoltò il consiglio e andò incontro a Thomas. Riuscì a fermarlo solo perché la sua mano andò a posarsi sul suo petto e lo respinse indietro, ma gli occhi dei due ragazzi, della stessa sfumatura di azzurro eppure così diversi, continuarono a sfidarsi: quelli cobalto di Thomas, intensi ed espressivi, un pozzo di emozioni, cozzavano contro quelli duri e inflessibili di Mark, tanto chiari da sembrare due specchi. I segni dell’ultimo sconto erano ancora visibili nei lividi sul viso del biondo e nel braccio fasciato del pugile.
-Thomas, cosa stai facendo?- gli domandò.
-Cosa ci fa lui qui?- le domandò in un ringhio basso.
-Gli ho già detto di andarsene, non c’è bisogno di fare scenate.-
Thomas si voltò verso di lei con espressione scioccata. -Gli stavi per stringere la mano- disse. –Perché gli stavi per stringere la mano?-
Diane indietreggiò d’istinto. Thomas le faceva improvvisamente paura. Quel viso, che era abituata a vedere solare e gioioso, era una maschera di rabbia e di odio, e non sembrava riconoscerla.
-Perché Diane?!- gridò. Ora persino Chris e Jasmine avevano smesso di chiacchierare tra loro e li stavano guardando. Non sapendo come reagire, Diane indietreggiò di un altro passo, finché si accorse di avere Mark accanto.
-Finneran, falla finita- esordì diretto. L’aveva raggiunta e le stava ponendo il flûte di champagne, che Diane prese. Ora anche Mark aveva entrambe le mani libere.
-Che diavolo vuoi da Diane?!- esclamò di nuovo Thomas.
-Non credo che siano affari tuoi.-
-Ti conviene lasciarla in pace, Hansen.-
Mark sorrise. -O altrimenti?-
Thomas si lanciò in avanti con un ringhio sommesso. Urtò Diane, ma non se ne accorse. La sua rabbia cieca gli fece vedere solo la sua preda, la quale aspettò l’impatto con calma magistrale. Abituato ad essere predatore, Mark sapeva bene come difendersi da un attacco e quando le mani tese di Thomas furono sul punto di afferrarlo per il colletto della camicia, semplicemente si scansò.
Il tuffo in piscina fu spettacolare e richiamò l’attenzione di tutti gli invitati. La chioma bionda di Thomas riemerse insieme a un respiro profondo e all’umiliazione, ma il contatto con l’acqua fredda fece calmare del tutto il suo spirito infuocato. Rimase fermo, immobile, con lo sguardo che sapeva di malinconia.
-Thomas.-
Diane si sporse e gli tese una mano. Non gli importava se l’aveva appena fatta cadere né se stava per prendere a pugni Mark, Thomas sembrava sul punto di crollare in mille pezzi tra le onde delicate e l’odore pungente del cloro. E quando si voltò ebbe la certezza che le gocce sul suo viso non fossero semplice acqua. In silenzio e con lo sguardo abbassato, afferrò la sua mano e uscì dalla piscina.
-Vuoi riprovarci Finneran?- lo provocò Mark. Thomas fecce un passo in avanti, ma all’improvviso la distanza tra i due fu colmata da un paio di braccia altrettanto robuste.
-Credo che sia il caso di finirla qui. Non vi è bastata la vetrina del mio locale?-
Steven, il cameriere della caffetteria, si era messo tra i due ponendo finalmente fine alla lite. Mark lo perforò con lo sguardo per essere intromesso, ma non replicò.
-Forse è il caso se lo porti via- disse a Diane, indicando Thomas con un cenno del capo. Diane, ancora sorpresa per il suo intervento, arrossì e annuì.

***

Susan uscì da quella che sperava essere una qualsiasi stanza per gli ospiti sistemandosi il vestito con fare nervoso. Se tirava in giù la gonna, il petto si scopriva e viceversa. Era talmente stravolta da non riuscire nemmeno a ricomporsi. Si era persino messa a cercare gli occhiali per poi ricordarsi che quella sera aveva le lenti a contatto.
Andare a letto con Edward era stata una pessima, pessima idea. Sentiva di aver infranto un giuramento sacro e di non poter far più niente per rimediare. Aveva ceduto e si era ritrovata stretta tra quelle braccia che pochi istanti prima le erano sembrate il paradiso ma che adesso capiva essere la porta dell’inferno.
Doveva andarsene subito o Sophie e Diane avrebbero capito con un solo sguardo il suo tradimento, e sapeva che per Diane scoprire quello che aveva fatto era lo stesso che considerarla morta. Di gran lena, attraversò il porticato evitando ogni sguardo e ogni mano alzata in segno di saluto.
-Tu non sei della Derbydale. Che diavolo ci fai qui?- 
-Lo deduci dal fatto che non indosso un abito che potrebbe sfamare centinaia di bambini?-
Quella conversazione tra mille attrasse la sua attenzione. Distrattamente, alzò il volto per individuare a chi appartenessero quelle voci, e ciò che vide la lasciò senza parole. Mark Hansen e il cameriere della Caffetteria erano soli e stavano parlando. Diede una seconda occhiata più approfondita e notò la distanza che li separava, i corpi in posizione rigide. Non stavano parlando, si stavano studiando come due capobranco inorgogliti. Quei metri che li separavano erano un tacito accordo tra i due, che entrambi sapevano di non dover superare.
-E’ molto più semplice, se fossi del Dipartimento di Belle Arti ora avresti uno scarabocchio incomprensibile tatuato da qualche parte in bella vista; se fossi uno di Scienze dalla Vita te ne staresti in un angolo a parlare di orbitali atomici con i tuoi simili fissati per l’arancione; di Comunicazione? Saresti già ubriaco. E per finire, se fossi uno di Tecniche, sapresti che ti converrebbe moderare i termini con me.-
-Bè, complimenti Sherlock, ci hai preso. E ora cosa intendi fare? Farmi arrestare?-
Mark fece un passo in avanti, varcando quel limite invisibile che delimitava il comportamento civile da quello privo di regole. Si avvicinò a Steven con le movenze di un sovrano che fieramente tiene in equilibrio la corona che ha sul capo. Steven invece rispose con la calma del guerriero vissuto, completamente padrone di se stesso.
-Credi che io sia incapace di controllarmi?-
-Non ci vuole una laurea per capire che sei un piantagrane violento e irragionevole- replicò.
Mark sorrise.
-Proprio come pensavo.-
E si allontanò dandogli le spalle.
-Sono qui per lei- disse Steven, facendolo fermare. Mark si voltò indietro, e questa volta fu il ragazzo apparentemente meno minaccioso a farsi avanti. –Per Diane- precisò, -e se ti vedo un’altra volta darle fastidio dovrà essere qualcun altro ad evitare che ti arrivi un pugno in faccia.-
Il viso di Mark si scurì, ma Steven se ne andò prima che avesse tempo di replicare.
Susan percepì l’aria diventare improvvisamente più leggera, ma scoprire che Mark Hansen creava problemi a Diane le fece diventare il respiro ancor più faticoso. Tutti sapevano che non c’era da scherzare quando si parlava della famiglia Hansen. Si guardò attorno in cerca dell’amica, la cui sicurezza era decisamente più importante del suo sentirsi sporca, ma non la trovò. Al suo posto individuò un paio di occhi annoiati e una bocca storta in una naturale smorfia di insofferenza per l’umanità.
-Chris, che cosa è successo? Di cosa stavano parlando Mark e Steven?- 
-Mmm?- domandò distratto. –Chi?-
Era impossibile che non avesse assistito alla scena, il divanetto di cui si era impossessato e che difendeva come l’Inghilterra difendeva le sue colonie nel diciottesimo secolo si trovava di fronte a dove poco prima c’erano Steven e Mark. Irritata dal dovergli spiegare una seconda volta quando sapeva benissimo a cosa si riferiva, prese un respiro profondo e si preparò ad armarsi di pazienza.
-Un ragazzo stava per saltare addosso a Mark, Mark l’ha evitato facendolo finire in piscina e quel tizio dai gusti estetici discutibili che a quanto pare si chiama Steven, si è messo in mezzo per fare l’eroe della situazione, quando era chiaro che Mark avesse tutto sotto controllo.- 
A parlare era stata la proprietaria delle gambe chilometriche che sbucavano alla destra di Chris. Jasmine Abu si sollevò con le spalle e si sporse verso di lei. Occhi ambrati, labbra morbide e definite come dune del deserto. La sua bellezza era indiscutibile e intimorente.
-E tutto perché Mark stava parlando a una ragazza dai capelli rossi. Questo, in sintesi, è quello che è successo.-
Susan capì perché Sophie era sparita. Doveva averli visti, seduti uno accanto all’altro, a chiacchierare amabilmente, dimentichi del rumore, della musica, del resto del mondo. Doveva aver notato la serenità che si apriva sul volto di Chris quando era compagnia di Jasmine, di come la sua espressione corrucciata si distendesse in un sorriso e di come fosse incuriosito da lei. Era la sua mente ad affascinarlo, oltre a tutto il resto. Non era mica cieco.
-Non ho chiesto a te- abbaiò improvvisamente furiosa. –Perché non vai a farti un giro?-
Chris alzò lo sguardo su di lei, ma Susan non toglieva gli occhi di dosso a Jasmine. Sì, è una minaccia, voleva dirle, continuando a fissarla come una tigre acquattata in mezzo alla savana. Jasmine rispose alla sfida senza timore, ma poi guardò Chris. Il ragazzo le fece un cenno con la testa e lei, a malincuore, si alzò.
-Complimenti console, ottima politica di accoglienza- ironizzò Chris una volta che furono soli.
-Proprio stasera dovevi fare lo stronzo?!- lo aggredì Susan. –Ti vanti tanto di essere intelligente e ti comporti come se nessuno fosse alla tua altezza, ma voglio darti una notizia, Chris, una che avrebbero dovuto darti tanto tempo fa: tu non ha proprio niente di diverso da tutti gli altri. Non è certo il cervello l’organo con cui stai ragionando! E normalmente non mi sarei nemmeno sforzata di esprimerti il mio disgusto, ma dato che ti vanti tanto di essere un passo avanti a tutti noi comuni mortali e che con il tuo comportamento stai ferendo Sophie alla sua festa di compleanno -in casa sua dannazione!- qualcuno deve dirti che sei un idiota, un ipocrita e un vero stronzo!-
Susan se ne andò con gli occhi di tutti puntanti addosso. Il suo tentativo di defilarsi senza essere notata era appena fallito, ma la soddisfazione di aver finalmente detto a Chris quello che pensava di lui era impagabile. Non c’era niente di più insopportabile di quell’egoismo subdolo di cui Chris Howes traboccava. Non era stupido, sapeva che Sophie era innamorata di lui, quindi le faceva del male volontariamente. Forse avrebbe dovuto aggiungerci uno schiaffo a quella sfuriata.
E riguardo a Diane, Jasmine le aveva dato la risposta che cercava. C’era già qualcuno che vegliava su di lei, tanto da aver avuto il coraggio di sfidare Mark Hansen. Era una reazione in tipico stile Thomas Finneran, ma non l’aveva visto alla festa, quindi con ogni probabilità doveva trattarsi di Jay Lee. 
Ora che le sue due migliori amiche erano al sicuro, poteva tornare a concentrarsi su se stessa e sul vuoto che sentiva stava per squarciarle il petto.


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