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Autore: Ninfea Blu    22/04/2009    6 recensioni
Un ricordo dell'infanzia, la storia di un' amicizia e del primo dolore... è una storia vera, abbiatene cura.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima estate

L’ultima estate

 

Quanti anni sono passati; quante esperienze ho fatto mentre diventavo adulta.

Più o meno belle e felici.

Ricordo come fosse ieri, la prima volta che ci siamo incontrate.

È strano come certe immagini senza importanza apparente, restino nitide, impresse nella nostra mente più di altre.

Ricordo ancora quel giorno lontano della mia infanzia; avevo forse otto anni, ero seduta per terra nel cortile di casa mia.

Mi ero trasferita lì da poco; c’era ancora il ponteggio smontato degli operai che dipingevano i muri del nuovo palazzo.

Giocavo con un filo d’erba che cresceva tra i sassi bianchi e irregolari della ghiaia. Ero sola, non c’era neppure mia sorella, che di solito mi seguiva ovunque.

Ho alzato gli occhi al cielo, forse perché mi sentivo osservata, e ti ho visto sul balcone dell’appartamento di tua nonna. Ho creduto abitassi lì.

Ricordo uno sguardo curioso, forse un po’ ironico, un corto caschetto biondo e i tuoi pantaloni di velluto verde.

Ci siamo guardate a lungo.

La cosa più strana è che ti scambiai per un bambino.

Incuriosita dalla mia presenza, sei scesa in cortile e ti sei seduta di fianco a me. Abbiamo iniziato a parlare e a studiarci con sincero interesse.

 

Quel giorno iniziò una grande amicizia, forse la più grande che abbia avuto in quell’età spensierata.

Avevo qualche anno più di te e non so come, ci intendemmo alla perfezione, anche se tu avevi un carattere molto diverso dal mio; più allegra, spiritosa e forse un po’ burlona.

Ma litigavamo anche, come bambine un po’ sciocche, a volte per un nonnulla; per una bambola, un gioco qualunque, un capriccio.

Ma i nostri musi lunghi non duravano mai troppo, perché una tornava sempre a cercare l’altra.

Ci perdonavamo e tornavamo a scherzare come prima.

I ricordi più belli della mia infanzia sono legati a te; le corse sul prato e i rimproveri degli adulti, i pattini a rotelle, le barzellette, ma anche i pianti e i dispetti e mia sorella che si univa a noi quasi in tutto.

Ore e giornate intere passate così.

Ricordo tua madre e tuo fratello che ci prendeva in giro e ci faceva il verso, i nostri disegni fatti con le matite colorate.

Avevi fantasia e talento; uno scarabocchio improvviso assumeva il profilo di un viso di fanciulla.

Chissà se lo hai coltivato anche dopo.

Ricordo che mi piacevano i tuoi disegni, da qualche parte nella scatola dei miei ricordi ne conservo ancora uno; una fata bionda con un vestito azzurro e una dedica scritta sotto per me, l’ultima cosa che mi hai lasciato, insieme ad una fotografia di te e mia sorella su una bicicletta rossa.

Sono certa che quello sia stato il periodo più felice per me, quello più spensierato, più allegro, eppure anche quello più triste per certi aspetti. Quando arrivava l’estate tu partivi con la tua famiglia per le vacanze al mare. Io restavo in città con i miei; all’epoca c’era il mutuo della casa da pagare e si dovevano fare dei sacrifici e per qualche anno i miei genitori rinunciarono alle ferie.

Ricordo la tristezza di quei giorni in cui eri assente; io mi sentivo sola, nonostante avessi altre amiche accanto, e il tempo che ci separava mi sembrava interminabile nella mia immaginazione infantile.

Era una festa quando finalmente tornavi.

Ci chiamavamo dai balconi delle nostre case che erano confinanti, scendevo nel giardino diviso dal tuo cortile da una rete metallica che divideva le due aree condominiali.

Le nostre mani aggrappate alla rete, ridevamo felici di essere di nuovo insieme e allora io sarei venuta a giocare da te o tu da me. Confrontavamo la nostra pelle; la mia era rimasta pallida come la luna, mentre la tua si era abbronzata sotto il sole d’agosto. E mi sembravi più bella.

Io non mi sono mai sentita bella, ne allora e neanche dopo, ma non era un problema. Di bello c’era la nostra amicizia che era magica come una favola.

Andavo a dormire la sera e attendevo l’indomani, quando avremmo di nuovo giocato insieme.

Una felicità che durò qualche anno, finché la vita suo malgrado, ci avrebbe diviso come non avrei potuto immaginare; ancora non sapevo che spesso gli adulti con le loro azioni decidono le condizioni di quello che sarà il nostro destino.

 

Un giorno per caso mi dicesti che tuo padre si era innamorato del Sud Africa, un paese lontano che io non sapevo neppure concepire nella mia ingenuità.

Ne parlavi come di una terra piena di diamanti e io ti ascoltavo rapita, cercando di visualizzare quei posti nella mia mente; i tuoi genitori avevano deciso di trasferirsi lì e presto saresti partita insieme alla tua famiglia.

Mi ricordo quell’ultima estate che abbiamo passato insieme; oltre alle corse sui pattini e le risate, ricordo che di notte nel mio letto piangevo.

Ci promettemmo di scriverci spesso ed eri sicura che saresti tornata in Italia.

L’ultima estate della mia infanzia… della nostra infanzia.

Non so per quale strana coincidenza, quell’anno mio padre ci riportò in vacanza; erano anni che non andavamo in ferie ed ero felice di rivedere il mare, ma partii col timore di non ritrovarti al mio ritorno. Furono due belle settimane; pensavo già a tutte le cose che avrei potuto raccontarti a settembre.

Ho sperato, ho pregato per tutto quel tempo che tu non fossi già partita.

Ricordo l’ansia del viaggio di ritorno; forse era il sospetto della triste sorpresa che mi avrebbe accolto al rientro.

E ora non saprei dire se fu un bene o un male che io non sia riuscita a dirti addio.

Avrei sofferto di più, se ti avessi incontrata ancora?

Non lo so… forse sì.

Fu un male certamente; fu dolore acuto quello che mi prese quando mia nonna mi disse che eri andata via.

Quell’estate finì anche la mia infanzia.

In fogli di carta di quaderno piegati e incollati come una busta, mi avevi lasciato una letterina colorata, scritta con la tua calligrafia infantile e un cuore rosso disegnato con un pennarello, la sigillava.

Dentro, una data - 6 luglio 1983 - un disegno di Snoopy con la scritta - I love you - e poche parole che conservo ancora gelosamente.

 

“… La tua amica M. non ti scorderà mai e in qualunque momento della sua vita sarà sempre vivo il tuo ricordo.”

 

Ho questo foglietto un po’ sgualcito qui, tra le mie mani di donna adulta ora, e faccio quasi uno sforzo per non commuovermi.

Chissà, forse rideresti di me. Perché eri un po’ burlona.

E pensare che non sono una che piange facilmente; mi sono indurita un po’ con gli anni. Sono certa che quello fu il primo vero grande dolore della mia vita; piansi per giorni, in solitudine, senza farmi vedere e non c’era nulla di quello che facevo abitualmente che riusciva a consolarmi.

Avevo perso forse per sempre la mia più grande amica.

 

Sono passati tanti anni e non ci siamo più riviste.

Non ci siamo scritte, salvo qualche breve e sporadico biglietto per le feste.

Ma io spesso ti ho pensato.

 

Dopo, nel tempo sono venute altre amiche, compagne di liceo in gioventù, ragazze con cui andavo a ballare in discoteca il sabato sera. E tante tra queste ragazze, con cui pensavo di avere delle cose in comune, mi hanno deluso con le loro meschinità, con i loro comportamenti a volte superficiali.

È accaduto anche di recente che da qualcuno mi sia sentita usata.

Allora improvvisamente ripenso al mio passato con te, rifletto su quello che è stato, sulle persone che ho incontrato, su quello che mi hanno dato e cosa ho dato io e mi viene strano e naturale pormi una domanda; vista da qui attraverso gli anni e i continenti che ci dividono, la nostra amicizia mi sembra perfetta, come se non avesse avuto il tempo di guastarsi e si fosse fissata in un istante immutabile e indelebile nel mio cuore. Forse a noi non è stato dato il tempo di deluderci?

Non so se ci incontreremo mai di nuovo; a volte l’ho sperato, immaginato e sognato e non nascondo che ho avuto paura di trovare una persona che non conosco più, il che sarebbe un fatto assolutamente naturale e logico.

A volte mi chiedo se sono ancora nei tuoi ricordi come tu sei nei miei.

 

Poi un giorno qualunque sono andata da mia madre…

Una settimana prima, un pomeriggio il suo campanello di casa ha suonato: alla sua porta c’era una piccola donna bionda.

“Non immagini chi è venuto a trovarci…” mi ha detto.

Oh, sì l’ho immaginato, ma una strana esitazione mi ha impedito di parlare e ho lasciato che mia madre pronunciasse il tuo nome.

Non so dirti la strana malinconia che mi ha preso; forse era la consapevolezza che non ci sarà data un’altra occasione.

 

Ma ho capito.

Ho capito che in tutti questi anni non mi hai dimenticata.

Hai detto la verità.

La nostra amicizia di allora è rimasta intatta ed è un tesoro che nessuno potrà toglierci; la vita l’ha sigillata nello stesso istante in cui ci ha divise tanti anni fa, fissandola nei ricordi di noi bambine.

 

 

mercoledì 22 aprile 2009

 

A M. con affetto profondo.

 

*****

 

 

 

 

   
 
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