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Autore: Claudia    22/04/2009    7 recensioni
Dopo la sua morte, Fred decide di salvare George dall'ombra del suo stesso fantasma.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Standing Stone in the middle of the Heart

 

"Quando è stata l'ultima volta che ti sei sentito tranquillo?"

(Salvate il Soldato Ryan)

 

01, From Heaven To Earth There is a Road

 

Ricordo il giorno in cui accadde.

Se non fosse stato per la sua mano sulla mia, avrei perso qualsiasi contatto con la realtà. E quando sei sul punto di morire, comprendi che è proprio la realtà a cui ti aggrappi con disperazione. Tuttavia, non fu abbastanza, poiché un secondo dopo mi trovai ad osservare il mio corpo da un' angolatura insolita. Vidi mia madre dolorosamente piegata in avanti, quasi sul punto di spezzarsi. Non potevo scorgerle il viso, ma il tremore del suo corpo, scosso dai singhiozzi, mi fece comprendere che non era un sorriso quello che celava sul volto. Tentai di posarle una mano sulla spalla, volevo confortarla, non volevo vederla così indifesa, così disperata, ma qualcosa mi respinse con violenza ed il mio corpo, riverso a terra, divenne improvvisamente più piccolo.

Tentai più volte di avvicinarmi, ma invano. Toccai con le mani l'aria trasparente di fronte a me, che improvvisamente divenne di una consistenza talmente densa da impedirmi di trafiggerla. Feci molti tentativi, tra cui quello di lanciarmi con impeto contro il nemico invisibile, ma fui costretto a cedere. Tentai di gridare, ma nessuno si voltò a guardarmi ed iniziai lentamente a comprenderne il motivo. Mia madre mi teneva stretto a sé, rivolgendomi le spalle e cullando il mio corpo esamine, mentre mio padre ci fissava in silenzio con gli occhi gonfi di acqua e disperazione. Una smorfia di dolore attraversava il suo volto, solitamente allegro e rilassato. Il mio stomaco si contrasse a quella visione, ma non percepii alcun dolore da esso. Sapevo che in quel momento stavo male, ma non ero più capace di provare sensazioni. Senz'altro, la mia gola si era contratta ed era diventata arida, ma ero solo in grado di immaginarlo.

Quando lo vidi, però, fui felice di non provare più niente. Non avrei saputo resistere ad una pugnalata in pieno petto, il dolore sarebbe stato insopportabile. E quel dolore lo lessi nei suoi occhi, che per molto tempo erano stati anche i miei. Improvvisamente, mi sentii un codardo, ebbi come la sensazione di giocare sporco, di barare una partita di Quidditch. Sentii il suo grido muto e mi portai la mano al cuore, di riflesso, senza pensare. Il mio petto non palpitava, era silenzioso, immobile, ma sapevo che quello di mio fratello vibrava, palpitava, talmente forte, talmente veloce da fare male.

Per la prima volta nella nostra vita eravamo diversi.

"No, no... NO!" Osservai George cadere a terra in ginocchio, accanto al mio corpo, abbandonando la bacchetta sul pavimento. Aveva afferrato le mie spalle, le aveva scosse, ma il mio capo ciondolò da un lato per tutta risposta.

"Svegliati, Fred! Svegliati!"

Mia madre aveva finalmente sollevato lo sguardo, aveva le guance bagnate e gli occhi rossi dal pianto. "George, smettila."

"Avanti, Fred!" Mio fratello continuava ad urlare, la sua voce risuonava ovunque, più forte della guerra. "Non scherzare! Non è il momento! Abbiamo una battaglia da vincere!".

Gli risposi, ma lui non mi sentì e per questo mi odiai.

Vidi la figura stanca di mio padre avvicinarsi a George, lo aveva afferrato per un braccio, costringendolo ad alzarsi. "Avanti, George. Vieni via."

"NO!" Aveva di nuovo gridato, strattonando il braccio dalla presa di nostro padre ed accasciandosi nuovamente a terra. Sentii un boato e subito ricordai che una battaglia era in corso e doveva essere vinta. Vidi l'espressione pallida sul volto di mio padre, mentre con un leggero movimento si guardava alle spalle. Erano esposti, in quel momento, qualsiasi incantesimo avrebbe potuto raggiungerli.

"Avanti, George. Ormai non possiamo fare niente. Vieni via!"

Vidi l'espressione di George e mi sorpresi. Era la prima volta che la vedevo e non mi piacque affatto che fosse indirizzata a nostro padre. "Papà, come puoi abbondare Fred in questo modo!"

"George," Mio padre inspirò aria gelida. "Fred è morto." In quel momento, sapevo molto più di George quanto dolore ci fosse in quelle parole e allo stesso tempo mi sentii profondamente ferito, abbandonato.

Così, alla fine ero morto per davvero.

"NO! A te non importa niente! Io Fred non lo las-!" Trattenni il respiro ed osservai la mano di George, premuta contro una guancia. Nostro padre abbassò il braccio dolorante. Immaginai che schiaffeggiare un figlio fosse molto peggio di un pugno contro un muro.

"Se Fred fosse qui, credi veramente che gli piacerebbe vederti ammazzare?"

Mi trovai a rispondere alla domanda di nostro padre e dissi che, no, non mi avrebbe fatto piacere. Ma dubitai fortemente che in quel momento George potesse capire, io stesso avrei avuto serie difficoltà nel farlo. Non avrei ascoltato nessuno, nemmeno le parole di chi mi amava. Allora, inspirai fortemente, pur sapendo che si trattava solo di un gesto automatico e provai a raggiungerli, combattendo contro quel muro invisibile. Provai dolore, ma un dolore diverso e tutt'altro che fisico. Se ero morto, e così pareva, dovevo essere anima. Forse con il passare del tempo mi sarei anche divertito, dopotutto, non avevamo ideato nessun trucco per renderci invisibili. Solo il mantello di Harry era capace di un simile incantesimo. Non seppi come, ma anche se tentavo disperatamente di raggiungere i miei familiari, mi rallegrai. Nemmeno da morto avevo perso il gusto venale di scherzare.

Mi sentii strattonare verso l'alto, ma ignorai totalmente quella sensazione. Speravo solo di avere un'anima resistente agli urti, quello sì. Riuscii a vedere le loro figure diventare sempre più grandi, segno che mi stavo avvicinando a loro. Lo sforzo non era indifferente, tanto che la mia vista iniziò a vacillare. Non ero stupido e potevo immaginare cosa stesse accadendo. Mi stavo ribellando alla morte e quel muro invisibile contro cui combattevo, altro non era che la sottile linea che separava i vivi dai morti. Era un pensiero che mi impressionava un poco. Avrei fatto carte false per poterlo raccontare in giro, era un peccato tenere una tale scoperta per sé.

Provai ad allungare un braccio o, almeno, quello che in passato lo era stato. Non avevo la benché minima idea di come avvenisse la comunicazione, nè sapevo come si era in grado di attirare l'attenzione dei vivi. In quel momento, desiderai che Pix fosse lì ad insegnarmi con sarcasmo il mestiere del fantasma.

Oh, avanti, pensai. Sono qui. Mi sentii molto stupido, ma continuai a pensare intensamente a tutti loro fino a quando George voltò la testa di scatto. Non stava guardando nella mia direzione, ma ero sicuro che avesse sentito qualcosa, che avesse sentito me. Dopotutto, in vita eravamo fratelli gemelli, condividevamo ogni ideale, ogni pensiero, a volte perfino la stessa ragazza. In quel momento, eravamo su piani astrali totalmente diversi, ma se il nostro legame era veramente forte come sempre lo avevo creduto, sì, lui mi avrebbe sentito.

Avanti, fratello. Sposta la mia carcassa. Papà ha ragione.

Stavolta si voltò e nella giusta direzione. Immaginai il mio cuore inesistente sobbalzare, mentre George sbattè le palpebre più volte.

"Che ti succede?" Udii la voce di nostra madre, ma in quel momento non riuscii a vederla e nemmeno potevo farlo, dato il mio equilibrio precario. La forza che mi attanagliava, strattonandomi nel senso opposto al mio, era sempre presente. Un minimo segno di debolezza e sarei stato sbalzato all'indietro come l'elastico di una fionda.

"Non lo so," La voce di mio fratello mi suonò stranamente roca. "Papà, spostiamo Fred. Va bene?".

Nostro padre si limitò unicamente ad un cenno di assenso, vidi il mio corpo spostarsi ed il fatto che non fosse la mia volontà a farlo mi procurò un certo disagio. Mi trovarono un riparo nell'incavo di un muro sgretolato. Pensai che non fosse il massimo del confort, ma ricordai anche che non avevo ragione di preoccuparmi di quanto quel muro fosse scomodo. In quel momento li vidi tutti, tutte le persone a me più care mi stavano fissando in silenzio, con gli occhi sempre bagnati dal pianto. Vidi Ginny accanto a nostra madre, mentre cercava di infonderle forza e mai prima di allora mi era apparsa così indifesa. Nostra sorella aveva sempre ostentato una fierezza pari a quella di un uomo, un vigore impressionante che non aveva paura di nascondere. Avrei desiderato così tanto prenderla in giro e strapparle un sorriso. Le lacrime non si addicevano ad una ragazza come lei.

E lo stesso, avrei voluto dire a Ron. Hermione gli aveva cinto la vita con un braccio, cercando di infondergli qualcosa che probabilmente io non potevo comprendere, ma solo invidiare. Ron era fortunato ad averla accanto.

Di fianco a nostro padre, Harry stava in piedi con i pugni chiusi lungo ai fianchi. Aveva la mascella contratta, che donava al suo viso una smorfia addolorata. Percy, poco distante, stava curvo su stesso e, davvero, mi sorpresi nel vederlo in quel modo. Ricordavo le mie ultime parole, aveva davvero fatto una battuta. Mi ero sentito orgoglioso e avevo riscoperto un fratello che credevo di aver perso. Peccato perché avrei preferito dirglielo a voce.

Il mio sguardo volò nuovamente su tutti e si posò, infine, su George. L'espressione di mio fratello era un'incognita e per la prima volta non seppi come decifrare il suo sguardo. Benché tutti fossero toccati nel profondo, con la mia morte era lui e solo lui a darmi dei pensieri.

Lui non si sarebbe mai rassegnato alla mia scomparsa. Lo sapevo, perché nemmeno io, al suo posto, lo avrei mai fatto.

Mi sentii trascinare indietro all'improvviso, ma resistetti. Avevo la sensazione che per me fosse giunto il momento di lasciarli. Eppure, non volevo. Non potevo lasciare George, semplicemente perché non mi fidavo di lui. Non sarebbe rimasto con le mani in mano. Avrebbe fatto qualcosa, qualcosa che lo avrebbe rovinato. In quel momento era solo una miccia vagante, pronta ad esplodere all'improvviso.

Così presi una decisione, la mia prima decisione da non-vivo.

Spostai lo sguardo dal suolo e presi ad osservare ciò che mi attendeva alle spalle. Vedevo unicamente le travi ed i mattoni di Hogwarts, ma sapevo che, nel momento stesso in cui mi sarei lasciato andare, avrei incontrato altro.

Se davvero esisteva un'altra vita dopo quella terrena, era venuto il momento di scoprirlo.

Se davvero esisteva un Dio, era venuto il momento di incontrarlo. Mi avrebbe ascoltato, sapevo che lo avrebbe fatto.

Non potevo ancora andarmene. Dovevo rimanere, lo dovevo fare per George. A tutti i costi.

 

[...]

 

Mi abituai molto presto alla mia nuova condizione, benché le abitudini fossero dure a morire. Mi mancava la quotidianità, anche il semplice dormire. Non avevo più bisogno del sonno e mi pentii subito di non aver dormito più spesso, quando ero in vita. Se avessi saputo che da morto non era più necessario dormire, non avrei trascorso notti intere a brevettare scherzi con George.

Ero riuscito a padroneggiare la mia essenza, a saperne sfruttare le potenzialità. Non avendo più corpo, non avevo nemmeno più limiti ed avevo scoperto nuove idee per nuovi scherzi. Desideravo così tanto parlarne con George e prima o poi lo avrei fatto.

Dovevo, semplicemente, rispettare le regole imposte da Dio.

Non so quanto tempo fosse trascorso dal giorno in cui tentai il tutto per tutto, ma ricordo alla perfezione la mia prima esperienza ultraterrena. Scoprii con sommo piacere che niente viene dimenticato: la famiglia, gli affetti, l'amore. Tutto si conserva. La forma che acquisisci dipende da ciò che hai imparato nell'arco della vita, sei fatto di ciò che hai scelto e sei privo di ciò che hai scartato.

A differenza di quanto ho sempre creduto, di fronte a Dio ti denudi di tutto ciò che eri. Non ricordavo di essermi mai interrogato sulla sua esistenza, ma non potei nascondere la mia delusione nel non vedere un vecchietto con i baffi e la lunga barba bianchi. Lo avevo reso molto simile alla figura di Albus Silente, ma fu evidente che mi sbagliavo. Dio non aveva forma, era semplicemente tutto ciò che mi circondava. Al suo cospetto, la mia essenza si riscaldava come se avessi avvicinato il mio corpo alla fiamma del camino. In quel modo, potevo comprendere che Dio aveva rivolto la sua attenzione su di me e che dovevo essere grato per la sua benevolenza.

Parlargli fu una delle esperienze più strane che sperimentai ed in seguito mi vergognai spudoratamente di ciò che feci.

Osai chiedergli di tornare indietro.

Dio non ha forma, ma è molto più umano di quanto si pensi. Egli sapeva della mia domanda, ma aveva lasciato che io stesso la formulassi per vergognarmene l'istante successivo. Non esistevano emozioni, ma Dio si definì comunque sorpreso. Quando parlava, non esistevano voci e questo mi stupì. Era pensiero ed il suo comunicare poteva essere solo paragonato a telepatia, ma ancora, era qualcosa di più.

Non posso abbandonare mio fratello. Lui ha bisogno di me.

Non aggiunsi altro, Dio ci aveva creato tutti. Conosceva alla perfezione ognuno di noi.

Sì, sento di dover fare ancora qualcosa per lui. Ho bisogno di tornare.

Di nuovo, percepii quel forte senso di calore.

Tornerò quando sarò sicuro di aver fatto tutto ciò che è possibile fare.

Dio asserì come un padre benevolo e mi lasciò andare. L'anima di una persona morta non era in grado di riposare in pace se prima non aveva risolto ciò che lo legava sempre alla vita terrena. Era vero, dopotutto. Ero morto senza dolore. Avevo lasciato tutti talmente in fretta da non rendermene conto. Se fossi stato ancora umano mi sarei sentito in colpa, sarebbe stato il sentimento preponderante.

Tuttavia, mi sentii pervadere da una punta di felicità, pur sapendo che la felicità non esisteva più come emozione. Avrei potuto rivedere George, finalmente.

 

[...]

 

Non avrei mai immaginato quanti significati potesse avere il termine discendere. Il mio ritorno sulla terra fu un'esperienza difficilmente spiegabile a parole. Provai un forte senso di ebbrezza quando la mia essenza venne a contatto con l'aria, tanto che mi ricordò la sensazione del vento sulla pelle. Fui felice di scoprire che benché fossi privo di un corpo, i miei sensi continuavano ad esistere. Sentii la nebbiolina vaporosa avvolgermi completamente, mentre discendevo ad una velocità impensabile. Mi scoprii a pensare che tutto ciò che stavo vivendo, meritava la mia morte. A poco a poco stavo vivendo esperienze incredibili che non seguivano alcuna logica umana; capii quanto la nostra mente fosse limitata e quanto invece c'era da conoscere. Mi rammaricai perché non avrei mai potuto trasmettere quella conoscenza ad altri, semplicemente perché nessuno sarebbe stato in grado di comprendere, di dare un senso alle mie parole.

Già, tutto questo non aveva senso eppure ai miei occhi appariva di una banalità assurda.

Non fu difficile trovare mio fratello, poiché mi bastò pensare a lui per scoprire dove abitava.

Era estate e lo intuii dal disco di luce che brillava incandescente in mezzo al cielo. Ero capitato in un quartiere che non conoscevo, ricco di villette a schiera, ciascuna con un piccolo giardino che dava sulla strada. Osservai alcune persone camminare lungo il marciapiede, entrare nelle rispettive case o andare oltre, sparendo dietro l'angolo delle traverse. Spostai lo sguardo sulle auto babbane parcheggiate ordinatamente sul ciglio opposto e dalle loro targhe compresi che mio fratello viveva a Londra. Non mi sorpresi poiché vivere nella capitale era sempre stato il nostro sogno ed in qualche modo mi rilassai, vedendo che almeno un desiderio lo aveva realizzato.

Annusai l'aria, anche se annusare non era un termine corretto. Quello che avrei percepito non era l'odore di George, nel senso stretto del termine. In qualche modo, a rivelarmi la sua presenza sarebbe stata la sua stessa essenza. Non sapevo come avvenisse realmente il tutto, ma George era mio fratello gemello. Era un po' come cercare me stesso.

Individuai una piccola casa di mattoni dalla quale dipartiva una lunga fila di casette dello stesso colore, intervallate di tanto in tanto da qualche abitazione dalle tonalità sgargianti. Il piccolo giardino che, stretto, si protendeva verso la strada appariva curato, ma erano molto poche le piante che vi crescevano. Il cancello che separava la gramigna dall'asfalto del marciapiede era di un grigio argenteo, in ferro, molto sobrio considerando i gusti di George. Incastonata nel muretto di recinzione una piccola mattonella di ceramica riportava il numero 69. Ricordo di aver pensato che si trattava di un numero alquanto bizzarro ed il fatto che richiamasse l'attenzione su i due numeri gemelli non mi lasciò indifferente.

Tentai di osservare l'interno della casa, sbirciando attraverso la finestra del giardino, ma essa mi apparve totalmente vuota. Osservai il muro esattamente come si è soliti osservare una persona che si disprezza; sapevo di non essere sufficientemente allenato per passarvi attraverso. In qualche modo, sapevo che attraversare gli oggetti richiedeva una certa pratica: dovevo modificare ogni molecola della mia essenza, in modo tale da renderla simile se non uguale alle molecole che formavano l'ostacolo da superare. Il trucco era diventare tutt'uno con l'oggetto. Altrimenti, l'effetto sarebbe stato quello di sbattere contro un muro.

Esitai ed il pensiero di un possibile fallimento non mi allettò affatto. Decisi di attendere il ritorno di George, adagiandomi tra le foglie di un piccolo albero, che metteva radici nel giardino della casa confinante. Ebbi come la sensazione che il calore di quella giornata assolata diminuisse lentamente e quando mi accorsi che la sfera incandescente stava piano piano scendendo dietro ai tetti delle case, mi domandai che fine avesse fatto mio fratello.

Se fossi stato un essere umano mi sarei assopito all'istante, ma fortunatamente la mia condizione mi manteneva vigile ed attento. Quando giunsi a contare duecentomila mattoncini rossi incastonati nel muro, i cardini del cancello stridettero ed una figura attraversò il vialetto del giardino. Senza accertarmi che fosse realmente George, infilai nello spiraglio tra il muro e la porta aperta, e mi sollevai fino a toccare il soffitto.

Le tende tirate alla finestra lasciavano entrare i raggi dorati del tramonto, illuminando un piccolo salotto dalle dimensioni modeste e dotato di due poltrone di un arancione abbagliante. Riconobbi in quella stoffa il gusto bizzarro di nostra madre, tanto da farmi ricordare l'ultimo maglione che avevo ricevuto come regalo. Se avessi avuto un volto, sapevo che in quel momento la mia espressione sarebbe apparsa alquanto accigliata. Osservai cinque bottiglie di Firewhisky totalmente vuote ed abbandonate a terra. Erano l'unica nota stonata in una stanza praticamente spoglia.

Vidi l'ombra di George sparire nella stanza adiacente, quella che a prima vista intuii essere la cucina. Mi avvicinai, senza oltrepassare la soglia. George sedeva su una sedia di vernice bianca, dandomi le spalle. Immaginai che nessun nemico, oramai, lo avrebbe più colpito a tradimento. I capelli lunghi mi apparvero di un rosso più sbiadito ed erano raccolti a formare una coda che scendeva fin sotto le spalle. Indossava una maglietta verde militare, un po' più larga del normale, esattamente come piaceva ad entrambi. Aveva un braccio disteso sul tavolo e con una mano teneva in pugno la propria bacchetta. Con una rotazione impercettibile del polso aprì la porta di un comune frigo babbano ed una bottiglia di Firewhisky galleggiò a mezz'aria.

Iniziai a pensare che la presenza di tutte quelle bottiglie d'alcol non fosse un caso. Le probabilità che George non percepisse affatto la mia presenza erano notevolmente alte, perciò non mi preoccupai di mantenere le distanze. Scivolai lungo il soffitto, passando al di sopra della sua persona e mi voltai a guardarlo. Quando lo vidi mi resi realmente conto di quanto tempo era passato. Il concetto di tempo non esisteva più da quando ero passato a miglior vita e a ben pensarci era totalmente inutile: il tempo serviva unicamente per dare un'indicazione approssimativa della durata della tua vita e non sempre giocava lealmente.

George non era cambiato poi molto, a prima vista non sembrava cambiato affatto. A segnare il tempo era stata più che altro la sua corporatura, più massiccia, e la barba incolta che gli incorniciava il mento e gli zigomi. Aveva l'aria di non aver dormito nelle ultime ventiquattr'ore, una porzione di pelle al di sotto degli occhi aveva un tenue colore violaceo. Non ero del tutto convinto che quell'aspetto trasandato fosse un qualcosa di positivo. Conservavo sempre i gusti di quando ero in vita e l'idea di vedermi a quel modo allo specchio non mi piacque affatto.

George si portò la bottiglia di Firewhisky alle labbra, mandando giù un bel sorso d'alcol. Con il polso dell'altra mano si asciugò frettolosamente la bocca ed io rimasi ad osservarlo, sorpreso. Era forse diventato un alcolizzato? Senza emettere alcun suono, George abbandonò la bottiglia sul tavolo e si diresse in una terza stanza. Lo seguii, mentre la mia curiosità, mista a preoccupazione, si impennò notevolmente. Tra noi, mio fratello era sempre stata la persona più estroversa, con la battuta sempre pronta per qualsiasi tipo di circostanza. Aveva sempre visto il mondo come uno scherzo in versione deluxe ed era stato proprio lui a trascinarci negli affari del nostro negozio. Tutto ciò che avevamo fatto, compreso far infuriare nostra madre, aveva come basi decisioni ponderate dove ero sempre stato io a fare la parte dello scettico e del cauto. Vederlo in quello stato non contribuiva a rendere la mia anima più tranquilla, piuttosto il contrario.

Entrai in una camera con le tende accostate e con il letto ad una piazza e mezzo che ospitava il corpo supino di George. Le pareti non sorreggevano nessun quadro o specchio, erano bianche e nude quasi in modo imbarazzante. Non mi aspettavo di trovare foto che mi ritraessero, ma niente di quella casa mi aveva trasmesso un senso di famiglia, di intimità. Appeso accanto alla porta penzolava l'unico pezzo di carta che avessi visto fino ad allora: un calendario alquanto malconcio riportava il mese e l'anno di quel presente - sempre ammesso che George si fosse preoccupato di cambiare di volta in volta. Correva l'anno 2008. Erano trascorsi dieci anni dalla mia morte.

Il campanello della porta strappò la mia attenzione dal calendario, mentre dal letto esalò un borbottio di protesta alquanto sconnesso. L'espressione dipinta sul volto di George fu più che sufficiente per comprendere quale destino avrebbe volentieri riservato al visitatore inatteso. Si trascinò con scarso entusiasmo attraverso il salotto, scalciando con un piede le bottiglie di Firewhisky che giacevano a terra. Ebbi come l'impressione che desiderasse nasconderle. Il campanello suonò una seconda volta, impaziente.

"Arrivo!" Sbottò George. Lo seguii con attenzione ed a differenza di mio fratello, desiderai di vedere nuovamente qualche volto conosciuto. Quando la porta, cigolando sui cardini, si aprì completamente, la figura di una donna si stagliò nel riquadro dell'entrata. Ero sicuro che se avessi avuto modo di parlare, la mia accoglienza sarebbe stata molto più calorosa di quella di George.

"Ginny. Che ci fai qui?" Domandò, abbozzando un'espressione sorpresa.

Se avessi avuto un corpo mi sarei gettato ad abbracciarla. Non ero in grado di sentire il peso di quei dieci anni, ma l'affetto che provavo per lei non si era scalfito, era rimasto intatto come se fossi morto quel giorno stesso.

"Posso entrare?" Notai come la voce di Ginny avesse assunto nel tempo una tonalità più matura, più marcata ed avesse completamente perso quel vizio infantile di trascinare a fatica la parte finale di ciascuna frase. George le fece cenno di entrare e Ginny varcò la soglia, lasciandosi alle spalle l'aria secca del crepuscolo. Il piccolo salotto, dapprima avviluppato nella penombra, si illuminò di un caldo colore rosato. Senza chiedere il consenso di nostro fratello, Ginny sedette compostamente su una poltrona ed osservai il suo sguardo posarsi sulle bottiglie che George, con pochi risultati, aveva cercato di nascondere. Se fosse stata preoccupata o sorpresa non mi fu concesso di saperlo, poiché gli occhi di mia sorella tornarono a puntarsi sulla porta della cucina in cui era scomparso George. La osservai con più attenzione e notai che indossava una camicia abbondante, nascondendo una gravidanza in arrivo. Aveva lasciato scivolare la borsa su un fianco e si era portata con fare protettivo una mano sul ventre gonfio. Per la prima volta nella mia non-vita, ogni molecola della mia essenza parve rimanere immobile. Sorpreso, studiai il suo volto lentigginoso, i suoi occhi di un caldo nocciola. Osservai il rosso scuro dei suoi capelli, a stento domati da un elastico di fortuna. Ero sicuro che nostra madre fosse fiera della donna che era diventata. Lo scintillio della fede che portava all'anulare sinistro catturò la mia attenzione. Solo in quel momento, capii quanti anni di vita avessi perso realmente.

"E' tutto quello che ti posso offrire." Mio fratello tornò nel salotto, brandendo una bottiglia di succo d'arancia. Capii che non aveva perso quell'innata capacità di mentire per delle sciocchezze.

"Non posso bere Firewhisky," Il commento di Ginny fu senza dubbio allusivo. "Un succo andrà più che bene."

"Come mai da queste parti?" Il tono di George mi parve sbrigativo e fastidioso allo stesso tempo.

Ginny non sollevò lo sguardo, si limitò semplicemente a parlare. "Grazie per aver chiesto come sta Lily. Sembra quasi che non ti importi niente di tua nipote."

Sentii George sospirare. "Non è vero, finché rimane lì dentro non può che star bene." Disse, indicando il ventre di Ginny.

Trascorsero alcuni secondi di silenzio, tanto che ebbi la forte tentazione di irrompere con un grido a sorpresa. Peccato che non avessi più voce. Quando riprese a parlare, Ginny sembrò completamente fuori posto in quel piccolo salottino inglese.

"Sono qui per lo stesso motivo della volta scorsa e della volta ancora prima. Inoltre, ho parlato con Angelina."

Rimasi sorpreso nel sentire pronunciare quel nome. Ricordavo perfettamente chi fosse Angelina, era la ragazza che avevo invitato al Ballo del Ceppo. Con lei avevo vissuto un trasporto sentimentale difficilmente dimenticabile.

Il volto di George divenne sede di ogni tipo di espressione, non seppi identificare uno stato d'animo ben preciso. "Ho già parlato con lei, non credo che tornare sull'argomento possa essere di ulteriore aiuto. Non devi impicciarti di questa storia, Ginny."

Probabilmente, George dimenticò che nostra sorella aveva ereditato gran parte del carattere di nostra madre. "George Weasley! Quando una donna irrompe nella mia casa, in lacrime, accusandomi di avere un fratello idiota posso fare a meno di impicciarmi?"

"Cristo, Ginny, come minimo Lily ha fatto una capriola."

"No, mi ha dato un calcio! E se la mia bambina crescerà con evidenti manie di violenza sarà solo colpa tua!" Il volto di nostra sorella si infuocò di un rosso acceso. Se la sua espressione non fosse stata così severa, avrei riso per la splendida ironia.

Osservai il corpo robusto di George piegarsi verso il basso, mentre con i gomiti si puntellò le ginocchia. Con un gesto nervoso si scompigliò la chioma con le mani. "Gin, non posso uscire con Angelina. Il motivo dovrebbe esser più che risaputo ormai."

Trovando uno spiraglio di confidenza, Ginny scostò con difficoltà la schiena dal divano. "George, sono passati dieci anni ormai. So che a Fred piaceva molto Angelina, ma non ha più senso che tu ti senta in colpa ad iniziare una relazione con lei. Fred non c'è più, devi fartene una ragione."

A quelle parole George sollevò di scatto la testa ed io mi sentii risucchiare da quel senso di angoscia che tutto il suo corpo stava emanando.

"Guardati attorno," Continuò Ginny. "Vivi a chilometri di distanza dalla mamma, a stento riesci a mandare avanti il negozio ed hai licenziato Ron in tronco!"

George sbottò. "L'ho buttato fuori dopo l'ennesima scatola rotta che ha fatto cadere dagli scaffali. Quella roba costa soldi, Gin! Ron è un vero e proprio distruttore dei beni altrui!" Su questo non ebbi alcun dubbio.

"Ok, su questo ti do completa ragione." Asserì Ginny. "Ma vogliamo parlare della tua vita sentimentale? Non hai mai avuto una relazione stabile e la gente mormora di una possibile storia amorosa con il proprietario di Calzature Magiche Totalmente Inutili di Hogsmeade!"

"Jeffry è soltanto un buon amico," Sbottò George. "E fa dei buoni sconti ai clienti abituali."

Osservai Ginny sospirare pesantemente; potevo comprenderla, George era la classica persona in grado di condurti verso l'esasperazione più totale.

"Provaci con Angelina, George."

"Assolutamente no."

"Cosa potrebbe farti cambiare idea?"

Gli sguardi di entrambi si abbassarono ad osservare il pavimento del salotto. "Fred."

Nel sentir pronunciare il mio nome, un leggero tremolio mi percorse, carico di elettricità. Le spalle di nostra sorella si abbassarono, come sconfitte. Improvvisamente, mi resi conto di quanto la mia scomparsa avesse inciso profondamente la vita di George.

"E va bene. Questo fine settimana mamma ci ha invitato tutti a cena. A parte Charlie, tutta la famiglia Weasley si riunisce. Ci sarà il solito cicaleccio, la solita confusione, ma credo che senza di te non avrebbe senso andarci."

Le labbra di George si piegarono in un sorriso leggero. "Ci sarò."

A quelle parole, il volto di nostra sorella si illuminò radioso. "Davvero? Vedrai la mamma quando lo saprà! Ti intossicherà con i tuoi piatti preferiti, ne sono certa!"

"E' bello averti rivista, Gin." Le parole di George suonarono sincere.

Con una agilità impensabile, Ginny si portò in piedi, sorreggendosi il ventre con una mano. Si sporse verso George e gli posò la mano libera sulla spalla.

"Siamo una famiglia, fratellone. E poi ti preferisco a Ron," Confessò, facendo una smorfia divertita. "Se non altro non vuoi costringermi a mangiare chili di pappe omogeneizzate! Non fa altro che dire che sono nutrienti e che ad Hermione han giovato! Sono estremamente puzzolenti!".

Sentii la risata sincera di George, che colmò il salottino dapprima così vuoto. Ginny camminò verso la porta con un leggero sorriso che le piegava le labbra.

"Ci vediamo, fratellone. Non mancare, va bene?"

"Non lo farò."

Osservai la figura di mia sorella scomparire di fronte alla soglia di casa in un turbinio di scintille elettriche. La porta si richiuse ed il salottino sprofondò nel buio. "Lux!" La bacchetta di George emise una luce fioca sulla punta ed una piccola lampada si accese, illuminando la stanza di un bagliore rosato. Osservai la figura incurvata di mio fratello entrare nella camera da letto, ma decisi di non seguirlo. Restai immobile nel punto d'aria dove avevo assistito all'incontro con Ginny. Avrei desiderato assaggiare un sorso del Firewhisky che George nascondeva gelosamente nel frigo.

Avevo perso così tanto del loro tempo che mi sentii tagliato completamente fuori dalle loro vite. Se fossi stato ancora vivo, avrei condiviso con loro ogni gioia ed ogni dolore. Avrei provato la felicità di essere zio con un piccolo pargolo sempre in braccio. Forse, con Angelina, avrei scoperto la gioia di essere padre. Avrei continuato a mandare avanti il negozio, avrei licenziato Ron.

Avrei potuto fare molte cose, ma non avevo più la possibilità di portare a termine i miei progetti.

Io no, ma George sì.

Lui era l'unico in grado di vivere la vita che avevo sempre voluto vivere.

 

02, Don't Make Others Suffer For Your Personal Pain

 

"Andiamo, è assurdamente ridicolo! I Falmouth Falcons non hanno la benché minima possibilità di vittoria!"

"A saperlo," Sbottò George. "Ti avrei licenziato molto prima."

"Oh, George," Ridacchiò Ginny. "Sai benissimo che la loro è solo invidia per qualcosa che non potranno mai avere!"

Ron Weasley osservò con sguardo torvo la sorella. "Sto pregando affinché Lily sia tifosa dei Chudley Cannons come suo zio."

Ginny abbassò lo sguardo sul proprio ventre, discretamente enorme, e sorrise. Benché vi fosse un cielo incerto con qualche nuvola sporadica, a Ginny quel giorno apparve totalmente assolato. La fresca campagna di Ottery St. Catchpole stava dando grande sollievo alle sue caviglie, mentre una brezza leggera aveva iniziato ad insinuarsi tra i fili d'erba della brughiera inglese. Non era il tempo, tuttavia, ad allietare il suo umore, piuttosto la presenza del fratello. Alla vista del figlio, gli occhi di Molly si erano colmati di lacrime, la sua voce si era ridotta ad un mero singhiozzare e nell'arco di pochi minuti si era messa di gran lena ai fornelli, preparando i piatti che George più amava.

"Hai fatto bene a venire." Disse Ginny, sedendosi lentamente in una sedia del giardino, al fianco di quella in cui sedeva George. "Era da tempo che non vedevo mamma così energica."

"Da quando è morto Fred." Sospirò George.

Ginny sollevò lo sguardo al cielo, scuotendo il capo. "No, da quando te ne sei andato tu." Infine, l'espressione della donna si fece disgustata. "Sono felice che tu sia venuto, ma non ti perdonerò per la torta all'anice che dovrò mangiare. Proprio no!"

George ridacchiò. "E' una delle mie preferite."

"Infatti," Sbottò Ginny. "Ed è pronta per essere sfornata. Con la scusa che sono incinta, ogni occasione è buona per propinarmi del cibo di dubbia qualità."

George si finse offeso. "Criticare la torta d'anice è come offendere il sottoscritto!"

Ginny scrollò le spalle. "Allora, scusa, perché credo di averlo fatto spesso."

George rise divertito, posando una mano sul capo della sorella. "Anche io sono felice di esser tornato. Mi siete mancati."

Ginny dispiegò le labbra in un ampio sorriso. "E tu sei mancato a noi."

"Anzi, ci sei talmente mancato che abbiamo deciso di farti una sorpresa." La voce di Ron li costrinse a voltarsi, mentre il giovane Weasley stava con la schiena contro lo stipite della porta che dava al giardino.

"Che genere di sorpresa?" Domandò incuriosito George.

"Una volta ogni tanto siamo noi a sorprenderti."

George si voltò a guardare Ginny, che aveva assunto un'espressione allarmata. "Ron, non so se è il moment―"

"Lo è." Disse Ron, interrompendola. "Anche perché é già arrivata."

Da dietro la figura di Ron apparve una donna dalla lucente pelle scura, avvolta in un vestito lilla che oltre a risaltare le sue forme, dava lucentezza a tutta la sua persona. I capelli corvini le ricadevano lisci sulle spalle, solleticandole gli avambracci.

"Mi scuso per il ritardo." Disse, con un tono di voce titubante.

"Non devi preoccuparti, Angelina." Disse Ginny, sorridendole dolcemente. "Stavamo giusto discutendo sul perché i Chudley Cannons non vinceranno la Coppa di Quidditch."

Ron sbuffò. "Vinceranno! Quante volte ve lo devo dire."

Angelina rise sommessamente, senza tuttavia sollevare lo sguardo da terra.

"E' da tanto tempo che non ci vediamo, stai bene?" La voce di George assunse un tono severo, interrompendo il clima gioviale che si era creato. Sorpresa nel sentirsi rivolgere una domanda così diretta dall'uomo, Angelina balbettò, sollevando lo sguardo su George.

"S-sì. Sto bene, grazie."

"Ottimo." Disse George, portandosi una mano alla tempia. Notando il gesto e l'espressione di dolore del fratello, Ginny gli si avvicinò con cautela.

"George, tutto bene?" Domandò, posando una mano sul braccio del fratello.

"Non lo so," Sospirò George. "Scusatemi." E con quella parole di commiato, George passò accanto a Ron ed Angelina, scomparendo all'interno della casa. Rimasti soli, i tre assunsero delle espressioni scoraggiate. Angelina si portò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. "Forse, forse non sarei dovuta venire. Ho rovinato questo giorno."

"Nient'affatto!" Esclamò Ginny, con veemenza. "Fino a prova contraria sei un'amica di famiglia, a prescindere dal passato."

Angelina attorcigliò le dita della propria mano all'altezza del grembo. "Sono mortificata."

"Non esserlo." Disse Ron, posando una mano sulla spalla della donna. "Forse ci vorrà tempo, ma andrà tutto bene."

Angelina sorrise mestamente.

"E adesso andiamo!" Esclamò Ron con allegria. "La torta d'anice ci attende."

Ginny regalò una smorfia al fratello, apprestandosi a seguirlo assieme ad Angelina, che, oltrepassando la porta, sentì una stretta delicata serrarle il braccio. "George." Sussurrò, stupita che l'uomo fosse tornato a cercarla.

"Scusateci," Disse rivolto ai fratelli. "Ma avrei bisogno di parlarti." Concluse, spostando gli occhi sulla donna.

Angelina sgranò lo sguardo, facendo un cenno mesto con il capo. "Arriveremo in tempo per il dolce." Disse George.

"Oh, non preoccuparti." Ginny sorrise. "Avrai certamente la mia porzione di torta."

 

[...]

 

"Scusami per prima," Disse George, aprendo il cancello di legno della Tana. "Non avrei dovuto assumere quel genere di atteggiamento."

Presa alla sprovvista, Angelina seguì George all'esterno del piccolo giardino e si affrettò a parlare. "Non devi scusarti. Sono io ad esser stata indelicata con la mia presenza."

Il giovane Weasley fece qualche passo ed infine si voltò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Un mezzo sorriso gli dispiegò le labbra, un sorriso stanco, ma senza dubbio sincero. "Ti va di andare da Fred?".

Angelina dischiuse le labbra, infine sorrise. "E' da molto che non gli faccio visita," Disse la donna. "Spero che non sia arrabbiato con me."

"No, tranquilla, non lo è." Rispose George, riprendendo a camminare.

"Come fai ad esserne sicuro?" Domandò, celando un sorriso.

Dopo qualche secondo di silenzio, George scrollò le spalle. "Perché certamente è più arrabbiato con me. Sono sicuro che passerai in secondo piano."

Lentamente, la Tana divenne sempre più piccola ai loro occhi. Il dolce pendio li condusse al piccolo cimitero di Ottery St. Catchpole, luogo in cui riposava il corpo di Fred Weasley e dove le salme degli antenati vegliavano sulla famiglia Weasley. Una brezza calda e leggera scompigliò loro i capelli, mentre l'erba ingiallita dal sole offriva uno spettacolo inusuale. Oltrepassarono il cancello in ferro battuto, il cui incessante cigolare avrebbe raggelato chiunque nelle ore notturne. Piccole file di lapidi apparvero disposte ordinatamente in fila, circondate da ciuffi d'erba ingiallita e qualche fiore sporadico. Il tempo pareva essersi fermato in quel piccolo angolo di pietre, solo lo stridio incessante delle cicale e il cinguettio degli uccelli dipanavano tale illusione.

George camminò tra le lapidi con passo sicuro, seguito a breve distanza da Angelina. Benché fossero trascorsi dieci anni dalla morte di Fred, la tomba del fratello appariva curata e sempre ornata da fiori di stagione. George si abbassò sulle ginocchia, mentre Angelina rimase in piedi di fianco all'uomo.

Il nome di Fred Weasley era inciso a caratteri grandi sul marmo chiaro della lapide, sormontanto da un epitaffio che lo stesso Fred, in vita, aveva composto per scherzo.

"E' strano," Disse George con voce roca. "Vedere il tutto da questa prospettiva."

Angelina spostò lo sguardo sulla figura chinata del giovane Weasley. "Cosa intendi dire?"

Come destatosi da un sogno, il tono di George nascose una leggera sorpresa. "N-no, niente. In un certo senso, è come vedere la mia lapide. Cambierebbe solo il nome."

Angelina si accostò il vestito alle gambe e si inginocchiò accanto a George.

"A volte," Prese a dire il giovane Weasley. "Cerco di immaginare la nostra vita con Fred. Penso a che sapore avrebbero le giornate con i suoi scherzi e le sue risate. Penso a che uomo sarei io se lui fosse sempre in vita."

"Saresti la stessa persona, George."

"Non lo so, forse no."

Angelina si portò una mano al mento. "Hai ragione, forse tutti noi saremmo diversi. Fred era in grado di far sorridere chiunque. Perfino al ballo del ceppo, trascorse tutto il tempo a ridere ed a schernire i propri compagni. Devo ammettere che in quell'occasione non mi prestò molta attenzione."

"No," Disse George. "Ti sbagli, trascorse una notte intera a parlarmi di te."

Angelina arrossì. "Fu la prima volta che lo vidi realmente interessato a qualcuno." Concluse George.

"Tu non sei molto diverso da Fred, George."

Il giovane Weasley si voltò ad osservarla. "Tu non sei Fred, ma hai lo stesso dono di far sorridere le persone."

"Forse era Fred a darvi quest'illusione." Disse George.

"Voglio essere sincera," Disse Angelina, scuotendo il capo. "Io ho amato Fred. L'ho amato per quel poco che siamo stati insieme. I miei sentimenti erano sinceri."

"Lo erano anche i suoi."

"Sì, lo penso anch'io. L'ho amato e penso di amarlo ancora."

George si voltò a guardarla con un'espressione illeggibile dipinta sul volto.

"L'amore che provo è un dolce ricordo che ho di lui; se dicessi di non amarlo più, non terrei fede alla sua memoria. Tuttavia, i sentimenti delle persone non si comandano e, benché Fred sia stato importante per me, nulla mi ha impedito di innamorarmi di nuovo."

Angelina afferrò una mano di George, rivolgendogli uno sguardo intenso. "Tu non sei Fred. Sei George e per me non sarai mai il suo sostituto."

George si portò nuovamente una mano alla tempia.

"Stai bene?" Domandò Angelina, preoccupata. La sua espressione si fece allarmata, in attesa di una risposta. Quando George sollevò nuovamente il capo per osservarla, Angelina sentì il respiro bloccarle la gola. La presa della propria mano si ribaltò e sentì la pressione della mano di George attorno alla propria. La prima sensazione che ebbe fu quella di esser di fianco ad un'altra persona.

"Angelina."

Lo sguardo della donna si spalancò all'improvviso, mentre la bocca si dischiuse leggermente, incerta o meno se emettere un suono.

"Devi farmi una promessa."

La donna fece un leggero cenno d'assenso, senza spostare il proprio sguardo.

"Devi amare con tutta te stessa. Sempre. E devi proteggere ciò che ti è più caro al mondo. Io non posso più farlo, ormai."

Angelina sentì un liquido freddo e salato scenderle lungo le guance accaldate dal sole.

"Tu-"

"Confido in te. Abbi cura di lui."

Angelina sentì la gola improvvisamente secca e la stretta di George attorno alla sua mano divenire più forte; un attimo dopo a quel minuto eterno notò uno sguardo che l'osservava disorientato.

"Angelina."

Dopo un primo momento di disorientamento, la donna sorrise dolcemente, tendendo l'altra mano ed alzandosi assieme a George. "D'ora in avanti sarò io a prendermi cura di te. Permettimi di farlo." Disse, con un tono di voce determinato. Non riuscì a capire cosa le era successo, ma in cuor suo sapeva a chi appartenessero le parole che le erano state rivolte.

Il volto di George parve sorpreso. "Io-."

"Sono certa che Fred lo vorrebbe." Continuò Angelina, leggendo l'espressione dell'uomo.

George chinò il capo verso il basso. Ammettendo di amare Angelina, aveva sempre creduto di fare un torto al proprio fratello. Questo era da sempre stato il suo stato d'animo, giusto o sbagliato che fosse.

Tenendo George per mano, Angelina si voltò un ultima volta verso la lapide, rivolgendo un sorriso che George non sembrò notare. "Ormai, ho fatto una promessa." E con gentilezza, diede un piccolo strattone al braccio del giovane Weasley.

Non capendo l'allusione, George si voltò a sua volta. "A presto, fratello." Disse, lanciando un ultimo sguardo all'epitaffio.

 

"Chi io fui tu sei, chi io sono tu sarai."

 

Forse era vero ciò che si diceva del destino.

Fred aveva composto quell'epitaffio per gioco, affermando che in quel modo avrebbe esorcizzato la morte ed ad una prima spiegazione, aveva semplicemente scosso le spalle, spiegando che amava il suono di quelle parole.

A distanza di dieci anni dalla sua morte, quell'epitaffio apparentemente insolito, celava un significato diverso, più profondo.

Forse, era questo ciò Fred gli avrebbe detto in vita. Sii ciò che avrei voluto essere.

Entrando nel vialetto della Tana, accolto dalla mano calda di Angelina, George sentì un languore dentro sè. Un senso di improvvisa liberazione. Si fermò, attirando lo sguardo colmo di apprensione ed attesa di Angelina.

"Niente." Sorrise, scuotendo il capo.

L'espressione della donna si fece improvvisamente seria. "La torta d'anice è così disgustosa?"

George liberò una risata spontanea, che attirò l'attenzione dei Weasley, radunati nuovamente in giardino.

"Sì, lo è!" Esclamò Ginny a voce alta, attirando lo sguardo offeso di Molly.

Quel giorno il cielo fu minacciato da qualche nube, ma il sole tornò decisamente a splendere.

 

[...]

 

"Devo farti i miei complimenti, la tua è stata una mossa decisamente astuta."

"Sì, devo ammettere che l'idea di entrare nel corpo di una persona non è stata niente male."

"Sono stato in grado di farlo solo perché si trattava di George. Era pur sempre mio fratello."

"Oh, andiamo. Perché da morti si assume l'assurdo vizio di parlare al passato? E' tuo fratello."

"Adesso che non potete più leggere il mio stato d'animo attraverso il colore dei miei capelli, ho deciso di provare nuove forme di divertimento e di far visita al mio bambino."

"Io preferirei una non-vita tranquilla, credo che andrò a trovare Harry, sicuramente sentirà la mancanza del proprio padrino."

"Ed io che pensavo che una volta morto avrei trovato un po' di pace."

"Non dire così, più anime siamo più l'eternità sarà divertente!"

"Ora sì che sono atterrito."

"Sei diventato decisamente ironico con il passare del tempo, proprio tu che amavi gli scherzi. Non l'avrei mai detto in vita."

"Sto per diventare zio, mio nipote avrà il mio nome, dovrei essere tranquillo ed in pace con me stesso. Invece, voi avete la capacità di scombussolare la mia essenza."

"Ah sì, allora, sentiamo, quand'è l'ultima volta che ti saresti sentito tranquillo?"

"Con voi credo che non lo sarò mai."

 

Fine

 

Note a fondo pagina ― Finalmente ho scritto la parola fine a questa storia, dopo attimi angoscianti nei quale mi auto-convincevo di non poterla mai concludere. In realtà, non so se esserne soddisfatta o meno. Ho come la sensazione che in alcuni punti avrei potuto dire di più, ma anche rileggendola più volte non oso metterci mano.

Ad ogni modo, questa storia è stata scritta per l'iniziativa Temporalmente indetta da Criticoni. Commenti, impressioni sono bene accetti (sempre se rientrano nell'ambito della civiltà). L'epitaffio di questa storia non è opera mia (dio me ne scampi e liberi), ma l'ho preso in prestito dalla pagina di Wikipedia alla parola Epitaffio.

Oh, e per finire, vi sfido ad indovinare chi siano le anime alla fine!

 

 

  
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