Uno, due, tre
Mentre Malvo riposiziona correttamente
l'osso rotto, Gus lo osserva da dietro con profonda ammirazione. Non
è ammirazione per quell'uomo in sé, assolutamente no. È puro
sentimento di stupore nei confronti della resistenza di quell'essere
vivente che fatica a classificare suo pari in dignità, doveri e
diritti. Gli viene spontaneo fare un paragone con se stesso: cosa
avrebbe fatto il pavido Gus Grimly di fronte ad una situazione come
quella, con la gamba maciullata da chissà quale arma e l'osso
spezzato che aumenta il gonfiore?
Si mette una mano davanti alla bocca,
parando un eventuale conato di vomito, quando sente qualcosa
scattare, tornare al suo posto, e non vuole davvero scoprire cosa
l'abbia prodotto, né il dolore lancinante che sicuramente
Malvo ha sentito.
Il sentimento ambiguo permane anche
quando il criminale emette un evidente sospiro, come se avesse appena
lasciato andare un peso enorme, sia fisico sia mentale. Dura qualche
secondo, il tempo per riprendere fiato, poi l'instancabile malvivente
è già all'opera per steccare quella brutta ferita.
La verità è che, in uno scenario come
quello, Gus non avrebbe resistito nemmeno un secondo, Gus si sarebbe
fatto ammazzare dal dolore stesso, ancor prima che dalla perdita di
sangue. Gus, con l'impossibilità di andare all'ospedale, sarebbe
morto in pochi attimi, dilaniato dallo strazio proprio come la gamba
catturata in una trappola malefica.
C'è un secondo punto fisso, tuttavia,
che non si può escludere nell'analisi di cosa sarebbe accaduto.
Questo secondo caposaldo della questione, in effetti, non fa che
annullare il primo. A dirla tutta, a Gus non sarebbe mai successa una
cosa di questo genere. No, perché Gus non è un criminale. Gus sogna
un mondo in cui il sole risplenda, in cui i vicini si scambino doni e
saluti, dove ci sia la solidarietà per aiutarsi a vicenda nel
portare la spesa quando l'ascensore del condominio è rotto – in
realtà, la parola alla quale penserebbe Gus sarebbe un'altra: non
solidarietà, ma umanità. Perché è questo che l'uomo in
quanto tale dovrebbe fare. Pur nella sua esperienza di agente di una
cittadina sperduta dal nome Duluth gli è capitato di avere a che
fare con il pensiero della morte, con l'angoscia del rischio di non
rivedere la sua bambina, e ha sempre saputo che quella non è
una sensazione lecita per un essere vivente, non è normale, non è
naturale, non è umana. Ora che è postino questa convinzione non è
passata in secondo piano. Gus ancora vede la morte, ancora la sente
strisciare per le vie di Bemidji, la vede lasciare il suo marchio
rosso sangue sulla neve bianca, pura come potenzialmente puro sarebbe
il mondo intero.
Non solo: adesso, nella baita isolata e
quasi invisibile ha l'opportunità di guardare negli occhi quella
morte che tanto lo disgusta. Ha anche l'occasione di darle un nome,
ed è Lorne Malvo.
È in nome di quel mondo e di queste
considerazioni che si avvicina a quel mostro, con cautela,
insicurezza, come se l'uomo che ansima dolorosamente per riprendere
fiato ancorato ad una sedia per non tenere penzoloni la gamba
disastrata potesse alzarsi, muovere verso la sua borsa degli
attrezzi, prendere una pistola e sparargli un colpo in testa senza
lasciarsi il tempo di emettere un suono. Il ghigno che gli riserva è
forse più spaventoso della situazione. Lorne Malvo è la Morte che
ride, e lui il disgraziato che vorrebbe farla smettere.
«L'ho capito» dice, la pistola
puntata in avanti, sorretta da due mani. E «Buon per te»
detto con il sorriso sulle labbra non è del tutto la risposta che
avrebbe desiderato.
«Il tuo indovinello. Le sfumature di
verde» precisa, sistemandosi meglio o solo scaricando la tensione.
«L'ho capito»
«E...?»
Uno, due, tre. Bang, bang, bang.
Non due colpi, come gli hanno insegnato
ai corsi di addestramento. Tre spari, tre proiettili ficcati nel
petto del pazzo più lucido che abbia mai visto. L'ha giurato: sua
moglie non sarebbe uscita dalla centrale se non avesse avuto la
conferma della morte di Malvo. Molly non ha promesso, ovviamente, e
l'unico modo per assicurare che lei e il nascituro abbiano una vita è
fare in modo che quel Malvo non abbia più la sua.
Il terzo colpo è un atto profondo, un
egoistico desiderio di vedere morto qualcuno per cui Gus non si
pente. Solo, per un attimo non capisce di averlo fatto davvero. Quasi
gli sembra di vedere la scena al di fuori di sé: sul divano c'è un
uomo con tre chiazze di sangue che si allargano sui vestiti pesanti,
all'angolo c'è un secondo uomo, più giovane, che fa la parte del
leone e guarda l'altro, un po' meravigliato, un po' sconcertato, un
po' spossato, la canna ancora fumante. Evidentemente, il giovane ha
sparato, l'ha fatto, ha premuto il grilletto non una, ma tre volte
pensando a Molly al volante che già lo raggiunge sicura per le
strade innevate.
Il terzo colpo è la sua volontà che
rinasce, che si ribella al marcio e allo schifo di carni dilaniate,
di cervella spalmate che incrostano i vestiti, di fucili d'assalto e
di martelli insozzati di frenesia. È il suo atto di libertà, e
sente il cuore gonfio di fierezza perché è libertà anche per la
sua famiglia. Non ha potuto preservare Greta, cresciuta con una radio
della polizia in casa, ora piantonata da un nonno in berretto, guanti
e fucile fuori dal portico, ma appunta nella sua mente di conservare
la speranza per il secondo figlio. Può farlo nascere in un mondo
migliore perché ora sa che sarà lui a creare il lato
positivo del mondo, perché farà tutto il necessario perché questo
accada. Per il bambino, per Molly e anche per se stesso.
Si costringe ad evitare l'alienazione
da sé in un delirio di onnipotenza quando Malvo si muove, tossisce e
ridacchia.
Lorne Malvo è la Morte che ride, nello
specifico di lui.
Gus è profondamente sicuro di non
capire cosa sia successo nel corpo e nella mente del criminale, né
gli importa. Tutto ciò che conta è l'alta capacità cognitiva che
il postino riesce a mantenere quando agisce di nuovo.
Quattro, cinque. Bang, bang.
La Morte non ride più.