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Autore: eyes_in_the_fire    21/07/2016    11 recensioni
||STORIA INTERATTIVA|| Iscrizioni CHIUSE||
Un regno magico e misterioso, un nemico celato nell'ombra, delle Bestie sotto il suo controllo, e dei ragazzi -degli eroi,- che cercano nuovi alleati, nuovi compagni.
“Non potremmo resistere ad un secondo attacco in certe condizioni.
Se tornano siamo fottuti.”
Loro sono Cacciatori di Bestie.
E hanno bisogno di aiuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
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Duncan rilesse la lettera un'altra volta, con una sensazione viscida e viscosa che stava salendo dallo stomaco: al solo pensiero che qualcuno avrebbe potuto riportare ferite più gravi ogni cosa sembrava perdere importanza, comprese la missione, la propria incolumità e il dolore della ferita sul volto. Quando alzò gli occhi dalla calligrafia elegante ma frettolosa di Gwen non passò neanche un secondo: aveva già iniziato a correre, con la neve che scricchiolava sotto la suola degli scarponi e col cuore stretto nella morsa ferrea di una corda robusta e invisibile, una corda che ti mozzava il fiato e ti spingeva a muoverti sempre più velocemente. Quella corda aveva un nome: si chiamava preoccupazione.
Buit, nel frattempo, si era alzato in volo dato lo scatto improvviso del padrone e, non potendo chiedere cos'era successo, lo stava fedelmente seguendo, muovendo le alucce piumate più rapidamente possibile.

Quando Duncan fu arrivato al villaggio, dopo un'estenuante corsa, lo accolse un terribile odore.
”Odore di sangue...”
Piegato e con le mani poggiate sulle ginocchia per riprendere fiato, fece una smorfia disgustata e si tappò il naso con l'indice e il pollice, rinunciando subito alla posizione precedente. Si lasciò cadere sulla neve, sempre con le narici bloccate dai polpastrelli, e incominciò ad osservare il suo quasi completamente distrutto paesino.
«Duncan?»
Una voce maschile gli fece spostare lo sguardo -che prima era rivolto ad una casa col tetto sfondato- davanti a sé.
«Ce l'hai fatta ad arrivare, era ora»
Noah gli porse una mano -quella il cui polso era ancora sano,- per farlo alzare, con la voce piatta.
«Scusami se ero a sette chilometri di distanza da qui, a piedi» sbuffò il corvino, accettando l'aiuto e rialzandosi lentamente.
Il famigliare verso di Buit ruppe il silenzio, mentre l'esserino poggiava le zampette arancioni sulla spalla di Duncan, col petto che si alzava e si abbassava in fretta.
«Dobbiamo andare nell'arena, ci aspettano tutti lì» Noah afferrò il braccio di Duncan; «Di' a quel cosetto di non mollare la presa»
Il moro avrebbe volentieri replicato che Buit non era un "cosetto", ma si rese conto di quel che Noah era in procinto di fare e preferì chiedere: «Aspetta, non vorrai teletrasportarci?! Sai che lo odio!» protestò strattonando l'avambraccio.
«Facciamo prima» fece l'altro ad occhi chiusi, con un piccolo sorriso divertito, stringendo le dita ancora di più sull'arto del Cacciatore.
Presto vennero avvolti da una luce accecante, con spirali colorate che, però, apparivano solo a loro. Duncan sentì la terra scomparire sotto i piedi, il cuore scivolargli nello stomaco e una spinta troppo forte schiacciargli la cassa toracica. Il cervello sembrò svuotarsi e la vista si fece doppia, conferendo alla luce e ai suoi disegni una composizione vacillante.
Quando l'incantesimo venne concluso con successo i tre erano spariti, al loro posto un vortice argenteo.

Quando la visuale si fu ristabilizzata e i piedi tornarono al suolo, la cittadina era svanita: ora si trovavano in un campo di terra battuta, circondato da muri in legno e protetto dalle neve e dalla grandine da un grande tetto di vetro a cupola. Le pareti erano adornate da armi e bassorilievi complicati, raffiguranti scene di lotta o eventuali tecniche di combattimento. Qua e là si stagliavano incantevoli arazzi colorati, sui quali le ombre e la luce disegnavano splendidi effetti.
Duncan si guardò intorno: c'erano tutti. Gwen, Alejandro, Sierra, Cody, Courtney... dal primo all'ultimo, tutti i suoi amici e compaesani.
Il loro arrivo venne accolto da parole su parole, che s'impastavano con l'aria e roteavano attorno ad ogni persona, ma che nessuno udiva veramente.
Per quanto riguardava lui, esse praticamente gli rimbalzavano addosso, quasi fosse fatto di gomma, perché per quanto potesse impegnarsi con lo scopo di ascoltarle non avrebbe capito nulla, tanto erano mescolate fra di loro.
«Eh-Ehm» richiamò l'attenzione su di sé. Il silenzio arrivò assoluto, e i vocaboli si bloccarono in aria.
Una ragazza dai capelli scuri e gli occhi grigi fu la prima a riprendersi dallo stupore, rendendo lo sguardo una lama gelida: «Ho notato che te la sei presa comoda, Piercing»
«E io ho notato che ti sei alzata con la luna storta oggi, Heather» rispose a tono lui, esibendo un ghigno soddisfatto allo sbuffo dell'altra.
«Vogliamo passare subito a cose serie?» irruppe brusca Courtney, impaziente.
«Come vuole, Principessa»
Lei lo ignorò, trattenendo una sfilza di insulti serrando le labbra. Prese parola poco dopo, apparentemente calmatasi: «Espongo il mio concetto: non ho intenzione di rischiare la vita inutilmente»
Duncan capì subito. Si riferiva alla missione.
Dawn, una bionda minuta e pallida, sgranò gli occhi cerulei: «"Inutilmente"? Courtney, siamo al servizio del Regno, non c'è cosa più utile della nostra missione! Rammenti le parole del Re, no? "Ho radunato i migliori Cacciatori e Maghi del Regno, aggiungendo la più abile Curatrice di mia conoscenza. Ricordate: fermare le Bestie è...»
«... è tutt'ora la cosa più importante", sì. Ma perché dobbiamo rischiare di morire per qualcun altro? Il resto degli abitanti può perfettamente arrangiarsi, no?»
«No.» la risposta arrivò, inaspettatamente, da Gwen, che scosse la testa, facendo ondeggiare il caschetto nero e verde petrolio; «Ci ha scelto con cura, si fida e noi non possiamo deluderlo. Se moriremo combattendo, sappiate che non c'è modo più onorevole di lasciare questo mondo. Se avete troppa paura d'accordo, affari vostri, ma io mi impegnerò al massimo per soddisfare le aspettative del Re. Facciamo a democrazia. Chi è con me?»
Uno dopo l'altro la raggiunsero tutti, chi deciso chi titubante, non proferendo parola.
La determinazione sconfisse l'egoismo.
Courtney rimase sola di fronte agli altri, e sospirò.
«E va bene» grugnì quella dopo un po', afferrando la sua spada con un gesto secco; «Andiamo a farci ammazzare!»

«Mai che qualcuno mi dia ascolto... aiutiamo tutti, dai, facciamo i paladini della giustizia!» Courtney tagliò con la spada un ramo che le intralciava la strada.
Sbuffava e camminava, ripensando a ciò che avevano accordato dopo la riunione: alcuni di loro sarebbero partiti, con direzioni diverse, cercando Curatori o Maghi o Cacciatori che li avrebbero aiutati. Il motivo era semplice: per annullare gli attacchi di quelle Bestie, erano pochi. Decisamente pochi. Quindi dovevano chiedere una mano, sebbene alcuni di loro -come lei stessa- odiassero ricevere aiuto altrui e domandarne andasse contro la loro natura. Gwen era certa che chiunque avrebbe accettato di unirsi al gruppo, perché le Bestie erano un nemico comune.
Persa nei suoi pensieri non captò il sottile sibilo dell'aria, tranciata in due da una sfera infuocata. Questa andò a sfiorarle la mano, ustionando la pelle e bruciando la carne.
La castana si lasciò sfuggire un gemito e un verso sorpreso mentre portava la mano al petto: non se l'aspettava!
E ancor meno si aspettava di sentire una modesta pressione sulla giugulare, che le provocò un brivido freddo.
Una goccia di sudore scese dalla tempia, passando sulla guancia abbronzata e strisciando sul collo, mescolandosi col rivolo di sangue già fuoriuscito dal taglietto che la grande lama dello spadone le aveva procurato sulla gola.
«Ti spiace dirmi le tue intenzioni, dolcezza?» sussurrò flebile una voce, profonda tanto da far sentire Courtney circondata da un oblio scuro.
Solo per un momento, però.
Si riprese subito ed era pronta a rispondere a tono: aveva sì un'arma puntata alla trachea, ma il suo "dolce" caratterino non glielo toglieva nessuno!
«Senti un po'...» aveva iniziato, quando una voce dal marchio vagamente infantile la precedette.
«... ma... ma è una persona! Anser, lasciala respirare, è solo una ragazza, dopotutto... Oh, cavolo, pensavo fosse una Bestia, e adesso guarda: le ho bruciato la mano, poverina, e non siamo nemmeno Curatori, noi! Deve fare un male tremendo... e lasciala!»
Anser, seppur scettico e con una vena dubbiosa nei movimenti, si allontanò piano. Ovviamente, non prima di aver preso la spada di Courtney.
Quest'ultima si girò, lenta, squadrando le due persone che le si stagliavano davanti.
La prima era una ragazza: aveva un sorriso amichevole e un poco imbarazzato, quasi di scuse, sulle labbra sottili, e tante lentiggini le decoravano il naso, rendendole il viso dolcemente bambinesco.
La castana non notò altro, dato che il resto della faccia e i capelli della ragazzina erano celati dal cappuccio di un mantello, però giurò di aver intravisto due occhi dalle iridi cremisi e screziati d'oro sotto l'ombra che l'indumento gettava sulla pelle.
Il secondo era tutt'altro: stava a braccia incrociate, le labbra pallide serrate in una linea sottile, che si trasformò in un minuscolo sorriso senza significato -Courtney lo definì vuoto- quando la bruna lo guardò.
I suoi occhi erano coperti quasi completamente dai capelli corvini, ma sotto le ciocche si potevano intravedere due cristalli che parevano liquidi tanto la loro colorazione leggermente azzurrina era intensa. Era il colore del ghiaccio che si scioglie, delle stelle che esplodono.
«Io sono Altair, e lui è il mio scorbutico fratello Anser! Piacere, siamo i fratelli Mizar!» i denti vennero scoperti quando gli angoli delle labbra viaggiarono verso l'alto.
L'altra rimase inizialmente muta, studiando la situazione: una Maga che a quanto pare controllava il fuoco e un Cacciatore nerboruto e dal fisico allenato. Chi meglio di loro poteva aiutarli?
«Courtney. Courtney Barlow.
Ascoltate, che mi direste se...»

«... vi dicessi che il Regno ha chiesto aiuto e che voi potete essere utili? Per fermare le Bestie, insieme. E tu non guardarmi così!»
Il corvino sbuffò, annullando lo sguardo scettico che le stava rivolgendo: «Io non ho nulla di meglio da fare nella mia vita, ma te e i tuoi compagni farete bene a non darmi sui nervi e lasciarmi fare ciò che voglio. Mi sono spiegato o te lo devo far capire in un altro modo, bambola?» Kurai Shikage alzò la mano destra chiusa a pugno, fulminando con gli occhi neri Gwen. O meglio, con l'occhio nero. Il destro, infatti, era chiuso e non sembrava intenzionato ad aprirsi.
«Non agitarti, la rabbia non porta a nulla» parlò dolcemente una ragazza, le labbra rosee sorridenti.
«Oh, cara signorina, vorrei ricordarti che la qui presente moretta non ha esitato a cercare di tranciarmi la mano!» sbottò Kurai, ringhiando esattamente come un Fry. Era arrabbiato per quanto accaduto poco prima: il corvino aveva notato una ragazza dai capelli scarlatti camminargli a una decina di metri di distanza, e con poca gentilezza le aveva gridato un: “Ehi, Rossa, hai visto qualche Bestia da ammazzare?” e Gwen, che passava di lì, l'aveva sentito e avvertito la frase come una minaccia, aveva difeso la ragazza tirando all'altro un fendente sulla mano e l'aveva di conseguenza ferito.
Tutt'ora, sulla pelle stava un profondo graffio, dal quale il sangue usciva copioso e cadeva sulle foglie secche del bosco Forowly.
Ovviamente il ragazzo si era arrabbiato -anzi, avrebbe volentieri ucciso la corvina sul momento con la sua falce a doppia lama-, ma i due avevano chiarito e adesso lui si limitava a scagliarle contro frecciatine intrise nel veleno.
«Tu, Scarlett, che mi dici?»
Scarlett -la "famosa" ragazza dai capelli rossi- sembrò pensarci un attimo, il sorriso non aveva abbandonato il suo volto. Poi acconsentì, chiudendo e riaprendo gli occhi un paio di volte, mentre le lunghe ciglia scure sfarfallavano: «Vi aiuterò volentieri»
«E tu invece? Ehi, Lola, parlo con te»
Lola Kishimoto sorrise, addolcendo lo sguardo celeste. A dire il vero, celeste non era un modo appropriato per descrivere le due iridi dalla colorazione che vorticava su quell'azzurro ghiaccio: minimizzava troppo. Era una ragazza dalla personalità colorata, possidente un carattere screziato di giallo.
«Io sono sempre pronta ad aiutare il prossimo!» esclamò convinta, spostando una lunga ciocca castano chiaro dietro l'orecchio.
D'accordo, Gwen non le era sembrata molto simpatica, e per questo era stata pensierosa prima di fare una scelta, però non era tipa da tirarsi indietro!
«Grandioso!» sorrise la corvina.
Fece loro cenno di andarle dietro, e tutti seguirono il consiglio -nel mentre, Kurai si legava attorno alla mano una benda fornitagli da Scarlett, categoricamente rifiutando l'aiuto offertogli da questa.
«Ora seguitemi. Torniamo al mio villaggio, quindi...»

«... dobbiamo dirigerci verso nord» spiegò Sierra, girandosi contenta e iniziando a camminare.
«Io sono ancora un po' incerto, Amy...» commentò in un sussurro Richard, fissando la ragazza dalla treccia viola che si allontanava assottigliando gli occhi castani.
«Oh, andiamo Riccardino! È una ragazza così amichevole e simpatica! Sei sempre il solito asociale!» protestò Amalia con lo stesso tono, scuotendo la testa e facendo quindi ondeggiare la lunga chioma lilla.
«Non sono asociale! È solo che... sì, insomma... non mi fido, ecco» si difese l'altro, grattandosi imbarazzato la testa e spettinando i già disordinati capelli biondi.
«Tu non ti fidi mai...» commentò giustamente sua sorella, per poi rincorrere Sierra e raggiungerla.
“Richard non si fida più di nessuno...” pensava; “da quel giorno...” un flash le attraversò la mente, riportandole in testa le consapevolezze sbagliate, quelle che non dovevano tornare, quelle che si era imposta di cancellare ma che continuavano a riscriversi in matita, come per sbeffeggiarla, su un foglio bianco, aspettando di essere tolte di nuovo per poi ricomparire e riprendere l'attesa. Era dolore ogni volta che tornavano, implacabile, terribile.
Scosse la testa violentemente, strizzando le palpebre.
«È tutto okay?» chiese Sierra, dubbiosa; «O qualcosa non va? Ti sei appena ricordata che dovevi innaffiare le piante? Ti è morto il gatto? Tuo nonno è caduto dalle scale?»
L'altra riaprì gli occhi azzurri, ridacchiando silenziosamente: di sicuro non poteva sapere se suo nonno era caduto dalle scale in quel momento, ma lei adorava ridere e, nonostante fosse totalmente seria, Sierra era proprio divertente!
«No...» le rispose sorridente; «Va tutto bene... piuttosto, dicci qualcosa...»

«... di te»
«Come vuoi Arthie, allora... mi chiamo Duncan Nelson e ho diciannove anni; sono un Cacciatore e mi sono innamorato di una ragazza del mio villaggio, che di nome fa...»
«Non credo intendesse questo, genio» commentò una ragazza dark, preoccupandosi di intingere la punta della freccia in una boccetta di sarcasmo prima di scoccarla.
«E io credo che tu ti debba preoccupare del tuo carattere e non di quello che dicono gli altri» fece Seamus, freddo, assottigliando gli occhi blu.
Quella ragazza, Milah, non sembrava intimidita dal suo aspetto, perciò lui intendeva prenderla di mira. Voleva impaurirla, leggere il timore sul suo volto, vedere le sue iridi dense di incertezza. Ne sentiva il bisogno.
«Perché non ti fai gli affari tuoi, Silver?» rispose allora lei, girandosi e fronteggiando il fisico imponente del ventunenne.
«Perché dovrei ascoltarti, Darkice?» fece lui, fissando l'occhio blu notte della ragazza: il destro era coperto da un ciuffo dei suoi capelli bruni a ciocche biondo platino.
«Stanno usando i cognomi...»sussurrò Matisse Wright a Duncan, mentre i capelli castani ondeggiavano col vento; «... l'atmosfera si scalda» continuò, mantenendo il tono duro come marmo.
«Puoi dirlo...» rispose il corvino, piantando lo sguardo celeste in quello dorato dell'altro.
«Oh, no, nonononono, non va bene, se continueranno così andrà a finire male, molto male, ne sono sicuro... prima si insulteranno, man mano più pesantemente; poi si urleranno contro fino a che non voleranno anche imprecazioni degne di uno scaricatore di porto; dopo verranno alle mani, agli schiaffi e, povero Seamus, anche ai calci dove non batte il sole; in seguito si attaccheranno alla faccia dell'altro, baciandosi come due sposini; quindi finiranno a letto, coinvolgendo il gruppo per intero e costringendoci ad accoppiarci fra di noi e, infine, si grideranno di nuovo contro, e si ammazzeranno tagliandosi gli arti uno a uno, a vicenda, mentre noi staremo a guardare il sangue che si espande sulla neve e...» Arthur era convinto della sua teoria -o, più che altro, del suo film mentale- e, mentre la spiegava, colpito dal nervosismo, iniziò ad accarezzare i boccoli castano chiaro a ciocche bionde di Charlotte, con gli occhi grigi spalancati e le pupille ridotte a due puntaspilli, lo sguardo perso chissà dove. Intando la ragazza non sembrava essersene accorta, e timidamente cercava di convincere Milah a lasciare stare, ogni tanto provando anche con Seamus -però molto più flebilmente-, mentre un sorriso incerto le incurvava le labbra.
Matisse fissò la scenetta per un paio di secondi, poi incrociò le braccia e alzò le iridi dorate al cielo: «Cominciamo bene»

Cody camminava fra le piante, tagliando ogni tanto una felce o un fiore carnivoro che gli bloccava la strada con la spada che gli aveva prestato Trent.
«Perché mi hanno mandato in ricerca? Non sono neanche un Cacciatore!» si lamentò, "lottando" con un arbusto che aveva davanti: per passare doveva scostarlo. Peccato che esso non intendeva spostarsi: per quanto provava, la maglia si incastrava tra i rametti e l'alberello sembrava incollato completamente al terreno.
Si sentì picchiettare la spalla.
«Ehi, tipo che non ho mai visto in vita mia, serve una zampa?» pronunciò una voce dietro di lui, concludendo la frase con un vivace miagolio...
“Fermi un momento: miagolio?”
Il castano girò la testa, trovandosi davanti due occhioni azzurri dalla pupilla verticale e sottile, uguali a quelle dei felini.
«Cosa...»
La domanda di Cody venne sovrastata da un richiamo.
«Neko! Neko! Dove ti sei cacciato?!» era una voce femminile: la ragazza cui essa apparteneva urlava, mentre le sue parole si perdevano nel folto della foresta creando la ripetente voce dell'eco.
Lo sconosciuto ridacchiò, scoprendo i denti bianchi e due canini stranamente appuntiti.
Cody si era fermato a fissarlo, con occhi e bocca spalancati. Guardò prima i capelli marrone ramato -che avevano dei ciuffi ai lati simili ad un paio di orecchie di gatto-, poi gli occhi, poi i denti, dopo ancora la pelle ambrata decorata da strisce nere -identiche a quelle di una tigre- e infine le unghie lunghe e affilate: quel tipo non aveva nulla di normale!
Intanto l'altro pensava che il castano fosse confuso avendo sentito la voce di un'altra persona, perciò spiegò sorridente: «Non preoccuparti, è la mia ragazza, Clarissa! Vedi, siamo una coppia di Cacciatori che va in giro a combattere Bestie di tutti i tipi, ci conoscemmo tempo fa e da allora vagabondiamo insieme come dei veri innamorati! D'accordo, a dire il vero inizialmente lei mi trattava come un pazzo, ma alla fine iniziai ad essere ricambiato e tutt'ora siamo fidanzati e ci amiamo da morire! Ehi, non è che hai già visto Clarissa? E' alta più o meno così, ha la pelle lattea con dei tribali scuri tatuati un poco ovunque e i capelli neri, corti, con qualche sfumatura viola... e sulla parte sinistra sono rasati! Ah, lo sai che ho tre cicatrici sulla schiena? Me le sono fatte quando...»
Qui Cody smise di ascoltare.
Quel ragazzo parlava proprio a macchinetta, come diamine lo si fermava?
«Neko...! Ah, eccoti qui!»
Una ragazza magra spuntò dalla boscaglia; corrispondeva alla descrizione che Neko aveva fatto poco prima: era Clarissa.
Il castano scoprì che ella aveva anche due profondi occhi neri, un piercing sulle labbra sottili e una cicatrice ad "X" sulla guancia.
Quando la mora notò un ragazzo sconosciuto, scivolò velocemente vicino a un ormai zitto Neko e puntò lo sguardo al suolo polveroso, diventando silenziosa e schivando ogni contatto visivo fuorché quello che ebbe col suo ragazzo.
“Mi sembrano in gamba, tutto sommato...” si ritrovò a pensare Cody; “Perché no...? Neko è anche simpatico...”
Interruppe schiarendosi la voce le fusa -sì, avete letto bene- di Neko, e spiegò ai fidanzati la missione che lui e i suoi compagni dovevano compiere. I due si guardarono un momento, poi la risposta arrivò dal ragazzo: «E va bene, ci stiamo!»

Noah tutto si sarebbe aspettato, tranne trovare qualcuno possidente il suo stesso elemento. Era una cosa più unica che rara, e quelle poche volte che accadeva i due Maghi facevano parte della stessa famiglia o erano gemelli. Ma lui e Romano, parenti? Per nulla!
Si girò a guardarlo, per fare in modo che i suoi occhi castani incrociassero quelli di un ipnotico viola ametista dell'altro.
Romano accennò un leggero sorriso, scostando dalla fronte un ciuffo di capelli biondi, talmente chiari da essere praticamente albini. Noah gli era subito stato simpatico, era un tipo silenzioso e che sapeva il fatto suo, ma non era sbruffone, e possedeva un sangue freddo invidiabile e una calma razionale. Si assomigliavano da questo punto di vista, erano due tasselli di un puzzle che si incastravano perfettamente.
Elijah osservava le due persone davanti a sé. Si sentiva in armonia con entrambe, una cosa incredibilmente strana per lui, dato che -lo ammetteva- non aveva mai cercato contatti con le persone.
Scrutò con gli occhi blu mare il paesaggio che gli si presentava attorno: ghiaccio, neve e qualche pino. C'era anche un fiumiciattolo, miracolosamente non congelato. Era un luogo perfetto, pensò, per i suoi allenamenti.
«Noah, Romano...» iniziò, nonostante non sapesse bene come cominciare un discorso; «Possiamo fermarci per un po'... qui?»
I due si guardarono un secondo, poi scrollarono le spalle e annuirono, il tutto completamente in sincronia.
Elijah rimase sorpreso dai loro movimenti in simultaneità, ma si riscosse presto e li ringraziò con un cenno della testa, avvicinandosi al torrente.
Notò che l'albino e il bruno lo stavano seguendo in silenzio, e sorrise internamente: forse potevano andare d'accordo.
Romano si sedette su una sponda, tendendo le mani e chiudendo gli occhi. Sentì un leggero formicolio ai polpastrelli, perciò riaprì le palpebre di scatto. Quando si accorse che l'acqua aveva semplicemente qualche increspatura sospirò deluso e abbassò la testa: eppure quell'incantesimo non era così complicato!
«Qualcosa non va?»
«Sto provando una magia... ma non mi riesce!»
«Cerchi di far fluttuare l'acqua... Telecinesi?» Noah si mise accanto a lui, ricevendo un cenno positivo col capo; «Non è difficile, basta concentrarsi» commentò poi, alzando un sopracciglio.
«Lo so, ma non ci riesco!» gli sfuggì un gridolino frustrato, mentre si strofinava velocemente i capelli.
«Prova a parlare con Elijah, il suo elemento è l'acqua, magari ti dà un consiglio su come controllarla» suggerì il bruno.
L'albino osservò Elijah, che stava camminando ad occhi chiusi sul liquido: sì, poteva provare.
Non notò che, dove gli scarponi dell'altro toccavano, il torrente si congelava.

«Si può sapere perché ho dato la mappa a te?» Jeremy si batté una mano in fronte, frustrato, ringhiando e gettando a terra la propria borsa; «Ad un idiota?»
«Yo, io non so cosa passa in quel tuo testone, quindi non prendertela con me, sei tu che mi hai detto di darti le indicazioni» Kennedy tese una mano avanti, aprendola bene in segno di difesa, e chiuse gli occhi a mandorla.
«Ma come diavolo fai a non riuscire a leggere una mappa?! Ed io come faccio a sopportarti?!» non si trattenne più, non ce la faceva. Perché proprio a lui doveva capitare un gemello così? Odiava il fatto che nel fisico fossero identici in tutto, nei capelli neri lunghi fino a metà collo, negli occhi castano chiaro dal taglio leggermente a mandorla e nella corporatura magra.
L'unica cosa che li differenziava erano gli occhiali di Jeremy.
“Senti saputello, anche io devo stare a sopportarti tutto il giorno, quindi stai calmino eh,” pensò Kennedy, alzando gli occhi al cielo.
Grosso errore.
L'altro gli lanciò una stilettata micidiale, con il palmo della mano sulla fronte: «Che hai detto?» sibilò, assottigliando ancor di più lo sguardo.
«Io non ho detto nulla»
«Riformulo: che hai pensato?» e questa volta era davvero incavolato.
«Il potere...» se ne ricordò solo in quel momento, aggiungendo alla fine della frase una parola che evito di trascrivere.
«Sì, il potere...» fece lentamente; «Sei un po' smemorato... vieni qui, che ti metto a posto io!»
«Come vuoi. Fatti sotto!»
Iniziarono una vera e propria lotta, con calci, pugni e qualche morso.
«Vai a quel paese!» gridò Jeremy, quando il fratello iniziò a tirargli i capelli.
«Eh? Quale paese?» Kennedy si bloccò sul momento, allentando la presa per pura confusione.
L'urlo dell'altro si propagò attraverso la vallata...

... arrivando alle orecchie di Dawn, Novella e Ciel.
Le tre ragazze si guardarono un momento, con un'espressione sorpresa e confusa.
Dopo l'attimo di tentennamento quella dai capelli castani -talmente scuri da essere quasi neri- e mossi prese l'iniziativa: «Che dite? Seguiamo l'urlo?»
Dawn la guardò, acconsentendo lentamente, mentre Novella esitò, scostandosi una liscia ciocca bruna dietro l'orecchio e sistemandosi poi la coda di cavallo.
«Silenziose oggi, eh?» continuò Ciel, ironizzando con le labbra rosso sangue piegate in un sorriso sarcastico: «Allora, andiamo?»
Spostò leggermente la frangia che le ricadeva sulla fronte e puntò gli occhi azzurrastri su quelli grandi e verdi di Novella, che interruppe il contatto visivo girandosi: lo sguardo dell'altra aveva un qualcosa di convincente.
«Perché no? Sì, insomma, dopotutto sembra vicina, la fonte del grido» disse, sorridendo e facendo cenno a Dawn di seguirla.
Quella fece sì con la testa ricambiando l'espressione e andando al suo fianco.
Ciel guardò la Maga bionda di sfuggita, giusto una frazione di secondo: si assomigliavano. Entrambe minute, gracili, dalla pelle che pareva fatta di ceramica e gli occhi di quel colore insolito, che celavano un grande potenziale. Intendeva conoscerla meglio.

«Mia signora...» il servo s'inginocchiò, tenendo gli occhi neri abbassati. La zazzera di capelli rossi sfiorava il pavimento, tanto aveva chinato la testa.
«Mh?» la bionda gli rivolse uno sguardo di sufficienza.
«E stato trovato morto per dissanguamento un altro Fry... sulla vetta di una delle montagne Freeme»
L'altra imprecò fra i denti. Il controllo che il suo potere esercitava sulle Bestie non bastava a renderle difficilmente battibili. Serviva di più. E, sebbene non riuscisse a convincersene, necessitava aiuto.
Così prese una decisione che poteva definirsi drastica.
«Chiama B. e S., ho bisogno di contattarle per dire loro delle cose»
«Ma... mia signora... q-quelle due sono pericolose e...»
«Io di più, Rodney» lo fulminò; «E poi... non vuoi accontentare la tua bella regina?»
Lo guardò con quegli occhi magnetici, e lui si convinse quando l'altra accennò un sorriso malizioso e attraente. Ovviamente falso.
«Io... sì. Ai suoi ordini, mia signora» e si allontanò, velocemente.



Angolo Serio-Ma-Non-Troppo
*seduta sul suo Trono della Ritardataria* Ebbene. Ebbene. Sono consapevole del mio ritardo e per questo vi chiedo, umilmente, perdono. Spero che il capitolo sia almeno stato gradito e che i vostri OC siano ben caratterizzati... perché io mi sono impegnata al massimo. Che dire... ah, non so fare la seria, ho capito!
Ditemi che ne pensato o il vostro OC muore ^^ Dai, scherzo XD Comunque ho cosette da chiedervi:
-Come è caratterizzato il vostro OC? (dico solo: questo è il primo capitolo, siamo agli inizi. Pertanto l'OC non è venuto fuori completamente, vi prego di non ammazzarmi subito XD)
-Che ne pensate di quelli altrui?
-La profezia di Artur si rivelerà corretta? XD
Vabbè, ho finito di delirare.
Arrileggerci (presto, mano sul cuore) <3
•Eyes•
   
 
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