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Autore: WibblyVale    24/07/2016    1 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Shiori era dentro la sua cella. Era arredata con un semplice piccolo letto, e Yoharu le portava sempre il cibo o qualcosa da leggere per tenersi occupata. Aveva sfondato le difese di Karin un paio di giorni prima e aveva continuato ad allenarsi. Quel giorno, però, nessuno era venuto a prenderla. Ormai non sperava più di fuggire, ogni suo piano per il futuro era stato distrutto. Aveva anche fallito nel salvataggio di Gaara, rinchiusa lì dentro non poteva fare nulla, e anche quello era solo colpa sua. Forse Itachi sarebbe venuto a cercarla, ma come avrebbe mai potuto trovarla? Nessuno conosceva l’ubicazione dei nascondigli di Orochimaru.
Ad un tratto la porta della piccola camera in cui era rinchiusa si aprì e davanti a lei apparve proprio il serpente con un sorrisetto soddisfatto sul volto. Si scansò senza dire una parola e la fece passare. Poi, le fece cenno di seguirlo con la mano.
“So che hai tentato di portare dalla tua parte Karin dandole consigli sull’amore, e che hai provato a corrompere Kabuto con i tuoi poteri. Avevi promesso di non fare nulla.” Affermò a bassa voce il ninja leggendario.
“Sapevi che avrei tentato comunque.”
“È vero. Però mi ha sorpreso, che tu abbia mentito a Karin.”
“Cosa? Non dicendole che a Sasuke non interessa nessuno se non la sua vendetta al momento? Sinceramente non sono qui per risolvere i problemi di un’adolescente innamorata, o mi sbaglio?”
L’uomo ridacchiò. “No, non ti sbagli, ma ti credevo di buon cuore. Ne soffrirà un giorno.”
“Tutti soffriamo.”
“Capisco. Quindi tutto questo ti ha reso insensibile al mondo?”
Shiori ringhiò. “Siamo qui per psicoanalizzarmi?”
“No, non è necessario.”
La donna si bloccò. Orochimaru fece un paio di passi avanti poi si voltò a guardarla.
“Ora so perché proprio io. Insomma fa parte della mia eredità. Ma perché non mi hai rinchiusa da qualche parte per fare i tuoi esperimenti? Perché mi hai lasciato … vivere nel mondo?”
Il moro sospirò. “Per varie ragioni, prima fra tutte il fatto che Aibi aveva scoperto di te. Poi, io non ero ancora pronto ad allontanarmi dal villaggio per i miei esperimenti. Infine, i tuoi poteri si basano sulla percezione delle emozioni, rinchiusa in un sotterraneo con me non avresti imparato nulla.”
“Perché non eri pronto a lasciare Konoha?” domandò. Aveva immaginato solo due delle risposte dello shinobi.
“Lo sai.” Si limitò a rispondere, per poi riprendere a camminare per i corridoi.
La Nara se lo poteva immaginare, ma non aveva intenzione di mollare la presa.
“Se ci tenevi così tanto a loro come hai potuto tradire tutto quello in cui credevate?”
L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo prima di rispondere. Shiori poteva sentire il tumulto interiore che era stato riacceso con quella domanda.
“Ho capito che quello in cui credevano era così limitato, chiuso nelle quattro mura dei loro ideali e delle loro regole. Io avevo bisogno di scavalcare quegli inutili muri. Loro non sono stati in grado di scavalcarli con me. Tsunade e Jiraiya hanno sempre avuto bisogno delle regole, per quanto essi stessi si sono allontanati da Konoha e dalle sue limitazioni.”
“E ora che sei solo a che ti serve tutto questo?” chiese la kunoichi, capendo che almeno all’epoca la scelta di allontanarsi da tutto e da tutti era stata combattuta.
“Ci sono cose più importanti dell’affetto delle persone. Preferisco di gran lunga questo a quello che avevo prima.”
“Non hai mai pensato che questo desiderio di dominare serva solo a riempire quel vuoto che è derivato dalle tue scelte sbagliate?”
“Ora chi è che sta tentando di psicoanalizzare?” rispose lui, accelerando il passo.
Da quel momento proseguirono in silenzio, finché non raggiunsero una porta. Shiori arrotolò il ciuffo rosso tra le proprie dita. Quel luogo sembrava pieno di porte segrete che portavano a orrori di ogni genere. Orochimaru aprì e lei lo seguì, si trovarono in una piccola stanza circolare con una scrivania al centro e vari scaffali ricolmi di libri attaccati alle pareti. La donna si richiuse la porta alle spalle, mentre il ninja leggendario si accomodava dietro la scrivania e le intimava di sedersi di fronte.
“Ora ho alcune domande da farti.” Cominciò. “Suppongo tu abbia già provato più di una volta a modificare i sentimenti delle persone.”
La donna annuì.
“Quanto sono durati gli effetti?”
“Secondi, minuti, a volte ore, niente di permanente. Dipende da quanta intensità mettevo nel messaggio diciamo.”
Orochimaru incrociò le braccia. “Sai che puoi renderlo permanente? È per quello che mi sono interessato a tua madre. Lei però, per quanto riguarda la modifica dei sentimenti, non era per niente ai tuoi livelli.”
“Perché ti serve che io renda questa cosa permanente. È … è terribile fare una cosa del genere.”
“Vuoi dirmi che non ci hai mai pensato?”
Shiori abbassò la testa, rendendo evidente la sua colpa. “Una donna ha tentato di uccidere mio figlio, perciò sì ci ho pensato.”
“Quindi hai valutato i possibili modi per farlo.”
“Si, ma ci vuole allenamento. Non è una cosa che si impara dall’oggi al domani. E di certo allenarsi su delle povere persone non è il mio ideale.”
Orochimaru sogghignò e le passò un piccolo fascicolo. La Nara cominciò a sfogliarlo con interesse e ne lesse i vari punti. Trattava di cloni creati prendendo i geni di ninja potenti con poteri molto particolari. Erano molto simili a quelli che lei aveva incontrato il giorno dell’esame dei chunin. Erano creature vuote, incapaci di reggersi in piedi da sole, incapaci di prendere decisioni.
“Puoi allenarti su di loro. Ne ho un po’ di completamente inutili, carne da macello senza poteri speciali.” Spiegò lui. “Non hanno un’anima, sono solo corpi pronti a combattere. Mi serve che tu li riempa dei sentimenti che sono segnati sul fascicolo, senza sgarrare. Ho una macchina della verità, me ne accorgerò se mi hai imbrogliato.”
“Stai creando un esercito. Un esercito potente e fedele solo a te.”
“Si, e Yoharu lo comanderà. Ha capacità di controllo del chakra smisurate. L’avrei fatto controllare a te, ma sappiamo entrambi che moriresti piuttosto, comunque a me basta che mi crei il mio esercito.”
“È folle.”
“No, è il futuro.”
Shiori si morse il labbro. Doveva accettare per forza, suo figlio sarebbe stato in grave pericolo in caso contrario. Doveva però pur fare qualcosa, doveva trovare il modo perché questo esercito non fosse totalmente invincibile.
“C’è qualcosa che ti preoccupa?”
“Io …” quello che stava per fare poteva essere potenzialmente pericoloso e creare maggiori problemi, ma forse era la sua unica speranza di salvezza. “Questi sentimenti che vuoi che impianti in loro sono tutti negativi. Non c’è amore.”
“È per questo che sarà un esercito indistruttibile.” Sottolineò il ninja leggendario.
Lei ridacchiò. “Non pensavo fossi così cieco.”
“Cosa intendi?”
“Nessuno nasce crudele, insomma quando nasciamo siamo come questi cloni che vuoi farmi modificare, dobbiamo ancora formare sentimenti complessi di amore o odio. Tutti cerchiamo in un modo o nell’altro la felicità e l’amore, il dolore deriva dalla delusione per non averli trovati, la vendetta per il fatto che ci sono stati portati via. Ora cerca di seguirmi, i tuoi mostri mancano di motivazione, qualcosa che, invece, le persone che affronteranno avranno di sicuro.”
“Vuoi instillare l’amore nei miei cloni?”
“Quel tanto che basta per ricordargli perché odiano così tanto.”
Orochimaru appoggiò i gomiti sulla scrivania e la guardò a lungo. Poi, lei lo sentì cedere e sorrise internamente.
“Ma se provi a farmi un brutto tiro io …” Lasciò la frase in sospeso, ma le bastò sentire le sensazioni che provava per capire che non avrebbe avuto scampo nel caso l’avesse deluso.
“Mi limiterò al mio dovere.”
“Bene, il trasferimento avverrà il prima possibile. Tu Yoharu e Karin partirete insieme, poi Karin andrà per la sua strada. I cloni si trovano in un’altra base, questa ormai è compromessa. Presto incontreremo Sasori, e questa sarà l’ultima volta che tenta di impicciarsi dei miei affari.”
“Mi … mi spostate?”
“Si, sei troppo preziosa per stare in una base come questa.”
Shiori non sapeva perché ma si sentiva in dovere di dire qualcosa. “Kenta … lui …”
“Oh, te ne preoccupi ancora? Gli ho iniettato una forte dose e ora non lo rifornirò più. Era da tempo che le pause tra una dose e l’altra erano diminuite, ora vediamo quanto resiste.”
La donna chiuse gli occhi e si ripeté dentro di sé che lui se lo meritava, ma era davvero così? Insomma l’aveva sempre aiutata, e a volte le aveva addirittura salvato la vita. Aveva anche scambiato una dose di siero con l’incolumità di suo figlio e questo … Lei non poteva perdonarlo.
“Ora Sasuke ti riaccompagnerà nella tua cella, domani partirete.”
“Tutto qui?”
“Per ora. Sono convinto che con questo ulteriore allenamento potresti scoprire poteri che nemmeno immaginavi di avere. Quando ci rincontreremo, poi, potremmo anche parlare del potere che stavi cercando per la Kumori. Mi interessa ancora.”
“Io …”
“Si l’hai distrutto. Ciò non toglie che ne vorrei parlare.” Fece con il tono di chi la sapeva lunga.
In quel momento Sasuke entrò nell’ufficio e le intimò di alzarsi. Shiori eseguì ubbidiente e lo seguì per i corridoi. Si trattenne dal parlare, almeno finché non furono abbastanza lontani da Orochimaru.
“Perché lo fai?”
“Perché devo diventare più forte.” Rispose meccanicamente il ragazzo.
“Lui non ti permetterà di avere quello che vuoi, lui vuole rubarti il corpo.” Lo avvertì la donna, anche se sapeva che il moro ne era a conoscenza.
“Credi che non lo sappia? Io ho un piano.” Rispose determinato. Avrebbe fatto qualcosa, la Nara poteva sentirlo. Temeva che fosse qualcosa di stupido.
“Senti, lui lo starà già immaginando. Ti precederà, ti sconfiggerà!”
“Non tutti tremiamo come delle foglie davanti a lui.” Ribatté lui con tono di scherno.
“Tu non sai niente di me.”
“E tu di me.”
“Io so molto. Sei terrorizzato dall’idea di risultare debole, vuoi dimostrarti migliore di tuo fratello e vuoi vendicarti uccidendolo, sei pieno di rabbia, persino i legami di amicizia e d’affetto che hai creato ti disgustano, perché credi che ti tangano ancorato, che ti rendano più debole. Dimmi se ho sbagliato qualcosa.”
Il ragazzo strinse i pugni e si fermò, si voltò verso di lei per fronteggiarla.
“Io e te siamo simili” continuò Shiori. “Siamo usciti dal villaggio che ci proteggeva, forse in parte per trovare la nostra strada, per dare un senso a ciò che abbiamo passato nella nostra infanzia. Io, a differenza tua, non ho dimenticato per cosa combattevo.”
“Io ho sempre combattuto per arrivare ad ucciderlo.”
“Davvero? Ricordo che c’era un tempo in cui dentro di te ti sentivi al sicuro perché eri vicino a delle persone che ci tenevano a te. Inoltre, la vendetta non ti porterà a nulla.”
Sasuke fece un sorrisetto di scherno. “Mi porterà soddisfazione. E ora smettila di parlare. Non voglio ascoltare.”
Detto ciò la spinse nella sua camera e la lasciò sola. Shiori si sedette sul proprio letto e pensò a lungo a ciò in cui era invischiata. Di certo il momento dello spostamento sarebbe stato ottimo per fuggire, ma la sua famiglia restava in pericolo. Doveva restare ubbidiente ancora per un po’, poi se il suo innesto avesse funzionato avrebbe lavorato per disfarlo.
 
La mattina successiva fu svegliata presto, Yoharu entrò nella camera e le legò le mani dietro la schiena. Dopo che Orochimaru si fu raccomandato per il viaggio, Shiori, Karin e Yoharu indossarono dei mantelli che coprivano loro il volto e partirono. Procedettero lentamente, non potevano fare altrimenti dato che lei era legata.
Mentre camminavano, la Nara ripensava al fatto che Orochimaru volesse parlare con lei del potere di vita e di morte. Era più che convinta che fosse al sicuro, ma sapeva che quel potere voleva essere trovato ed usato. Portandolo via dal nascondiglio in cui era stato seppellito, lei lo aveva reso solo più facile.
Fu un lungo viaggio e, dopo che si separarono da Karin, fu ben più difficile. Yoharu, senza doversi più trattenere per paura che il suo nuovo capo lo venisse a sapere, spingeva la sua vecchia insegnante, o la strattonava senza troppe cerimonie. Shiori tirò un sospiro di sollievo quando finalmente raggiunsero il covo.
Il mercenario la spinse all’interno di una piccola capanna con una sola stanza, poi armeggiò con le assi di legno del pavimento, finché non trovo un buchetto. Vi infilò un dito ed aprì una botola. Yoharu e la sua prigioniera percorsero al buio la stretta scala a chiocciola. Quando arrivarono in fondo, l’ex membro della Kumori si premurò di accendere le luci.
Si trovavano in uno spiazzo decagonale dal quale si diramavano vari corridoi. Yoharu la trascinò verso destra, continuando a strattonarla. Shiori era sfinita, aveva fame e sete, e di certo il suo carceriere non era incline a soddisfare i suoi desideri.
“Yoharu, ho bisogno di riposo.”
Lui per tutta risposta la spinse contro un muro, puntandole un kunai alla gola.
“Sei fortunata che Orochimaru-sama ha ordinato di trattarti bene e di mantenerti in forze. Io ti avrei lasciato a marcire.” Sputò con odio.
“Mi dispiace. Non avrei dovuto aiutare Tanoshiji a renderti così, ma tu … tu mi spaventavi. Quello che imparavi ti piaceva e io … io avevo così tanto da proteggere, così tanto di cui occuparmi che non gli ho impedito di …”
“Smettila!” Shiori sapeva di aver rinunciato a lui troppo presto. Era stata precipitosa. “Non sai com’è bello averti alla mia mercé.” Strisciò il kunai lungo la sua guancia. “Tu hai distrutto tutto ciò per cui ho lavorato e ora posso vederti soffrire.” Aprì la porta di una stanza e la spinse dentro. “Resterai chiusa qui dentro quando non ti metterai al lavoro per me. Buon riposo, Kasumi-sama.”
Yoharu sbatté la porta e la lasciò in quella piccola stanza.
La camera era piccola e le pareti scure la rendevano abbastanza tetra. Vi era un letto ad una piazza in un angolo, e in quello opposto un piccolo armadio. Nella parete di fronte all’ingresso si apriva un’altra porta che conduceva ad un bagno. Era in trappola, più in trappola che mai. I suoi pensieri andarono ai suoi bambini.
Aveva previsto che un giorno sarebbe potuta non tornare più a casa, così aveva lasciato delle disposizioni a Tora. Aveva nascosto delle lettere di addio, e le aveva detto dove si trovavano. Se nel giro di un anno lei non si fosse più fatta vedere, avrebbe dovuto consegnarle a chi di dovere. Il piano era chiaro e semplice, ma non aveva mai pensato che potesse davvero succedere. Non riusciva ad immaginare che qualcosa la portasse via dalla sua famiglia. Si addormentò con loro nella mente e quella notte li sognò.
 
Il mattino successivo, dopo aver mangiato la leggera colazione portatale da Yoharu, Shiori lo seguì per gli stretti corridoi del covo. L’uomo camminava davanti a lei, senza parlare, ma la donna poteva sentire tutto l’odio che provava nei suoi confronti. La rabbia, l’odio e tutto ciò che gli era stato insegnato l’avevano trasformato in qualcosa di tremendo e spaventoso.
Salirono una rampa di scale alla fine della quale vi era una porta. Il mercenario fece spazio alla donna e le fece segno di entrare.
“Tu non vieni?” chiese lei, le tremava leggermente la voce. Non sapeva perché, ma era certa di non voler entrare lì dentro da sola.
“Non mi è permesso. Orochimaru ha espressamente ordinato che tu faccia quello che devi fare senza nessuno che ti disturbi. Ti allenerai con i numeri dall’uno al dieci, dall’undici in poi ci sono solo i soggetti interessanti.”
Shiori annuì. “N … Non hanno dei nomi?”
Yoharu ridacchiò. “Certo che no. Sono carne. E non ti azzardare a umanizzarli più del necessario.” Minanacciò.
La donna posò una mano tremante sulla maniglia e la girò. Entrò in una stanza buia, quindi cercò l’interruttore, una flebile luce verde si accese nella stanza. Sentì all’improvviso una porta battere e la chiave girare nella toppa, era bloccata lì dentro.
Si guardò intorno e li vide: la stanza era lunga e vi erano due file di lettini, sopra ciascuno di essi vi erano degli uomini attaccati a delle macchine che davano loro il sostentamento necessario. Cercò di sentirli, ma non poté percepire nulla, se non il battito del loro cuore. Parevano davvero vuoti, inesistenti.
Si avvicinò ad uno dei lettini e dovette trattenere il fiato per non urlare. L’uomo che vi era sopra aveva la faccia butterata e tagli su tutto il corpo, che era magro e debole, inoltre una mascherina era stata posta sulla sua bocca e sul naso perché lo aiutasse a respirare.
La kunoichi proseguì per la lunga stanza e notò che tutte le cavie fino alla decima erano così. Le cose cominciavano a cambiare dall’undicesima in poi, i futuri shinobi su quei lettini erano più forti, il loro volto era ancora spaventoso, ma sembravano quasi più umani. Appoggiato sulle sbarre dei lettini delle cavie più forti vi era una cartella clinica sopra la quale erano descritte esattamente tutte le loro caratteristiche, con i punti di forza, di debolezza e le tecniche speciali.
La Nara si sentì sopraffatta, lasciò cadere la cartella che teneva in mano a terra e corse verso la porta. La colpì con i pugni per qualche minuto finché non si ricordò che era tutto inutile. Si lasciò scivolare lungo la superfice metallica e nascose la testa fra le ginocchia. C’era una sola persona a cui riusciva a pensare in quel momento, sapeva che probabilmente questi esseri senz’anima erano un’evoluzione di ciò che era stato fatto a lui.
“Tenzo, vorrei che fossi qui. Tu sapresti cosa fare.” Sussurrò al nulla.
Anni prima, il suo amico le aveva raccontato com’era stato svegliarsi attaccato a tutti quei tubi, vedere attorno a sé bambini nella sua stessa condizione, vedere che ciascuno di loro se ne andava, che smetteva di respirare.
“Non conoscevo la parola per esprimerlo, ma conoscevo il concetto di dolore. Credevo che la vita fosse solo quello. Credevo che vivere significasse stare lì in quell’infinita attesa della … beh allora non sapevo cosa fosse, ma ero certo che non fosse qualcosa di buono. Non aveva un nome, ma era la morte. Ero sempre così spaventato che toccasse a me, e in parte attendevo quel momento come una liberazione. Quando tutti gli altri scomparirono sapevo che nel giro di poco sarebbe arrivata anche la mia ora. Invece … A volte, il senso di colpa per non averli raggiunti è così grande … Shiori, sto facendo tutto questo per non rendere il loro sacrificio vano. Voglio che siano fieri di me.”
Lei lo aveva stretto a sé, accarezzandogli dolcemente i capelli per consolarlo. Riusciva a sentire la sofferenza provata dal suo amico e avrebbe voluto prenderla tutta su di sé perché lui potesse finalmente avere la felicità che si meritava.
In quel momento, però, lei stava aiutando il mostro che lo aveva fatto soffrire a fare la stessa cosa ad altre creature viventi. Non provava piacere in questo, ma non stava avendo nemmeno un ripensamento. Sensi di colpa, quelli sì, ma ripensamenti no. La ragazza che era un tempo forse avrebbe tremato a sapere cosa lei era diventata, ma non importava. Ciò che contava per la Shiori adulta era fare tutto ciò che era necessario per salvare il proprio bambino.
Si alzò in piedi e si raccolse i capelli in una coda. Si avvicinò al soggetto numero uno e cominciò a staccare i vari macchinari, lasciando attivo solo il respiratore. Chiuse gli occhi e pose le mani su di lui per avere un contatto fisico e cominciò a raccogliere le emozioni che gli era stato ordinato di convogliare in quegli esseri.
“Bene, numero uno, sappi che mi dispiace, ma devo fare ciò che mi è stato ordinato.” 
  
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