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Autore: crazy lion    26/07/2016    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 39.

LA VISITA A CARLIE
 
Era passata una settimana da quando Mackenzie aveva avuto quella brutta esperienza con i giornalisti ed ora sembrava più tranquilla. Quando Demi l'aveva raccontato ad Andrew la sua risposta era stata:
"Non è il caso di ascoltare persone del genere: sono solo delle cretine."
Aveva ragione.
Era lunedì mattina e, seppure fosse molto presto, Demi era già sveglia. Si alzò, guardò per un momento Hope dormire e poi iniziò a vestirsi.
Scesa in cucina, sentì il suo cellulare squillare. Era Andrew.
"Pronto?"
"Ciao, hai dormito bene?"
"Sì grazie, anche se ho pensato molto al bacio che ci siamo dati una settimana fa."
"Sì anch'io; è stato… strano."
"Sì."
Quella era proprio la parola giusta, pensò Demi.
"Che cos'è stato per te?" gli chiese.
"Un gesto d'affetto verso di te, credo; e per te?"
"Affetto, sì. Dovremo riparlarne, Andrew. Voglio dire, abbiamo bisogno di capire se questo bacio potrebbe influenzare o no la nostra amicizia, cambiare il nostro rapporto, mi spiego?"
Un bacio non era una sciocchezza, non si dava così su due piedi, lo sapevano entrambi; ed erano consapevoli che quel piccolo gesto avrebbe modificato il loro rapporto, in meglio o in peggio, questo era da vedere.
"Io ti avevo chiamata per due motivi e il primo era proprio quello di dirti la stessa, identica cosa. Ne parleremo, per forza. Non mi piace lasciare le cose in sospeso."
"Qual era la seconda ragione?" domandò la ragazza, incuriosita.
"Come ti ho spiegato, vado a trovare Carlie una volta al giorno, dopo il lavoro. Oggi, però, sono a casa. Fino ad ora ci sono sempre andato da solo, ma volevo chiederti se ti farebbe piacere accompagnarmi."
"Sei sicuro?" Era sorpresa. "Non vorrei intromettermi troppo nella tua vita privata. Sono una tua grande amica, ma non ho il diritto di…"
"Demi, ascolta" iniziò lui, ma poi fece una pausa. In quel momento lei ebbe tempo di pensare: non avrebbe mai voluto che Andrew lo facesse solo perché si sentiva in qualche modo in dovere. "Se non lo fossi non te l'avrei chiesto" ricominciò lui. "Per favore, Demi, accompagnami. Sarà meno dura per me così e poi ti devo parlare."
"Va bene, se ci tieni tanto lo farò. Devo solo chiamare mia madre per chiederle se potrà occuparsi delle bambine."
Telefonò a Dianna e la donna le disse che sarebbe arrivata nel giro di dieci minuti.
Andrew giunse da lei dopo poco, nello stesso momento in cui arrivò anche la donna.
Demi aprì. Madre e figlia si abbracciarono stringendosi forte e si diedero un grande bacio sulla guancia. L'uomo le guardava, restando un po' a distanza e ricordando con nostalgia e dolore le innumerevoli volte nelle quali anche lui e sua madre si erano lasciati andare a quei meravigliosi gesti d'affetto. Gli mancavano molto i suoi genitori. Ora gli restava solo Carlie. Era lei la sua famiglia. I suoi non avevano né fratelli né sorelle. Sospirò e poi cercò di sorridere. Non voleva che Demi si rattristasse.
"Si sveglieranno verso le otto" stava dicendo la ragazza alla madre. "Dovrai dare loro la colazione. Ti ho già preparato tutto sul tavolo e poi dovrai giocare con loro. Ricordati di cambiare Hope, mi raccomando."
Dianna sorrise. Era bello vedere sua figlia fare la mamma e preoccuparsi così tanto per le piccole.
"Demi, ho cresciuto tre figlie, so come si fa con i bambini. Puoi stare tranquilla, davvero!"
"Hai ragione, scusa."
La signora andò a salutare Andrew, che era in piedi vicino al cancello.
"Sembri pensieroso, caro. Stai bene?"
"Mia sorella è in ospedale. Io e Demi andiamo a trovarla."
"Oh, mi dispiace! Spero che ora stia meglio."
"No, purtroppo; è in coma da quasi tre anni. L'ho detto a Demi qualche giorno fa. Non lo sa nessun altro."
Dianna guardò il cielo e poi Andrew, rimanendo senza parole.
"Dev'essere terribile! Mi dispiace per tutto quello che stai passando, Andrew, davvero. Tu lo sai, sei come un figlio per me." In fondo lui aveva trentadue anni, uno solo in più di sua figlia Dallas. "Da quanto tempo ci conosciamo?"
"Da sempre."
"Carissimo," continuò la donna, "se c'è qualcosa che posso fare per te, sappi che io sono qui per aiutarti."
"Grazie Dianna, ma purtroppo solo Carlie può avere la forza di risvegliarsi dal coma, anche se più il tempo passa, più io perdo le speranze" rispose in tono lugubre. "Demi, andiamo?"
"Sì, certo."
Rientrarono, lei si infilò la giacca, entrambi salutarono Dianna e
uscirono.
Viaggiavano da qualche minuto e nessuno dei due aveva il coraggio di dire niente.
"Devo andare a casa a vedere se i gatti hanno bisogno di cibo e acqua" disse Andrew.
"Va bene" rispose Demi.
Quando arrivarono lui scese, mentre lei lo aspettò in macchina. Tornò dopo poco e la portò sulla strada vicino alla quale si era fermato tempo prima.
"Qui è avvenuto l'incidente. Io ci vengo ogni giorno e qualche volta metto dei fiori."
Demi vide che, sul marciapiede vicino alla strada, c'erano alcuni vasi di rose bianche.
"Le hai messe tutte tu?" chiese.
"Sì; le adorava."
Andrew diede un bacio in direzione dei fiori.
"Ti va di dire una preghiera con me, di farlo per lei?" le chiese.
"Certo!"
Uscirono dalla macchina, si inginocchiarono sul marciapiede e lì, a mani giunte, iniziarono a pregare. Dissero un Padre nostro e un'Ave Maria.
"Mi piace guardare il cielo mentre prego" disse Demi, quando ebbe finito.
"Io vorrei riuscirci di nuovo" sospirò Andrew. "A volte mi sento così male che non capisco nemmeno che senso abbia pregare."
"Per coloro che credono pregare ha sempre senso, Andrew, soprattutto quando si ha poca speranza, o non ne si ha del tutto."
Lui si rialzò, risalì in macchina seguito dalla ragazza e poi ripartì. Dopo poco arrivarono in ospedale e salirono in terapia intensiva. Aspettarono un po' che aprissero il reparto per l'orario di visita e poi passarono. Un'infermiera venne loro incontro.
"Ciao Andrew" lo salutò.
"Ciao Kelly."
"Lei chi è? Fino ad ora sei sempre venuto da solo!" osservò la donna.
"Lo so. Lei è una mia amica."
"Oh mio Dio, ma è Demi Lovato! Io adoro le sue canzoni, sono stupende!" esclamò, alzando un po' la voce.
"Grazie, signorina. Sono venuta a trovare Carlie assieme ad Andrew. Come sta?"
"Non bene, purtroppo. Il suo cuore è sempre più debole."
"Ha avuto ancora convulsioni?" chiese Andrew, preoccupato.
"No, per fortuna, ma le sue condizioni peggiorano sempre più."
Lui annuì, con le lacrime agli occhi, non riuscendo a proferire parola.
Si avviò assieme a Demi verso la stanza.
"Era stata male?"
"Sì, l'altro giorno mentre io ero qui ha cominciato a muoversi e a tremare, tenendo le mascelle serrate. Ha avuto le convulsioni. A volte può succedere, anche ai pazienti in coma. Per fortuna il dottore e alcune infermiere sono riusciti a calmarla. Non è stato per niente bello vederla così. Quando penso che in quei momenti potrebbe sentire qualcosa e forse soffrire, mi si spezza il cuore."
Demi non rispose. Non c'era niente da dire in quel caso.
"Entra con me" la supplicò, con voce rotta.
I due si avvicinarono al letto.
"Ciao Carlie" disse Andrew, prendendole una mano e accarezzandola.
"Carlie, ci sono anch'io. Sono Demi. Forse non ti ricorderai di me, non abbiamo mai avuto molte occasioni di parlare, nemmeno quando venivi a cena con Andrew e i tuoi genitori, ma sono comunque venuta a trovarti. Io ho saputo quello che ti è successo poco tempo fa, altrimenti ci sarei stata fin da subito. Devi guarire presto. Ti devi svegliare, capito? Devi farlo per Andrew, lui ti vuole molto bene e ha bisogno di te."
La voce di Demi era dolcissima in quel momento ed Andrew si commosse. Lei non conosceva quasi per nulla sua sorella, eppure aveva accettato di venire lì con lui e parlava a Carlie come fosse stata una sua amica, o una mamma.
"Non mi stringe la mano. Non lo fa più. Ci è riuscita solo una volta, l'anno scorso e pensavo, speravo che si sarebbe svegliata. I dottori a quel tempo mi davano ancora delle speranze, dicevano che ce l'avrebbe fatta, ma non è stato così fino ad ora; e comunque, se si risvegliasse adesso, ci metterebbe moltissimo a riprendersi, non so nemmeno se potrebbe stare bene come prima."
"Certo che potrebbe! Ci sono stati casi di persone che si sono svegliate dal coma dopo moltissimi anni, quando tutto sembrava perduto. Sono stati rari, è vero, ma il fatto che sia accaduto dà una speranza, no?"
"Sì; è solo che vorrei che mi stringesse di nuovo la mano, o che aprisse gli occhi per un istante, che reagisse e non che rimanesse sempre immobile. Vederla in queste condizioni mi distrugge l'anima ogni giorno."
Una lacrima scese sul viso di Andrew. Non la asciugò, lasciò che gli scorresse sulla guancia e poi sul collo, come se quella minuscola goccia d'acqua fosse per lui una consolazione, qualcosa che gli faceva buttare fuori un po' di dolore. Demi si mise le mani davanti al viso.
"Stai piangendo?" le chiese l'amico.
"Un po'… Scusa. Vederla così fa male anche a me. Non ne ho il diritto."
"Non è una questione di diritto. Tu stai solo esprimendo le tue emozioni e va bene così."
"Sarà" disse Demi, poco convinta.
"Ora asciughiamoci gli occhi. I medici dicono che a Carlie non fa bene sentire che le persone intorno a lei sono tristi o stanno male."
Pur avendo entrambi un nodo in gola, si imposero mentalmente di non piangere più e sorrisero appena.
"Demi, la solleveresti un attimo? Ha il cuscino tutto piegato, vorrei sistemarglielo."
"Sì. Vieni Carlie, facciamo molto piano" sussurrò la ragazza.
La prese tenendole una mano sotto la testa e l'altra sulla schiena e la sollevò lentamente e con movimenti delicati. Sentiva sotto le sue mani quel corpo immobile, inerte, magro e le faceva molta pena.
"Qualche volta le si sono formate delle piaghe da decubito nonostante gli infermieri la cambino di posizione ogni quattro ore e mantengano sempre pulito e sistemato il suo letto. Si prendono anche molta cura di lei, lavandola per quel che è possibile e io le taglio e le pulisco le unghie. Per fortuna se ne sono accorti prima che le piaghe si aggravassero e le hanno ripulite. Quando arrivo e la vedo girata su un fianco, per esempio, penso che magari sia riuscita a farlo da sé, per un momento mi illudo e mi sento meglio. Ma ovviamente non è così. A volte è come se fosse morta, per me" disse Andrew sospirando.
"Carlie non è morta! Sì, è in coma, ma se è ancora qui significa che sta lottando, che vuole combattere! Tu devi credere in questo. Posso solo immaginare quanto sia difficile, ma almeno provaci."
"Lo faccio da quando è finita così. Puoi rimetterla giù."
Demi, aiutata dall'amico, rimise Carlie sdraiata e la coprì.
"Vuoi che vi lasci un po' da soli?" chiese.
"Sì, grazie."
"Vi somigliate molto" osservò sorridendo.
Come quelli di Andrew, i lineamenti del volto di Carlie erano dolci. I suoi capelli, però, erano biondi a differenza di quelli castani del fratello e crespi e rovinati e gli occhi, da quello che Demi ricordava, azzurri. Andrew la guardò e Demi uscì.
Si sedette vicino alla stanza e aspettò. Non voleva intromettersi troppo. I fratelli meritavano di stare soli per un po'. Lei in fondo era quasi un'estranea per quella ragazza. Aspettò pazientemente, leggendo qualche rivista.
Andrew uscì dopo un'ora.
"Sono pronto ad andare" disse.
Erano in macchina, ma lui non si decideva a partire.
"Non stai bene, vero?" gli chiese Demi, preoccupata.
"Mmm?"
La ragazza notava che era distratto, così gli ripeté la domanda.
"No" rispose. "Come potrei stare bene dopo averla vista in quelle condizioni? Ogni giorno per me è così, vengo qui e soffro come un cane e quando esco non riesco a dimenticarla. Solo quando sto con te e le piccole riesco ad essere felice e la rabbia, la tristezza e il dolore che provo si attenuano moltissimo."
"Sono contenta di sapere che io e le bambine riusciamo ad aiutarti" gli disse sorridendo.
Non avrebbe mai creduto che lei, Mackenzie e Hope fossero così importanti per lui.
"Quand’ero più giovane pensavo che la mia famiglia fosse perfetta. Avevo due genitori fantastici e una sorella meravigliosa, sei anni più piccola di me. Una notte di novembre, però, mia mamma si sentì male. Io ero a letto e mio papà venne a svegliarmi dicendomi di chiamare un'ambulanza, perché lei non respirava più. I medici arrivarono dopo dieci minuti, ma non ci fu niente da fare. Aveva avuto un infarto, così, dal niente. Morì a quarant'anni, senza aver avuto mai, prima, nessun problema di salute. Quella perdita distrusse tutti noi, soprattutto mio padre, che dal giorno della morte di mamma non parlò quasi più. Due settimane dopo morì anche lui. Una mattina lo trovai immobile nel suo letto. Chiamai i medici, ma fu tutto inutile. Non si seppe mai la vera causa della morte. Non si era né suicidato, né aveva avuto un infarto bensì un arresto cardiaco. I medici dissero che molto probabilmente era morto a causa del troppo dolore che provava e che c’erano stati alcuni altri casi come il suo. La sofferenza era talmente intensa che è crollato e il corpo non ce l’ha fatta a sopportarla. Per questo il suo cuore aveva smesso di battere."
Non sapeva come fosse riuscito a dire tutto senza fermarsi, ma non appena terminò si ritrovò senza fiato e sudato, come se non solo la sua mente ma anche il corpo fossero stati sottoposti ad un grande sforzo. Pensava ai suoi genitori e al fatto che non c’erano più ogni singolo giorno e l’immagine del padre immobile nel letto non se ne sarebbe mai andata. Era stato troppo orribile. A volte la sera quando chiudeva gli occhi lo rivedeva lì, disteso, oppure vedeva sua mamma, morta in ospedale, mentre il marito distrutto dal dolore le chiedeva di tornare, di non lasciarli soli e lui e Carlie piangevano.
"Mio Dio!" esclamò Demi, dispiaciuta e sconvolta. "Io non lo sapevo! Mi avevate raccontato che erano morti entrambi d’infarto, non avevo idea che tuo padre… non avevo idea…"
Non riuscì a concludere la frase. Si sentì una stupida perché era Andrew quello che stava soffrendo di più, che aveva bisogno di conforto, non lei. Per quanto avesse sofferto per la morte di Joyce e Frank, che conosceva da sempre, non erano i suoi genitori ma quelli del suo migliore amico. Doveva essere forte per lui.
“E la… la cosa non ti era sembrata strana? Una coppia che muore nello stesso modo a pochi giorni di distanza?” domandò l’uomo in un sussurro.
Trassero entrambi un lungo respiro.
“Sì, o quantomeno mi era parsa particolare; ma non ho domandato nulla né a te né a Carlie perché sapevo quanto stavate soffrendo e non volevo aprire ancora di più la vostra ferita.” Gli raccontò di averne parlato con i suoi genitori e loro le avevano detto di non porsi quel genere di domande e di accettare la situazione per quella che era. “Per un certo tempo mi sono domandata se mi stessero nascondendo qualcosa, poi sono giunta alla conclusione che intendessero dire che a volte la vita è davvero strana e che può finire in un attimo e in modo assurdo.”
Andrew si aggrappò al sedile con forza, come se non riuscisse nemmeno a stare seduto.
"Ho chiesto io ai tuoi di non dirti com’era morto mio padre" le confessò. “Mi dispiace, Demi, mi dispiace! Sono il tuo migliore amico eppure ho tanti di quei segreti!”
Per un attimo credette che sarebbe svenuto. Stava così male, si sentiva in colpa. Non sapeva come Demetria avrebbe reagito, né se sarebbe stata in grado di perdonarlo.
"Cosa? Perché?" gli chiese alzando un po’ la voce.
Non riusciva a capire la ragione per cui Andrew le avesse nascosto cose così importanti. In fondo si conoscevano da una vita, lui aveva saputo i suoi segreti più profondi, aveva conosciuto il suo dolore, ma allo stesso tempo le aveva nascosto ciò che gli era successo.
"Non volevo che tu soffrissi. Eri uscita dalla clinica da quasi due anni, ti stavi ancora riprendendo e anche se ti sentivi meglio, temevo che sapere che mio padre era morto di dolore ti avrebbe fatta stare troppo male o peggio, che per colpa di questo ricadessi nel tunnel dell’autolesionismo."
Demi era stata molto sensibile in quel periodo. I primi tempi dopo essere uscita dalla clinica, quando sentiva una brutta notizia che la toccava, anche se non la riguardava direttamente, aveva sempre la tentazione di farsi del male; e qualche volta era andata anche oltre quei pensieri.
“Avresti dovuto parlarmene” gli rispose, il tono duro.
Non avrebbe voluto comportarsi così con lui, non in quel momento, ma non poteva farci niente.
“Lo so, ma credevo di agire per il tuo bene.”
La ragazza si prese la testa fra le mani e iniziò a pensare. In fondo, anche lei gli aveva nascosto delle cose, tra le quali il vero motivo per cui era stata autolesionista. Entrambi avevano avuto dei segreti l’uno per l’altra, e forse in futuro ne avrebbero detti altri che, per ora, preferivano tenere per sé. In fondo, nessuno rivela mai tutto di se stesso ad un’altra persona, oppure lo fa poco a poco, anche se ci è molto legato; perché per esternare certi dolori c’è bisogno di tempo. Fu per questo che Demi disse:
"Capisco. O almeno credo."
Sospirò. Non era arrabbiata con lui, solo dispiaciuta perché non le aveva detto niente e ci tenne a farglielo sapere. I due si strinsero in un lungo e delicato abbraccio e, sentendo l’uno il calore dell’altra e viceversa, si rilassarono un po’. La tensione tra loro cominciò a sciogliersi lentamente.
Quando si furono un po’ calmati, Demi parlò con dolcezza ad Andrew.
“Continua, se te la senti.”
Non voleva forzarlo in alcun modo, ma lui riprese.
"Il rapporto tra me e Carlie diventò sempre più bello. Eravamo molto legati. Come sai lei partì per andare in Madagascar nel 2015. Riusciva a telefonarmi solo qualche volta e mi diceva che andava tutto bene e che era felice. Là le persone vivevano in condizioni disperate. L'AIDS, la Malaria e la dissenteria erano all'ordine del giorno, la gente moriva anche per una semplice febbre o per un raffreddore, ma lei cercava di fare tutto il possibile per aiutarle: curava le ferite, faceva giocare i bambini e, a quelli più grandi, insegnava il francese. Tornò nel dicembre del 2015 per alcuni giorni, decisa comunque a ripartire. Io fui molto felice di rivederla, ma non rimanemmo tanto tempo insieme. Carlie, ovviamente, aveva voglia di rivedere i suoi amici, di uscire con loro. Una sera mi domandò se avrebbe potuto andare ad una festa e io le dissi di sì. Aveva ventitré anni, mi chiedeva ancora queste cose e a me sembrava un po' strano vista la sua età, ma lei voleva sempre dirmi dove stava andando. Entrambi avevamo sofferto moltissimo per la morte dei nostri genitori e la solitudine ci faceva stare male anche se, da quando lei era partita, avevamo imparato a soffrire di meno. Insieme, invece, la nostalgia che provavamo era più sopportabile. Carlie prese il motorino e andò a quella festa, ma verso mezzanotte ricevetti una telefonata da una sua amica che mi disse che mia sorella la stava accompagnando a casa. Ad un certo punto, però, Carlie aveva fatto una curva troppo stretta e aveva perso il controllo del motorino che era andato a sbattere contro un albero. La sua amica, miracolosamente, era illesa. Aveva preso solo una forte botta alla schiena nel cadere. Carlie, invece, era caduta e aveva battuto la testa contro un sasso. Il motorino si era praticamente distrutto. Io mi diressi sul posto e intanto chiamai il 911. Quando arrivai i medici erano già là e stavano caricando mia sorella su un'ambulanza. Lei era ancora cosciente ma continuava a chiudere gli occhi, c'era del sangue sulla sua tempia destra e i dottori, dopo averle collegato degli affari al petto, le misero un collare intorno al collo per non farla muovere. Aveva già gli occhi chiusi, provammo tutti a dirle di stare sveglia ma non avemmo nessuna reazione da parte sua. L'amica ci disse che all'inizio era rimasta sveglia perché lei le aveva parlato, Carlie le aveva anche stretto debolmente la mano e aveva detto qualcosa di incomprensibile, poi aveva iniziato a vomitare senza fermarsi, mormorato che non vedeva bene ed infine era scivolata nel buio e nel vuoto. Non mi dissero nulla per diverse ore, forse dieci o dodici, a parte che l’avevano sottoposta con urgenza a TAC e risonanza magnetica per valutare la gravità del sospetto trauma cranico e se ci fossero emorragie in corso. Dopodiché, quando uscì un dottore, io gli corsi incontro speranzoso."
Proseguì dicendo che l'uomo gli aveva spiegato che Carlie aveva avuto un forte trauma cranico e un'emorragia interna e che lui e i suoi colleghi avevano eseguito una craniotomia perché questa non causasse altri danni ed ora era risanata. Ma il suo sguardo cupo aveva fatto capire ad Andrew che non era tutto qui.
"M-ma?" aveva balbettato.
"Ma sua sorella è in coma a causa del trauma, non siamo riusciti ad evitarlo."
Lui era scoppiato a piangere mentre l'uomo aveva continuato a spiegare che prevedeva miglioramenti nei giorni seguenti, che a parte il coma era tutto a posto, che la ragazza respirava da sola e l'aveva fatto anche durante l'operazione e che una volta ripresa del tutto sarebbe tornata cosciente. Dato il difficile intervento, quando si sarebbe svegliata avrebbero dovuto farle delle domande e dei test con l'aiuto di un neurologo per valutare la sua memoria perché poteva essere stata danneggiata data la botta e che, anche se dagli esami non risultava nessun deficit, quella fase sarebbe stata molto delicata e non era detto che Carlie sarebbe tornata subito come prima.
Dopo alcune settimane, dato che non si era ancora svegliata i medici si erano consultati con altri colleghi, ma tutti non avevano più saputo cosa dire ad Andrew né che pensare, non comprendendo come mai non riaprisse gli occhi. La caduta era stata molto brutta, certo, ma Carlie aveva solo ventitré anni, era giovane e scoppiava di salute. Avevano previsto che si sarebbe ripresa in tempi brevi ma così non era stato o forse, come disse Andrew a Demetria:
"Probabilmente le avevano dato troppa fiducia, come me del resto."
Il coma naturale, che può evolvere dopo pochi mesi in stato vegetativo, era invece rimasto tale per anni.
"Io le sono stato ancora più vicino. Vado a trovarla ogni giorno e le parlo. Lei ogni tanto mi stringe la mano, ha quasi sempre respirato da sola, il cuore batte regolarmente, tutto il resto del suo corpo è a posto. L'unico problema è il cervello che da mesi presenta una scarsa attività, per questo i dottori non hanno mai dato moltissima importanza alle strette di mano dicendo che potevano essere semplicemente dei riflessi. Non ha mai aperto gli occhi e i dottori mi stanno abituando all'idea che probabilmente non lo farà mai più… In realtà non credo ci si possa mai abituare ad una cosa del genere, ma sto cercando di prepararmi psicologicamente al peggio. Ho provato di tutto: a parlarle, a farle ascoltare la sua musica preferita, ma lei non migliora. Se solo non l'avessi lasciata andare a quella maledetta festa…"
Cominciò a singhiozzare.
"Non è colpa tua, Andrew" sussurrò Demi accarezzandogli un braccio. "Tu non potevi sapere quello che sarebbe successo. Nessuno poteva."
"Sì, ma in ogni caso non è facile non sentirsi in colpa e accettare tutto quello che le è successo. Lei è in coma da molto, eppure io sono ancora arrabbiato."
"Non riesci a sfogare in qualche modo la rabbia che hai dentro?"
"A sfogarla no, ma quando sto con te, con le bambine o con i miei gatti tutto passa, almeno per un po'."
A Demi fece piacere sentirselo dire un'altra volta.
"Ti va di andare a bere un caffè?" le chiese Andrew, ritornando improvvisamente alla realtà.
Demi disse di sì.
Dopo tutte quelle forti emozioni, ne avevano proprio bisogno. Era stata una mattinata particolare, piena di tristezza e di pianti, ma anche di aiuto e consolazione da parte di entrambi.
 
 
 
NOTE:
1. spero di aver descritto bene le sensazioni e le emozioni dei personaggi, in particolare di Andrew. Avendo perso anche io una persona cara qualche anno fa (per fortuna non un genitore) ci tengo che il tutto sia realistico e a trattare questa tematica con tatto e sensibilità. Lo so che questi due ragazzi si sono nascosti parecchie cose importanti, soprattutto Andrew l'ha fatto con Demi ma vedete, lui mi somiglia molto. O meglio, è simile alla me di qualche anno fa che si teneva tutto dentro, anche le cose più serie e gravi. Perché? Per questa stupida, assurda paura di far soffrire gli altri. Il meccanismo è questo:
"Non dico niente, così evito a chi mi ama di soffrire con me."
Lo so che è assurdo, ma purtroppo la mia mente ragionava in questo modo e così fa quella del ragazzo. Entrambi, però, stiamo imparando a dire le cose, ad aprirci, a sfogarci, anche se è difficile. Io sto facendo un gran lavoro su me stessa, un lavoro che penso durerà anni perché si tratta di un vero e proprio cambiamento di atteggiamento e volevo trasferire questa cosa anche in un mio personaggio, anche se in futuro altri si comporteranno così. Come vedete, anche lui ci sta mettendo del tempo.
2. Ho fatto molte ricerche sull'autolesionismo. So che chi lo fa si taglia, o si graffia, o si ferisce in altri modi per sentire di meno il dolore psicologico che prova, anche se poi in realtà il sollievo dura molto poco. La persona infatti si fa ancora più schifo e sta peggio, eppure continua perché questi gesti diventano una vera e propria dipendenza. Quello che intendevo dire è che ho immaginato che Demi, dopo essere tornata a casa dalla clinica, non stesse ancora bene perché i disturbi alimentari e l'autolesionismo non si risolvono certo in pochi mesi. Quindi, essendo instabile, quando qualcosa la faceva soffrire in maniera intensa i pensieri andavano alla lametta e ai tagli e che a volte ci fosse ricaduta.
3. Come viene spiegato nel sito www.albanesi.it, gli stadi del coma sono quattro (cito):
• vigile (di primo grado/stadio) – È la forma più lieve; il paziente, pur non avendo la capacità di mantenersi vigile, è comunque in grado di rispondere, anche se con una certa difficoltà, agli stimoli (sia verbali che dolorosi) che gli giungono dall’esterno
• superficiale (di secondo grado/) – Diversamente da quanto accade nel caso di coma vigile, in quello superficiale manca la risposta agli stimoli verbali, anche se permane la capacità di rispondere a quelli dolorosi. In questo stadio risultano perduti i riflessi pupillari e quelli corneali; in questo stadio viene a mancare anche la capacità di trattenere gli sfinteri.
• profondo (di terzo grado) -È una forma grave, nella quale, di fatto, vengono quasi del tutto a mancare le risposte agli stimoli esterni; è possibile che il paziente manifesti febbre, tachicardia e disturbi della frequenza respiratoria; si è ancora in una condizione di reversibilità, anche se le conseguenze in genere sono significative.
• irreversibile (di quarto grado) – È la forma più grave di incoscienza; si parla infatti anche di “morte cerebrale”. Le possibilità di risveglio sono nulle.
Questo significa che ora che Carlie non stringe più la mano ad Andrew né ha altre reazioni è in coma profondo, ma non è detto che la sua situazione, pur essendo grave - cosa di cui Andrew è a conoscenza -, non possa migliorare.



ANGOLO AUTRICE:
hola a todos! Dio, quanto adoro lo spagnolo!
Okay, questo capitolo è stato molto intenso. L'ho scritto tempo fa, ma mi ci è voluto tanto per ritenermi soddisfatta del mio lavoro. Comunque ora eccolo qui.

Colgo l'occasione per ringraziare alcune persone.
- MaryS5, che mi lascia sempre bellissime recensioni e che è una ragazza che sto imparando a conoscere. Mary, sei meravigliosa;
- _FallingToPieces_, che ha deciso di recensire ogni capitolo della storia dato che io sto facendo lo stesso con una delle sue, cosa che mi lusinga. Inoltre, mi sta dando ottimi consigli. Cara, ho corretto le cose che mi avevi fatto notare, ho quasi finito. Grazie;
- Irene3, che mi ha lasciato una recensione al capitolo 18 tempo fa e che, spero, stia continuando a leggere questa storia;
tutte voi mi avete fatta commuovere, ragazze! *si mette a piangere di gioia*
- E infine grazie a tutti i lettori silenziosi che, spero, prima o poi lasceranno qualche commento. Altrimenti, se non vorrete farlo, sappiate che vi sono grata lo stesso.
Questa storia ha ricevuto 100 recensioni fino ad ora. Ieri stavo volando quando ho letto il numero. Davvero, non sapete quanto questo mi faccia sentire felice e quanto i consigli che mi sono stati dati mi stiano aiutando a migliorare.
Arrivo subito con un altro capitolo!
   
 
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