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Autore: persephoneggsy    27/07/2016    1 recensioni
…più una volta in cui Ten riuscì a baciarlo per primo.
{ Ten/Eleven | One shot | 3465 parole | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 11
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): era da un bel po’ che non guardavo Doctor Who, ma ultimamente ho maratonato di nuovo le nove stagioni e mi sono rinnamorata del Dottore e di questa ship. Help!
 Se ve la cavate con le lingue straniere, potete trovare il link alla storia in inglese qui e qui. Buona lettura!










Cinque Volte in cui Eleven Baciò Ten
di persephoneggsy




I.

A sua discolpa, Ten era stato colto di sorpresa. Dopotutto, era abbastanza difficile reagire con prontezza – malgrado il cervello che possedevano i Signori del Tempo – quando: a) d’un tratto la versione futura di te stesso si schiantava letteralmente dentro la tua (sua?) nave spaziale, b) un’altra incursione aliena minacciava il destino della razza umana e c) apparentemente la tua prossima incarnazione era un tizio civettuolo che non la finiva di sorridere, nonostante glielo avessi chiesto in più istanze.

 Tutto sommato, Ten era certo di essere giustificato per la sua reazione… esagerata.

 Ad ogni modo, si era ritrovato ad affrontare il pericolo extraterrestre con il suo se stesso venturo, uno che indossava farfallini e completi in tweed e che aveva dei capelli ridicoli e un mento ugualmente ridicolo. Ma onestamente, non che lui se ne stesse vantando o cose così, aveva potuto constatare con sicurezza che i Sontaran non avevano avuto la minima possibilità di scampo, vista la loro enorme flotta spaziale contro ben due Dottori. Sconfitta la razza bellicosa di cloni (a cui Eleven si riferiva quasi con affetto, battezzandoli “Persone-Patate”), seguì il solito momento in cui avevano le vene pompate da un miscuglio di felicità, sollievo e adrenalina. Eccetto che nel TARDIS di Ten, questa volta, c’erano giusto loro due, da soli, a festeggiare la vittoria.

 Ora, Ten non conosceva le abitudini di Eleven in fatto di esprimere sentimenti come la gratitudine, la gioia o qualunque fosse… quello, ma l’ultima cosa che si aspettava era che l’anziano uomo dal viso giovane lo afferrasse per il volto e gli stampasse un bacio umido proprio sulla bocca.

 A essere sinceri, era stato breve. Qualcuno lo avrebbe definito persino casto. Era durato al massimo qualche secondo. E di certo (credeva) non era stato inteso in modo romantico. Tuttavia, quando Eleven si staccò, con l’espressione allegra di un idiota, Ten rispose limitandosi a fissarlo.

 E fissarlo.

 E continuando a fissarlo, finché il sorriso di Eleven non sfumò e lui assunse di colpo un’aria rammaricata.

 «Oh, uhm… Scusa» si giustificò con imbarazzo. «Mi sono fatto prendere dall’eccitazione».

 La mente di Ten esortò il suo proprietario a dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di evitare figuracce a causa del troppo fissare, ma l’unica cosa che la sua voce riuscì a produrre fu tale squittio: «Tutto a posto».

 Allorché Eleven si girò verso la console, gingillandosi con varie leve e pulsanti, sicché il suono dei motori raggiunse le orecchie di Ten ed Eleven lo guardò con il suo sorrisone, più splendente che mai, di nuovo in faccia.

 «Arrivederci, Dottore» si congedò e subito scomparve nel nulla.

 Ten si toccò le labbra, soffermandosi lì con le dita più a lungo di quanto fosse consono.




II.

Ten si imbatté in lui, tra tutti i luoghi possibili, in un piccolo negozio.

 Ovviamente era rimasto stupefatto alla vista di un secondo TARDIS sul marciapiede e a quella di lui, farfallino e tutto il resto, che sollevava due palle di neve identiche come per controllarne i difetti alla luce. Ma a quanto pareva, Eleven non aveva notato il suo se stesso del passato, il quale gli era esattamente alle spalle, e toccava a Ten riprendersi dallo sconcerto schiarendosi la gola rumorosamente.

 Quando Eleven si voltò, non aveva lo stesso piglio di confusione e stupore che aveva Ten. Certo, i suoi occhi si spalancarono per una frazione di secondo e la sua bocca formò una piccola “o”, ma la meraviglia si dissolse rapidamente e si trasformò nel suo caratteristico sorrisone tonto.

 «Oh! Che bella sorpresa incontrarti qui» esclamò, con la naturalezza di uno che saluta un collega. Piazzò una palla di neve dritta in fronte al viso di Ten. «Che ne pensi? Qui i fiocchi di neve sono più vorticosi», passò all’altra, «ma qui la vernice delle porte del castello piccino non è orrendamente scheggiata…»

 «Sul serio?» sbottò Ten, per metà oltraggiato e per metà disperato. Eleven batté le palpebre.

 «Be’, non posso presentarmi dall’imperatrice di Genzat Cinque senza un regalo impeccabile. Sai com’è fatta».

 «Che ci fai qui?!»

 «…L’ho appena spiegato. L’imperatrice di Genzat Cinque, hai presente?»

 Ten, senza parole, gesticolò all’impazzata in obiezione. Indicò prima se stesso, poi Eleven e poi infine le due cabine identiche della polizia parcheggiate all’esterno del negozio. Eleven alzò un sopracciglio, sistemando entrambe le palle di neve al loro posto sullo scaffale.

 «Okay… Evidentemente qualcuno non è dell’umore giusto. Avevo intenzione di invitarti a venire, ma…» Scosse le spalle. Girandosi verso un nuovo scaffale, rimosse un kazoo di plastica color viola dalla teca e si diresse alla cassa, i soldi già in mano. Ten si limitò a osservarlo mentre pagava la commessa e tornava da lui. Il kazoo era ora all’interno di una modesta busta di carta.

 «Saluterò Altazaeta da parte tua» gli assicurò, protendendosi in avanti per baciare la guancia a Ten nel più innocente dei gesti. Ten arrossì furiosamente, ma Eleven si incamminò fuori dal negozio. Si avviò verso il suo TARDIS e infine l’unica cabina blu che rimase fu quella di Ten. Ten sentenziò che il suo se stesso del futuro era matto. Era andato completamente fuori di testa.

 Eppure, sulla strada per uscire dal negozio, stringeva in mano la palla di neve che aveva appena acquistato: era quella con i fiocchi di neve più vorticosi.




III.

Quella volta fu Eleven a rintracciarlo per primo.

 Entrambi erano giunti su questo pianeta interamente coperto di spiagge e, per coincidenza (o forse no, Ten iniziava a nutrire dei sospetti), avevano posteggiato i loro TARDIS nella stessa e identica striscia di sabbia. Ten si stava facendo gli affari suoi, steso pigramente su una sedia a sdraio che aveva scovato nelle profondità della sua macchina del tempo, quando improvvisamente un’ombra lo attorniò. Sbirciò da sopra gli occhiali da sole e fu sul punto di cadere dalla sedia alla visione di un Eleven con il sorrisone.

 «Sai, la luce del sole su questo pianeta ti fa risaltare le lentiggini».

 «Che ci fai qui?» ribatté all’istante, ricambiando l’espressione sbigottita con una infastidita.

 «I miei compagni» rispose l’anziano Signore del Tempo, additando con il pollice lo spazio dietro a sé.

 Ten seguì la direzione del pollice e confermò che, in lontananza, due persone giocavano nelle acque della riva perlopiù deserta. Una donna dai capelli rossi e un uomo smilzo, da quello che poteva vedere.

 «E perché sei venuto su questa spiaggia in particolare?» chiese, costringendosi a distogliere lo sguardo. Per quanto allettante fosse la prospettiva di scoprire cosa gli riservasse l’avvenire, aveva già compiuto in due occasioni lo sbaglio di farsi beccare alla sprovvista da Eleven. Stavolta si sarebbe tenuto in guardia.

 «Rammento di essermi… affezionato a questo posto, in un certo senso». Eleven sorrise. Senza alcun invito, cascò sulla sabbia accanto a Ten, sebbene però i due non fossero alla stessa altezza, essendo lui sprovvisto di una sdraio. Ten ne fu quasi divertito, non fosse per la diffidenza che provava nei confronti di Eleven.

 «Non ti preoccupi che mi vedano i tuoi compagni?»

 «Nah. Sono abituati a vedermi chiacchierare con la popolazione locale e, dato che siamo appena arrivati, non sanno che in realtà è composta da calamari giganti. Oltretutto, Amy prima o poi si annoierà e insisterà perché ce ne andiamo in un villaggio turistico a qualche chilometro più in là. È quello che è successo a Ealthor. Solo che, invece di un villaggio turistico, era…»

  Mentre raccontava e scrutava il mare, Ten si ritrovò a studiare il suo viso futuro. Prima d’ora non ne aveva mai avuto il tempo. E… diciamo che non ne era scontento. Il farfallino e il completo in tweed erano ridicoli, ma donavano a Eleven molto più di qualsiasi altro capo d’abbigliamento che a Ten venisse in mente. E il taglio di capelli… be’, non avrebbe continuato il discorso. Ma anche quello stava bene ad Eleven. Tuttavia, ciò che più catturava la sua attenzione erano gli occhi della sua prossima incarnazione. I riflessi del sole li facevano quasi scintillare, come pietre di giada inestimabile appartenenti a qualche antica collezione. E dentro quegli occhi si nascondeva così tanto, lo capiva. Lo spirito di avventura e la paura, il senso di colpa e la compassione, lo ieri e il domani. Ten era talmente affascinato da non accorgersi che Eleven gli stava parlando finché non ricevette una gomitata allo stomaco.

 «Ahi! Che c’è?»

 Eleven rise. «Ti ho domandato dov’è adesso la tua compagna. Non ricordo bene se abbiamo mai portato qualcuno qui o meno».

 Al che Ten si intristì. «No, io… siamo soli. Martha, lei… se n’è andata da poco».

 La compassione sopracitata negli occhi di Eleven crebbe e la mano di Ten fu avvolta da una liscia e pallida. Lui non trasalì. «Si tiene in contatto. Come aveva promesso».

 Ten annuì, silenziosamente grato per le parole che il suo se stesso venturo non avrebbe dovuto comunicargli. Un urlo provenne dall’altro lato della spiaggia, perciò entrambi i Dottori si girarono verso i compagni di Eleven. La donna – Amy, ipotizzò Ten – aveva i pugni sui fianchi in una posa sinistra.

 «Oh», Eleven si affrettò a issarsi da terra, «quella è la sua aria da “Mi sto spazientendo, uomo stropicciato”. Farò meglio a levare le tende».

 «Oh…» Per l’incredulità di Ten, la sua voce pareva… delusa? Si riebbe con velocità, però, e lanciò a Eleven un sorriso sfacciato. «Mi diresti il nome della mia prossima compagna?»

 Eleven appoggiò un dito sulle labbra. «Spoiler. Ci vediamo, Dottore». Sorrise, ruotando il busto per agitare le braccia verso i suoi compagni. Quando fu sicuro che non stessero più guardando nella sua direzione, si voltò ancora verso Ten e lo baciò sulla fronte. Ten non batté nemmeno le palpebre. Si azzardò persino a sorridere mentre osservava la sua versione successiva che si avviava.

 Dopo quell’episodio, cominciò a visitare il pianeta delle spiagge molto più di frequente.




IV.

La volta seguente si incrociarono a una festa. E questa volta, Ten aveva la sua compagna con sé. Era insieme all’impetuosa se non addirittura irascibile Donna Noble e la coppia si era imbucata a un elegante (o “snob”, secondo Donna) ballo in occasione del compleanno della giovane principessa di Menzacorida.

 Donna era andata a gironzolare, riuscendo a sopportare per circa otto minuti un Signore del Tempo annoiato, lasciando Ten al muro da solo e abbandonato. Fortunatamente, il suo se stesso del futuro arrivò proprio mentre contemplava l’ipotesi di seguire la precaria di Chiswick (e Donna lo avrebbe sicuramente ringraziato, visto che era nel bel mezzo di una conversazione con il principe, grazie mille).

 Non notò Eleven finché non fu picchiettato alla spalla e il Signore del Tempo dall’aspetto infantile non gli apparve accanto. Sorridendo, ovviamente. Solo che, invece del solito completo in tweed, si rese conto che Eleven sfoggiava una tenuta più idonea a un tale evento: un frac con una sciarpa di seta e l’immancabile farfallino bianco. E un cilidro, tra l’altro! Ten si sentì d’un tratto inadeguato con il suo papillon nero e le sue scarpe di tela.

 «Dottore» lo salutò, in parte per celare l’imbarazzo, «abbiamo per caso deciso di intrufolarci alla stessa festa per ben due volte?»

 «Tu magari ti sarai intrufolato, ma io sono qui per invito» rimbeccò Eleven, urtando con la spalla quella dell’altro, «della principessa stessa».

 «Ma davvero?» Ten inclinò la testa. «Come mai?»

 «Spoiler!» Eleven rise. «Comunque non scoprirà mai che ci sono già andato. Ma più ci sono e meglio è, giusto?» Eleven squadrò l’abbigliamento di Ten e annuì con approvazione. «Quel farfallino è fantastico, ad ogni modo».

 Ten alzò gli occhi al cielo. «Oh, sì, come no. Sembro un cameriere».

 «Un cameriere bellissimo, se ti è di consolazione».

 Ten scoccò un’occhiata a Eleven e incrociò le braccia, esitando solo per un momento prima di chiedere: «Perché continua a succedere?»

 «Uhm?»

 «Questo» spiegò, indicando entrambi. «Non è… contro le regole? L’universo non dovrebbe… che so, esplodere?»

 «Lieto che non sia ancora saltato in aria, allora» rimarcò l’anziano Signore del Tempo, «ma ho smesso da un pezzo di pensarci».

 «Come?»

 «Be’, la prima volta che io ho incontrato te, ero assolutamente agitato, controllavo le letture e provavo a evitare il più contatto possibile…» Eleven aggrottò la fronte e Ten tentò ma non riuscì a sopprimere una risata. «…e cercavo di aggiustare la situazione. Ma poi, tu…» Gli occhi di Eleven erano velati da quella che a Ten parve tenerezza.

 «Io..?»

 Eleven scosse velocemente il capo. «Scusa, amico, spoiler. Lo scoprirai quando ti capiterà».

 Ten si immusonì. «Quella parola ti piace fin troppo».

 Con un sorrisone, Eleven gli batté una pacca sulla spalla. «Lo abbiamo imparato da una persona nel nostro stesso frangente. I viaggi del tempo rendono le relazioni complicate».

 «Ne abbiamo una?» domandò Ten, l’espressione indecifrabile. «Siamo in una..?»

 Si fissarono a vicenda, nessuno dei due disposto a terminare o a rispondere all’interrogativo. Poi Eleven afferrò Ten per il bavero e lo attirò a sé, scontrando le loro labbra in un bacio breve ma travolgente. Ten si congelò per abitudine, rimproverandosi per non aver reagito quando Eleven si staccò via con rapidità.

 «Adesso è abbastanza chiaro, Dottore..?» fiatò Eleven, solo a qualche centimetro di distanza dal suo viso passato. Ten annuì lentamente.

 Eleven guardò oltre la propria spalla e gli sorrise tristemente. «La signorina Donna Noble si sta avvicinando. È il mio segnale di uscita».

 Si incamminò via. Ten fu sul punto di chiamarlo, ma Donna lo raggiunse con una lestezza ammirabile e, quando cominciarono a chiacchierare, Eleven si era mescolato nella folla degli invitati.




V.

Quando Ten intoppò in lui la volta dopo, Eleven esibiva un nuovo completo. La giacca in tweed marrone era sparita, assieme allo stile da professore. Adesso assomigliava a un gentiluomo dell’epoca vittoriana e indossava un cappotto viola e un gilè grigio. Un orologio dorato pendeva dai bottoni del pastrano e, non che Ten ne fosse sorpreso, un farfallino a fantasia completava il tutto.

 Erano su un pianeta disabitato, sebbene entrambi fossero consapevoli che non lo sarebbe rimasto a lungo: presto sarebbero giunti i colonizzatori e, tra qualche centinaio d’anni, nell’esatto luogo che i loro piedi pestavano in quel momento, sarebbe sorto un centro commerciale. Ma adesso c’era un prato pacifico, pieno di erba color smeraldo.

 «Bell’abbigliamento» si complimentò Ten, sedendosi accanto all’anziano Signore del Tempo.

 Eleven sorrise. «Dovresti vedere il TARDIS».

 «Mi piacerebbe».

 «Sì, ma anche no».

 Ten rise, sdraiandosi sul campo. «Fammi indovinare».

 Eleven replicò esattamente come si aspettava: «Spoiler». Quando si girò nella sua direzione, l’anziano Dottore gli stava rivolgendo un sorrisino.

 «D’accordo, d’accordo». Si ammorbidì. «Comunque… cosa ti porta qui, al futuro sito del centro commerciale Gavakant?»

 «Volevo godermi un po’ di pace e di silenzio» ribatté Eleven. «Tu?»

 «Uguale. Avrei dovuto sapere che mi sarei imbattuto in me stesso».

 «Non è colpa nostra. È l’universo che non è esploso la prima volta che ci siamo incontrati. Adesso continuiamo a sorpassare i limiti».

 Eleven abbassò lo sguardo, osservando Ten a terra e a pancia in su, i fili di erba che si piegavano sotto il completo a strisce.

 Ten sorrise distrattamente. «Sarebbe uno spoiler anche domandarti riguardo ai limiti sorpassati?»

 L’altro Signore del Tempo tentennò, pensieroso. «No, immagino di no. Ma preferirei mostrartelo».

 Prima che Ten gli potesse chiedere il significato di quella frase, le labbra di Eleven premettero contro le sue, una mano pallida poggiata sulla sua guancia. Questa volta, però, Ten fu pronto a contraccambiare, le dita che avvolsero il collo di Eleven per attirarlo a sé. Poi, con un veloce e fluido gesto, Ten ribaltò le loro posizioni. La schiena di Eleven colpì il suolo e lui ansimò, rompendo il bacio.

 Le iridi color verde giada scrutarono quelle marroni. «Mi sembra di capire che sei a conoscenza di quello che accade adesso».

 Ten sorrise, le mani che si avvicinarono al farfallino di Eleven con intenzioni maliziose.

 «Oh, sì».

 «Be’, allora, Dottore…» Eleven circondò con le gambe il busto della sua incarnazione precedente. «Allons-y».




1.

Era successo. Era finalmente successo.

 Ten rimirava con meraviglia, in un TARDIS che non gli apparteneva, Eleven che correva intorno alla console, in preda al panico e le braccia talmente agitate da apparire sfocate. Indossava di nuovo la sua giacca in tweed marrone, che gli svolazzava dietro la schiena mentre si muoveva da un lato all’altro, schiacciando interruttori e pulsanti e leve. Borbottava tra sé e sé, mille parole pronunciate al minuto.

 «Non è possibile, non è possibile!» Ogni tanto osava guardare Ten, che lo fissava con lo stesso sconcerto, nonostante le ragioni dei loro rispettivi sgomenti fossero diverse. Eleven saltellò giù dalle scale e si fermò giusto all’interno dello spazio personale di Ten.

 «Come hai… Perché… Insomma..?» disse con disperazione, incapace di formulare un intero pensiero, men che meno una frase.

 Ten batté le palpebre a più riprese, recuperando il contegno. «Allora… Per te è la prima volta, vero?»

 «…Cosa?»

 «Come credevo…» Superando il suo se stesso del futuro, Ten si diresse con calma verso la console e librò le dita sui controlli. «Sono in grado di tirarci fuori da questa situazione».

 «Aspetta» lo richiamò Eleven mentre correva su per i gradini. «Si è già verificato?»

 «Sì».

 «Ma non me lo ricordo!»

 «È temporaleggiante» rispose canzonatorio. «Non penso che te ne ricorderai fino a quando non ti capiterà. E, per qualche ragione, l’universo ce lo permette senza problemi».

 «Però… non è giusto». Eleven aggrottò la fronte, le sopracciglia sollevate e la depressione in volto. «Ogni singola legge dei Signori del Tempo – dell’universo – stabilisce che una cosa del genere non dovrebbe mai avere luogo, figuriamoci ripetutamente».

 Ten scoccò un occhiolino in direzione di Eleven, cogliendo di sorpresa l’anziano Signore del Tempo. «Alcune regole sono fatte per essere infrante, eh, Dottore?»

 «Però…» Eleven iniziò a camminare su e giù per il pavimento. «Com’è potuto cominciare? Mi stavo facendo i fatti miei, volando con il TARDIS e poi d’improvviso compari tu e… aspetta, hai abbassato gli scudi? Lo sai cosa rischiamo se lo facciamo! O, aspetta, lo sai? Non so nemmeno cosa ti sia accaduto e cosa no. Dove sei nella tua linea temporale? A Rose? Martha? Donna? E Liz Prima?» Eleven si stava approcciando a Ten, probabilmente senza nemmeno accorgersi, finché non era spalla contro spalla con il Dottore dal completo a strisce. «Aspetta, è già avvenuto, vero? O almeno ne sei già informato».

 «In realtà» lo interruppe Ten, «non ne so niente. Non davvero. Non me lo hai mai rivelato».

 «Oh… Effettivamente è così che mi comporterei». Eleven si girò e si appoggiò contro la console. Adesso era molto più calmo. «Allora… di solito cosa facciamo quando questo ci succede?»

 Ten gli lanciò un sorrisetto. «Spoiler».

 Eleven fece una faccia. «Oh, sembri proprio River… Non dirmi che a quel punto mi aveva già raggiunto…»

 Ten non conosceva River Song (non ancora), ma rise sommessamente alla reazione di Eleven. «Davvero, Dottore, lo dovrai scoprire da solo. Come ho fatto io».

 «Be’, non posso avere un suggerimento?» chiese Eleven in modo un po’ petulante, protendendosi verso Ten. «Quando si tratta di incontri paradossali con il mio me stesso del passato, non mi piace essere impreparato. Se ci incroceremo ancora, dammi almeno un indizio di quello che si verificherà».

 Ten sospirò, voltandosi dalla console per ricordare stancamente a Eleven che non poteva farlo, quando gli venne in mente un’idea. Un’espressione malandrina gli ridisegnò i tratti e si avvicinò a Eleven.

 L’uomo con il farfallino non indietreggiò, limitandosi a osservare Ten con curiosità. Dal canto suo, lui alzò la mano e gliela posò sulla guancia e, prima che l’altro Signore del Tempo gli domandasse cosa stesse facendo, premette delicatamente le labbra contro quelle di Eleven. Ten lo sentì irrigidirsi contro di sé, immobilizzandosi come un angelo piangente che veniva fissato. Continuò a baciarlo senza muoversi o spingersi oltre.

 Finalmente, dopo quelle che parvero ore (anche se, in verità, furono meno di trenta secondi), Ten si allontanò con un sorriso compiaciuto all’aria stupefatta di Eleven.

 «È un buon suggerimento?» sussurrò con una voce punzecchiante.

 Eleven boccheggiò. «Io… Oh».

 «Bene, per oggi penso che tu ne abbia avuto abbastanza». Ten pigiò un tasto. «Ci vediamo, Dottore».

 Eleven alzò la mano in un imbarazzato saluto, mentre di fronte a sé Ten si smaterializzava. Il giovane Signore del Tempo si ritrovò nuovamente nel suo TARDIS. Si avviò verso il sedile del pilota e vi si accomodò, un’aria pensosa in viso.

 «Cinque per lui» esclamò ad alta voce, senza parlare a nessuno in particolare, «e uno per me». Un sorrisone gli nacque in volto.

 Si sarebbe divertito un mondo a pareggiare il risultato.




(Ovviamente, quando il bilancio raggiunse i trentasette baci per Eleven e i trentotto per Ten, il giovane Dottore smise infine di tenere il conto e si lasciò trasportare dai desideri dell’universo).

   
 
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