Sally
Sono
lontani quei momenti
Quando
uno sguardo provocava turbamenti
Quando
la vita era più facile
E si
potevano mangiare anche le fragole
Perché
la vita è un brivido che vola via
È tutto
un equilibrio sopra la follia
Sopra
la follia
- Vasco
Rossi
*Sara*
In
realtà non volevo che andasse così.
Facendo
la doccia mi ero detta: “Spiegagli il minimo necessario, che
gli faccia capire
che gli sei riconoscente. Magari digli le tue vere
generalità e fine della
storia”.
E
così ho fatto, ma prima che me accorgessi le vere
generalità sono diventate un
torrente di parole, un’alluvione, e mi sono ritrovata a
raccontargli tutto. Non un singolo
dettaglio
tralasciato.
Che
cosa mi è saltato in testa? A un certo punto ho smesso di
ragionare.
E
così, adesso, lui sa tutto. Come ho potuto lasciarmi andare
così? Mi do della
stupida più volte, battendomi un pugno sulla fronte.
E
se avesse cattive intenzioni? Secondi fini?
Quel
bacio che mi ha dato la sera in cui ci siamo conosciuti, io non
l’ho mica dimenticato.
Non
so da quale angolo della mia mente sia uscito quel fiume di
parole… non so
perché, d’un tratto, ho smesso di essere
diffidente e mi sono aperta. Per
qualche motivo a me sconosciuto mi sono lasciata andare, e quando Kit
mi ha
abbracciato… mi sono sentita bene.
E’
passato così tanto tempo che quasi mi ero dimenticata di
quanto avere qualcuno
accanto scaldasse il cuore.
Forse
fidarmi di lui è la cosa giusta da fare, forse i miei
genitori avevano ragione:
“Se pensi che sia giusto resta a casa sua, magari
è la volta buona che ti fai
un amico”. Sul momento ho pensato fosse una risposta del
cazzo, ma più ci penso
e più quell’amico sembra prendere le sembianze di
Kit nella mia immaginazione.
Forse
mi sto solo facendo un sacco di seghe mentali.
Forse
fidarmi di lui è la cosa giusta da fare, ma è
difficile. Troppo difficile. Ho
troppa paura che anche lui si riveli un bastardo molestatore.
Mi
tiro la coperta fin sopra i capelli, il silenzio che mi fa fischiare le
orecchie. Nel buio della notte i miei pensieri sembrano amplificati.
È
una stella di Hollywood, se lo fosse lo saprebbero tutti…
oppure è talmente
ricco che i suoi avvocati insabbiano tutti i suoi panni sporchi?
Dopo
la mia aperta confessione abbiamo mangiato la pizza insieme e abbiamo
parlato
ancora. Ormai il danno è fatto, tanto vale aprirmi
completamente… tanto, se si
rivela un’altra delusione, cosa mi costa fare le valigie e
sparire di nuovo?
Non c’è nulla che mi trattenga qui. Nulla mi
trattiene da nessuna parte.
Gli
ho raccontato di parte della mia vecchia vita: che dopo aver mollato
l’università mi ero messa a fare il paramedico,
che mi piaceva cantare e
ballare, qualche volta. Gli ho raccontato dei miei amici, di quelli che
avevo
prima di allontanarli durante la mia relazione con Matteo. Kit invece
mi ha parlato
dei suoi genitori, della sua audizione per il Trono di Spade, di
Richard e di
Emilia. Ma non della Rose che ha nominato la signora delle pulizie.
La
cosa mi lascia perplessa.
Nel
turbine di pensieri nella mia testa, uno più rumoroso
sovrasta gli altri e il
cuore comincia a battere più forte.
Voglio
fidarmi
di Kit. O
almeno provarci. Rischiare.
Non
voglio più stare sola.
Ci
sono due parti di me che stanno combattendo fra loro: una che si guarda
le
spalle da Kit; l’altra che vuole di nuovo essere fra le
braccia di Kit e
sentirsi ancora protetta.
Scosto
le coperte e mi alzo dal letto, dirigendomi in punta di piedi fuori
dalla
stanza. Quel pensiero rimbomba più forte nella mia testa,
assordandomi.
“Non
voglio più stare sola”.
Questa
sera ho detto a Kit molte cose vere: la più vera di tutte
è che io non sono
così, come appaio in superficie. Io non voglio
più essere quella che Matteo ha
creato, e almeno con Kit non lo sarò più.
Posso
provarci, no? Di sicuro non muoio.
In
questo gigantesco tornado di flusso di coscienza penso anche
un’altra cosa: che,
a differenza dei miei genitori, io non ho mai visto il Trono di Spade.
Trovo
parecchio strano che un attore tenga nella vetrina sopra la televisione
i
cofanetti della serie tv in cui recita, mi sembra una specie di
pavoneggiamento. La cosa però, per quanto strana, mi
conviene: il Trono di
Spade era proprio quello che stavo cercando.
Ho
trovato il lettore dvd, acceso la televisione e la prima puntata.
Mentre
aspetto che cominci mi rannicchio con la schiena contro il divano,
chiedendomi
come sarà questo fantomatico fenomeno mondiale che, secondo
alcune mie
conoscenze, è più o meno un porno scritto.
Una
sigla assordante esplode a tutto volume e mi lancio sul telecomando,
pregando
che tutto questo baccano non abbia svegliato Kit.
Proprio
quando dei cosi bianchi con gli occhi azzurri hanno disposto dei
cadaveri in
una spirale e io già non ci sto capendo più un
cazzo, la porta della camera da
letto si apre e Kit compare con indosso dei pantaloni sportivi scuri e
una t-shirt
bianca.
-
Mi dispiace averti svegliato – Mi scuso voltandomi verso di
lui, e sono sincera.
-
Non dormivo. – Sospira. Si siede sul pavimento accanto a me.
-
Nemmeno io.
Silenzio.
Riavvio il filmato.
-
Mi sembra strano guardare me stesso in un cofanetto dvd –
commenta dopo un po’,
quando il suo personaggio, Jon Snow, appare assieme a Boromir del
Signore degli
Anelli e tira su un lupacchiotto albino.
-
A me sembra strano che tu abbia i cofanetti della serie tv in casa.
-
È un regalo della produzione – sorride.
– Non ho praticamente scelta.
Pausa.
Una
tipa su una balconata guarda malissimo Jon Snow.
Questo
silenzio è imbarazzante.
-
La pizza… - comincio voltandomi verso di lui. -
…era buona.
-
Sì. Buona.
Ok,
il silenzio è spiacevole ma sparare stronzate è
peggio.
-
Come mai non dormivi?
Esita,
trattiene il respiro, si gratta la nuca. – Non riesco a
smettere di pensare a
quello che ti ha fatto quel verme.
La
risposta mi sorprende, facendomi sentire improvvisamente nuda, e
istintivamente
mi abbraccio le ginocchia ad occhi bassi.
-
Sara – sento il suo sguardo intenso su di me. Mi sfiora un
braccio, delicato,
come se fossi un animale ferito trovato nel bosco e lui volesse
sincerarsi di
non stare sognando. Resisto alla tentazione di scostarmi, e il tocco
sul mio
avambraccio si fa gentile e più presente, come
l’abbraccio di qualche ora fa.
La mano di Kit si apre e scende, chiudendosi sul mio polso. Non
c’è più dubbio
che abbia catturato tutta la mia attenzione. – Voglio che sia
ben chiaro che
non oserei mai, mai, farti del
male.
E ti chiedo scusa per il bacio della sera del nostro primo incontro.
Non so che
cosa mi sia preso.
Inspiro.
Espiro. Dentro. Fuori.
-
E io voglio fidarmi di te, Kit. Non voglio più stare da sola.
Di
nuovo, le parole escono prima ancora di essere elaborate dal cervello.
Mi mordo
la lingua.
Il
fermo immagine nella televisione illumina il fugace sorriso che si apre
sul suo
volto. Lo osservo, e si risveglia in me qualcosa di strano, come
l’improvvisa
sensazione di calore di uno che fa un passo sotto al sole dopo essere
stato tanto
tempo all’ombra, e la pelle comincia a scaldarsi.
La
sua mano stringe ancora il mio polso, e non voglio che lui la sposti.
Le
due mie parti interiori, quella che vuole scappare e quella che invece
vuole
restare, d’un tratto si zittiscono lasciando il posto a un
solo, limpido
pensiero.
“Voglio
stare fra le tue braccia”.
Deglutisco.
“E se potessi dimenticare Matteo ed essere di nuovo felice?
Magari… insieme a
lui?”.
Forse
qualcosa della vecchia Sara si è salvato, non è
stato ucciso dagli ultimi due
anni. Forse non è stato poi tutto sbagliato.
Forse…
Kit
allenta la presa sul polso e poi lo lascia andare senza che io
reagisca,
completamente travolta dalla potenza di quel pensiero.
-
Cerco di dormire un po’. – dice alzandosi e
rivolgendomi un fugace sorriso. –
Buonanotte.
È
quasi entrato in camera quando riesco a rispondere, la bocca
completamente asciutta.
-
‘Notte.
Forse
alla fine di questa triste storia
Qualcuno
troverà il coraggio
Per
affrontare i sensi di colpa
E
cancellarli da questo viaggio
Per
vivere davvero ogni momento
Con
ogni suo turbamento
E come
se fosse l’ultimo.
*Kit*
Se
mi ritrovo il suo ex fra le mani, giuro su Dio che
rimpiangerà di essere nato.
Come,
come si può alzare le
mani sulla
persona che invece si dovrebbe amare? Come si fa a prendere con la
violenza ciò
che lei non vuole o non può dare? Che feccia del genere
umano devi essere per
poter fare una cosa simile? Ma soprattutto, cosa l’ha spinta
ad aspettare un
anno e mezzo prima di lasciarlo?
Non
capisco, non voglio capire e non capirò mai.
Un
uomo che mette le mani addosso a una donna e poi le dice che la ama,
non è un
uomo. È uno stronzo. Anzi, è peggio.
Il
disprezzo che provo per quel Matteo va oltre ogni mio limite o
immaginazione.
La
sveglia accanto a me si mette a trillare, annunciandomi
l’arrivo delle cinque e
mezza del mattino. La spengo con un colpo secco, voltandomi su un
fianco. Fino
a due settimane e qualche giorno fa avrei dato di tutto per rivedere
Rose
accanto a me, ancora addormentata coi capelli sparsi sul cuscino e le
lenzuola
attorcigliate attorno alle gambe; ora, invece, vorrei poter abbracciare
Sara su
questo stesso letto, svegliarla con dolcezza, prometterle che la
proteggerò per
sempre.
Dio
mi perdoni, credo ancora nell’amore a prima vista e
puntualmente vengo trafitto
dalla sua freccia.
Scosto
le lenzuola e mi alzo, passandomi una mano sul viso e saggiando con la
punta
delle dita le profonde occhiaie che si sono create nel corso della
notte.
Apro
la porta ed entro in salotto, notando quasi subito lo schermo in pausa
sui
titoli di coda della puntata. Sul bracciolo spunta il piccolo piede di
Sara.
Mi
avvicino sorridendo tra me e me, e mi sporgo dallo schienale per
guardarla: è
profondamente addormentata e stringe il cuscino tra le braccia come un
orsacchiotto. Dalla bocca semiaperta cola un rivoletto di bava. Almeno
lei è
riuscita ad addormentarsi.
Con
una mano le sfioro un braccio, scuotendola piano. Lei socchiude piano
un
occhio, chiudendo la bocca. Poi spalanca gli occhi e rotola
giù dal divano.
-
Ahi! – Si lamenta massaggiandosi il didietro.
-
Mi dispiace averti svegliato – trattengo a stento una risata.
– Dobbiamo andare
al lavoro, è ora di alzarsi.
Faccio
il giro del divano e le porgo una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei la
afferra
senza esitare, e l’elettricità dal palmo della
mano scorre in su fino al cuore,
facendolo battere più forte di prima.
-
Il lavoro? Sì, dobbiamo sbrigarci, il lavoro! –
È ancora intontita mentre si
alza, poi si passa un pugno sulla bocca e spalanca gli occhi.
– Oddio, mi hai
vista dormire! Mi hai vista sbavare!!
-
Manterrò il segreto – prometto facendo
l’occhiolino che non ho mai saputo fare
decentemente. Finisco sempre a chiudere entrambi gli occhi.
-
Lo spero per te! – Mi guarda fisso negli occhi, poi scoppiamo
a ridere. – Dovrò
scoprire qualche tuo sporco segreto per rimettere in pari i conti!
“Oh,
ne hai da scoprire”.
-
Faremo meglio a fare colazione, altrimenti al lavoro schianteremo sul
pavimento.
Siamo
arrivati sul set in macchina e Sara, acqua e sapone, pesta ritmicamente
la
punta del piede sul pavimento. Il set deve sembrarle più che
mai un alveare: la
mattina presto, prima che si inizi a girare, corrono tutti avanti e
indietro e
attorno a David e Daniel, quando sono sul set, discutendo di come si
deve
girare una scena, come deve essere sistemato un costume, come si devono
comportare i personaggi nella scena, come si devono sistemare le luci
di scena.
Il set si riempie di un brusio di sottofondo che è insieme
snervante e
rassicurante.
Posso
comprendere quanto questo possa essere disorientante, a prima vista.
Anche a me
era sembrato una trappola per uomini quando ho iniziato a girare il
Trono di
Spade: ero giovane, inesperto e appena sfornato dalla scuola di
recitazione e
da ruoli secondari, terziari e quaternari.
Era
il 2011, non più di due anni fa, eppure sono molto cambiato
da allora. Tanto che
quando guardo le foto di allora stento persino a riconoscermi.
Ne
ho passate molte nel corso di questi due anni, insieme a queste
persone: non
appena ho incontrato Rose ho del tutto perso la testa per lei, complice
il
fatto che nello show Ygritte e Jon sono innamorati. Ero pazzo di lei,
eravamo
felici, eccitati dall’intenzione di tenere segreta la nostra
relazione ai media
e facevamo sesso estremo.
Come
siamo passati da lì a Rose che mi urla in faccia che tutto
per lei era un
gioco? A Rose che se ne va dal mio appartamento sbattendo la porta?
Certe
volte mi guardo intorno e non capisco come io sia finito qui. Mi guardo
intorno
e tocco con mano quanto io sia un disastro, per me stesso e per gli
altri.
Sara
si avvicina a me, disorientata, come per cercare incoraggiamento.
Osserva il
set preoccupata, e non ha la minima idea di cosa le
succederà da qua a cinque
minuti.
I
miei occhi accarezzano i capelli biondi e mossi, la morbida curva del
suo viso
tondo, gli occhi grandi di nocciola. In me nasce l’istintivo
desiderio di non
essere per lei lo stesso disastro che sono stato per Rose, di non
deluderla, di
non farla scappare via da me.
Vorrei
stringerla tra le mie braccia, baciarla, accarezzarla, farle sentire
tutto l’amore
che merita.
Mio
Dio, sono innamorato di lei.
Come
è possibile?
David
Benioff sbuca tra la frenetica folla di fronte a noi e si avvicina.
-
Non avere paura di lui, Fawny, è un brav’uomo.
– Sussurra Kit nel mio orecchio.
-
Non penso che mi abbia visto di buon occhio ieri, brav’uomo o
no – ribatto mentre
David si fa sempre più vicino. Tiene in mano un foglio e,
giunto avanti a noi,
si sistema un paio di occhiali da vista sul naso.
-
Dunque, i nostri avvocati hanno già stilato un contratto a
tempo determinato
come costumista. Devi solo firmarlo. La paga annuale è di
circa diciassette
mila dollari, quella mensile si aggira intorno ai millequattrocento. Mi
serve
solo il tuo numero di cellulare e possiamo chiudere la questione e dare
il via
alla collaborazione.
-
Questo… potrebbe essere un problema.
-
Mh? E perché mai? – Alza il naso dal foglio e mi
squadra.
-
Io… non ho un cellulare – abbasso lo sguardo.
L’occhiata
che mi lancia è a dir poco sospettosa. Mi studia per qualche
secondo, poi si
mette le mani sui fianchi con fare severo.
-
Sara, sei immischiata in qualcosa di illegale?
Arrossisco
per la sorpresa. – No!
-
Hai ucciso qualcuno?
-
No! Come le viene in mente?
-
Ti droghi?
-
No! La vuole smettere di lanciare accuse a caso!
-
Allora dammi una ragione valida perché tu non debba avere un
cellulare, né un
numero di telefono! – Sbotta.
-
Si è rotto e la sim è andata a puttane.
È successo pochi giorni fa e non ho
avuto occasione di comprarne un altro.
David
cerca di capire se nella mia risposta fiera ci sia qualcosa di
sbagliato, poi
sospira.
-
Pensi di riuscire a chiudere la questione per l’ora di pranzo?
-
Non lo so. Penso di sì.
Mi
porge il contratto. – Riportamelo quando lo avrai firmato.
Alza
i tacchi e se ne va, lasciandomi sola con Kit, che sembra che abbia
visto un
fantasma.
-
Quindi sono in prova. Se è a tempo determinato, vuol dire
che sono in prova.
-
Non credo – balbetta. – Di solito ti definiscono
“in prova” se non sanno se
chiamarti nella crew al trasferimento in Islanda. Da quel punto di
vista sei in
prova, ma sotto tutti gli altri aspetti sei assunta.
Mi
volto a guardarlo. È pallido e deglutisce a tutta forza.
-
Ti senti bene?
Annuisce.
– Vado a cambiarmi. Scusa, Fawny.
Mi
volta le spalle e se ne va anche lui, lasciandomi sola a guardarmi in
giro.
Mi
sforzo di pensare che qui non ho nulla da temere.
-
Sara Vitali?
Una
voce di donna mi fa voltare, rivelandosi una secca stangona dai radi
capelli di
fiamma.
-
Sono Michele Clapton, la costumista. – Mi porge la mano con
un sorriso
rassicurante. – Mi hanno detto che da oggi sarai la mia nuova
assistente. Sia ringraziato
il cielo, perché non riesco a stare dietro a tutti quanti.
Ti spiace seguirmi?
Mi
scorta attraverso gli Studio, mostrandomi in fretta dove si trovano la
sala
mensa, i bagni, i vari set finamente decorati, e alla fine la sala
costumi: uno
sterminato stanzone di compensato strabordante di abiti appesi alle
grucce. Abiti
sintetici, spessi e piumosi, e ogni gruccia porta un volto e il nome
del
personaggio corrispondente. Michele mi porta attraverso i corridoi di
appendiabiti,
con la stessa disinvoltura di un trapezista nell’arena del
circo.
Io
mi sento come la foca che tiene una palla in bilico sul naso, mentre
tutti la
guardano e ridono e applaudono facendosi beffe di lei.
“Nessuno
ti caga, Sara. Nessuno ti caga”.
-
Il tuo compito a inizio giornata è aiutarmi a dare i giusti
costumi ai giusti
attori. Di solito lo farei insieme a te, ma oggi mi hanno chiesto di
fare delle
modifiche straordinarie al costume di Rattleshirt e dovrai cavartela da
sola. È
un problema?
-
No, assolutamente no! – Rispondo con un sorriso forzato.
-
Meno male! – ride Michele. – Ci vediamo appena
posso!
Sparisce
in pochi secondi, lasciandomi sola nel grande stanzone.
Non
mi resta che guardarmi intorno ancora un po’.
Passando
fra gli appendiabiti osservo i vari costumi di Alliser Thorne, Maestro
Aemon,
Samwell Tarly, Ygritte, senza avere la minima idea di chi siano o cosa
rappresentino i personaggi all’interno della storia.
Passo
qualche minuto in silenzio.
-
Ciao! Sei tu la nuova?
Un
omone alto almeno quindici centimetri più di me e dalla
folta barba rossa mi si
avvicina con un gran sorriso. Sembra la versione irlandese del Grande
Gigante
Gentile. Mi stringe vigorosamente la mano.
-
Sono Sara Vitali – mi presento ignorando il dolore alla mano
chiusa nella sua
morsa.
-
Kristofer Hijvu. Piacere di conoscerti.
Strano,
non ha l’accento irlandese.
-
Sei di Belfast?
Si
mette a ridere, di una risata che potrebbe scuotere le pareti.
– No, sono di
Oslo!
Cacchio!
È norvegese?!
-
Ti chiedo scusa per la gaffe…
-
Nah, non preoccuparti, me lo chiedono spesso! – Mi fa
l’occhiolino. – Potresti darmi
il mio costume?
Divento
una statua di sale e inizio a balbettare monosillabi.
Kristofer
si avvicina e mi suggerisce in un sussurro: - Sono Tormund Giantsbane.
Ah.
Ora ricordo!
-
Vado subito a prenderlo!
Inizio
a correre fra i costumi, cercando freneticamente quello di Kristofer.
Non immagino neanche lontanamente che questo sia solo l’inizio.
Spero che la storia continui a piacervi
Baci
Nut