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Autore: Panenutella    28/07/2016    2 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sally

 

Sono lontani quei momenti
Quando uno sguardo provocava turbamenti
Quando la vita era più facile
E si potevano mangiare anche le fragole
Perché la vita è un brivido che vola via
È tutto un equilibrio sopra la follia
Sopra la follia
- Vasco Rossi

 
*
Sara*

 
In realtà non volevo che andasse così.
Facendo la doccia mi ero detta: “Spiegagli il minimo necessario, che gli faccia capire che gli sei riconoscente. Magari digli le tue vere generalità e fine della storia”.
E così ho fatto, ma prima che me accorgessi le vere generalità sono diventate un torrente di parole, un’alluvione, e mi sono ritrovata a raccontargli tutto. Non un singolo dettaglio tralasciato.
Che cosa mi è saltato in testa? A un certo punto ho smesso di ragionare.
E così, adesso, lui sa tutto. Come ho potuto lasciarmi andare così? Mi do della stupida più volte, battendomi un pugno sulla fronte.
E se avesse cattive intenzioni? Secondi fini?
Quel bacio che mi ha dato la sera in cui ci siamo conosciuti, io non l’ho mica dimenticato.
Non so da quale angolo della mia mente sia uscito quel fiume di parole… non so perché, d’un tratto, ho smesso di essere diffidente e mi sono aperta. Per qualche motivo a me sconosciuto mi sono lasciata andare, e quando Kit mi ha abbracciato… mi sono sentita bene. E’ passato così tanto tempo che quasi mi ero dimenticata di quanto avere qualcuno accanto scaldasse il cuore.
Forse fidarmi di lui è la cosa giusta da fare, forse i miei genitori avevano ragione: “Se pensi che sia giusto resta a casa sua, magari è la volta buona che ti fai un amico”. Sul momento ho pensato fosse una risposta del cazzo, ma più ci penso e più quell’amico sembra prendere le sembianze di Kit nella mia immaginazione.
Forse mi sto solo facendo un sacco di seghe mentali.
Forse fidarmi di lui è la cosa giusta da fare, ma è difficile. Troppo difficile. Ho troppa paura che anche lui si riveli un bastardo molestatore.
Mi tiro la coperta fin sopra i capelli, il silenzio che mi fa fischiare le orecchie. Nel buio della notte i miei pensieri sembrano amplificati.
È una stella di Hollywood, se lo fosse lo saprebbero tutti… oppure è talmente ricco che i suoi avvocati insabbiano tutti i suoi panni sporchi?
Dopo la mia aperta confessione abbiamo mangiato la pizza insieme e abbiamo parlato ancora. Ormai il danno è fatto, tanto vale aprirmi completamente… tanto, se si rivela un’altra delusione, cosa mi costa fare le valigie e sparire di nuovo? Non c’è nulla che mi trattenga qui. Nulla mi trattiene da nessuna parte.
Gli ho raccontato di parte della mia vecchia vita: che dopo aver mollato l’università mi ero messa a fare il paramedico, che mi piaceva cantare e ballare, qualche volta. Gli ho raccontato dei miei amici, di quelli che avevo prima di allontanarli durante la mia relazione con Matteo. Kit invece mi ha parlato dei suoi genitori, della sua audizione per il Trono di Spade, di Richard e di Emilia. Ma non della Rose che ha nominato la signora delle pulizie
.
La cosa mi lascia perplessa.
Nel turbine di pensieri nella mia testa, uno più rumoroso sovrasta gli altri e il cuore comincia a battere più forte.

Voglio
fidarmi di Kit. O almeno provarci. Rischiare.
Non voglio più stare sola.
Ci sono due parti di me che stanno combattendo fra loro: una che si guarda le spalle da Kit; l’altra che vuole di nuovo essere fra le braccia di Kit e sentirsi ancora protetta.
Scosto le coperte e mi alzo dal letto, dirigendomi in punta di piedi fuori dalla stanza. Quel pensiero rimbomba più forte nella mia testa, assordandomi.
“Non voglio più stare sola”.
Questa sera ho detto a Kit molte cose vere: la più vera di tutte è che io non sono così, come appaio in superficie. Io non voglio più essere quella che Matteo ha creato, e almeno con Kit non lo sarò più.
Posso provarci, no? Di sicuro non muoio.
In questo gigantesco tornado di flusso di coscienza penso anche un’altra cosa: che, a differenza dei miei genitori, io non ho mai visto il Trono di Spade. 

Trovo parecchio strano che un attore tenga nella vetrina sopra la televisione i cofanetti della serie tv in cui recita, mi sembra una specie di pavoneggiamento. La cosa però, per quanto strana, mi conviene: il Trono di Spade era proprio quello che stavo cercando.
Ho trovato il lettore dvd, acceso la televisione e la prima puntata. Mentre aspetto che cominci mi rannicchio con la schiena contro il divano, chiedendomi come sarà questo fantomatico fenomeno mondiale che, secondo alcune mie conoscenze, è più o meno un porno scritto.
Una sigla assordante esplode a tutto volume e mi lancio sul telecomando, pregando che tutto questo baccano non abbia svegliato Kit.
Proprio quando dei cosi bianchi con gli occhi azzurri hanno disposto dei cadaveri in una spirale e io già non ci sto capendo più un cazzo, la porta della camera da letto si apre e Kit compare con indosso dei pantaloni sportivi scuri e una t-shirt bianca.
- Mi dispiace averti svegliato – Mi scuso voltandomi verso di lui, e sono sincera.
- Non dormivo. – Sospira. Si siede sul pavimento accanto a me.
- Nemmeno io.
Silenzio. Riavvio il filmato.
- Mi sembra strano guardare me stesso in un cofanetto dvd – commenta dopo un po’, quando il suo personaggio, Jon Snow, appare assieme a Boromir del Signore degli Anelli e tira su un lupacchiotto albino.
- A me sembra strano che tu abbia i cofanetti della serie tv in casa.
- È un regalo della produzione – sorride. – Non ho praticamente scelta.
Pausa.
Una tipa su una balconata guarda malissimo Jon Snow.
Questo silenzio è imbarazzante.
- La pizza… - comincio voltandomi verso di lui. - …era buona.
- Sì. Buona.
Ok, il silenzio è spiacevole ma sparare stronzate è peggio.
- Come mai non dormivi?
Esita, trattiene il respiro, si gratta la nuca. – Non riesco a smettere di pensare a quello che ti ha fatto quel verme.
La risposta mi sorprende, facendomi sentire improvvisamente nuda, e istintivamente mi abbraccio le ginocchia ad occhi bassi.
- Sara – sento il suo sguardo intenso su di me. Mi sfiora un braccio, delicato, come se fossi un animale ferito trovato nel bosco e lui volesse sincerarsi di non stare sognando. Resisto alla tentazione di scostarmi, e il tocco sul mio avambraccio si fa gentile e più presente, come l’abbraccio di qualche ora fa. La mano di Kit si apre e scende, chiudendosi sul mio polso. Non c’è più dubbio che abbia catturato tutta la mia attenzione. – Voglio che sia ben chiaro che non oserei mai, mai, farti del male. E ti chiedo scusa per il bacio della sera del nostro primo incontro. Non so che cosa mi sia preso.
Inspiro. Espiro. Dentro. Fuori.
- E io voglio fidarmi di te, Kit. Non voglio più stare da sola.
Di nuovo, le parole escono prima ancora di essere elaborate dal cervello. Mi mordo la lingua.
Il fermo immagine nella televisione illumina il fugace sorriso che si apre sul suo volto. Lo osservo, e si risveglia in me qualcosa di strano, come l’improvvisa sensazione di calore di uno che fa un passo sotto al sole dopo essere stato tanto tempo all’ombra, e la pelle comincia a scaldarsi.
La sua mano stringe ancora il mio polso, e non voglio che lui la sposti.
Le due mie parti interiori, quella che vuole scappare e quella che invece vuole restare, d’un tratto si zittiscono lasciando il posto a un solo, limpido pensiero.
 “Voglio stare fra le tue braccia”.
Deglutisco. “E se potessi dimenticare Matteo ed essere di nuovo felice? Magari… insieme a lui?”.
Forse qualcosa della vecchia Sara si è salvato, non è stato ucciso dagli ultimi due anni. Forse non è stato poi tutto sbagliato. Forse…
Kit allenta la presa sul polso e poi lo lascia andare senza che io reagisca, completamente travolta dalla potenza di quel pensiero.
- Cerco di dormire un po’. – dice alzandosi e rivolgendomi un fugace sorriso. – Buonanotte.
È quasi entrato in camera quando riesco a rispondere, la bocca completamente asciutta.
- ‘Notte.

 

Forse alla fine di questa triste storia
Qualcuno troverà il coraggio
Per affrontare i sensi di colpa
E cancellarli da questo viaggio
Per vivere davvero ogni momento
Con ogni suo turbamento
E come se fosse l’ultimo.

 

 
*Kit*

 Ancora insonne, aspetto a braccia incrociate dietro la testa che l’alba faccia capolino fra le tende della finestra, cercando di dominare la rabbia che ancora mi monta dentro, di non pensare agli svariati modi con cui potrei sfogarla: ubriacarmi, menare lo scarafaggio in questione fino a mandarlo all’ospedale…
Se mi ritrovo il suo ex fra le mani, giuro su Dio che rimpiangerà di essere nato.
Come, come si può alzare le mani sulla persona che invece si dovrebbe amare? Come si fa a prendere con la violenza ciò che lei non vuole o non può dare? Che feccia del genere umano devi essere per poter fare una cosa simile? Ma soprattutto, cosa l’ha spinta ad aspettare un anno e mezzo prima di lasciarlo?
Non capisco, non voglio capire e non capirò mai.
Un uomo che mette le mani addosso a una donna e poi le dice che la ama, non è un uomo. È uno stronzo. Anzi, è peggio.
Il disprezzo che provo per quel Matteo va oltre ogni mio limite o immaginazione.
La sveglia accanto a me si mette a trillare, annunciandomi l’arrivo delle cinque e mezza del mattino. La spengo con un colpo secco, voltandomi su un fianco. Fino a due settimane e qualche giorno fa avrei dato di tutto per rivedere Rose accanto a me, ancora addormentata coi capelli sparsi sul cuscino e le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe; ora, invece, vorrei poter abbracciare Sara su questo stesso letto, svegliarla con dolcezza, prometterle che la proteggerò per sempre.
Dio mi perdoni, credo ancora nell’amore a prima vista e puntualmente vengo trafitto dalla sua freccia.
Scosto le lenzuola e mi alzo, passandomi una mano sul viso e saggiando con la punta delle dita le profonde occhiaie che si sono create nel corso della notte.
Apro la porta ed entro in salotto, notando quasi subito lo schermo in pausa sui titoli di coda della puntata. Sul bracciolo spunta il piccolo piede di Sara.
Mi avvicino sorridendo tra me e me, e mi sporgo dallo schienale per guardarla: è profondamente addormentata e stringe il cuscino tra le braccia come un orsacchiotto. Dalla bocca semiaperta cola un rivoletto di bava. Almeno lei è riuscita ad addormentarsi.
Con una mano le sfioro un braccio, scuotendola piano. Lei socchiude piano un occhio, chiudendo la bocca. Poi spalanca gli occhi e rotola giù dal divano.
- Ahi! – Si lamenta massaggiandosi il didietro.
- Mi dispiace averti svegliato – trattengo a stento una risata. – Dobbiamo andare al lavoro, è ora di alzarsi.
Faccio il giro del divano e le porgo una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei la afferra senza esitare, e l’elettricità dal palmo della mano scorre in su fino al cuore, facendolo battere più forte di prima.
- Il lavoro? Sì, dobbiamo sbrigarci, il lavoro! – È ancora intontita mentre si alza, poi si passa un pugno sulla bocca e spalanca gli occhi. – Oddio, mi hai vista dormire! Mi hai vista sbavare!!
- Manterrò il segreto – prometto facendo l’occhiolino che non ho mai saputo fare decentemente. Finisco sempre a chiudere entrambi gli occhi.
- Lo spero per te! – Mi guarda fisso negli occhi, poi scoppiamo a ridere. – Dovrò scoprire qualche tuo sporco segreto per rimettere in pari i conti!
“Oh, ne hai da scoprire”.
- Faremo meglio a fare colazione, altrimenti al lavoro schianteremo sul pavimento. 

Siamo arrivati sul set in macchina e Sara, acqua e sapone, pesta ritmicamente la punta del piede sul pavimento. Il set deve sembrarle più che mai un alveare: la mattina presto, prima che si inizi a girare, corrono tutti avanti e indietro e attorno a David e Daniel, quando sono sul set, discutendo di come si deve girare una scena, come deve essere sistemato un costume, come si devono comportare i personaggi nella scena, come si devono sistemare le luci di scena. Il set si riempie di un brusio di sottofondo che è insieme snervante e rassicurante.
Posso comprendere quanto questo possa essere disorientante, a prima vista. Anche a me era sembrato una trappola per uomini quando ho iniziato a girare il Trono di Spade: ero giovane, inesperto e appena sfornato dalla scuola di recitazione e da ruoli secondari, terziari e quaternari.
Era il 2011, non più di due anni fa, eppure sono molto cambiato da allora. Tanto che quando guardo le foto di allora stento persino a riconoscermi.
Ne ho passate molte nel corso di questi due anni, insieme a queste persone: non appena ho incontrato Rose ho del tutto perso la testa per lei, complice il fatto che nello show Ygritte e Jon sono innamorati. Ero pazzo di lei, eravamo felici, eccitati dall’intenzione di tenere segreta la nostra relazione ai media e facevamo sesso estremo.
Come siamo passati da lì a Rose che mi urla in faccia che tutto per lei era un gioco? A Rose che se ne va dal mio appartamento sbattendo la porta?
Certe volte mi guardo intorno e non capisco come io sia finito qui. Mi guardo intorno e tocco con mano quanto io sia un disastro, per me stesso e per gli altri.
Sara si avvicina a me, disorientata, come per cercare incoraggiamento. Osserva il set preoccupata, e non ha la minima idea di cosa le succederà da qua a cinque minuti.
I miei occhi accarezzano i capelli biondi e mossi, la morbida curva del suo viso tondo, gli occhi grandi di nocciola. In me nasce l’istintivo desiderio di non essere per lei lo stesso disastro che sono stato per Rose, di non deluderla, di non farla scappare via da me.
Vorrei stringerla tra le mie braccia, baciarla, accarezzarla, farle sentire tutto l’amore che merita.
Mio Dio, sono innamorato di lei.
Come è possibile?

 

*Sara*

 - Ah, Sara, eccoti qui.
David Benioff sbuca tra la frenetica folla di fronte a noi e si avvicina.
- Non avere paura di lui, Fawny, è un brav’uomo. – Sussurra Kit nel mio orecchio.
- Non penso che mi abbia visto di buon occhio ieri, brav’uomo o no – ribatto mentre David si fa sempre più vicino. Tiene in mano un foglio e, giunto avanti a noi, si sistema un paio di occhiali da vista sul naso.
- Dunque, i nostri avvocati hanno già stilato un contratto a tempo determinato come costumista. Devi solo firmarlo. La paga annuale è di circa diciassette mila dollari, quella mensile si aggira intorno ai millequattrocento. Mi serve solo il tuo numero di cellulare e possiamo chiudere la questione e dare il via alla collaborazione.
- Questo… potrebbe essere un problema.
- Mh? E perché mai? – Alza il naso dal foglio e mi squadra.
- Io… non ho un cellulare – abbasso lo sguardo.
L’occhiata che mi lancia è a dir poco sospettosa. Mi studia per qualche secondo, poi si mette le mani sui fianchi con fare severo.
- Sara, sei immischiata in qualcosa di illegale?
Arrossisco per la sorpresa. – No!
- Hai ucciso qualcuno?
- No! Come le viene in mente?
- Ti droghi?
- No! La vuole smettere di lanciare accuse a caso!
- Allora dammi una ragione valida perché tu non debba avere un cellulare, né un numero di telefono! – Sbotta.
- Si è rotto e la sim è andata a puttane. È successo pochi giorni fa e non ho avuto occasione di comprarne un altro.
David cerca di capire se nella mia risposta fiera ci sia qualcosa di sbagliato, poi sospira.
- Pensi di riuscire a chiudere la questione per l’ora di pranzo?
- Non lo so. Penso di sì.
Mi porge il contratto. – Riportamelo quando lo avrai firmato.
Alza i tacchi e se ne va, lasciandomi sola con Kit, che sembra che abbia visto un fantasma.
- Quindi sono in prova. Se è a tempo determinato, vuol dire che sono in prova.
- Non credo – balbetta. – Di solito ti definiscono “in prova” se non sanno se chiamarti nella crew al trasferimento in Islanda. Da quel punto di vista sei in prova, ma sotto tutti gli altri aspetti sei assunta.
Mi volto a guardarlo. È pallido e deglutisce a tutta forza.
- Ti senti bene?
Annuisce. – Vado a cambiarmi. Scusa, Fawny.
Mi volta le spalle e se ne va anche lui, lasciandomi sola a guardarmi in giro.
Mi sforzo di pensare che qui non ho nulla da temere.
- Sara Vitali?
Una voce di donna mi fa voltare, rivelandosi una secca stangona dai radi capelli di fiamma.
- Sono Michele Clapton, la costumista. – Mi porge la mano con un sorriso rassicurante. – Mi hanno detto che da oggi sarai la mia nuova assistente. Sia ringraziato il cielo, perché non riesco a stare dietro a tutti quanti. Ti spiace seguirmi?
Mi scorta attraverso gli Studio, mostrandomi in fretta dove si trovano la sala mensa, i bagni, i vari set finamente decorati, e alla fine la sala costumi: uno sterminato stanzone di compensato strabordante di abiti appesi alle grucce. Abiti sintetici, spessi e piumosi, e ogni gruccia porta un volto e il nome del personaggio corrispondente. Michele mi porta attraverso i corridoi di appendiabiti, con la stessa disinvoltura di un trapezista nell’arena del circo.
Io mi sento come la foca che tiene una palla in bilico sul naso, mentre tutti la guardano e ridono e applaudono facendosi beffe di lei.
“Nessuno ti caga, Sara. Nessuno ti caga”.
- Il tuo compito a inizio giornata è aiutarmi a dare i giusti costumi ai giusti attori. Di solito lo farei insieme a te, ma oggi mi hanno chiesto di fare delle modifiche straordinarie al costume di Rattleshirt e dovrai cavartela da sola. È un problema?
- No, assolutamente no! – Rispondo con un sorriso forzato.
- Meno male! – ride Michele. – Ci vediamo appena posso!
Sparisce in pochi secondi, lasciandomi sola nel grande stanzone.
Non mi resta che guardarmi intorno ancora un po’.
Passando fra gli appendiabiti osservo i vari costumi di Alliser Thorne, Maestro Aemon, Samwell Tarly, Ygritte, senza avere la minima idea di chi siano o cosa rappresentino i personaggi all’interno della storia.
Passo qualche minuto in silenzio.
- Ciao! Sei tu la nuova?
Un omone alto almeno quindici centimetri più di me e dalla folta barba rossa mi si avvicina con un gran sorriso. Sembra la versione irlandese del Grande Gigante Gentile. Mi stringe vigorosamente la mano.
- Sono Sara Vitali – mi presento ignorando il dolore alla mano chiusa nella sua morsa.
- Kristofer Hijvu. Piacere di conoscerti.
Strano, non ha l’accento irlandese.
- Sei di Belfast?
Si mette a ridere, di una risata che potrebbe scuotere le pareti. – No, sono di Oslo!
Cacchio! È norvegese?!
- Ti chiedo scusa per la gaffe…
- Nah, non preoccuparti, me lo chiedono spesso! – Mi fa l’occhiolino. – Potresti darmi il mio costume?
Divento una statua di sale e inizio a balbettare monosillabi.
Kristofer si avvicina e mi suggerisce in un sussurro: - Sono Tormund Giantsbane.
Ah. Ora ricordo!
- Vado subito a prenderlo!
Inizio a correre fra i costumi, cercando freneticamente quello di Kristofer.
Non immagino neanche lontanamente che questo sia solo l’inizio.

Scusate per la lunga attesa! Ho appena finito gli esami universitari e la sessione estiva è stata allucinante!
Spero che la storia continui a piacervi
Baci
Nut

   
 
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