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Autore: Alepotterhead    29/07/2016    1 recensioni
Mags è l'adorabile ottantenne che tutti abbiamo conosciuto, ma anche lei è una vincitrice. O meglio una sopravvissuta.
Ecco a voi i Noni Hunger Games. Gli Hunger Games di Mags.
Dal capitolo 9
“Tributi prendete posizione”
La voce mi fa sobbalzare e la pedana si solleva leggermente, le ante del tubo che la circondano si aprono. Guardo il pacificatore alle mie spalle, non si muove di mezzo millimetro. Prendo un respiro profondo e faccio i due passi che mi separano dalla piattaforma, sento le gambe di gelatina. Prendo posizione come mi è stato detto.
“Cinque secondi rimanenti alla partenza”
Conto mentalmente… Cinque… Quattro… Tre… Due… Uno…Ci siamo.
Le porte si chiudono e la piattaforma inizia lentamente a sollevarsi.
Si apre una botola sopra la mi testa e una cascata di luce piove su di me.
Ci siamo davvero.
All’inizio non riesco a distinguere ciò che mi circonda, appena mi abituo alla luce, rimango senza fiato.
È un paesaggio incredibile."
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mags, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ho il cervello in tilt.

Mentre affannosamente cerco una via d’uscita in un vicolo cieco, tengo gli occhi fissi sulla mazza chiodata, quella cosa non può avvicinarsi me.
Lui fissa l’arpione e le frecce che tengo in mano, ma non devono preoccuparlo più di tanto perché inizia ad avanzare lentamente, senza fretta, sa che non sono in condizioni di affrontare un corpo a corpo né di scappare, non con la mia evidente zoppia. Quello che non sa è che è una farsa e che le mie armi sono più pericolose di quello che appaiono. Devo solo riuscire a graffiarlo con le frecce che spero di aver ricoperto di veleno degli insetti.

In tutto ciò però c’è un grande problema: ho passato il veleno sulle frecce e non sull’arpione perché non volevo contaminare la mia arma prediletta, solo che l’arpione si può scagliare, ma le frecce senza un arco come diavolo gliele tiro addosso? Strategicamente sono stata un’idiota.
Devo distrarlo o indebolirlo, magari farlo cadere per poi avvicinarmi e piantargli la freccia nella carne come ha fatto il ragazzo del Nove con me. E qui sorge l'altro piccolissimo problema: la mazza chiodata.

Nel mezzo secondo in cui ho formulato tutta questa serie di problemi da risolvere in un modo che ancora mi è oscuro, lui si è avvicinato troppo, allora mi giro e inizio a correre e dopo un attimo lo sento dietro di me. O si aspettava la fuga o non ha creduto nemmeno mezzo secondo alla farsa della povera vittima indifesa. Addio vantaggio numero uno.
Correre tra fango e radici è una tortura, vado troppo piano, le gambe fanno fatica, le radici sono sempre più spesse e aggirarle richiede sempre più tempo, arranco nel fango e ci sprofondo quasi fino al ginocchio. Niente è sufficiente a farmi guadagnare tempo e in poco tempo mi raggiunge, lo sento sempre più vicino, non ho tempo nemmeno di voltarmi a controllare a che punto sia, quando sento lo spostamento l’aria che precede il tonfo e mi si abbatte la mazza sulla spalla già ferita, sento un crack poco piacevole, ululo per un dolore acuto e lancinante che mi attraversa come una saetta e cado in ginocchio.

Deve essere vicinissimo per essere riuscito a lanciare la mazza e avermi preso, infatti appena caduta mi sento placcare da dietro e finiamo a terra. Lui mi schiaccia e non riesco a rialzarmi, con le mani mi afferra la nuca e mi tiene premuta la testa del fango, oppongo quanta più resistenza sia possibile, ma non respiro, non riesco a sollevare la testa e prendere aria. Le mie mani annaspano, perdo la presa su frecce e arpione, cerco di afferrargli le mani, ma è inutile, non riesco a scalfirlo, a farlo cedere nemmeno di un pochino, le sue gambe attorno a me sembrano d’acciaio, le sue mani sulla mia testa una morsa indistruttibile. Mi sembra di essere in un mulinello e non riuscire a vincere l’acqua, non riuscirò a trattenere il fiato ancora a lungo e poi i miei polmoni si riempiranno di fango putrido e allora sarà finita.
I mulinelli.
Non devo tirare fuori la testa, devo andare ancora più sotto.

All’improvviso smetto di fare resistenza e mi schiaccio ancora più giù sprofondando e facendo perdere l‘equilibrio al ragazzo del Tre, sfrutto questa minima variazione per girarmi e liberarmi della sua presa. Ora io sono sopra ma non avrei mai la forza di tenergli la testa sotto, l’unica cosa che posso fare è recuperare le armi, balzo in piedi e cerco di allungarmi verso le frecce, ma non le trovo, sono impedita dal fango che mi cola copioso dalla faccia e mi finisce negli occhi, così mi trovo subito bloccata coi polsi sollevati sopra la testa schiacciata contro un albero, la spalla geme per questa posizione e un lamento mi sfugge dalle labbra. Sono passata dall’essere schiacciata nel fango a essere schiacciata contro un albero, ma almeno questa volta respiro.
Siccome riesce a tenermi inchiodati i polsi con una mano sola, l’altra cala inesorabilmente prima sullo stomaco, poi sul volto e poi il dolore è così forte che nemmeno capisco più dove si abbattano i pugni. Non ci vedo per la melma che ancora mi sgocciola in faccia e ho le braccia bloccate, ma ho ancora le gambe. Sarà poco fine ma è l’unica cosa che mi resta da fare, quindi scaglio un calcio con tutta la forza che ho al suo bassoventre e so di essere andata a segno quando sento una specie di latrato e la presa che si scioglie dalla mie braccia. A questo punto recupero l’arpione, le frecce devono essere state porte a fondo nel fango e mi giro appena in tempo per vederlo che si rimette in piedi e si allunga verso la mazza chiodata mezza sepolta poco più avanti, cerco di spostarmi il fango dalla faccia per riuscire a prendere la mira, ma la vista non migliora un granché dal momento che mi accorgo di avere un occhio pesto. Comunque devo tirare, non posso permettergli di prendere la mazza. L’arpione appesantito dal fango o dalla mia fatica, lo prende di lato sul braccio portandosi via un po’ di stoffa, pelle e carne, avevo mirato al torace pensando a un colpo mortale, ma quello che ho ottenuto invece sembra un tiro molto più preciso, diretto al braccio che si allungava verso l’impugnatura della mazza. Fatto sta che si ritrae di scatto dandomi modo di arrivare per prima alla mazza; lanciato l’arpione non potevo restare disarmata e quella era la cosa più vicina.

Il ragazzo del Tre sembra essersi spento, si tiene il braccio ferito al petto da cui inizia a sgocciolare sangue scuro che si mischia alla poltiglia marrone che ci circonda e che ci imbratta, senza muoversi, aspetta la fine. E la fine avrà la mia immagine. Mi accorgo che qualcos’altro si mischia al fango e sono le lacrime, le sue.

“Fallo, sono qui” voce tremante e dolce, non avevo mai sentito la sua voce e avrei preferito non sentirla mai. Come può apparirmi dolce?
Sollevo quell’arma mostruosa a fatica e lo guardo, occhi limpidi, ma terrorizzati.

“Ti prego” adesso singhiozza, io tentenno.

Fango e lacrime, le sue, le mie.

Ed è allora che sento uno spintone che mi fa cadere a terra, la mazza mi viene strappata dalle mani. Lo vedo ergersi sopra di me, quando lui la solleva non sembra esserci sforzo nel suo gesto, lo guardo negli occhi e vedo sempre lo stesso sguardo terrorizzato, un animale in trappola farà sempre di tutto per scappare e salvarsi. Vedo la mazza che si abbatte senza pietà, ma io rotolo nel fango e la schivo, prima una e poi una seconda volta.

Da terra gli faccio lo sgambetto e lo faccio finire a terra di nuovo. Io mi alzo e vado a riagguantare la mia arma, la naturale estensione del mio braccio. Nel mentre lui si è rimesso in piedi e mi scruta. È furbo e ha capito benissimo come mettermi nel sacco.

Probabilmente adesso aspetterà che scagli l’arpione, se lo prendo sono viva, se lo manco è la sua occasione per attaccarmi e colpire, e questa volta non ho più trucchetti da giocarmi, ma nemmeno lui ne ha più.

Per uscirne viva devo essere più furba. Per evitare il mio attacco può parare l’arpione con la mazza, può gettarsi a terra se il tiro è alto, può scansarsi se troppo laterale, o mi avvicino per ridurre il suo spazio di manovra, il che vuol dire entrare nel raggio d’azione della mazza, o mi serve un’idea. Mentre giriamo in tondo studiandoci e preparandoci per la prossima mossa mi guardo intorno, fango, mangrovie, radici, rami…

Bene, so quello che devo fare anche se è un rischio incredibilmente stupido da correre, ma so che non ho altre possibilità. Così mi fermo quando vedo quello che fa al caso mio, come in uno specchio anche lui si ferma. Mi pulisco la faccia dal fango, soprattutto dall’occhio buono, soppeso l’arpione e alzo il braccio pronta a caricare il colpo, lui appoggia la mazza vicino ai suoi piedi, pronto a saltare, schivare o fare qualsiasi manovra sia necessaria, sa che la sceneggiata del povero ragazzino disperato non può più funzionare.

Raccolgo le mie forze per il lancio, so che dovrò metterci tutta quella che ho, impegnarmi più di quanto abbia mai ritenuto fattibile. E così lancio. Lui lo vede alto e si butta a terra. Il mio arpione saetta dritto e preciso. Lui si rialza senza un graffio, mi guarda sbalordito, poi solleva lo sguardo e, quando capisce che l’obiettivo non era lui, è ormai troppo tardi. Il ramo sta già precipitando e lo prende in pieno sulla testa.

Bum.

Siamo in quattro.


Sono un guscio vuoto. Sono stanca, mezza cieca, dolorante oltre ogni dire, ma sono viva. Pazzesco.

Ma ho bisogno di riposare, mettere in ordine le idee. Prendo l’arpione e mi allontano da quella che è stata la mia piccola arena fangosa negli ultimi minuti, trovo un grosso albero coi rami grossi e piatti e mi ci arrampico con grande difficoltà e parecchi scricchiolii di ossa. Mi siedo e guardo verso l’alto. Tra le fronde vedo ancora il cielo rosso sangue, impossibile ormai orientarsi nel tempo, è un unico infinito adesso, fatto di dolore e sangue.
Quanto tempo fa ho lasciato Dave? Se il cielo non diventa scuro come ci comunicano chi è morto? Da quando il sole è sorto rosso e onnipresente ci sono stati quattro colpi di cannone, due la notte fonda, uno sicuramente sulla riva del lago dal momento che sono inciampata sul cadavere, ma qualcosa mi dice che anche l’altro è avvenuto lì probabilmente per quella cosa orrenda che faceva quegli strani suoni. Praticamente sono viva per miracolo. Sono stata più vicina alla morte sulla riva del lago piuttosto che adesso. Un brivido freddo mi corre lungo la schiena e mi viene la pelle d’oca al solo pensiero di quello a cui sfuggita per un pelo. Quando ho sentito i colpi di cannone non pensavo che il pericolo fosse così vicino, altrimenti non mi sarei più spostata dalla mia roccia dietro la cascata. Sarei rimasta lì a nascondermi fino alla morte. Ma lo avrei fatto davvero? Con Dave che sarebbe uscito per andare chissà dove? Non credo.

Le altre due morti sono più facili da attribuire, dal momento che sono state opera mia.
Il ragazzo del Nove. Stretta al cuore.
Il ragazzo del Tre. Stretta allo stomaco.

Temperino e Dave sono vivi, li ho visti prima che incappassi nel ragazzo del Tre.
Quindi le due morti sul lago sono tra la ragazza del Cinque, dell’Undici o Aiden, ma qualcosa mi dice che erano le due ragazze, prima di tutto perché erano assieme; Aiden ha ucciso la ragazza del suo Distretto e dubito ne avrebbe accettata un’altra come alleata, ma soprattutto contro una cosa così, anche Aiden sarebbe scappato, è di sicuro abbastanza intelligente da capire che certe cose non si possono affrontare. 

Quindi io, il mio compagno di Distretto che mi ha voltato le spalle, la ragazza dell’Uno di cui non mi sono mai fidata e il ragazzo del Due di cui non mi fidavo, ma poi forse si, perché mi ha salvato la vita, ma alla fine no perché ha assassinato la sua compagna di Distretto che era mia alleata.
Che bel quadretto.

Sento la rabbia che inizia a ribollirmi nelle vene, come è possibile che siamo rimasti noi quattro? Come è possibile che tutto sia precipitato così? Perché Dave era con Temperino? Perché non mi ha aspettato al lago? Sono alleati? Quindi io sono sola? Non ci capisco più niente. Sono arrabbiata, furiosa con tutti, mi sento in balia degli eventi senza poter far nulla, senza riuscire a mettere a fuoco gli eventi.
Poi la rabbia cede il posto al disgusto, non ho appena ucciso, non uno ma ben due tributi? Che differenza fa se Aiden ha ucciso Keri? Alla fine erano tutte persone no? Non dovrei darmi arie di superiorità proprio no.
Guardo le mie mani e stento a riconoscerle, sporche, con le unghie rotte, ridotte all’osso, ma soprattutto sporche di sangue. Sangue sulle mani, sangue nella mia anima e nella mia mente e tutte le lacrime del mondo non potranno mai pulirle, né rendermi la persona che ero prima.

Appoggio la testa contro il tronco solido dell’albero e in questo momento mi pare l’unica cosa solida della mia esistenza. Chiudo gli occhi e respiro profondamente, contro ogni probabilità sono viva, l’aria che mi dilata i polmoni ne è la prova tangibile, ma non provo nessun sollievo a esserlo. Ormai il dolore è una costante, così come la paura, l’insicurezza, la rabbia, è vita questa?

Un unico infinito adesso.
Niente di quello che ero conta più, ho dimenticato la mia famiglia e le sensazioni che mi regalava, qui c’è solo dolore, il mare che avevo dentro si è asciugato, qui c’è solo sangue, ho spezzato le amicizie, qui c’è solo sopravvivenza.
La luce rossa e calda mi infastidisce non poco, ma sono così stanca che il sonno mi vince.


Quando riapro gli occhi non so se dopo minuti o ore, niente è cambiato, il cielo brucia ancora arancione come se fosse il tramonto e il dolore opprimente che sento dove una volta c’era il mio cuore mi schiaccia ancora. Potrei starmene qui ancora un po’ a riposarmi, ma so che, se non un’altra pioggia di frecce, qualcosa mi piomberà addosso per farmi muovere, tanto vale iniziare subito.
Imbocco una direzione a caso e inizio a camminare, fa così cado che mi pento di aver mollato il mio zaino col le proviste e l’acqua, contavo di essere morta ormai e invece sono qui a patire il caldo.
Di bene in meglio insomma.

Sono così intenta a darmi dell’idiota che quasi non li sento.
Quasi, perché stanno facendo un rumore assordante, il clangore metallico avrebbe dovuto mettermi in guardia già da tempo. Sbuco in una piccola radura libera dalle mangrovie e li vedo, Aiden, Dave e la ragazza dell’Uno in un combattimento tutti contro tutti. Spada, arpione e ascia.

Sono impietrita, non so cosa fare, scappare? Restare? Chi devo aiutare? Chi devo uccidere? Cosa faccio?

E poi Dave cade a terra, Temperino alza la scure per abbatterlo, ma dà le spalle ad Aiden che la trafigge da una parte all’altra.

Bum.

Il corpo della ragazza crolla a terra, Dave si scansa giusto in tempo perché non gli finisca addosso, si rialza a fatica e Aiden estrae la spada dal corpo con uno spruzzo di gocce vermiglie che riesco a vedere anche da qui. Ora sono uno di fronte all’altro pronti a darsi battaglia quando Aiden mi vede, abbassa un pochino la spada, sgrana gli occhi e grida il mio nome.
So esattamente cosa vuole ottenere con una reazione cosi esagerata, così inizio a correre verso di loro, ma è troppo tardi, è stato troppo tardi nel momento in cui sono apparsa nella radura.

Dave si gira verso di me, vedo sul suo volto rabbia, tristezza e infine un sorriso. Il suo ultimo sorriso. Perché Aiden non può non sfruttare il vantaggio che gli ha appena dato, infatti appena girato lo sguardo verso di me gli passa la lama sulla gola. Gli si apre uno squarcio da cui esce una cascata di sangue.

Bum.

 
  
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