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Autore: LadyBones    29/07/2016    5 recensioni
Dal testo:
[...] "Lascia che ti dica una cosa, Eleanor. Smettila di cercare di essere qualcuno che non sei solo perché credi di non essere abbastanza. Sono incredibilmente lusingata per quello che hai detto e dovrei ringraziarti, ma non lo farò perché tu non hai bisogno di somigliare a me. Va lì fuori e non aver paura di dimostrare ciò che vali, perché potresti rimanere sorpresa di quello che potrebbe succedere." [...]
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Howard Stark, Nuovo personaggio, Peggy Carter
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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Quando avevo avuto la brillante idea di testare un varco spazio – temporale non avevo tenuto conto di alcuni possibili effetti collaterali. Primo fra tutti, finire nell’anno sbagliato. Si poteva tranquillamente dire che quell’errore aveva finito per causare una reazione a catena che mi aveva condotta esattamente dove mi trovavo in quel momento – seduta su una sedia abbastanza scomoda, in una stanza spoglia.

Era il 1949 e di mio padre non vi era ancora traccia. Mi ero imbattuta, però, in Peggy Carter – la persona per cui provavo una forte ammirazione da tempi immemori, ormai. Per un puro caso fortuito, avevo finito per essere scambiata per un agente dell’SSR. Un agente altamente addestrato – ci tengo a precisare questo dettaglio. Avevo persino partecipato a una delle famose feste degli Stark, fino a che tutto non era precipitato.

A dire il vero la cosa non mi aveva sorpresa più di tanto, era solo una questione di tempo. Insomma, non si era mai visto che io riuscissi a uscirne indenne anche solo per una volta. Il livido che mi ricopriva metà volto ne era la prova concreta. Quello, più il fatto di ritrovarmi ammanettata all’interno della sala interrogatori dell’SSR.

Ora, avevo sempre voluto provare l’ebbrezza di visitare una stanza del genere, ma generalmente nelle mie fantasie io non ero mai quella ammanettata. A quanto sembrava, però, c’era una prima volta per tutto. Inutile dire che mi diedi dell’idiota almeno una decina di volta, prima di vedere la porta spalancarsi e Peggy fare il suo ingresso.

Abbiamo controllato il nome che ci hai fornito, ma di te non c’è alcuna traccia.

Ecco, era arrivato il momento della verità. Avevo cercato di tirare per le lunghe la cosa, ma non era servito poi a molto. Avevo persino fornito il mio nome e cognome, evitando accuratamente di menzionare la data di nascita. Adesso, però, non avevo più molta scelta. Meglio, una scelta c’era ed era decidere se finire rinchiusa in una cella chissà dove o mettere a rischio la linea temporale. Non ero neanche certa che quello fosse un rischio vero e proprio. Dannazione, avrei dovuto chiedere a Eddie prima di lanciarmi a capofitto in quel varco, ma non l’avevo fatto quindi dovevo affidarmi al mio buon senso. Dio – non avrei mai potuto immaginare di arrivare a dire una cosa del genere, dovevo essere seriamente disperata.

Non ho mai detto che avreste trovato qualcosa…

Lo sussurrai con un filo di voce, ma mi resi conto con un minuto di ritardo che quella era stata un’uscita davvero infelice da parte mia. Lo avevo capito nel momento esatto in cui avevo sentito Peggy parlare nuovamente.

E’ solo una questione di tempo risalire al tuo nome, ma non è questo quello che mi interessa realmente. Sappiamo che sei stata mandata per monitorare i nostri movimenti dall’interno, vogliamo sapere da chi.

Aveva pronunciato quelle parole con un tono freddo. Io ero rimasta ad ascoltarla non riuscendo a impedirmi di sgranare gli occhi per la sorpresa. Pensava fossi una spia, o quanto meno qualcuno mandato lì per stanare i loro movimenti. Quello era un insulto bello e buono. Insomma, non che non comprendessi il motivo di tutte quelle insinuazione, ma credere che sarei davvero riuscita a fare una cosa del genere o, peggio, associarmi con le persone che avevano fatto tutto quello era una follia.

Il mio nome è Eleanor Cooper, sono nata a New York il 13 Maggio 1990. Non sono una spia, ma soprattutto non sono un membro dell’Hydra… se è quello che stavi pensando.

La vidi sollevare un sopracciglio osservandomi incuriosita. Non so cosa avesse fatto più effetto, se la mia data di nascita o il fatto che avessi pronunciato il nome di quell’organizzazione con così tanta disinvoltura.

1990? E cosa ti fa pensare che sarei disposta a credere a una cosa del genere?

Stark.

L’avevo vista sollevare un sopracciglio in segno di disappunto non appena aveva sentito pronunciarmi quel nome.

Dubito che qualcun altro saprebbe di cosa stia parlando se non lui, senza offesa.

Mi ero affettata a rispondere, non riuscendo a impedirmi di deglutire un po’ troppo rumorosamente. Dio – e io che pensavo che Fury fosse il peggio che potesse capitarmi. Sollevai gli occhi al cielo prima di vedere Peggy allontanarsi dalla stanza e lasciarmi nuovamente sola. Di quel passo, probabilmente, mi sarebbe toccato pregare in un miracolo perché non riuscivo proprio a vedere una via d’uscita. Come si poteva essere più stupidi di così? Se fossi riuscita a fare ritorno a casa mi ci sarei chiusa dentro e avrei gettato la chiave da qualche parte, giusto per non correre il rischio di imbattermi in qualche altro “imprevisto”, se così volevamo chiamarlo.

Quindici minuti più tardi – quando ormai avevo perso del tutto le speranze – vidi la porta in legno spalancarsi nuovamente. Istintivamente rizzai la schiena – sulle spine – vedendo Peggy fare nuovamente il suo ingresso, ma questa volta in compagnia di Howard Stark. Non si era ancora disfatto dello smoking e stava da Dio. E lo so, lo so quello era l’ultimo dei pensieri che potessi avere, ma quanto meno la fine della mia esistenza sarebbe stata accompagnata da una bella visione. Insomma, bisognava pur sempre guardare il lato positivo della cosa.

Peggy mi ha riferito che volevi parlarmi.

Lanciai un’occhiata in direzione della donna. Erano rimasti tutti e due in piedi davanti a me, il tavolo a dividerci. Peggy poggiò una mano sul legno portandosi l’altra sul fianco, mentre Stark aveva incrociato le braccia.

Perché non dici a Howard quello che hai detto a me?

Avevo annuito con un lieve sorriso che sapeva di amaro. Non gli aveva detto nulla, aveva aspettato che fossi io a sganciare la bomba, di nuovo.

Il mio nome è Eleanor Cooper e sono nata a New York, il 13 Maggio del 1990.

A quelle parole Howard aveva finito per sgranare gli occhi lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, improvvisamente incuriosito da quello che avevo appena detto. Se era la metà di quello che si diceva essere Tony, allora gli avevo appena servito il tutto su un piatto d’argento.

Non è possibile…come…

Un amico di un amico…

Avevo iniziato a parlare notando l’espressione di entrambi osservarmi perplessi. Sollevai gli occhi al cielo, cercando di dare un senso a tutto quello che avevo nella mia testa perché era chiaro che avessi iniziato con il piede sbagliato anche con quella spiegazione. Di cosa mi meravigliavo, poi? Insomma, dovevo farmi riconoscere sempre e comunque.

D’accordo, sicuramente non il miglior intro di tutti i tempi.
Sussurrai mordendomi con forza il labbro.

Peggy ed Howard erano rimasti in attesa, ma sapevo che non potevo certo tirare la corda ancora per molto, così, tirai un respiro profondo – chiusi gli occhi per un attimo – e presi a parlare.

Sono una studentessa di psicologia, non ho niente a che fare con tutte quelle robe scientifiche con cui a che fare lei signor Stark. Eddie, al contrario, studia fisica – è un amico di un mio compagno di corso. L’ho conosciuto mentre, durante a una festa, era intento a portare a termine un progetto a cui lavora da molto tempo: i vachi temporali. Lui li ha chiamati worm…

Wormholes… vai avanti.

Howard finì per sovrapporsi alla mia voce e, devo ammetterlo, in quel momento una parte di me finì per rilassarsi. Mi ritrovai ad annuire, così, ripresi a parlare un po’ più fiduciosa di quanto non lo fossi stata fino a quel momento.

Diceva di essere in grado di aprire uno di questi varchi in grado di collegare un punto dello stesso universo, ma in tempi differenti. Lo ha chiamato varco intra qualcosa. Credevamo che stesse semplicemente scherzando, ma non era così. È riuscito ad aprire un varco nella sua camera.

Com’era fatto?

Stark finì per interrompermi – ancora – incredibilmente interessato a quanto gli stavo dicendo.

Era una specie di buco i cui contorni non smettevano di oscillare. Sembrava essere fatto di gelatina… gelatina viola.

E tu ci sei entrata dentro? chiese Peggy che era rimasta in silenzio per tutto il tempo.

Eddie non ne aveva mai attraversato uno, così mi sono proposta di farlo io per lui. Mi ha detto che non sapeva dirmi dove sarei finita, ma dieci ore esatte dopo la mia partenza  avrebbe aperto un altro varco. Avrei solo dovuto trovarmi nello stesso punto del mio arrivo, mi bastava guardare quest’orologio… sussurrai sollevando il braccio.

Fu in quel momento che notai la crepa sul quadrante e i miei occhi finirono per sgranarsi per la sorpresa.

Oh no, no, no, no… si è rotto. Dio, no ti prego no.

Lo sussurrai con un filo di voce, il cuore che batteva a mille e gli occhi avevano finito per riempirsi di lacrime. Doveva essersi rotto durante la mia colluttazione con Peggy perché ero certa che fosse ancora intatto durante la festa. Probabilmente, quello era il momento in cui avevo finito per realizzare quanto stupido fosse ciò che avevo appena fatto. Mi morsi il labbro con forza cercando di trattenere le lacrime.

Forse non sono la persona più affidabile per dirlo, ma non credo che lei stia mentendo Peggy. Non sulla parte scientifica quanto meno…

Perché diavolo qualcuno dovrebbe imbarcarsi in una missione suicida come questa se non avesse un doppio fine? chiese Peggy in tutta risposta.

Avvertii una lacrima sfuggire al mio controllo e mi diedi della stupida per non essere riuscita a mantenere il controllo, ma tutto quello era semplicemente troppo.

Mi spiace, dico sul serio. Non era mia intenzione di piombare qui e rovinarvi l’esistenza, mandando a rotoli persino il vostro lavoro. Non ho pensato alle conseguenze quando sono saltata in quel varco. Non l’ho fatto, ma avrei dovuto. Non so neanche per quale diavolo di motivo mi sono ritrovata qui, volevo solo…

Mi ero bloccata abbassando lo sguardo per evitare quello delle altre due persone nella stanza. Ero stata davvero una folle a credere di poter andare indietro nel tempo e non pagarne le conseguenze. Sapevo che loro due mi avrebbero odiato e non avrei certo potuto biasimarli, avevo praticamente mandato all’aria la loro operazione.

Cosa volevi? chiese Peggy sedendosi esattamente davanti a me.

Sollevai appena lo sguardo, gli occhi che pizzicavano mentre si posavano in quelli della donna che mi era davanti.

Volevo solo rivedere mio padre. L’ultimo ricordo che ho di lui risale alla mattina in cui è partito per una nuova missione. Io ero troppo stanca per tenere gli occhi aperti. Ricordo che mi ha baciato la fronte e che ho mormorato qualcosa, ma so per certo di non avergli detto di volergli bene. Non l’ho fatto, perché ho preferito dormire. Ero stanca, ma tanto lui sarebbe tornato come faceva sempre e avrei potuto dirglielo allora. Non è mai tornato… volevo solo dirgli che gli volevo bene, solo questo.

Tirai un respiro profondo, riempiendomi i polmoni di così tanto ossigeno che li sentii bruciare. Riuscivo ad avvertire le guance bagnate, ma non avevo potuto impedire alle lacrime di scivolare via mentre parlavo. Mi ero appena resa conto che non avevo mai detto a nessuno quelle cose. Nessuno.

Voi non avreste fatto lo stesso?

Lo chiesi con un filo di voce, spostando lo sguardo dall’uno all’altra un paio di volte fino a quando i miei occhi non si fermarono su Peggy.

Se avessi avuto la mia stessa possibilità, non avresti semplicemente tentato? Neanche per Steve?

Il mio era stato un sussurro, ma non così debole da non essere sentito da entrambi. Probabilmente, pronunciare quel nome era stata una mossa azzardata perché Peggy aveva finito per irrigidirsi istintivamente. La vidi scambiare uno sguardo con Howard e, in quel momento, capì che le possibilità di andarmene da lì erano davvero poche. Fu nel momento in cui avevo perso anche il mio ultimo briciolo di speranza che avvertì il metallo intorno ai miei polsi allentarsi. Sollevai lo sguardo verso di loro non riuscendo realmente a capire cosa fosse appena successo.

Sentì le dita di Howard posarsi sul mio orologio e, sganciatolo, finì per sfilarlo via. Lo osservai corrugando la fronte perplessa.

Ricordi più o meno quanto tempo è passato da quando sei arrivata qui?

Ahm… circa otto ore, credo.

Vuol dire che abbiamo sì e no due ore per ripararlo e aiutarti a tornare indietro. finì Peggy per lui.

Sgranai gli occhi per la sorpresa. D’accordo, dovevo essermi persa qualche passaggio perché altrimenti non riuscivo proprio a spiegarmi che cosa fosse appena successo. Insomma, un attimo prima mi accusavano di essere una spia – per ovvie ragioni, certo – e l’attimo dopo volevano aiutarmi? Non che la cosa non mi rendesse estremamente felice, ma non potevo certo credere che fosse tutto così semplice. L’ultima volta che mi ero illusa in quel modo avevo finito per prenderle di santa ragione, nel vero senso della parola. Se mi sforzavo riuscivo quasi a ricordare tutto il dolore che provai prima, durante e dopo la mia prima e ultima missione.

Non per rovinare il momento, insomma è davvero fantastico che voi abbiate deciso di aiutarmi ma… perché?

Lo chiesi sinceramente incuriosita anche se quello poteva significare darmi la zappa sui piedi da sola, non che la cosa mi avrebbe sorpresa più di tanto – sia chiaro.

Perché, per quanto folle possa sembrare, sarei tornata indietro anche io.

Puntai i miei occhi su Peggy e in quel momento capì. La donna che avevo di fronte era ancora perdutamente innamorata dell’uomo a stelle e strisce che aveva finito per dare la sua vita per il paese. Le storie che avevo ascoltato, non erano semplicemente storie e quel museo che si era ritrovata a costruire era il suo modo per mantenere vivo il ricordo di qualcuno che non c’era più, ma che lei non aveva mai dimenticato. A quel pensiero avvertii una stretta al cuore e un dolore alla bocca dello stomaco. Oh se solo avesse potuto sapere che Steve era ancora vivo, da qualche parte. Se solo avesse potuto sapere che, nel mio tempo, lui era tornato e non l’aveva dimenticata. Se solo avesse potuto.

Dovetti fare affidamento a tutte le mie forze per non lasciarmi sfuggire altre lacrime, o peggio, dirle la verità. Distolsi lo sguardo per un attimo, respirando a fondo, prima di aprire bocca.

Prima alla festa, ero nella libreria quando ho sentito due uomini parlare. Non saprei dirvi chi fossero, ma stavano parlando riguardo a un qualche progetto fino a che non hanno sentito dei rumori e si sono allontanati. Avevate ragione, qualcuno di voi è associato con l’Hydra… vorrei poter dirvi di più, ma non sono riuscita a sentire altro.

Avevo mentito e una parte di me si sentiva incredibilmente in colpa, ma non avrei potuto fare altrimenti. Non senza sapere quali sarebbero potute essere le conseguenze. E – ne ero certa – di conseguenze da affrontare ce ne sarebbero state, ammesso e consesso che fossi riuscita a tornare a casa.
 
 

***

 
 
Erano passati una decina di minuti da quando avevamo lasciato l’SSR e io ero, ovviamente, ancora bloccata nel 1949. Howard si era offerto di riparare il mio orologio, ma si era impuntato sul fatto che avrebbe lavorato nel suo laboratorio e non in quel minuscolo sgabuzzino di cui l’SSR disponeva. Non avevo personalmente controllato le dimensioni della suddetta stanza, ma qualcosa mi diceva che aveva un tantino esagerato. Peggy, però, si era ritrovata ad accontentarlo più che altro per non sentirlo blaterare a vuoto e io, da parte mia, non mi ero azzardata a obiettare. Fino a quando fosse stato in grado di riparare l’orologio non mi sarei certo lamentata.

Fu, così, che ci ritrovammo su una stradina sterrata e poi in quello che sembrava un campo militare in disuso. Mi guardai intorno leggermente perplessa, ma ancora una volta decisi di tacere per un bene più ampio: ritornare a casa. Li seguì in religioso silenzio al fianco di Mr. Jarvis che sembrava proprio non volersi allontanare da quei due neanche per due secondi. In effetti, mi aveva sorpresa il fatto di non essermelo ritrovato anche nella sala interrogatori. Non che la cosa mi sarebbe dispiaciuta, quell’uomo mi ispirava simpatia.

Corse in direzione della porta a qualche metro da noi, aprendola e facendoci passare uno a uno. Mi ritrovai a rabbrividire non appena misi piede all’interno di quella struttura immersa nel buio. Quando Jarvis accese la luce attraverso un interruttore posizionato alla nostra sinistra, dovetti sbattere un paio di volte le palpebre per abituarmi a tutta quella luce. Nel momento in cui misi bene a fuoco ciò che avevo davanti mi ritrovai a trattenere il respiro. Lasciai scivolare lo sguardo da una parte all’altra di quella struttura incredibilmente grande. Strizzai gli occhi per bene, come per accertarmi che quello non fosse un semplice sogno.

Feci un passo avanti, in direzione di una delle quattro pareti su cui era stata dipinta un’aquila e il mio cuore smise di battere per un attimo.

Questo è lo Strategic…

Aveva preso a parlare – incredibilmente orgoglioso – Howard fino a quando io non mi ero ritrovata a bloccarlo.

… Shield.

Lo avevo detto con un sussurro non riuscendo a credere a quello che avevo davanti agli occhi. Lentamente presi a muovermi in direzione di quell’aquila bianca, lasciando che le mie dita – una volta vicina – toccassero i suoi contorni. Dio, come ero potuta essere così stupida e non rendermene conto prima? 1949, anno di nascita dello Shield.

Shield? Sì credo che possa andare anche così. mi fece eco Howard.

Probabilmente la trovata del nome doveva essere sua, o quanto meno doveva andarne particolarmente fiero perché era rimasto a rimuginare su quello che avevo detto un po’ più del dovuto.

Ero così frustrata per non essere riuscita a rivedere mio padre che non avevo capito.

Sussurrai fra me e me più che altro, ma le mie parole avevano attirato l’attenzione degli altri presenti che – voltatami – me li ritrovai a fissarmi incuriositi.

Voi… mio… io… cavolo! Mio padre lavorava per la vostra organizzazione, era durante una vostra missione che… lo avevo detto tutto d’un fiato rendendomi conto che non era esattamente quello che avrei voluto dire.

Mi dispiace, non credevamo che…

Prese a parlare Peggy, ma la fermai prima che potesse continuare. Per la miseria, avrei dovuto seriamente migliorare il mio modo di esprimermi.

No no, non volevo dire che voi… insomma, voi cambierete il mondo. Magari non sarà perfetto, ma lo renderete un posto migliore. Mio padre credeva in quello che faceva, credeva nello Shield e anche io. Per tutta la mia vita non ho voluto essere altro che una di voi e, per cinque minuti, questa sera mi è stato possibile. E mi spiace di aver rovinato tutto alla festa, ma quello è stato il momento più bello della mia vita.

Sussurrai prima di voltarmi nuovamente a osservare il disegno su quel muro. Forse non ero riuscita a poter parlare con mio padre, ma in quel momento era un po’ come se lui fosse lì con me. Restai a fissare ancora per un po’ quelle linee bianche, rendendomi conto che avevo delle basse pretese per riuscire a emozionarmi davanti a un disegno. Quello, oppure mi stavo completamente rammollendo. Scossi appena la testa, mentre alle mie spalle Peggy e Howard si lanciavano un’occhiata prima che quest’ultimo non si allontanasse in direzione di quello che doveva essere il suo studio.

Ti va di fare un giro?

La voce di Peggy finii per riportarmi con i piedi per terra, così, giratami verso di lei mi ritrovai ad annuire con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Dio – avrei dovuto darmi un contegno prima che la situazione mi sfuggisse di mano, o meglio, prima che la dodicenne che era in me prendesse il sopravvento.

Fu, così, che mi ritrovai a percorrere centimetro per centimetro quella struttura cercando di frenare le mille domande che avrei voluto farle. Ce ne erano tante, troppe, ma mi ero autoimposta di tacere.

Quindi vorresti essere un agente? mi chiese lei prima di farmi cenno di accomodarmi in una delle sedie ai lati di un lungo tavolo.

Non credo di essere davvero tagliata per questo lavoro, insomma, combino un guaio dopo l’altro…

Per quello che ho visto oggi – prima di scoprire chi tu fossi veramente – credo che saresti davvero un ottimo agente.

Al suono di quelle parole i miei occhi si illuminarono, nello stesso modo quando da piccola mi ritrovavo davanti un muffin al cioccolato – i miei preferiti. Dio – Peggy Carter mi aveva appena fatto un complimento, come si sopravviveva a quello? Non ero pronta, non per qualcosa del genere e il mio cuore ne aveva appena risentito.  Per non parlare del fatto che dovevo aver momentaneamente perso le mie facoltà mentali, perché Peggy si era ritrovata a dovermi porgere una nuova domanda prima di piombare in quello che sarebbe stato un silenzio al quanto imbarazzante.

Vuoi seguire le orme di tuo padre?

Mi aveva chiesto incuriosita e dovetti pensarci su un attimo prima di poterle rispondere.

Sì e no.

Lo avevo sussurrato prima di lasciar vagare lo sguardo lungo tutta la superficie di quella stanza. Ogni piccolo dettaglio passato in rassegna come se volessi portare via con me tutto quello che potevo, stiparlo nei miei ricordi e tirarlo fuori nei giorni in cui il mio umore avrebbe vacillato. Mi sollevai in piedi continuando a osservare ogni cosa, prima di voltarmi in direzione di Peggy e puntare il mio sguardo su di lei.

Avrei voluto che mio padre fosse fiero di me come lo ero io ogni volta che guardavo verso di lui. Lo ero davvero, anche se non gliel’ho mai detto. Non sul serio. La vita sa essere complicata alle volte, beh, quanto meno la mia lo è stata.

Avevo fatto una pausa abbassando lo sguardo in direzione delle punte delle mie scarpe, mordicchiandomi l’interno della guancia.

Mia madre è morta qualche mese prima del mio sesto
compleanno, era malata. Ha lottato fino all’ultimo e ha cercato di prendersi cura di me anche quando le era impossibile sollevare un braccio. Io non avevo molti amici, i ragazzini sanno essere molto cattivi alle volte. Un giorno, avevano iniziato a prendermi in giro – non ricordo più neanche per cosa – e io avevo percorso l’ultimo pezzo di strada verso casa correndo, talmente tanto veloce che avevo finito per inciampare e sbucciarmi un ginocchio. Sono scoppiata a piangere e mio nonno, vedendomi dalla finestra, era uscito fuori per aiutarmi. Ero stata costretta a spiegargli che cosa fosse successo perché non volevo dirlo a mia madre, lei era troppo stanca e non volevo deludere mio padre.


Lo avevo sussurrato senza neanche rendermi conto del perché le stessi dicendo quelle cose. Non sapevo neanche da dove fossero uscite fuori, ma erano uscite con una facilità che mi fece paura.

Mio nonno mi portò dentro casa e fui costretta a dirgli cosa fosse successo. Fu in quel momento che mi raccontò di un ragazzo mingherlino che veniva da Brooklyn e che finì per cambiare il mondo. All’inizio non gli avevo creduto, sembrava una favola quella che mi stava raccontando. Poi, però, tirò fuori una specie di foto e allora credergli era stato facile. Mi aveva detto che non importava se quel giorno uno stupido branco di ragazzini mi avesse infastidito, fossi caduta e avessi pianto. Non fino a che avessi avuto la forza di rialzarmi, perché se quel ragazzino di Brooklyn era riuscito a farlo allora avrei potuto anche io e, non so per quale motivo, decisi di credergli quella volta.

Sussurrai facendo spallucce, sollevando gli occhi verso l’altro per impedire alle lacrime di venir fuori. Cavolo, sembrava proprio che stessi per recuperare tutti i pianti persi fino a quel momento. Avrei dovuto sicuramente fare qualcosa per i miei dotti lacrimali non appena fossi tornata a casa.

Perchè era quello che Steve faceva: lasciarti credere nell’impossibile.

Sentì Peggy pronunciare quelle parole e mi ritrovai a fissarla, consapevole che avesse ragione. Captain America era in grado di darti speranza anche quando le possibilità di riuscita erano praticamente scarse. Lo avevo visto con i miei stessi occhi, così come lo aveva visto Peggy.

Non solo lui.

Lo avevo detto senza rifletterci, notando subito dopo lo sguardo interrogativo che Peggy mi aveva rivolto. Alzai le braccia in aria indicandole tutto quello che ci circondava.

Questo, tutto questo: io che sono qui, lo Shield o il fatto che voglia diventare un agente… credi che sarebbe stato possibile senza di te? Potrò voler rendere orgoglioso mio padre facendo quello che lui faceva o voler essere coraggiosa tanto quanto Steve Rogers, ma tu sei il motivo per cui non ho ancora mollato. Tu hai cambiato il mondo e vorrei poter essere anche solo come la metà di te, ma mi ritrovo a essere goffa e a fare un disastro dopo l’altro e nonostante tutto ci sto provando. Tu sei Peggy Carter, la donna che ha reso possibile l’impensabile.

Era rimasta ad ascoltare le mie parole senza battere ciglio fino a che non si era sollevata, mentre io mi ero ritrovata a riprendere fiato. Dio – stavo dando proprio il meglio di me non stando zitta neanche un solo secondo.

Lascia che ti dica una cosa, Eleanor. Smettila di cercare di essere qualcuno che non sei solo perché credi di non essere abbastanza. Sono incredibilmente lusingata per quello che hai detto e dovrei ringraziarti, ma non lo farò perché tu non hai bisogno di somigliare a me. Va lì fuori e non aver paura di dimostrare ciò che vali, perché potresti rimanere sorpresa di quello che potrebbe succedere.

Lo aveva detto guardandomi negli occhi e io a stento ero riuscita a mantenere il contatto con il suo sguardo. Avevo sentito il cuore battere un po’ più velocemente e una strana sensazione invadermi il corpo. Non avevo potuto fare altro che allungare le braccia nella sua direzione e avvolgerla in un abbraccio perché – ne ero certa – non sarei stata in grado di pronunciare anche solo mezza parola. Non quando il groppo che avevo in gola minacciava di esplodere da un momento all’altro. Lei non aveva detto nient’altro, ma aveva finito per ricambiare la mia stretta.

D’accordo, forse attraversare un varco spazio-temporale non era stata poi una così pessima idea dopotutto. Se solo avessi potuto raccontare a qualcuno cosa fosse appena successo, ma le uniche due persone a cui avrei voluto parlarne non erano con me. Una non sarebbe mai più tornata indietro e l’altra era chissà dove a cercare di rimettere insieme i pezzi della sua vita. Per una volta, però, nonostante quel lieve senso di malinconia, andava bene così. Avrei tenuto con me quel ricordo e non avrei mai dimenticato ciò che mi era stato detto. Per lo meno avrei avuto qualcosa a cui aggrapparmi la notte quando – di tanto in tanto – lo sconforto faceva capolino.

C’è spazio anche per me?

Aveva esordito Howard – sbucato chissà dove – interrompendo quel momento. Sorridendo divertito si era avvicinato allargando le braccia nell’esatto istante in cui avevamo finito per sciogliere l’abbraccio.

No? Niente? Andiamo, ho persino aggiustato l’orologio.

Lo aveva detto con una punta di orgoglio nella voce, mentre schiudeva il palmo della mano mostrando l’orologio nuovamente tutto intero. Sgranai gli occhi per la sorpresa non riuscendo a trattenere un sorriso e un sospiro di sollievo, soprattutto quello. Fu così che mi avvicinai nella sua direzione finendo per abbracciare anche lui che non si tirò indietro a quel contatto, ovviamente.

Grazie mille signor Stark e mi spiace di averle causato troppi problemi.

Lui aveva sorriso divertito prima di lasciarmi andare, trovandosi a guardarmi negli occhi.

Howard e no, nessun problema. A dire il vero mi sono divertito parecchio, sai credo che dovresti tornare un po’ più spesso da queste parti. Aveva sussurrato facendomi l’occhiolino.

Prima dovremmo cercare di farla ritornare a casa magari.

Gli aveva ricordato Peggy, mentre mi appuntavo l’orologio al polso e lanciavo un’occhiata al quadrante. Mancava circa mezz’ora, ergo avremmo dovuto sbrigarci se fossi voluta arrivare in tempo o sarei semplicemente rimasta bloccata lì. Non che, in realtà, la cosa mi sarebbe dispiaciuta così tanto. Era strano, ma mi piaceva essere lì con loro era un po’ come sentirsi a casa ad anni luci di distanza.

Ebbi appena il tempo di lanciare un’ultima occhiata a quella che era la prima base dello Shield, prima di uscire da lì e una volta in macchina avviarci in direzione del vicolo in cui tutta quella avventura aveva avuto inizio.

Jarvis correva per le vie della città, mentre io tenevo d’occhio le lancette che si avvicinavano pericolosamente all’ora X. Nel momento in cui notai l’insegna dell’ L&L Automat. Jarvis sterzò in direzione del vicolo prima di inchiodare di colpo facendoci sobbalzare. Si ritrovò a mormorare delle scuse nel notare le nostre occhiatacce. Un secondo più tardi eravamo tutti e quattro fuori dall’auto e ci bastò voltare l’angolo ed entrare nella zona più interna di quella stradina per vederlo.

Per la miseria… sussurrò Howard non impedendosi di spalancare la bocca.

Peggy dovette trattenerlo per un braccio prima che quello a saltare in quell’ammasso gelatinoso viola fosse lui. Sorrisi scuotendo la testa, scienziati tsk.

Lanciai un’occhiata al varco prima di voltarmi nella loro direzione.

Volevo scusarmi ancora con tutti voi per il disagio che vi ho causato, ma volevo anche ringraziarvi. Non solo per il vostro aiuto, ma perché per un attimo mi sono sentita parte di qualcosa e mi è piaciuto.

Sussurrai prima di abbracciarli uno per uno. Dio, come odiavo gli addii. Lasciare andare qualcuno era la cosa più difficile di questo mondo, soprattutto quando si aveva la consapevolezza che non ci si sarebbe rivisti mai più.

E’ stato un piacere conoscerla signorina. Mi aveva sussurrato Jarvis prima di lasciarmi andare.

Sai, puoi sempre tornare a farci visita o possiamo venire noi.

Aveva proposto Howard con un’espressione di totale innocenza finendo per strappare un sorriso a me un’occhiataccia a Peggy. Ero certa che se ne avesse avuto la possibilità lui sarebbe stato il primo a tuffarsi dall’altra parte. Scossi la testa divertita prima che la mia attenzione non fosse attirata dalle parole di Peggy.

Non dimenticare quello che ti ho detto, d’accordo?

Non lo farò.

Ammisi annuendo con un cenno deciso della testa, prima di avviarmi in direzione di quel varco. Ero sul punto di attraversarlo quando non mi ritrovai a bloccarmi. Mi morsi il labbro indecisa, altamente consapevole che quello che stavo per dire non sarebbe stata una buona idea, ma non potevo andarmene così. Non potevo, soprattutto dopo tutto quanto successo e dopo che avevano deciso di credermi e aiutarmi. Sollevai gli occhi al cielo, decidendo che qualunque sarebbe stata la conseguenza delle mie parole l’avrei affrontata.

Ci sarà un momento nel 2014 in cui vi servirà un piano B e, fossi in voi, inizierei a pensarci fin da ora.

Lo sussurrai, ma non così piano da non essere sentita.

Cosa succederà nel 2014?

Fu Howard a chiedermelo, troppo curioso per poter resistere alla tentazione. Lanciai un’ultima occhiata nella loro direzione, prima di rispondere.

Lo Shield cadrà.

Quella fu l’ultima cosa che dissi loro, prima di saltare in quel varco e scomparire dalla loro vista per sempre. Un attimo più tardi, mi ritrovai al centro della camera di Eddie – due occhi puntati su di me – e tutto quello che era appena successo sembrava essere solo un sogno lontano.
 
 

***

 
 
Era strano come, ogni volta, finissi per ritrovarmi immersa in un’avventura talmente assurda da non riuscire neanche a raccontarla e, un attimo dopo, tornare al punto di partenza: sola. Avevo spiegato a grandi linee a Tim cosa fosse successo. Lui ed Eddie non mi avevano permesso di lasciare la stanza fino a che non avessi raccontato loro tutto.

Avevo finito, così, per dire loro l’essenziale. C’erano alcune cose che, invece, avevo preferito tenere per me, al sicuro. Dopo, però, mi ero ritrovata nel vuoto del mio appartamento e una parte di me – una piccolissima parte – aveva pensato che forse tornare non era stata poi una così brillante idea. Non quando dall’altra parte non c’era nessuno ad aspettarmi. Certo, non che le persone fossero al corrente che avessi appena rischiato la vita saltando in un cunicolo spazio-temporale, ma quello era un dettaglio. Non potevo certo andare dai miei nonni e dir loro che avevo appena fatto una cosa del genere senza pretendere di non causare un duplice infarto. Volevo troppo bene a entrambi, quindi – quando quella domenica ero andata a pranzo da loro – non avevo neanche menzionato quello che avevo fatto qualche giorno prima. Ero rimasta sul vago, parlando di una festa e qualche persona nuova incontrata. Erano stati entusiasti i miei nonni di sapere che avevo fatto nuove amicizie. Se solo avessero saputo che quelle amicizie erano di un’altra epoca.

Magari un giorno avrei finito per raccontargli ciò che mi era successo, ma per il momento avrei optato per qualcosa di diverso. Fu, così, che mi diressi in direzione della casa di riposo a nord della città. Ci avevo impiegato circa tre quarti d’ora e presi due mezzi pubblici, ma finalmente mi ritrovavo davanti la porta d’ingresso dell’edificio. Scivolai al suo interno guardandomi intorno, prima di avviarmi in direzione della reception chiedendo informazioni. La donna al di là del bancone mi sorrise dolcemente indicandomi una delle stanze lungo il corridoio, non prima di aver sospinto verso di me il registro delle visite. Afferrai la penna posata al centro di quelle due pagine per apportare la mia firma, quando non notai un nome famigliare spuntare tra le ultime righe.

Steve Rogers.

Mi morsi un labbro inferiore e – firmato il registro – sorrisi all’infermiera. Inforcai gli occhiali da sola, raccolsi i capelli dietro la nuca e mi sistemai il cappuccio in testa. A testa bassa percorsi il lungo corridoio nell’esatto momento in cui Steve non fece capolino dall’ultima stanza, la stessa che avrei dovuto raggiungere io. Ci incrociammo a metà strada, il mio volto coperto per metà e un semplice cenno del capo. Una volta superato mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo ringraziando il cielo per aver avuto un buon maestro del passare inosservati. Non ci sarebbe certo stato nulla di male se Steve si fosse accorto di me – ammesso e concesso che si ricordasse della sottoscritta. Il problema era trovare una scusa sufficientemente plausibile per giustificare la mia presenza lì. Lanciai un’occhiata alle mie spalle, notando la sua figura allontanarsi lentamente e – una volta averlo visto uscire – mi infilai nella stanza a pochi passi da lì.

Una donna anziana – i capelli bianchi a incorniciarle il volto – era stesa nel letto al centro della camera. Vidi i suoi occhi soffermarsi su di me, lievemente socchiusi e mi ritrovai ad abbassare il cappuccio lasciando scivolare i capelli corvini lungi le spalle. Sfilai gli occhi appuntandoli alle maglietta bianca prima di fare un passo avanti. Il volto della donna finì per stendersi in un ampio sorriso.

Ti stavo aspettando.

Sussurrò dolcemente facendomi segno di raggiungerla. Mi avvicinai e, sistematami al suo fianco, le afferrai una mano stringendola delicatamente tra le mie.

Scusa il ritardo, Peggy.







 


NdA:
Ed eccoci giunti all'ultimo capitolo. :(  Mi sono davvero divertita molto nello scrivere questa piccola storia e, in qualche modo, spero di essere riuscita a rispondere a tutte le domande che erano rimaste in sospeso o quanto meno in parte. Eleanor è riuscita a farcela nonostante le mille disavventure. Bisogna solo sperare che non ci siano troppe conseguenze a causa di questo suo viaggio nel tempo, chissà. In ogni vaso, volevo ringraziare tutti per aver voluto seguirmi storia dopo storia. Sono sempre dell’idea che senza di voi non sarebbe stato lo stesso, quindi grazie di vero cuore perché ci tenevo particolarmente a questa storia. Prima di salutarvi volevo dirvi anche che in realtà c’è qualche altra cosa in cantiere come vi avevo accennato. Probabilmente fino alla fine vi stancherete di me, lo so lo so. xD In ogni caso dicevo, ci sarà un seguito che è in fase di lavorazione e non manca poi molto, ma ho deciso di aspettare a pubblicare perché preferisco avere tutto pronto come per le storie precedenti. Tra l’altro siamo ad agosto quindi quasi tutti in vacanza. Io per prima a breve mi allontanerò per qualche settimana quindi a parte il cellulare non avrò internet e mi sarà impossibile pubblicare. Ergo, per tutta questa serie di motivi ho deciso di darvi appuntamento per la fine di agosto inizi di settembre per il resto perché, beh, ci saranno delle conseguenza da affrontare, no? Se la storia vi è piaciuta, se volete scoprire che succederà ora a Eleanor e se finalmente avrà una gioia, ma soprattutto se vorrete farmi ancora compagnia ci rivedremo presto a vacanze concluse. Grazie mille ancora a tutti, vi mando un abbraccio enorme. Un bacio, - LadyBones.

 

   
 
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