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Autore: Kira Eyler    03/08/2016    6 recensioni
[Raccolta di One-Shots che funge da prequel di "Pazzia"]
[SOSPESA causa motivi spiegabili in MP. Scusatemi tutti.]
Dopo che due autrici mi hanno detto di fare un prequel sui due gemelli apparsi in "Pazzia", mi è venuta l'ispirazione per una raccolta di One-Shots su loro due. Le Shots avranno tutte un prompt diverso e solo a volte saranno collegate.
01. Inizio: "[...] -Souru, sorridi! Li ho uccisi, ti rendi conto!? UCCISI!- esclamò Katsumi, rimettendosi a ridere. Souru scoppiò in un altro forte pianto a dirotto, stringendosi al fratello e battendo i pugni sul suo petto [...]"
03. Maledizione: "[...] Un paio di fiammelle blu scesero, fluttuando, dalle scalinate del Tempio, e con voce infantile e alta parlarono: “Chiunque uccide un bambino accanto al Tempio, verrà ucciso in modo violento”
05. Bambole: "[...] -Bonjiro, giusto in tempo! La governante stava dicendo che mi usi a tuo piacimento, come se fossi la tua bambola!- [...]"
09. Specchio: "[...] -Hai capito il concetto, più o meno...- gli disse, celando la tristezza -... Ricordati di trovare qualcuno che raccolga tutti i pezzi, non solo i più grandi e quelli meno taglienti. D’accordo?-[...]"
Genere: Angst, Dark, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Marionetta pazza'
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02. Segni indelebili

I giornali della vivace città di Tokyo non parlavano d’altro, ormai: “Due ragazzi di dodici anni danno fuoco alla loro abitazione uccidendo i genitori”.
Sotto il titolo in carattere cubitale, vi era l’interrogatorio con Katsumi Harada, reso pubblico poiché già le prime parole, i gesti e l’emozione del ragazzino facevano capire che lui e la sorella erano dei pazzi. Il ragazzino, infatti, parlava di omicidio premeditato: agli agenti aveva detto di aver costruito uno speciale marchingegno in soffitta, per far scoppiare una tanica di benzina, bruciando poi la candeggina. La sorella aveva poi detto che prima dei genitori avevano ucciso altre persone; la polizia ne era certa: i due giovani sarebbero andati in un manicomio, ma prima, come regola della città di Tokyo, dovevano stare un mese in carcere.
Souru venne costretta dal fratello a inventare quegli omicidi e, essendo sotto shock, non oppose resistenza, ma dentro di sé aveva paura: paura della polizia, paura di continuare a vivere, paura del fratello e del pensiero che potesse far del male anche a lei. Ormai sembrava non conoscerlo più: mai si sarebbe aspettata una simile cosa dal fratello.
I due, in prigione, non rimasero nemmeno due settimane: nel cortile, Katsumi uccise un uomo e poi si allontanò come se non fosse successo niente, consegnando agli agenti l’arma del delitto. Furono trasferiti in un manicomio molto famoso a Tokyo, poiché facevano portare ai pazienti alcuni oggetti personali e abiti completamente loro: questo per studiarli. Studiarli perché dovevano capire chi era veramente pazzo e chi no, e solo con gli oggetti personali potevano capirlo.
Katsumi e Souru vennero subito rinchiusi lì, poiché alla polizia Souru sembrava innocente e colpevolizzata dal fratello; fecero così prendere ai fratelli le poche cose che si erano salvate nella loro casa: due fotografie e un peluche. Solo la ragazzina, però, prese le cose trattenendosi dal piangere disperata.
Ora i gemelli si trovavano nella loro stanza del manicomio, sorvegliata da una telecamera: Souru se ne stava seduta su uno dei due letti, a giocherellare con la gonna della sua divisa scolastica a scacchi marroni e bianchi. Non le piacevano gli abiti del manicomio, completamente bianchi, e preferiva rimanere in divisa scolastica; Katsumi, invece, aveva preferito togliersi la divisa ed indossare quelli del manicomio. Fu mentre si rivestiva che Souru poté notare dei segni violacei e altri rossastri sulla pelle del fratello.
-Katsumi- lo chiamò allora, pur temendo una sua reazione brusca.
Il ragazzo si infilò la maglia bianca e osservò la sorella, con gli occhi gialli che sembravano non esprimere alcuna emozione.
-Cosa sono quei segni?- chiese rabbrividendo, con un tono preoccupato.
Katsumi sorrise in modo sadico, avvicinandosi alla sorella che deglutì spaventata. Si sedette affianco a lei e chiudendo gli occhi rispose, con la massima semplicità:
-La ragione per cui ho ucciso quell’uomo- si interruppe, osservando la sorella negli occhi.
-Ti ha... picchiato?- chiese Souru con tono amorevole, stringendo a sé il fratello.
-Diciamo che voleva toccarmi in malo modo- rispose Katsumi.
Souru sgranò gli occhi, che iniziarono a riempirsi di lacrime. Quell’uomo, all’inizio, aveva dimostrato atteggiamenti poco carini nei suoi confronti: per esempio, con la scusa di inciampare, le toccava il sedere o qualsiasi altra parte del corpo, nelle poche volte in cui poteva accedere al cortile maschile per vedere il fratello*. D’un tratto aveva poi smesso, ma non pensava che avesse iniziato con suo fratello.
-e nessuno mi tocca. Nessuno.- continuò lui, stringendo i pugni sul lenzuolo bianco del letto e tremando per la rabbia.
Ricordò il momento in cui quel pazzo l’aveva gettato a terra nel cortile e con un coltello si era avvicinato a lui, sotto gli incitamenti degli altri uomini. Aveva poi gettato il coltello a terra e aveva iniziato a cercare di togliere la maglia al ragazzo, senza però ottenere alcun successo; quando però aveva iniziato ad avere aiuti dagli altri, che tenevano fermo Katsumi, quest’ultimo non ce l’aveva più fatta: liberandosi dalla presa, senza nemmeno sapere con quale forza, afferrò il coltello e lo conficcò nella testa dell’uomo.
Aveva iniziato a toglierlo e riconficcarlo contando le volte in cui, tentando di fare la stessa cosa, l’aveva picchiato e le volte in cui aveva toccato il suo corpo.
Sorrise sadicamente e si mise a ridere.
-Ma l’ho ucciso! L’HO UCCISO!- esclamò d’un tratto, facendo staccare la sorella da lui -E solo io so quanto ho goduto nel vederlo morire!-
-B... Beh... qui hai avuto ragione...- sussurrò Souru, meravigliandosi delle sue parole qualche secondo dopo. Abbassò lo sguardo e fece dondolare le gambe, strusciando le scarpette marroni tra loro -Però non uccidere più. Promettimelo! Anzi, giuralo su ciò che hai di più caro!-
Katsumi la guardò confuso. Per un attimo si sentì in colpa per ciò che aveva fatto, ma la sensazione scomparve dopo pochissimo tempo. Finse un sorriso sincero che gli riuscì benissimo, stringendo la mano della sorella; Souru lo guardò.
-Te lo prometto. Però...- si avvicinò con le labbra all’orecchio della sorella ed abbassò il tono della voce, fino a renderlo quasi impercettibile -... ora dobbiamo uscire da qui!-
Passarono due mesi: i gemelli avevano chiesto alle guardie del manicomio di togliere la videocamera, poiché “avevano vergogna di mostrarsi e di cambiarsi”. Il motivo era, ovviamente, falso, ma le guardie acconsentirono, lasciando al posto della videocamera un piccolo microfono ben nascosto nella stanza bianca.
I ragazzi avevano tentato in quei mesi di evadere in ogni modo e con ogni mezzo, arrivando addirittura a calarsi giù dalla finestra: Souru, però, per la paura di essere scoperta, faceva sempre fallire i piani di Katsumi, che non ne poteva più. Un giorno le guardie decisero di separarli, per evitare altri tentativi di fuga: vedendo però che, dopo alcune settimane, Katsumi aveva smesso di parlare a Souru ed entrambi avevano smesso di cercare di fuggire, li rimisero insieme.
La prima cosa che il ragazzo fece fu disattivare il microfono nella camera della sorella. Mentre quest’ultima aggiustava il lenzuolo sul suo letto, dando le spalle al fratello, Katsumi le si avvicinò tenendo una lampada tra le mani. A sangue freddo, le diede una grossa botta sulla nuca che la fece cadere a terra, svenuta.
Quando la povera ragazza si risvegliò, si sentì strana: non riusciva a muovere le braccia e le gambe. Si accorse di avere le mani legate sopra la testa, alla sbarra metallica del suo letto, e le caviglie legate alla sbarra opposta; con orrore, si accorse di avere un pezzo di skotch sulla bocca, che le impediva di urlare. Si guardò intorno e trovò Katsumi al suo fianco, con un sorriso sadico sul volto e un taglierino in una mano: a tale vista, la ragazza si irrigidì e, sudando freddo, cercò di liberarsi e di urlare senza alcun successo. Il ragazzino si mise a ridere.
-Tranquilla, sorellina. Andrà tutto bene, non avere paura- le disse, con un tono che era l’opposto del rassicurante.
Posò il taglierino sulla gamba pallida e nuda della sorella, che si accorse solo in quel momento di trovarsi completamente nuda, con solo un misero lenzuolo a coprire le parti intime. Katsumi fece pressione con la lama dell’arma, percorrendo tutta la gamba della sorella e graffiandola; ripeté il percorso così tante volte, che alla fine la gamba iniziò a sanguinarle. Allargando il sorriso sadico sul volto, dalla gamba iniziò a salire fino al ventre della sorella, tagliando il lenzuolo e facendo man mano sempre più pressione; Souru provò ad urlare, ma le parole le tornavano indietro dopo essersi scontrate con quella ”barriera di skotch”. Provò a scuotere la testa per tentare di togliere il nastro adesivo, e provò infine ad agitare le braccia, le gambe e il resto del corpo nel tentativo di fermare il fratello sadico. Quando si accorse di ricevere più dolore ad ogni mossa che faceva e che Katsumi aumentava la pressione della lama se osava anche solo provare ad urlare, si abbandonò ad un pianto a dirotto.
Durante tutto il terzo mese del manicomio, Souru sparì dalla memoria delle persone con cui parlava di solito; alla sua assenza, Katsumi spiegava che la sorella soffriva moltissimo per essere finita in manicomio e si era, quindi, chiusa in camera sua. Se qualcuno provava ad entrare nella sua stanza, Katsumi li fermava con la classica scusa: “Non vuole vedere nessuno. Se entrate, cercherà di uccidervi. Fatela calmare.”
Souru, invece, restò tutto il mese legata al letto, sporco del suo sangue, con la bocca tappata da pezzi di skotch sempre diversi ogni settimana. Katsumi la liberava solo per farla bere o mangiare, ma se osava scappare o urlare le irritava la pelle con un accendino sottratto alle guardie.
-Dopo questo, imparerai ad obbedire. Riusciremo ad uscire da qui grazie a ciò che ti sto facendo, Souru... non volermene.- le diceva con tono velenoso, ogni volta che smetteva di torturarla, cercando di giustificarsi.
In quel mese, la vittima di Katsumi veniva torturata non solo con delle lame, ma anche con degli accendini: tutto ciò la rese stanca, debole, desiderosa di diventare come il fratello e di obbedirlo pur di non venir più torturata. Ormai non reagiva più alle lame o al fuoco dell’accendino: faceva solo dei piccoli sussulti e poi, cercando di non emettere gemiti di dolore, lasciava scivolare le lacrime sulle guance.
Souru ascoltava sempre ciò che il fratello le diceva e si preoccupò di tenere bene a mente alcune cose: quando sarebbero scappati, il suo nome doveva cambiare e così anche la loro data e il loro luogo di nascita.
Quando finalmente quelle torture finirono e Katsumi decise di liberarla, per farla pulire e vestire, Souru sorrise timidamente, consapevole di essere completamente cambiata.
-Fuggiremo ad Osaka- iniziò Katsumi mentre si sdraiava sul letto del manicomio, aspettando che la sorella finisse di vestirsi -Ho trovato un amichetto qui che ci ha assicurato una casa e anche dei finti genitori, per frequentare la scuola. Devi solo scegliere un nome finto, ma scegline uno molto usato-
-Ayano- sentenziò Souru, apatica. Finì di vestirsi e raggiunse il fratello, sedendosi accanto a lui -Voglio chiamarmi Ayano: come nome è carino, suona bene. Si intona con il nostro cognome: Ayano Harada!-
Katsumi sorrise e si mise a sedere, accarezzando la testa della sorella che non provava alcun rancore verso di lui: la sua mente distrutta le impediva di provare rancore verso il suo unico punto d’appoggio.
-Io, se devo scegliere tra Ryota e Bonjiro...- si fermò, dopo aver elencato i due nomi più diffusi nella città di Osaka**. Puntò i suoi occhi gialli in quelli della sorella e continuò: -... scelgo Bonjiro.-
Si alzò dal letto, e cambiò il discorso di poco.
-Se qualcuno ti chiede come ti chiami, devi rispondere: Ayano Harada. Se invece ti chiedono quando sei nata e dove, devi dire così: Fukushima, il 2 marzo- concluse.
Souru, ora Ayano, annuì alle parole del gemello: le dispiaceva aver cambiato data e luogo di nascita, ma sapeva di non poter fare altrimenti. Il suo orgoglio di essere nata a Tokyo doveva essere cancellato.
Arrivata la notte, grazie ad uno degli amici dell’uomo con cui Katsumi, ora Bonjiro, aveva parlato, riuscirono a scappare intrufolandosi in un furgone: questo era entrato con la scusa di portare acqua e cibo, e, anche corrompendo una guardia, era uscito indisturbato coi fratelli. Ayano capì con orrore che quell’uomo altro non era che un membro della Yazuka, una mafia giapponese***: temeva che le avrebbero fatto del male, o peggio che avrebbero chiesto dei soldi che non avevano. Fortunatamente, l’uomo alla guida disse che suo fratello, chiuso nel manicomio, aveva parlato molto bene di Katsumi e che quindi offriva una casa gratis. Ayano sorrise a quelle parole, imitata da Bonjiro.
L’uomo parlò ai due di una coppia della Yazuka, che avevano deciso di fingersi loro genitori falsificando dei documenti sotto le indicazioni di Bonjiro.
Alla parola “genitori”, Ayano si intristì profondamente. Mentre il furgone li portava all’aeroporto per fuggire ad Osaka, lei pensava a tutto ciò che le era accaduto con profonda tristezza: l’omicidio dei genitori, la scoperta delle violenze che il fratello subiva in carcere e, per finire, le torture che le aveva infierito. Tutto ciò, per lei, sarebbero rimasti segni indelebili scritti nella sua mente e anche in quella del fratello, diventato un essere sadico proprio a causa loro.

* in Giappone esistono i carceri maschili e quelli femminili: tuttavia, un maschio, durante una precisa ora, può andare a trovare una ragazza nel cortile del carcere femminile (ovviamente, sotto osservazione delle guardie), o viceversa.
** ho fatto una grossa ricerca prima di inventare i loro nomi. Ho scoperto per puro caso che i nomi "Ryota" e "Bonjiro" sono molto usati ad Osaka e in altre città giapponesi (fatto divertente: sempre dove l'ho scoperto, c'era scritto che a volte, nelle classi, si trovano addirittura dieci persone chiamate Ryota/Bonjiro xD)
*** la Yazuka (che, se vi serve, si pronuncia "iazzuca", con la Z di "zucchero") è una delle più famose mafie giapponesi. Ne', mica il Giappone è tutto rose e fiori!

Angolo Autrice:
Capitolo piuttosto triste-macabro, eh? x" Eh vabbè, non credo ci sia molto da dire. Se vi chiedete "ma come? Non dovrebbero essere sorvegliati manicomio/carcere?" (e avete ragione!), vi rispondo così: ho chiesto tutto ad una mia cara amica che vive in Giappone. Siccome gli atti di violenza in quel paese sono all'1%, le guardie non prestano la reale attenzione che dovrebbero prestare... ovviamente, non in tutti gli edifici, si intende. Poi, credo che il capitolo parli da solo xD 
Se ci sono errori (T_T l'ho letto sei volte...), scrivete nelle recensioni. Spero vi sia piaciuto! Il prossimo chappy sarà più leggero dei primi due. Alla prossima,
Kira-chan *che durante le vacanze sta scrivendo sempre*



 
   
 
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