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Autore: korime    05/08/2016    1 recensioni
Una bambina che si muove in un mondo reale accompagnata da una presenza surreale, questo mondo è il mare e l'estate dell'infanzia che tutti noi abbiamo vissuto, e che io desidero tanto rivivere anche solo per un istante.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sveglio con il suono delle onde che cullano i sonni di tutti i campeggiatori, ma non mi alzo dal letto.
Perché farlo?
E'un cullare così dolce, come le carezze di una madre amorevole che dicono“goditi ancora questa quiete”. E per un po’ lo faccio, richiudo gli occhi gustandomi il fresco del lenzuolo che copre il mio letto nel carrello tenda e rannicchio le gambe sotto la coperta leggera, pizzicata dall'aria marina che rende il sonno più piacevole.
Le notti calde passate a Milano mi sembrano così lontane, non solo nella distanza ma anche nel tempo, come se non dovessi viverle più.
So che non è così, dentro di me lo ricordo benissimo, e so anche che non voglio abbandonare per sempre Milano, perché quel posto ha tanto di importante per me, ma mi godo l’illusione che quella oasi di pace estiva duri un tempo sufficiente per essere una fetta intera della mia crescita.
Lontana dalla scuola, lontana da visi che sorridono amichevolmente e altri che deridono il mio essere, solo per loro a quanto pare, diversa.
Qui invece mi sento la mia semplicità addosso, e mi piace così.
Sono così quieta e rilassata che da una parte vorrei alzarmi per godermi il bello di quel luogo, dall’altra quel riposo è così dolce da non darmi via di fuga.
Ma la mano dolce della Brezza marina mi culla i capelli ancora e mi guarda sorridendo.
Apro gli occhi finalmente e guardo verso la nicchia dove è posizionato il letto dei miei genitori. Sonnecchiano l’uno accanto all’altra, probabilmente anche loro rilassati da quel riposo meritato dopo un anno di fatiche e sacrifici. Non invidio molto la loro posizione, sono costretti a dividere quel letto mentre io ho uno spazio per due tutto per me, da quando mio fratello ha deciso di soggiornare nel campeggio nella tenda con il suo gruppo di amici.
Francamente, non potrei sentirmi più fortunata in queste piccole cose.
-Non riesci proprio a dormire vero?- la Brezza parla di nuovo e io mi volto a guardarla con occhi vispi e svegli, ormai privi di sonno.
-Dovrei andare a fare pipì.- dico a bassa voce per non svegliare mia mamma che si rigira nel letto proprio in quel momento. Con mio padre c’è meno rischio che accada.
-Devi metterti la giacchetta di jeans e uscire dal carrello tenda e dirigerti ai bagni comuni, non è sempre una brutta fatica?- dice lei con le sue labbra colorate di azzurro, sulla sua pelle bianca come la schiuma del mare.
-Non particolarmente.- mi alzo stiracchiandomi e do un’altra occhiata a mia mamma. I capelli riccioli e rossi le nascondono un po’ il viso.
Non voglio svegliarla, non solo perché poi comincerebbe a fare un po’ di lagna, ma anche perché sembra davvero rilassata in quel momento.
Mi infilo la giacca e prendo le scarpe da tennis, mi lego i lunghi capelli chiari (non immagino minimamente che tra una manciata di anni saranno coperti da una pesante tinta nera) e scendo nella zona giorno del carrello.
La parte più dura è sempre quella di tirare giù la cerniera per l’uscita, posizionata nella stoffa della tenda nella parte frontale, senza fare eccessivo rumore, quindi la apro solo dal basso per pochi centimetri, per creare giusto un buco che mi permetta di sgattaiolare fuori a carponi fino ad arrivare al tappeto di ingresso appena fuori, dove mi alzo e ammiro la statica calma tra le piazzole dei carrelli tenda, il mio insieme a quelli dei miei parenti.
Tre in tutto, più due camper, come tutti gli anni, ma io sono sempre dell’idea, senza falsa modestia, che il mio dalle pareti arancio, con decori floreali dai toni autunnali (una bizzarra ironia visto che lo utilizziamo d’estate) resti il più bello.
-Piacevole cielo oggi, come piace te, azzurro, con spruzzi di nuvola bianca che sembrano cumuli di panna montata.- dice la Brezza indicandomi il cielo con le sue mani vaporose ed evanescenti.
-Anche oggi andremo in spiaggia.- dico contenta -Chissà che ore sono. Non posso metterci troppo tempo, prima che si sveglino tutti, poi la mamma si spaventerebbe, lo so.- la Brezza ride leggiadra e la sua voce appare sempre come un leggero suono di onda che si infrange piccola e calma sul bagnasciuga della spiaggia di sotto, oltre la cancellata di fil di ferro dopo gli alberi che circondano le piazzole.
-Puoi stare tranquilla tesoro, non sono nemmeno le sette del mattino, mancano almeno due ore prima che inizino a svegliarsi tutti quanti per scendere in spiaggia.- più tranquilla, mi avvio verso i bagni comuni e guardo le tende del “vicinato” di campeggiatori, lungo la via. Qualcuno già sveglio c’è, e qualcuno mi saluta anche. Pescatori per lo più, come mio zio, che sicuramente sarà già in spiaggia da almeno mezz’ora.
-Dove vai tutta sola così presto?- mi domanda qualcuno e io rispondo di fretta perché non ho quasi mai voglia di chiacchierare in quei momento di solitudine personali, esclusa la Brezza ovviamente.
Mi diverto invece a guardare come sono fatte le loro tende e i camper, i loro colori e disposizioni. Sono tutti così diversi, alcuni quasi mi arrecano una certa invidia e li considero anche più belli del mio.
Ma poi mi ricordo che il mio caro carrello è la mia casa e dentro di lui mi sento al sicuro come in nessun posto quasi, esclusa la mia casa a Milano, ma per ora non esiste, non esiste nulla al di fuori di quel universo di mare.

La Brezza mi aspetta fuori dal piccolo edificio di cemento bianco col tetto in legno, che ospita i bagni e le docce comuni, in quel momento deserto e silenzioso.
Il pavimento è sempre umido, a rischio scivolo ad ogni passo, ma non è  importante per me, è una delle tante piccole cose a cui nemmeno faccio caso in questo posto. Fino a quando non ruzzolo a terra facendomi male, ovviamente.
Uscita dai bagni, La Brezza mi tocca la spalla e la sua freschezza mi pervade ancora sul collo e sotto la giacchetta di jeans. Il suo corpo fatto di leggeri fumi azzurrini dentro i quali si intravedono movimenti di onde d’acqua, sta sollevato due centimetri da terra, come sempre, e cammina al mio fianco senza smettere di osservarmi. I suoi capelli celesti e sempre in movimenti nell’aria avvolte mi ipnotizzano.
Per chiunque potrebbe apparire spaventosa, forse, sinceramente, per me no.
-Ho una piccola idea, facciamolo di nuovo.- suggerisce e io capisco subito.
-Dici che abbiamo tempo?-
-Tutto il tempo del mondo mia piccola cara, tu fingi che sia così e lo sarà.- sorrido, mi piacciono quei giochi di fantasia.
Allora non esito e rientriamo svelte nel carrello tenda. I miei ancora dormono per fortuna e mia mamma mi ha preparato il giorno prima il costume da indossare oggi.
Mi tolgo il pigiama e me lo infilo in piedi sulla piccola striscia di pavimento che separa il mio letto da quello dei miei nella zona notte, prendo anche il mio pareo bianco (mi diverto a fingermi una giovane donna bella e dal buon gusto avvolte) e mi ci fascio i fianchi, immaginandomi come saranno una volta raggiunta una età in cui avrò un corpo femminile simile a quello delle belle ragazze che fanno parte dell’animazione del campeggio.
-Ti sta bene il costume nuovo tesoro, ho passato tutto l’anno a immaginare quali costumi avresti comprato questa volta.- Brezza mi riempie sempre di complimenti che mi mettono in imbarazzo ma mi fanno anche alzare l’autostima. Sono poche le persone che me ne fanno in genere, a scuola mi considerano tutti davvero brutta, e forse lo sono, ma quando sono in quel universo di mare mi dimentico anche di loro.
Usciamo di nuovo dal carrello e noto mia zia che sta strappando dell’erba davanti all’ingresso della sua tenda. E’ chinata in avanti, ancora in camicia da notte, ma mi da le spalle e non mi vede, così non sono costretta a darle il buon giorno ne a dare spiegazioni di quello che sto facendo. La saluterò più tardi insieme a tutti gli altri, mentre facciamo colazione con le pareti frontali dei carrelli e delle postazioni dei camper aperti, per guardarci tutti quanti.
È sempre come se stessimo mangiando tutti insieme e la cosa mi piace molto.
-Attenta a non farti male.- mi dice la Brezza mentre costeggio la recinzione di fil di ferro, oltre la quale parte subito la spiaggia, che scende verso il basso in diagonale come una collinetta. Sento già la sabbia che mi entra nelle ciabatte ed è ancora fresca. Però brezza ha ragione, lì è sempre pieno di spighe e spinette oltre che di pezzi di pigna, non so quanti dolori ho subito camminando senza cura a piedi nudi su quel punto.
Mi immetto nella passeggiata di legno oltre il cancelletto da cui, tutti i giorni e tutti i pomeriggi, passiamo per andare verso i nostri ombrelloni prenotati, fissi poco più indietro della striscia di sassi che sta davanti alla riva del mare. Mi guardo attorno e in lontananza vedo solamente canne da pesca e uomini con cappellini in testa per coprirsi dal sole, ancora pallido a quell’ora, ma abbastanza lucente e vivo da disegnare sul mare una corona di strass lucenti su un fondo azzurro, una visione paradisiaca che, se avessi la capacità che forse avrò in futuro, dipingerei per immortalarla e gustarmela anche nei giorni in cui torno intrappolata nell’entroterra del Nord Italia.
Mi fermo sulla passeggiata di legno e rimango ferma per un po’ solo a contemplare in silenzio e Brezza è dietro di me. So che sorride anche lei e il suo corpo di aria e acqua viene un po’ smosso dal venticello leggero che mi colpisce la coda di cavallo, ma non si muove, rimane lì ferma e finge di ammirare quello che ammiro io, ma so che in realtà ha sempre guardato me, non con ammirazione o desiderio o qualunque cosa affine, ma con materno interesse, protezione, affezione, perché siamo legate in un modo o nell’altro, ma lei appartiene a quel mondo di mare ed è così abituata a quella bellissima vista che forse non le fa più effetto.
Io appartengo a due mondi invece, diversi, e sebbene quello in cui mi trovo ora lo percepisco più affine a me, non posso rinnegare comunque Milano, e la vita che là mi aspetta.
Ma non voglio perdermi in questi sensi di colpa adesso, Brezza non vorrebbe. Ricomincio quindi a camminare, fino al nostro bell’ombrellone con sopra il marchio a forma di cuore di quella marca di gelati che io e mio cugino consumiamo quasi tutti i pomeriggi al bar del campeggio.
Mi tolgo le ciabatte abbandonandole vicino all’asta dell’ombrellone, sepolta per un quarto nella sabbia, e supero la striscia di sassi ridendo insieme a Brezza per tutta la fatica che faccio. Quei piccoli maledetti pungono sotto i piedi in maniera bestiale.
-Beata te che non li senti.- dico stringendo i denti.
Arrivo alla riva del mare e lascio che le leggere onde mi raggiungano fino alle caviglie.
Come quasi tutte le mattine, lui è calmo, increspato solo dai piccoli movimenti delle sue acque.
L’immenso sposo di Brezza.
Invidio il loro amore eterno. Lei è bellissima, lui è maestoso, sono la coppia perfetta e io mi sento come se fossi anche figlia loro.
Siamo tutti figli loro, a partire da mio nonno fino ad arrivare a me, che sono ancora l’ultima di quella piccolissima discendenza.
L’azzurro … è grazie a loro se è il colore che più amo.
Brezza accarezza il manto del suo amato mentre cammina al mio fianco lungo la riva. Guardo lo specchio della sua acqua e vedo il fondo di sassolini, dai mille colori e i mille riflessi. Io e mio cugino ci divertiamo sempre a trovarne di nuovi, sempre più belli e sempre più particolari, e fingiamo che i frammenti di bottiglie verdi, che consumate dal sale e dall’acqua divengono levigati e privi di spigoli appuntiti, siamo smeraldi preziosi e li conserviamo insieme alle pietre più belle, nascoste nei nostri bicchieri di plastica che fanno da portagioie per i nostri piccoli tesori, insignificanti per chi non ha più gli occhi di un bambino.
Ne prendo in mano uno immergendo le ginocchia e la mano. È bianco con segni grigi che lo incidono per tutto il suo marmoreo corpo. Lo guardo nella sua lucentezza data dall’acqua che ancora lo bagna.
Alla luce del sole brilla.
Brezza si affianca al mio viso e lo guarda con me. Quando mi è così vicina sento il suono del movimento delle onde nel suo corpo e si  mischia a quello che provoca il suo amato davanti a noi.
La pietra tra le mie dita, che reggo in alto verso la luce del sole, stagliata contro il cielo, diventa l’ennesimo gioiello che mi fa amare quel posto che vedo solo per un mese all’anno, ma che sento come il posto che mi ha cresciuta davvero.
-Quanto durerà?- domandò poi come presa da un’ansia improvvisa. Brezza mi guarda mentre abbasso la mano e nascondo il sasso tra le dita –Per quanto tempo potrò venire qui l’estate? Io sento che è una cosa eterna, ma lo è davvero?- la guardò e cerco una sicurezza che il suo sguardo freddo e i suoi occhi bianchi non mi danno.
Perché no? Non è quello che ha sempre fatto?
-Piccola mia.- dice poi e quando sento questa parola non mi piace mai. Inclina poi il capo di lato e mi guarda con un sorriso dolce ma dispiaciuto. Si rattrista per me?
Ecco ora mi sento di nuovo in colpa.
-Io temo che quando sarò grande possa stufarmi di questo posto, possa volere altro, stupidamente, credere di volere di più quando qui ho tutto quello che mi serve. Dimmi che non accadrà.- Brezza si allontana da me e si muove nell’acqua del mare di qualche centimetro più a largo. Il mare la abbraccia e la avvolge nel suo amore e lei inarca la testa per un secondo, come inebriata da quel gesto d’affetto per lei, e io desidero provare lo stesso per un attimo.
-Potrebbe succedere.- la sua risposta mi terrorizza –Vedi il mio corpo? Vedi quello di mio marito? Non siamo mai uguali, non siamo mai la stessa cosa. È banale, un concetto che, quando sarai più grande, considererai scontato e ovvio, ma per ora forse non lo sai che ogni cosa di questo mondo è mutabile, le persone, la terra stessa, nulla rimane come era in precedenza ne come sarà in futuro.- mi guarda poi, e la luce del sole che brilla sul manto dell’acqua le passa attraverso, facendola sembrare un angelo con l’aureola. La cosa mi farebbe ridere se non fosse così bella da rimanere incantati, esattamente come sono rimasta nel vedere suo marito pieno di lustrini di sole –Se la cosa ti fa paura, purtroppo non puoi far altro che imparare ad accettarla, piano, piano.-
-Quindi un giorno potremmo non vederci più?- dico con la voce spezzata da un leggero nervosismo. Forse un pianto in arrivo?
-Dipende da cosa vorrai tu, e se al momento vorrai non dover più venire qui, nemmeno ci penserai a ciò che ti preoccupa ora.- l’idea mi fa sentire male. L’idea di potermene fregare di lei, di poter desiderare io stessa di non vederla più, mi fa venire voglia di prendermi a schiaffi.
-E dopo?- domando –Come farei dopo a ricostruire tutto questo?-
-Non potrai farlo. Quando una cosa passa, passa, come la vita, e sei giovane ma non troppo per non saperlo.- una consapevolezza amara da mandar giù.
Fisso il mio riflesso nello specchio d’acqua, guardando qualche pesciolino che mi gira attorno alle gambe che ora sono immerse fino a metà coscia. In un altro momento cercherei di prenderli, ma ora non ne ho voglia. Cerco invece di capire come farei. Come passerei tutto l’anno con la consapevolezza di non vedere più quel luogo, quella coppia bellissima, quella quiete e quel carrello tenda così grazioso?
Penso come se la cosa sia già decisa e sicura, e non lo è, ma dentro di me il dubbio e la paura che accada si sta facendo strada.
-Ma c’è un certo però.- la sua voce attira la mia attenzione e alzo gli occhi verso di lei.
-Cioè?- Brezza passa la mano pallida sul manto del mare, schizzando leggermente verso di me, e sorride con eterea femminilità, gli occhi chiusi e rilassati e i capelli che le incorniciano il viso dai lineamenti perfetti. Vortica come una ballerina sulle punte dentro l’abbraccio del suo uomo e io la ammiro ancora, desiderando di essere bella come lei.
-Noi siamo sempre qui, apparteniamo a questo luogo, e mai ci dimenticheremo di te, nemmeno se tu dovessi dimenticare noi per qualche tempo, e quando tornerai a desiderarci, quando vorrai ancora vederci, noi saremo sempre qua, non ci muoveremo, anche se le cose saranno sicuramente diverse, anche se l’ambiente, le abitudini e la compagnia dovessero cambiare.- mi guarda con le sue iridi bianche come quelle di uno spettro buono e alza le braccia evanescenti, invitandomi in quell’abbraccio in cui mi nascondo spesso.
E nemmeno stavolta mi sottraggo.
Perché quelle parole mi stanno facendo sentire meglio, ma allo stesso tempo mi fanno piangere lacrime dolci che si mischiano al mare, lasciando lì dentro qualcosa di mio.

Adesso, qualunque persona adulta e ragionevole direbbe che Brezza non è mai esistita. Io non me la sento di dire così, mi sentirei così male nei suoi confronti e già mi sento male all’idea di averla rinnegata, di aver desiderato di non vedere più il suo luogo di appartenenza, una volta raggiunti i diciassette anni.
Io credo alla sua esistenza, perché lei non era uno spirito, un folletto o una presenza invisibile.
Lei non era altro che una sensazione, non era altro che l’amore che io avevo, e che ora ho di nuovo, per quel posto dove la mia estate è cresciuta. Lei era la vera sposa del mare, e forse era la parte di me che appartiene a quel mare stesso.
Ora che sono così adulta, il mio più grande desiderio è di tornare la giù e chiederle scusa per averla abbandonata per così tanto tempo.



note: 

Questa storia è un piccolo pezzo della mia vita, un ricordo che mi porto dentro è che spesso mi fa male, analizzato simbolicamente con la presenza di Brezza. Sentivo il bisogno di buttarlo su carta, forse anche per sentirmi meglio, spero apprezziate 
  
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