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Autore: Emmastory    05/08/2016    4 recensioni
L'esistenza del regno di Aveiron continua, e Rain, nostra eroina in questo racconto, si impegna a mantenere il sorriso e la positività nonostante tutto quello che è costretta a vivere e sopportare. Fame, miseria e povertà dilaniano l'anima degli abitanti come belve feroci, e lei, addolorata per la perdita del suo tanto amato Stefan, ora scomparso per mano ignota, agisce come può per ritrovarlo e affrontare, con il suo aiuto, la minaccia dei Ladri, esseri ignobili che da tempo popolano il regno seminando terrore nei cuori della gente. Fiduciosa, è convinta dell'esistenza di un barlume di luce alla fine del tunnel che rappresenta la sua tormentata vita, in cui felicità e dolore danzano allo stesso e concitato ritmo. (Seguito di "Le cronache di Aveiron: Dimenticati)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-II-mod
 
 
Capitolo XVII

Le parole e il loro peso

Immobile. Ero lì, ferma e inerme, non osavo muovermi. Le parole pronunciate dal dottore mi colpirono come una freccia farebbe con un bersaglio, ed ero attonita. Avrei dovuto essere felice, ma non lo ero. Seduta in terra, sul freddo pavimento di quella che era la mia camera, piangevo fredde e amare lacrime, e guardando la mia immagine riflessa in uno specchio, provai disgusto per me stessa. Avevo amato Stefan fino all’inverosimile, mostrandogli la realtà dei miei veri e puri sentimenti, e quello era il risultato. Il dottor Patrick aveva detto che nulla era ufficiale, ma ero sotto shock, e dovevo non aver sentito. Quella sera dopo aver rimesso nel bagno di casa, e sopportato un orribile mal di testa, me ne convinsi. Ero incinta. Una condizione alla quale credevo non mi sarei mai abituata, ma che per ora stava permettendo ad un minuscolo e indifeso esserino di crescere al mio interno. Il mio corpo ospitava quindi la sua vita, ed io non riuscivo ad accettarlo. Ero completamente sola, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Non volendo essere disturbata, l’avevo chiusa a chiave, e mentre quel suono si faceva più insistente, capii che era Stefan, ragion per cui, desistetti. Girando la piccola e aurea chiave nella serratura, riaprii la porta, e pur lasciandolo entrare, non parlai. Mantenendo il silenzio, mi sedetti sul letto, per poi sdraiarmi e dargli le spalle. “Va tutto bene?” mi chiese, tacendo nell’attesa di una mia risposta. “No.” Dissi semplicemente, evitando di guardarlo e affondando il viso nel cuscino. In quel momento, un’inspiegabile rabbia mi pervase. Per qualche strana ragione, potei sentire le mie vene pulsare, e guardandolo, dissi la verità. “Sono incinta, Stefan. Incinta! Stiamo per avere un figlio! Come vuoi che stia?” risposi, scaricando ingiustamente su di lui ogni mia frustrazione. “Rain, ti prego, rilassati, i nostri genitori capiranno.” Rispose, riuscendo incredibilmente a mantenere e far uso di una calma che definirei mostruosa. “Sicuro?” chiesi, non desiderando che una conferma delle parole che avevo appena sentito. “Garantito. Ora sdraiati e dormite entrambi, d’accordo?” continuò, sorridendo e parlando al plurale unicamente per riferirsi anche a quel minuscolo essere non ancora nato ma presente nella mia mente, nel mio corpo e nel mio cuore. Seguendo alla lettera il suo consiglio, annuii, e lasciando che le sue labbra si posassero sulla mia fronte, mi addormentai, stanca ma serena. La mattina arrivò in fretta, e svegliandomi, mi accorsi di una visita di entrambi i miei genitori. Erano all’incirca le dieci del mattino, e considerandomi una persona attiva e mattiniera, sapevo bene di aver dormito troppo. Entrando in cucina, li vidi seduti a tavola in compagnia di Stefan, che parlandoci, era riuscito a intrattenere con loro una conversazione. “Gliel’hai detto?” chiesi, solo dopo aver bevuto un sorso di caffè dalla mia tazza. “No.” Mi disse, con il solo uso dello sguardo unito ad un rapido cenno del capo. A quella risposta, non feci che annuire, e sedendomi accanto a mia madre, mi preparai a vuotare il sacco. Presi quindi un ampio respiro, e intrecciando le mani, mi decisi a parlare. “Mamma, papà, abbiamo qualcosa da dirvi.” Esordii, per poi tacere e guardare negli occhi mio padre. Ad essere sincera, la sua era la reazione che temevo di più. Difatti, data la sorta di interrogatorio che Stefan aveva dovuto sopportare appena lo aveva conosciuto, mi portava a credere che una gravidanza fosse per lui fuori dalla questione. “Dirci cosa, cara?” mi incalzò mia madre, parlando nel suo solito tono dolce e gentile. “Stefan ed io… saremo genitori. Sono incinta.” Confessai, seppur tentennando per un singolo secondo. “Cosa? Rain è incredibile! Congratulazioni!” rispose mia madre, abbracciando con forza tale da impedirmi di respirare. Stranamente, mio padre rimase in silenzio, e per tutta risposta, lasciò la stanza.  “Ronan…” provò a chiamarlo la moglie, pur senza ottenere alcun risultato. “No, Katia.” Fu la sua unica risposta, che diede voltandosi verso tutti noi per un semplice e fugace attimo. Quelle furono le sue uniche parole al riguardo. Non volle parlarmi per il resto della sua visita, e poco prima di andarsene, fulminò Stefan con un’occhiata. “Non avvicinarti a mia figlia.” Sembrò dire, per poi sparire dalla nostra vista poiché incalzato dalla moglie. Ad ogni modo, il pomeriggio arrivò in fretta, e ritirandomi nella mia stanza, andai subito alla ricerca di un foglio su cui scrivere. Avevo sempre amato la scrittura, e mettere le mie idee e la mia anima su carta, aveva il potere di rilassarmi e aiutarmi a pensare. Concedendomi del tempo per riflettere, capii che forse avevo nuovamente agito d’impulso, e credetti che scrivere mi avrebbe aiutata a comprendere meglio le parole e il loro peso.
   
 
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