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Autore: Cara_Sconosciuta    26/04/2009    3 recensioni
Oneshot Chrimon dedicata ai Pooh, prima di tutto, e poi a Marta, per la sua pazienza: vedrai, finirò anche l'altra!
È buio nella stanza quando apro gli occhi e per un istante mi sembra di essere cieca, come se una pesante coperta nera ricoprisse tutto ciò che si trova intorno a me.
Adoro svegliarmi di notte, quando tutto intorno dorme ancora. Mi piace perché, per un istante posso dimenticarmi tutto, scordare chi sono e fingere di non esistere, se non in un remoto angolo della mia mente, almeno fino a quando la mia vista non si abitua e i contorni degli oggetti non iniziano a diventare abbastanza chiari da poter essere distinti in mezzo a tutta quell’oscurità che, all’improvviso, non è più così totale.
Lentamente, tutto appare intorno a me... l’armadio, il comodino con i suoi soprammobili, l’ombra minacciosa dell’attaccapanni e poi voi.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una nuova storiella su una delle canzoni dal testo più bello che io conosca.

Per una volta, credo che lascerò stare di spiegare il perché e il per come della storia e mi dedicherò, perdonate il gioco di parole, alla dedica.

Perché questa storia è per loro, loro che questa canzone l’hanno scritta, insieme a decine e decine di altre, tutte stupende, tutte ugualmente e spaventosamente simili a poesie messe in musica.

Questa storia è per voi, i Pooh, i quattro fantastici uomini che hanno scritto la colonna sonora della mia vita da quando li ho scoperti, a sette anni, ascoltando alla radio “Puoi sentirmi ancora”, la canzone a cui sono più affezionata, l’unica che mi abbia mai fatta piangere e che, a tutt’ora, mi fa spuntare una lacrimuccia ogni volta che la ascolto.

Incontrarvi, farvi leggere un mio racconto scritto su di una vostra canzone, magari proprio su “Puoi sentirmi ancora”, sarebbe un sogno troppo bello per potersi realizzare, quindi mi limito a continuare a scrivere, a scrivere con voi e per voi, aspettando quel concerto del 28 di settembre che sarà l’ultimo del mio gruppo come io lo conosco.

Il mio gruppo, sì, perché questo siete e questo rimarrete per sempre, anche quando i Pooh saranno solo un ricordo.

Elisa

Quel che non si dice
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Stai dormendo e sto abbracciando il tuo respiro

E ti guardo senza accendere la luce

Nella pausa di riposo dell’amore

Ti dirò in silenzio quel che non si dice

 

È buio nella stanza quando apro gli occhi e per un istante mi sembra di essere cieca, come se una pesante coperta nera ricoprisse tutto ciò che si trova intorno a me.

Adoro svegliarmi di notte, quando tutto intorno dorme ancora. Mi piace perché, per un istante posso dimenticarmi tutto, scordare chi sono e fingere di non esistere, se non in un remoto angolo della mia mente, almeno fino a quando la mia vista non si abitua e i contorni degli oggetti non iniziano a diventare abbastanza chiari da poter essere distinti in mezzo a tutta quell’oscurità che, all’improvviso, non è più così totale.

Lentamente, tutto appare intorno a me... l’armadio, il comodino con i suoi soprammobili, l’ombra minacciosa dell’attaccapanni e poi voi.

Lulù è accoccolata contro il tuo fianco, stretta al tuo braccio come se per tutta la vita non avesse dormito con altri che con te.

E tu sei lì, profondamente addormentato, un braccio ripiegato sul petto, l’altro ad avvolgere la figura minuta della mia bambina. Non riesco a vedere la tua espressione, ma sono praticamente certa che tu stia sorridendo.

Sorridi sempre quando Lulù ti sta così vicina, sempre, e anche lei lo fa.

Dovrei essere gelosa di voi due, dato che sembrate entrambi preferire la reciproca compagnia alla mia.

Dovrei, ma non ci riesco.

A dire il vero, non riesco a fare altro che essere felice, perché lei ha trovato in te un padre meraviglioso e tu in lei la figlia che tutti sognano.

È per questo che, guardandovi, tutto ciò che riesco a fare è sorridere e pensare che siete semplicemente la miglior cosa che potesse capitarmi.

E che vi amo con tutta me stessa.

Ci sono tante cose che voglio dirti da sempre, tante parole che regole e tabù mi impongono di non pronunciare, ma ora e qui, davanti alla mia piccola nuova famiglia, mi sembra ingiusto non farti sapere almeno con il pensiero ciò che io veramente sento, ciò che voi siete per me.

Perché siete troppo perfetti per rimanere all’oscuro, perché meritate ogni singola sillaba che io stasera non dirò.

 

Per esempio che mi sono innamorata

Dal primissimo minuto

Non sapendo chi eri tu

 

Io parlo a tutti e due, certo, ma è più a te che queste parole sono rivolte, lo sai?

Perché Lulù è sì la parte più bella della intera esistenza, ma tu vi sei entrato per scelta, forse senza nemmeno rendertene bene conto, e non te ne sei andato più.

Perché a lei io ho dato la vita, ma sei tu che l’hai restituita a me.

Subito, dal primo istante ho capito che saresti stato speciale...e bada che io non sono una che crede al colpo di fulmine, all’amore a prima vista e ad altre scemenze del genere, no.

Però ho sentito che eravamo simili, che la vita non era stata facile per nessuno dei due, che su quell’aereo non c’eravamo per un viaggio di piacere.

È così che ci siamo incontrati, io e te.

Te lo ricordi?

Io, di ritorno a casa dopo un estenuante viaggio dovuto alla cattiveria -perché solo cattiveria si può definire- di mia madre, spossata ed ansiosa di rivedere la mia piccola.

Tu, in partenza per un paese straniero di cui non sapevi nulla, nemmeno la lingua, lanciato alla ricerca di qualcosa che l’America non aveva saputo darti.

E poi, improvvisamente, noi, due sconosciuti finiti in due sedili vicini.

Non sospettavo, allora, che quel noi sarebbe diventato così importante, per me.

 

“Signorina? Signorina, vuole qualcosa da mangiare?”

Una voce gentile mi fece riemergere dal sonno in cui ero sprofondata da chissà quanto, mentre una mano delicata mi sfiorava appena la spalla.

La prima cosa che vidi furono un paio di grandi e malinconici occhi azzurri che mi sorridevano.

E che odiai immediatamente, visto e considerato che il loro proprietario mi aveva appena svegliato da un sonno che aveva impiegato ore ad arrivare.

“Signorina, vuole qualcosa da mangiare?” Ripetè la hostess, cordiale, mettendo su un fintissimo sorriso di cortesia.

“Una bottiglietta d’acqua, per favore.” Replicai, frugando nelle tasche dei jeans in cerca di un paio di monetine che avevo messo da parte per pagarmi da bere.

E che, evidentemente, dovevano essere scivolate fuori dal loro posto in un non meglio precisato momento del passato.

“Come non detto.” Risposi, decidendo che non valeva la pena alzarsi e recuperare il bagaglio a mano per una misera bottiglia d’acqua.

“Come vuole, signorina.”

“La dia a me, l’acqua. Più una Coca Cola e due panini di questi.” Ordinò l’uomo che mi aveva svegliata, mostrando il catalogo alla hostess. “Le piace il salame, vero?”

Nessuna risposta.

“Signorina, parlo con lei...”

Quando mi voltai, piuttosto incredula, ai sorridenti occhi azzurri si erano aggiunti un volto dai lineamenti fini e decisamente piacevoli, una zazzera di lisci capelli biondi e un paio di occhiali dalla montatura di plastica colorata.

Non volle sentire ragioni, quell’uomo, e in pochi minuti ci trovammo a discorrere allegramente su quale fosse la nostra qualità di salame preferita e su quanto il salume contenuto in quei panini fosse ben lungi dall’assomigliarle.

Scesi dall’aereo un po’più rilassata e felice, con la certezza non proprio piacevole che non avrei più visto quel simpaticissimo giovane uomo che si era premurato di non lasciare che il mio viaggio trascorresse completamente con me sprofondata nell’abbraccio di Morfeo.

 

Sai che cosa è curioso?

Siamo stati seduti vicini per più di dodici ore, abbiamo sviscerato metà degli argomenti che il genere umano abbia mai affrontato, eppure quel giorno non ci siamo detti i nostri nomi.

Non la consideravamo una cosa importante: tanto non ci saremmo mai più incontrati.

E quel formicolio allo stomaco, quell’incessante desiderio di ridere e parlare... beh, quello entrambi lo abbiamo liquidato come un sentimento dovuto all’ansia del viaggio, del volo o di chissà che cosa.

Allora ancora non sapevamo ancora di essere Christian e Monique, né avremmo mai sospettato di diventarlo.

 

Noi ci siamo presi al volo tra la gente

Poi ti ho chiesto andiamo fuori a respirare

La città sposava il buio con con le luci

Tu mi hai detto: non mi offendo se mi baci.

 

Quando ci siamo rivisti, è stato in uno dei momenti peggiori della mia vita, quando da tempo avevo smesso di credere ai miracoli.

Mi ricordo lo stupore, e anche un po’l’imbarazzo di incontrare di nuovo il perfetto sconosciuto a cui avevamo confidato i nostri segreti più intimi e di farlo, tra l’altro, nell’ultimo posto in cui una persona si aspetterebbe di fare un incontro inaspettato.

Già, perché io non avevo idea che il nuovo insegnante di informatica di Lulù fosse un trentenne dai capelli color miele che aveva imparato, in circa cinque mesi, un francese un po’stentato, ma sufficiente a trovarsi un lavoro di tutto rispetto.

È stato divertente fuggire insieme da quella noiosissima riunione, anche se poi credo proprio che tu ti sia beccato una girata non da poco.

Non ne sono sicura, però, non me lo hai mai voluto dire...

 

“Odio le riunioni serali.” Dichiarai, soffiandomi via un ciuffo ribelle da davanti agli occhi.

Lui con un sorriso scese dallo scivolo sul quale si era arrampicato e si accomodò sull’altalena accanto a quella dove ero seduta io.

“Io odio le riunioni e basta.” Replicò. “Sono il lato più brutto del mestiere più bello.”

“Quindi il tuo lavoro ti piace molto...”

“È la cosa migliore della mia vita, adesso come adesso. Senza i bambini non sarei quello che sono, avrei solo un quarto della mia allegria e sarei solo un guardabile poco più che trentenne noioso e disoccupato.”

Ridacchiai, senza guardarlo in viso.

“E ce l’avrebbe un nome, questo guardabile poco più che trentenne?”

“Christian.” Rispose, tendendo una mano verso di me, oltre la catena appena arrugginita. “E tu?”

“Monique, o Monmon se preferisci.”

“Monmon? Curioso... Mia mia, se non erro, in francese.”

E arrossii.

Non capii di certo perché, ma arrossii e lasciai la sua mano come se fosse stata di metallo ardente.

Ovviamente, lui se ne accorse.

“Se ti faccio quest’effetto, ti autorizzo a non essere timida: piacere ad una bella ragazza non fa mai male e un bacio non mi darebbe affatto fastidio.”

 

Io pensai se questo uomo travolgente

Mi ha capita in un istante

Forse è lui la libertà.

 

Non lo nascondo, così come non l’ho nascosto allora: mi hai lasciata di stucco quella sera con quel tuo essere così incredibilmente ed assurdamente diretto.

Mi hai lasciata di stucco, certo, ma mi siete subito piaciuti, tu e la tua risata cristallina, seguita da un allegro “sto scherzando!”.

Mi siete piaciuti, e mi sono ritrovata, mio malgrado, a pensare che poteva essere, che non sarebbe stato poi così assurdo e stupido pensare a te come... beh, pensare a te e basta.

Anche se stavo con Gerry, infatti, sapevo che quella situazione non avrebbe potuto durare ancora a lungo, per cui non era affatto illogico o sbagliato innamorarsi di un altro.

Già, ma in una sera no, non in quelle due ore che avevamo trascorso insieme, e nemmeno nelle dodici dell’aeroplano.

Nella mia limitatezza ero convinta che servisse molto, molto di più per poter dire di amare una persona.

Però l’ho pensato, Christian, per un paio di istanti ho pensato che potessi davvero essere tu quello che sognavo da tanto, quello che avrebbe amato me e Lulù senza remore, senza chiederci di cambiare, di sottostare a stupide regole o contratti.

Mi sono data della stupida per giorni ad aver formulato pensieri del genere, ma intanto non riuscivo a starti lontana e i nostri pomeriggi in caffetteria erano ciò che aspettavo con ansia ogni giorno.

A te pensavo facendo un lavoro che non mi piaceva, a te, quando litigavo con Gerry e tu in un modo o nell’altro eri sempre lì, pronto a consolarmi con uno dei tuoi sorrisi contagiosi che, oramai, facevano un po’parte anche di me.

E mi vedevo più bella, uscendo per venirti a trovare, mi vedevo donna, una volta tanto.

Non fidanzata.

Non mamma.

Non sorella.

Solo donna, come mai mi era capitato.

 

Poi sai che io non apro facilmente il cuore

Che con me a volte non si può parlare

Ma per te mi giocherei qualunque vita

Tu sei tu con niente addosso o ben vestito

Giuro, tu sei per me il prim’attore

Ma anche questo non si dice

Penseresti a una bugia...

 

Ho capito più avanti il perché di quei sentimenti... dopo il litigio peggiore con Gerry.

Ero disperata, terribilmente sola e arrabbiata come non pensavo di poter essere e tu sei stato il primo da cui ho pensato di andare.

Non mia sorella, come sarebbe stato più che logico, ma tu.

E poi il nostro primo bacio, il turbinio di dubbi che ha assalito la mia mente e la prima volta insieme, pelle su pelle, un respiro nell’altro.

È stata bella, Christian, quella giornata, così come è stato bello vedere l’espressione di gioia sul visino di Lulù quando ha scoperto chi era “le nouveau petit ami de la mère”.

Ti amo, Christian, ti amo perché ti sei preso cura di me e della mia bambina senza chiedere mai nulla in cambio, senza darci mai per scontate.

Ci hai fatte sentire bellissime, stupende, importanti e continui a farlo ogni giorno, anche quando io non sono proprio il massimo della simpatia.

Perché lo sai, oramai, come funziono, no?

Sai che ho i miei giorni no in cui sono arrabbiata con il mondo, in cui non mi si può rivolgere la parola senza essere sbranati.

Allora prendi Lulù, la porti al parco qui vicino, perché sai che ho bisogno di stare sola, ma sai anche che, appena la mia testa di legno me lo permetterà, correrò da voi come un fulmine.

E voi mi abbraccerete, e tu mi bacerai e proporrai di mangiare fuori e sarete così bravi a convincermi che non è successo niente che finirò per crederci anche io.

Vorrei potermi sdebitare, ogni tanto, lo sai?

Perché non ho mai avuto occasione di dimostrartelo, ma anche io per te darei il mondo, se fosse necessario.

Lo sai questo, vero?

Tu per me sei imprescindibile, un bisogno primo, come aria, acqua e cibo, il padre dei miei figli, di Lulù come di quelli che di certo avremo, l’interprete principale di questa tragicommedia che è la vita della signorina Monique Lemoin... o forse della signora Monique Prato, non lo so.

Non ho idea se io e te possiamo considerarci sposati. Perché se essere marito e moglie significa amarsi fino a non riuscire a respirare allora sì, lo siamo.

Questo, però, io non te lo dirò mai ad alta voce... mi prenderesti in giro, rideresti di me, o forse mi prenderesti sul serio e ti commuoveresti... so che ne saresti capace.

Ma la mia paura è che tu pensi che siano tutte bugie, parole dette a caso per guadagnarmi un’altra notte d’amore con te.

Per questo rimarranno sempre, sempre avvolte nel silenzio.

Tanto, non è importante: tu le sai queste cose, tu conosci i miei sentimenti e dar loro un suono servirebbe solamente a ridurli a qualcosa di tangibile.

 

Stai dormendo e sto abbracciando il tuo respiro

La mia testa col mio cuore han fatto pace

Non mi son sentita mai così sincera

E non so dirti che cos’hai che non mi piace.

 

Con un borbottio sommesso, ti spingi un po’di più sotto al piumone colorato e stringi meglio Lulù contro il tuo corpo.

Non so perché lo fai: non è certo più freddo di quanto lo fosse dieci minuti fa, ma non importa: è talmente bello starvi a guardare che lo farei per ore senza stare a pormi troppe domande.

Perché sarà sciocco e tutto quello che vuoi, però io sto bene, quando vi guardo, perché voi due siete l’unica cosa in questo casino di vita sulla quale non ho mai avuto dubbi.

Il mio cuore, i miei sensi e persino il mio cervello non fanno che urlare a gran voce che voi ci siete, per me, e che ci sarete sempre, finché vivrò... o, almeno, tu lo farai.

Perché Lulù diventerà grande, troverà la sua strada e la seguirà fino alla fine, fino a quando di noi non avrà più così bisogno ed è più che giusto che sia così, ma tu no, tu non te ne andrai.

Tu resterai, vero, amore?

Resterai perché io di te avrò bisogno sempre e per sempre, perché sei il solo per me, l’unico che mi fa stare bene sempre, non importa quello che mi succede intorno, perché sei semplicemente perfetto.

Perfetto per me, intendo: i tuoi difetti, ovviamente, ce li hai anche tu e non sono pochi.

Sei testardo, logorroico oltre ogni limite, non hai idea di quando sia il caso di tacere e prendi sempre tutto sul ridere.

Aspetti che, lo ammetto, possono risultare altamente insopportabili... ma che a me piacciono persino più dei tuoi pregi.

Che posso farci, Christian...anzi, Christiàn, come ti piace tanto, mi hai stregata e io non ho l’antidoto a quest’incantesimo.

 

Lo sa il mondo come tu mi hai trasformata

Passo passo mi hai insegnato

Quanto amore c’era in me

 

Ti ricordi di me prima che noi diventassimo ciò che siamo?

Forse no, forse tu non ti rendi conto del piccolo miracolo che hai fatto semplicemente permettendomi di amarti.

Ero chiusa, scontrosa, una bambina cresciuta troppo in fretta non certo per colpa sua. Non fraintendermi, non mi ritengo una santa né niente di simile e i miei errori li ho fatti anche io... diciamo solamente che il destino ci ha messo del suo.

Non ci ho mai creduto, nel destino, prima di incontrarti.

Eppure qualcosa, un ente superiore ci deve essere, perché io mi rifiuto di credere che solo il caso sia in grado di costruire quello che ora come ora è la nostra storia.

Tu mi hai cambiata, per quanto difficile possa risultarti vederlo.

Mi hai resa più spontanea, più aperta, più solare... ho persino lasciato di stucco mia sorella, il giorno seguito alla nostra prima notte insieme, presentandomi a casa sua con un sorriso da un orecchio all’altro.

E tu sai perfettamente quanto è difficile farmi sorridere.

Lo sapevi anche prima che tutto quanto succedesse, prima che noi due smettessimo di essere amici -che poi, amici... lo siamo mai stati? - , eppure non hai mai smesso di provarci, mi hai esaurita totalmente, finché non ho potuto fare altro che arrendermi.

Non che mi sia dispiaciuto, eh!

Però è strano essere così... così leggera, tranquilla, perennemente di buon umore, con il sorriso come costante e non come eccezione.

È strano stare bene, per me.

E questa stranezza, professeur, è solo ed unicamente colpa tua.

Colpa tua, che mi hai insegnato ad amare senza troppe pretese, ma, soprattutto, senza mille paranoie, senza stare a domandarmi mille volte se quello che faccio è giusto o sbagliato.

Perché, se siamo insieme, sbagliato non esiste.

 

Poi so che tu lo apri facilmente il cuore

Che per me andresti anche a rubare

Senza te sarei un’arma carica e smarrita.

 

Però, caro mio, un piccolo appunto da farti ce l’ho.

Tu con me sei troppo, troppo buono, Christian... non sono una bambina da viziare, non me ne andrò se la frequenza dei tuoi regali diminuirà, te lo prometto.

Anche se, lo devo ammettere, ci sono cose che fanno dannatamente piacere, soprattutto quando sei una che di doni ne ha sempre ricevuti pochi e accettati ancora meno.

 

“È bella davvero...” Mormorai, sconsolata, di fronte alla vetrina nella quale faceva bella mostra di sé la giacca su cui lasciavo gli occhi ogni giorno, andando al lavoro, da un mese a quella parte.

“Sembra un ritaglio di giornale.” Commentò Christian, una mano affondata nella tasca dei jeans, l’altra stretta intorno a quella di Lulù. “Ed è grigia. Perché non provi a metterti qualcosa di colorato, ogni tanto? Non è reato, sai? Quello, ad esempio.” Spiegò, indicando un minitrench di un vividissimo rosa. “Con i tuoi capelli starebbe un incanto.”

“Il giorno in cui io indosserò quella cosa, tu ti vestirai totalmente di bianco, mon amour.”

Christian scosse il capo, aggrottando la fronte con aria di disapprovazione.

“Il look gelataio non fa per me.”

“E per me non fa il rosa cicca. Siamo pari.”

Così si era conclusa quella mezza discussione, che, devo confessarlo, mi aveva innervosita probabilmente più del dovuto, forse perché ero cosciente che nessuna di quelle due giacche sarebbe mai entrata nel mio armadio, se non altro per i prezzi di quel negozio, che non risultavano decisamente alla mia portata.

Per questo non mi sarei mai aspettata, quella sera, di trovare quella che piaceva a me perfettamente ripiegata sul mio letto con un biglietto multicolore appoggiato accanto.

 

Alla mia Monmon, purché mi prometta di imparare a pensare a colori.

 

Non ho mai saputo da dove tu abbia tirato fuori i soldi per quella giacca, ma non credere che non abbia mai notato i piccoli sacrifici che ogni giorno fai per noi, per permetterci di avere quei piccoli capricci senza i quali nessuna donna può definirsi donna davvero.

Sta di fatto che mi sono messa d’impegno, dopo quel giorno e tu... beh, tu hai sorriso come un bambino al vedermi addosso quella maglia arancione e quel suo sorriso è valso davvero l’ora e passa trascorsa in camerino a provarla e riprovarla per farmi forza e decidere, alla fine, di buttarmi.

Di buttarmi in quel mondo di tutti i colori che è solo tuo e di rimanerne talmente affascinata da diventare una turista abituale.

Un mondo che senza di te non avrei mai scoperto... pensa il dramma se non mi fossi mai resa conto di quanto un cappotto rosso sia assolutamente perfetto per me, o di quanto un vestito possa essere elegante e sensuale anche senza essere nero.

E poi sono tante, tante le potenzialità di me stessa con cui convivo da sempre ma che ho scoperto grazie a te. Sono un’ottima barzellettiera, ad esempio... ma tu e solo tu sei il mio carburante.

 

Ma non sai

Che in una notte disperata ero sola

Tu non c’eri e ti ho tradito

Ma è storia vecchia, acqua passata

Non si dice e non lo sai.

 

Però c’è una cosa, Christian, che tu non sai, una cosa che è successa oramai quasi un anno fa, ma che mi rode dentro come niente altro al mondo.

Una cosa che non ti dirò mai, perché è stato un errore che sto pagando un po’ogni giorno con questo senso di colpa che non mi dà respiro.

Parlartene significherebbe togliermi un peso enorme dalla coscienza, ma non lo farò, nemmeno se tu la verità te la meriti tutta. Non lo farò perché sono un’orribile codarda e non ho paura di ammetterlo, e preferisco crogiolarmi nella mia stessa colpevolezza, continuando a ricordare quella notte come una delle peggiori della mia vita.

Perché mentre facevo quel che ho fatto non ho pensato a te, perché sono anche stata bene, con lui, ma poi tutto è scoppiato in una bolla di sapone e quella tua telefonata, dolce e premurosa come sempre, per sapere se stavo bene, mi ha colpita come una pugnalata e mi ha fatta sentire sporca dentro in un modo che non mi era capitato mai.

 

“Pronto?” Mormorai, portandomi la cornetta all’orecchio, mentre con l’altra mano finivo di allacciare i bottoni della camicia troppo grande che avevo trovato appoggiata sul puff in camera da letto.

Il primo indumento che mi era riuscito di trovare non appena ero stata in grado di guardare oltre le lacrime che mi appannavano la vista.

Suo, nemmeno a farlo apposta.

“Ciao amore! Dormito bene? Io e Lulù arriviamo alle dieci, abbiamo un sacco di cose da raccontarti, per cui preparati psicologicamente.”

Silenzio.

Che puoi dire al tuo uomo che ti chiama mentre la persona con cui l’hai tradito si sta rivestendo all’altro lato del letto sul quale tu sei seduta?

Niente, appunto.

“Monique, ci sei?”

“Tesoro, ho... ho mal di testa, dormo ancora un pochino, ok? Ti chiamo appena mi sveglio.”

“Certo, nessun problema. Ci vediamo dopo... ti amo.”

Ecco.

Dritto al cuore, come un pugnale.

“Monique...”

Mi voltai come una furia, gettando il cordless sul materasso e lanciandogli uno sguardo a dir poco raggelante.

Come se fosse stata tutta colpa sua.

Come se mi avesse costretta.

“Va’via, Gerry.”

Lui aprì la bocca, come per replicare, poi parve ripensarci, appena in tempo per bloccare quelle parole che di certo non avrebbero fatto altro che peggiorare la situazione.

Non è mai stato uno stupido, Gerry.

Annuendo, finì di allacciarsi le scarpe, si alzò e se ne andò senza nemmeno salutare, lasciandomi sola, seduta su di un materasso troppo morbido con il fioco bagliore proveniente dallo schermo del telefono come unica luce.

I raggi del sole chiusi fuori dalle persiane di metallo verde scuro, insieme a tutto il resto del mondo,  che non avrebbe mai saputo.

 

Stai dormendo e nel silenzio ti confesso

Che avrei voglia di svegliarti e amarti adesso

Vorrei dirti tutto quel che non si dice

Ma potrei farti del male e mi dispiace.

(Adattamento da i Pooh, Quel che non si dice)

 

Ecco, Christian, io ho finito... sono le cinque, c’è ancora tempo per dormire, ma non credo lo farò.

Penso che, una volta tanto, mi alzerò per prima, mi farò la doccia e preparerò la colazione anche per voi.

Per quanto ti riguarda, non ti farà male rimanere un po’di più a letto a coccolare la tua bambina... vedrai che sorriso sarà la tua ricompensa quando si sveglierà con te al suo fianco.

E poi io devo alzarmi, non posso proprio farne a meno, perché la tentazione di portare Lulù nel suo lettino, svegliarti e passare un po’di tempo solo con te a fare l’amore e a dirti tutto, tutto quello che ho pensato in questi minuti sarebbe troppo forte, se restassi qui a guardarvi ancora per un po’.

No, è meglio così: vi farò una bella sorpresa e, per il momento in cui mi raggiungerete, tutti i miei segreti saranno tornati al loro posto, un posto segreto in fondo al mio cuore, che tu in fondo conosci a memoria, ma che non vedrai mai, mai attraverso le mie parole.

Perché ti ferirei.

E io non voglio.

 

   
 
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