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Autore: Rinalamisteriosa    11/08/2016    2 recensioni
Teneva la testa china, forse per nascondere la presenza di qualche lacrima che era rimasta impigliata alle ciglia.
Luke ringraziò mentalmente la sua amata Jocelyn per aver pronunciato un discorso così sentito e intenso, per averlo fatto come se fosse anche lui a parlare, a ringraziare.
Accarezzò i capelli della sorella un’ultima volta, prima di adagiarla delicatamente a terra, alzarsi in piedi, tendere una mano alla sua futura moglie e stringerla in un abbraccio amorevole, sperando che fosse di consolazione a entrambi.
E finalmente risuonarono chiare e cristalline nella sua mente le parole che voleva dirle, il suo addio, il suo augurio nato dal più profondo del cuore.

[Missing moment di CoHF | Accenni Luke/Jocelyn, Stephen/Amatis]
{Seconda classificata al contest ‘Tante canzoni, una storia’ indetto da Mokochan sul forum di EFP | Vincitrice premio IC e premio grammatica e sintassi}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amatis Herondale, Jocelyn Fray, Luke Garroway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Consiglio di leggere con questa musica in sottofondo.
Disclaimer: I personaggi trattati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di lucro.






Quando prese il suo corpo pallido e immobile tra le braccia, tutta la tensione cedette il posto al sollievo e alla nostalgia.
Sollievo, perché finalmente lei era libera, nella morte poteva riposare serena, lontana dai mali del mondo, dalle preoccupazioni terrene, dai rimpianti di una vita.
Nostalgia, perché non poteva fare a meno di pensare, di ricordare, di provare dolore per la sua perdita – era preparato, sapeva che sarebbe accaduto, era inevitabile.
Lo sapeva già, Luke, non c’era rimedio per Amatis, non esistevano possibilità di tornare indietro e cambiare il passato.
Come non aveva mai fatto prima, con una tenerezza naturale e fraterna, Luke sistemò la testa di Amatis sulla sua spalla, mentre le accarezzava gentilmente i capelli castani con qualche striatura di grigio.
Prendersi cura l’una dell’altro dopo l’abbandono di una madre egoista: questo avevano fatto fin da piccoli lui e Amatis.
Erano delicate le carezze sulla fronte prima di addormentarsi, ferme le mani mentre passavano bende e disinfettanti sulle prime ferite che si procurava da bambino.
Adesso capiva che persino i rimproveri, le incomprensioni e un muro sorto sulla base di pregiudizi e paure, erano a fin di bene.
Per il suo bene, per temprarlo, per aiutarlo a divenire un uomo.
Una sorella farebbe questo e ben altro.
Era stata una sorella maggiore capace di tendere le orecchie e ascoltare attentamente ogni sua parola.
Lei era stata la prima a sapere della sua cotta per l’amica d’infanzia, definendola scherzosamente ‘una cosa stratosferica’.
Non a torto, perché la cotta si era evoluta in amore – nel senso che essa era andata crescendo, crescendo, fino a mescolarsi alla devozione profonda, a un sentimento paziente e consapevole.
E forse Amatis lo aveva incoraggiato per spronare se stessa, era stato un modo per accettare più serenamente la presenza di un altro uomo accanto a sé.
Si era sposata giovane, ma il suo non era stato un matrimonio fortunato.
Guarda caso per colpa sua, per il fratellino che aveva rivolto la sua amicizia e ammirazione alla persona sbagliata, che non aveva prestato attenzione alla pazzia del suo parabatai, cadendo in una trappola preparata ad arte.
Condannato a essere un lupo mannaro, un Nascosto, aveva bussato alla porta di sua sorella, con la speranza che lo capisse, che con il suo affetto andasse oltre.
Lei in cambio lo aveva cacciato spaventata, tuttavia il suo sguardo aveva parlato chiaro: “Hai macchiato la reputazione della famiglia, non puoi stare qui. Ma abbi cura di te, ovunque andrai”.
Non lo dimostrava, ma si preoccupava per lui, si era sempre preoccupata.
Un affetto simile non si scordava facilmente.
E si era presa cura di Clary senza chiedere nulla in cambio, le aveva preparato da mangiare, le aveva prestato i suoi vecchi vestiti.
Vivere per tanti anni da sola non aveva indurito completamente il suo cuore, per fortuna.
Era così felice quando aveva saputo del matrimonio, del suo matrimonio con Jocelyn, evento al quale non avrebbe potuto partecipare, non da morta.
Dovevano recuperare il tempo perduto, ma ancora una volta uno scherzo del destino li aveva allontanati, stavolta per sempre.
Voleva dirle addio, ma non trovava le parole adatte, forse perché quello che aveva da dire non sarebbe stato abbastanza per lei – sorella, seconda madre, confidente, amica.
La guerra era finita e lui, invece di esultare, cullava mestamente, per la prima e ultima volta, il corpo senza vita di Amatis Graymark-Herondale.


«Lucian? Non dormi?».
Una ragazzina sostava sulla porta della cameretta, portando una camicia da notte troppo lunga per la sua statura.
Il bambino di nome Lucian osservava incantato qualcosa dalla finestra posta vicino al suo letto, voltando appena la testa riccioluta per fare cenno alla sorella di avvicinarsi.
«Guarda, Amatis! Il cielo piange!» esclamò lui, appoggiando una manina al vetro, intento a guardare un acquazzone in piena regola che bagnava tutto, i recinti, le case e le strade di campagna, nella periferia di Idris.
«Se la mamma dovesse tornare proprio adesso, sarebbe il momento peggiore. Secondo te perché il cielo è così triste?» si chiese con ingenuità, per poi udire un sospiro da parte di lei.
Delicatamente lo scostò con un braccio e lo accompagnò fino a metterlo sotto le lenzuola.
«Perché non rispondi? Non lo sai?» mormorò il piccolo Lucian, la vocina sottile.
«La mamma non tornerà, quindi non è il cielo, sei tu quello triste! Perché sono sicura che ti manca e manca tanto anche a me. Ma non temere: sarò io a prendermi cura di te», replicò Amatis rimboccandogli le coperte, la voce incrinata come se stesse trattenendo ostinatamente le lacrime per rassicurarlo.
Allora gli scostò con delicatezza la frangetta e gli diede un bacio sulla fronte, fu il primo segno di maturità e d’affetto dal giorno della partenza tempestiva della madre.



Ricordò che la costrinse a rimanere con lui dopo il rombo forte di un tuono.
Rammentò che era brava ai fornelli, anche se i suoi primi tentativi erano immangiabili.
Sorrise al pensiero di quando l’aveva sorpresa per puro caso, sull’uscio di casa, a baciare un giovanissimo Stephen Herondale.
I due adolescenti erano in imbarazzo quando si accorsero di lui, che inizialmente finse una smorfia schifata e li prese un po’ in giro, ma poi sorrise apertamente quando si girò per correre a raccontare tutto alla sua amica d’infanzia.
Quasi come se il solo pensarla l’avesse fatta materializzare al suo fianco, sentendo una mano leggera che si posava sulla sua schiena, capì che Jocelyn si era inginocchiata accanto a lui.
Aveva ancora gli occhi lucidi e arrossati, il verde nelle iridi sembrava più sbiadito del solito, perciò non si stupì di sentire la propria voce domandarle come stava.
Sorreggere il suo stesso figlio mentre esalava l’ultimo respiro non doveva essere stato facile per lei, come anche concedergli un perdono che non meritava, non dopo quello che aveva fatto ad Amatis e a tanti altri.
«Abbiamo passato momenti peggiori. Me la caverò. In realtà, sono preoccupata per la mia Clary… E sono fiera di Simon, anche se d’ora in poi dobbiamo rassegnarci al fatto che non si ricorderà più di noi. Per lei sarà difficile, ma lo supererà», disse in un sussurro. Era chiaramente triste, stanca e provata, come lui.
Luke avrebbe tanto voluto aggiungere una delle sue battute per farla ridere, perché la sua amata Jocelyn doveva tornare a sorridere, perché la donna che stava ancora tenendo tra le braccia avrebbe voluto così, la loro felicità, ma richiuse subito le labbra, le contrasse.


«Dunque, finalmente il mio fratellino si sposa. Ce ne avete messo di tempo, voi due, per compiere il grande passo».
Lui e Amatis, ormai adulti, stavano affacciati a una finestra, ma non nella casa in cui erano cresciuti, bensì nella attuale residenza di lei.
La casa a Idris che le aveva lasciato Stephen dopo il divorzio forzato, la casa da cui Luke era stato cacciato e nella quale, quindici anni dopo, era tornato per supplicarla di curare Clary dopo che aveva involontariamente ingerito l’acqua del lago Lyn.
«Credevo che non mi amasse in quel senso. Che stupido sono stato, vero? Sposarla al più presto è il minimo che possa fare», replicò, grattandosi la nuca e levando il capo per guardare un cielo sereno e privo di nuvole, azzurro come i loro occhi.
«Clarissa è una ragazza in gamba. Sono contenta di averla conosciuta».
«E lei prova lo stesso per te. Ormai sei a tutti gli effetti sua zia. Non solo per me, ma anche per Jocelyn… Insomma, ti sei sempre comportata da sorella, ci hai sempre aiutati e consigliati. Sono felice di avere la possibilità di recuperare il tempo perduto. Sappi che ovunque decideremo di vivere, sarai sempre la benvenuta a casa nostra. Non ti lascerò più sola, la solitudine non ti si addice, non-», avendo ricevuto uno sguardo ammonitore ed esasperato da parte della sorella, decise di fermare quel fiume di parole, curioso di vedere come avrebbe continuato.
«Lucian…» iniziò con la calma che la caratterizzava. «Ho sbagliato anch’io. Dopo tutto quello che hai passato, non ti sono stata vicina. Ho smesso di prendermi cura di te perché sapevo che non ne avevi più bisogno, che eri più forte di me, che dovevi affrontare questa vita e ricercare una felicità che io, purtroppo, ho perso molto tempo fa. Perciò non sentirti in colpa. Vivi, vivi intensamente, non passare un solo giorno senza la presenza delle donne che ami di più. Io rimarrò qui, questo è il mio posto, la mia casa. Qui ho tutto ciò che mi serve, ho il suo ricordo che non mi abbandona mai. Nel momento in cui ho donato le sue lettere e la scatoletta di metallo che mi aveva affidato a suo figlio… Non ti so spiegare, ma mi sono sentita sollevata. Quella stessa notte l’ho sognato. Il mio Stephen era sereno, era felice. Avrei voluto non svegliarmi mai. E non fissarmi con quello sguardo compassionevole, guarda che adesso tocca a te! Sposati. Voglio assistere al tuo matrimonio, non chiedo altro dalla vita».
Detto questo, Amatis si lasciò andare e gli scompigliò affettuosamente i capelli, ridendo come una bambina. Quello fu l’ultimo segno d’affetto e di saggezza nei suoi confronti.



«Luke, tesoro, sei distratto. A cosa pensi?».
Jocelyn gli aveva scostato i capelli castani dalla fronte. La sua espressione doveva essere lo specchio della propria, preoccupata e malinconica.
«Se non te la senti, possiamo rinunciare al matrimonio. Dopo tutte queste disgrazie, capirò se non vuoi più sposarmi».
«Sposarmi con te è l’unica cosa di cui mi importi, se devo essere sincero. Vuoi forse deludere… lei?» spostò uno sguardo serio dall’una all’altra.
«No, certo che no», confermò lei, e lui si addolcì.
«Guardala. Non sembra anche a te che stia semplicemente dormendo? Conoscendola, sarebbe capace di svegliarsi in questo momento e tirarci uno schiaffo, dopo ciò che hai affermato».
«Sono stata soltanto io a dirlo».
«Potrebbe prendersela anche con me», replicò in un basso mormorio.
Jocelyn scosse lentamente la testa. Poi afferrò con entrambe le mani quella fredda di Amatis, consapevole che era arrivato il momento di dirle addio.
Amatis non c’era più, bisognava accettarlo. In quel momento era Clary ad aver bisogno del loro conforto, però dichiarò il suo commiato con tutta la dolcezza possibile.
«Riposa in pace. Non siamo mai stati arrabbiati con te, nemmeno quando agivi sotto l’influenza del sangue demoniaco che ti avevano costretto a bere dalla Coppa Mortale. Non eri tu quella donna assetata di sangue, incurante di chi feriva. Tu sei sempre stata buona, conciliante, intelligente, pacifica. Grazie di essere stata una sorella esemplare e una buona amica. Ave atque vale, Amatis. Addio».
Teneva la testa china, forse per nascondere la presenza di qualche lacrima che era rimasta impigliata alle ciglia.
Luke ringraziò mentalmente la sua amata Jocelyn per aver pronunciato un discorso così sentito e intenso, per averlo fatto come se fosse anche lui a parlare, a ringraziare.
Accarezzò i capelli della sorella un’ultima volta, prima di adagiarla delicatamente a terra, alzarsi in piedi, tendere una mano alla sua futura moglie e stringerla in un abbraccio amorevole, sperando che fosse di consolazione a entrambi.
E finalmente risuonarono chiare e cristalline nella sua mente le parole che voleva dirle, il suo addio, il suo augurio nato dal più profondo del cuore.
Gocce di memoria piovevano oltre la finestra della mente e all’interno, riparati dalla pioggia delle lacrime trattenute, Amatis si era ricongiunta al suo adorato Stephen.


“Amatis, sorella mia, mio angelo custode, adesso sarai felice. Assisti alle nostre nozze dall’alto, se puoi. Farai di tutto per guardare, lo so.
Ti voglio bene. In fondo ti ho sempre voluto bene, sei stata tutto per me.
Non ti dimenticherò mai”.









___
Note: In questi giorni ho ripensato ad Amatis, non ho mai trovato giusto il destino che le è toccato, mi dispiace per lei, per cui dovevo sfogarmi in qualche modo. E ascoltando questa musica malinconica (solo la musica, non ho tenuto conto del testo cantato da Giorgia), ho capito che era finalmente arrivato il momento di mettere per iscritto i miei pensieri, di creare un missing moment incentrato su Luke e sul suo rapporto con la sorella maggiore. Su quanto può essere tenero e intimamente addolorato un fratello quando capisce che deve dire addio alla donna che l’ha cresciuto, a colei che per anni è stata la sua sola famiglia.
Tenendo conto dei loro sentimenti, non potevo nemmeno escludere i rispettivi partner, Jocelyn e Stephen.

Ringrazio Mokochan per aver indetto il contest, kary91 per averla letta in anteprima e tutti voi per essere arrivati fin qui.

Alla prossima! ^_^

Rina



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