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Autore: Sharkie    15/08/2016    10 recensioni
(CLEXA Sci-fi!AU) E' una bella giornata quando l'ingegnere Reyes ed il Rettor Jaha entrano in un localino affollato per proporre alla neo dottorata in psico-criminologia Clarke Griffin di partecipare ad un progetto a dir poco singolare: studiare la reazione psicologica di un'agente delle Forze Speciali ad un particolare "dispositivo" impiegato per il suo addestramento. 
Non passerà molto tempo perchè Clarke capisca che la situazione è un tantinello più complicata di così.
Che cos'è questo dispositivo?
Chi è davvero la sua paziente e in cosa consiste l'addestramento?
E sopratutto, perchè, lei che è sempre stata così brava a leggere le persone, tutto a un tratto trova quella ragazza così dannatamente indecifrabile?
.................................
"Lei la ricordava bene quella sensazione.
Era stato doloroso, qualcuno avrebbe detto “come morire” ma è chiaro che nessuno al mondo ancora in grado di parlare ha davvero cognizione di quello che significa questa frase.
Forse solo lei avrebbe potuto dire qualcosa al riguardo, se solo avesse ricordato.. ricordato del prima.. 
Ma all'epoca non sapeva nemmeno di doversi sentire qualcuno.
All'epoca non sapeva niente."
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Becca, Clarke Griffin, Lexa, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Dicono che, quando si nasce, il primo respiro abbia lo stesso sapore della boccata d’aria che ingurgiti quando riaffiori dal pelo dell’acqua dopo tanto tempo.
E’ come se ti si spezzassero i polmoni, l’ossigeno arriva così prepotente al cervello che tutti i sensi prendono a lavorare a mille, come un treno che corre impazzito per il troppo carbone.
E allora la luce non è solo bianca, ma di tutti i colori che l’occhio umano non percepisce, i tuoi respiri non sanno “di nulla” ma profumano di tutti gli odori che non possiamo sentire e la tua saliva non ha mai avuto un sapore tanto dolce, tanto salato, tanto buono.

E’ solo un attimo, il “primo attimo”, quello che ti permette di sentire addosso cosa si nasconde dietro questo teatrino in cui veniamo scaraventati di prepotenza.
Come se avessi la capacità di sapere
. Tutto.

Poi ci schiaffeggiano sul sedere e piombiamo nello stato grigio e catatonico in cui ci trasciniamo fino a che moriamo.
Quei secondi? Svaniti. Nessuno li ricorda.

Tutti al mondo, semplicemente, dimenticano.

Tutti.
Tranne una.

 

****

 

La prima volta che Clarke mise piede in quella casa non era minimamente a conoscenza dei fatti. Era convinta di avere a che fare con qualcosa di normale, qualcosa di sperimentale, certo, ma non così tanto sperimentale.
E invece quella si rivelò l’invenzione del secolo.. o, per lo meno, lo sarebbe stata se solo fosse stata resa di dominio pubblico.

 

A lei era stato chiesto se avesse voluto prendere parte ad un “progetto di analisi cognitiva ed emozionale”, dicevano, di un agente delle FS.
Era stata una proposta piombata dal cielo, totalmente inaspettata, e Clarke non era per niente abituata a quel genere di fortuna.

« Analisi Cognitiva ed..  Emozionale? » aveva chiesto alla ragazza che le aveva proposto la cosa.
La tizia si era presentata come Ingegnere Meccanico di un gruppo di ricerca che lavorava al servizio delle Forze Speciali.
Non aveva dato nomi di istituti o di associazioni, ma la presenza del Rettore a suo fianco era una garanzia già di suo.

« Aham » le fece miss Reyes, sfoggiando un sorriso sgargiante a trentadue denti, mentre girava lo zucchero nel caffè.

Clarke era seduta all’angolo nel suo bar preferito, accanto al finestrone, quando i due le si erano avvicinati.
Un piccolo localino affollato e colorato, un po’ stretto, si, ma servivano i muffin più buoni della città.
L’avevano individuata subito, nonostante il chiasso e i camerieri che giravano come trottole impazzite in mezzo allo sgomitare della gente, ma d’altra parte era difficilissimo non notare quella testolina biondissima che aveva la capacità di scintillare sempre, anche nella giornata più uggiosa di inverno.

« Quindi in pratica si tratta di effettuare.. cosa? Un recupero psicologico post-traumatico? Non capisco.. esistono dei professionisti che fanno queste cose. Non mi sembra roba sperimentale che possa trattare un dottorando. » insistette la ragazza, scuotendo la testa.
La donna guardò il rettore negli occhi prima di formulare lentamente la risposta. Non era la prima volta che lo faceva da quando avevano deciso di sedersi al suo tavolo e la cosa era diventata subito oggetto di studio agli occhi attenti di Clarke. Trovava abbastanza sciocco che la tizia si cimentasse in uno spettacolo di “messaggistica corporea subliminale” -chiamiamola così- proprio davanti ad una persona che loro
sapevano essere un'abile psicologa.
Estremamente sciocco, o sottilmente furbo.
C’era palesemente qualcosa che non volevano dirle.. non da subito almeno. E quello scambio di sguardi voleva prometterle che ne sarebbe valsa la pena.

« Beh, tu sei la studentessa più brillante degli ultimi dieci anni, mi dicono. Vero, Dottor Jaha?
Il nostro team può vantare al suo interno la presenza di alcune delle più geniali giovani menti al mondo e credimi, se siamo qui a parlare di analisi cognitive e quant’altro, non si tratta di un banale recupero da stress post-traumatico..» fece, sorseggiando piano il caffè. «..diciamo che stiamo sviluppando un dispositivo particolare e che vorremmo monitorare i progressi -o i regressi- che l’agente in questione sta affrontando in questo periodo di addestramento. Capisci cosa intendo? » concluse, posando la tazzina sul piattino di ceramica.

La dottoranda aveva un’aria perplessa.

Era affascinante l’idea di poter lavorare su qualcosa di innovativo, ma tutta quella segretezza non presupponeva niente di buono.
Era chiaro che non potessero esprimersi di più, evidentemente il funzionamento del  “dispositivo” in questione era qualcosa che non andava spifferato ai quattro venti.

Ci pensò qualche minuto, lisciandosi con le mani la stoffa dei jeans, poi chiese
« Rettore, lei cosa ne pensa? »
Fu il sorriso pacato dell’uomo a tranquillizzarla.
« Clarke - la chiamava per nome in pubblico da quando si era laureata - conosco Rebecca da moltissimi anni e conosco te. Credi davvero che ti metterei in una situazione spiacevole? Ho dato il tuo nome perché credo tu sia perfetta per questo lavoro.. pensaci. Ma sappi che da parte mia c’è totale fiducia. » affermò l’uomo, con gli occhi che scintillavano di una strana luce.

La ragazza lo conosceva da moltissimi anni, dato che lui era amico intimo dei suoi genitori. Questa cosa le aveva reso la vita non proprio facile all’università, molti avevano insinuato che quei voti fossero stati più di una volta gonfiati. Ma era bastato farsi conoscere un poco dagli altri perché si rendessero conto di quello che lei era veramente.
Una che lavora sodo. E che non chiede favori a nessuno.

In quanto a lui, beh.. se Clarke avesse dovuto dare un volto all’idea di integrità professionale non avrebbe scelto altri che il suo viso scuro dai denti scintillanti.
Un uomo d'onore, e suo figlio Wells lo sapeva bene.

La prima -ed unica- volta che lui e Clarke erano stati portati al commissariato per aver imbrattato i muri della scuola con della vernice spray -avevano qualcosa di stupido da festeggiare, ma che si può pretendere da due di quindici anni?- mentre lei se l’era cavata con una bella tirata di orecchie e due settimane senza TV, lui era stato lasciato dal padre in centrale tutta la notte.
Agli occhi degli altri era sembrato troppo duro, ma Jaha era così e Wells sembrava esserci abituato..

Oltre a ciò, l'uomo aveva questo modo di fare che lei aveva imparato a riconoscere con il passare del tempo. Quando un progetto lo entusiasmava, niente al mondo riusciva a farlo desistere. Se fosse stato necessario alla sua causa, avrebbe trovato il modo di vendere frigoriferi ad un eschimese.  

Non appena lui finì di parlare guardò l’orologio, sussultando in un -oh..-  sorpreso, e si alzò.
« Mi sa che siamo in ritardo per quella questione.. Miss. Reyes, dobbiamo proprio scappare. Ci vediamo presto Clarke, fammi sapere. »
« Bene, a quanto pare ti abbiamo disturbata abbastanza » fece la ragazza, allargandosi in un altro sorriso scintillante.
Era una tipa che dava parecchio nell’occhio. Magra, atletica, con capelli lisci e splendenti, la pelle bruna e un viso perfetto.. Con quelle labbra abbondanti, gli occhi da cerbiatta e i capelli legati Finn avrebbe detto che somigliava a Tomb Raider.
Per di più era anche un brillante Ingegnere, nonostante lei avesse sempre sentito dire in giro che le donne non ci fossero tagliate di natura: o troppo stupide, o zitelle acide.
Per questo all’inizio, quando la ragazza si era presentata, Clarke aveva faticato un po’ a crederle sulla parola e si era convinta solo quando aveva notato che l’altra non era minimamente truccata e che le sue mani sembravano forti.

Raven in pratica sembrava una principessa Disney vestita da meccanico, con salopette e chiave inglese alla mano. L’immagine la fece sorridere ma anche provare invidia: per un momento Clarke si sentì poca roba al confronto, con il suo dottorato in criminologia, il master in logopedia, la laurea in psicologia ed i suoi piccoli successi accademici.

Tuttavia la volevano per il progetto, quindi tanto inutile ai loro occhi non lo era.

La giovane donna si alzò a sua volta, infilandosi il cappotto, e le porse la mano:

« Sono Raven, comunque. » le disse caldamente
« Clarke. » rispose automaticamente la ragazza, leggermente imbarazzata.
« Questo lo so. » ridacchiò Raven, prima di girarsi e imboccare l’uscita del bar, con il rettore di fianco.

 

****

 

Era rimasta quattro giorni a rimuginare sulla proposta.
Le interessava e, purtroppo per lei, dovette ammettere che quello che la invogliava di più era l’idea di far parte di un team che potesse vantare solo “giovani menti brillanti”.
Aveva parlato con Thelonoius e lui glielo aveva assicurato: non erano una fregatura.
Erano un gruppo reale e ben finanziato da enti privati, nel settore innovazione erano molto famosi.

Solo che non amavano scoprire le carte in tavola troppo presto.

Tramite il Rettore prese appuntamento.
Venerdì alle 15.00 avrebbe incontrato la dottoressa Primeaid e avrebbe visionato il progetto.

L’indirizzo dell’incontro non la portò fuori città, come si era aspettata, ma in un quartiere in periferia piuttosto tranquillo, pieno di villette a schiera.
Pensava che la sua destinazione fosse una di quelle, ma il navigatore la fece arrivare fino ad una tenuta un po’ più grande, più isolata rispetto alle altre.
La proprietà aveva un enorme vialone alberato che portava fino ad una enorme casa in muratura dal tetto spiovente.
Strano, pensò.

Forse la dottoressa voleva incontrarla privatamente per una chiacchierata conoscitiva. Parcheggiò in uno spiazzo e si avviò per bussare alla porta.
Le aprì una donna sulla quarantina, raffinatamente vestita e con i capelli legati in una stretta coda di cavallo:

« Tu devi essere Clarke. » disse con un sorriso accennato.

Era anche lei una bellissima donna.
La bionda si chiese se anche gli altri membri del Team fossero tutti dei modelli mozzafiato con un QI superiore a 150.
Era forse un requisito fondamentale per partecipare all’impresa?
Perché lei non si sentiva tutta questa bellezza, anche se Finn le aveva sempre detto il contrario..

« La dottoressa..? » tirò a indovinare lei, anche se era abbastanza sicura della sua intuizione.
C’era qualcosa in quella donna che parlava di prestigio, potere, intelligenza.
« Si. Vieni, accomodati pure. » la invitò ad entrare.

Gli interni erano belli come l’esterno: ampi e luminosi spazi aperti collegati da ampie porte a scorrimento di vetro. E poi legno, legno ovunque: parquet, tavoli, mobili, pareti.
Una testa di cervo appesa sul camino le fece storcere un po’ il naso, ma per il resto trovava la casa davvero incantevole. Molto rustica.
Si accomodarono in salotto dove la donna le offrì del thé.
Dopo qualche minuto erano sedute ad un tavolino di ciliegio, con le tazze fumanti in mano.
« Allora.. » buttò lì Clarke, ansiosa di sapere qualche dettaglio in più.
« Thelonious mi ha parlato molto di te. Dice che sei una ragazza sveglia. » commentò la donna senza mezzi termini, ma con un tono dolce.
« Lo spero. »  sorrise l’altra.
« Beh, col tempo i fatti parleranno da soli.. » poggiò la tazzina sul piattino « Quando avresti intenzione di iniziare? »
« Ah, anche subito! Ho un resoconto da scrivere, prima inizio meglio è. »
La donna tacque per qualche secondo, annuendo, perciò Clarke continuò risoluta:
« ..ma mi piacerebbe capire meglio quello che c’è da fare, prima, se non le dispiace. »
« Si.. Certo. - la donna la squadrò per un po’, prima di continuare - ma sono tenuta a dirti che verrai monitorata anche tu e che questi dati serviranno ai fini della ricerca. E con monitorata intendo registrata » indicò alcuni punti della casa.

Clarke faticò un po’ per trovare quello che avrebbe dovuto guardare: stringendo gli occhi poté notare tante piccole telecamere.
Una nel vaso, una nell’angolo a soffitto, una nel naso del cervo.
« Oh! - esclamò imbarazzata - è questo il posto di lavoro..? Voglio dire.. dovrò venire qui? In questa casa? »
« Precisamente.» annuì la donna.
La ragazza rimase qualche secondo a pensare. Non le piaceva essere ripresa.
Inoltre, l’idea che quella splendida casa fosse forellata come un vecchio mobile assaltato dai tarli le risultò abbastanza disgustosa.
Sentì di aver apprezzato una cosa finta.

« Se è per lavoro.. voglio dire, se è necessario.. » iniziò lei.
« E’ necessario. Più in là ti spiegherò ma per ora.. cerca di accontentarti.. » la interruppe l’altra.

« Mhh.. d’accordo.- inghiottì lei, inarcando un sopracciglio - ...Ma adesso posso finalmente sapere in cosa consiste questo lavoro?»

Clarke iniziava ad essere stufa di tutte quelle clausole, quelle cose non dette, quei misteri e iniziava già a pentirsi di aver dato retta a Thelonious.
« Non vorrei sembrarti pesante, ma prima di esporti l’argomento devo dirti che quando accetterai il progetto sarai obbligata da un accordo di segretezza al massimo silenzio. Lavoriamo su cose particolarmente delicate, capisci.. » disse alzandosi per recuperare un tablet da un cassetto.
Glielo poggiò davanti « Questo è quello relativo alla chiacchierata di oggi. Solo per tutelarci.»

La ragazza era sempre più incredula. Gli diede una scorsa veloce:
« In sostanza mi minacciate di conseguenze legali anche piuttosto pesanti nel caso in cui io riferisca a terzi della nostra “chiacchierata” di oggi? » sempre più esterrefatta.

« E’ brutto detto in questi termini, ma.. » confermò l’altra.

Tutto ciò era davvero troppo, davvero. Prima filmata, poi minacciata e poi, che più? Ma che razza di colloquio era? Si sentiva come in un film di contro spionaggio, e a lei 007 non era mai piaciuto.
Aveva appena poggiato le dita sullo schermo per rispedirlo indietro sul tavolo e già stava formulando una risposta di scuse, quando sentì il rumore della porta.

Dopo pochi secondi fece capolino dall’atrio una ragazza in tuta tutta sudata mentre si toglieva gli auricolari dalle orecchie e si asciugava la nuca con un asciugamano, ancora affannata.
Non sembrò sorpresa di vederle.
Guardò Rebecca facendole un cenno di saluto con la testa e poi guardò Clarke per qualche secondo.

Fu quello il momento che cambiò la sua vita, anche se lei all’epoca non lo visse affatto bene.

La tipa lì la osservava con un’espressione indecifrabile.
Era fredda, compassata ma non distante, superficiale, anzi.
La dottoranda si sentì studiata, nuda come una paziente sotto gli occhi dei medici.
Una sensazione poco piacevole le percorse la spina dorsale fino a farle formicolare la punta delle dita.
Non credeva di essersi sentita mai così tanto a disagio in vita sua, come in quel momento: quella tizia la stava decisamente analizzando e senza tentare nemmeno di nasconderlo.
La cosa le risultò fastidiosa e persino un pochino estranea: era abituata a stare “dall’altro lato”. Inoltre sembrava che alla ragazza fosse bastato quello sguardo veloce per tirare le sue conclusioni.

E questo a Clarke non piaceva, non piaceva affatto.

 

La voce di Rebecca ruppe il collegamento che si era creato e la ragazza finalmente staccò il suo sguardo dagli occhi dell’altra:
« Puoi andare Lexa, fra poco sarò da te e poi possiamo incominciare. »

La ragazza annuì e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo di taglio alla bionda, salì le scale per andare al piano superiore.
Clarke colse quell’attimo per riprendersi dai suoi pensieri, ma non fu abbastanza veloce perché Rebecca colse perfettamente il suo viso corrucciato:
« Lavorerai con lei.. sempre se accetti di firmare. » ci tenne a precisare.
Clarke sembrò sorpresa:
« E’ una psicologa, un ingegnere o cosa, stavolta..? »
Rebecca ridacchiò, lasciando intendere che fosse totalmente fuori strada.

Allora la dottoranda capì:
« Vuol dire che l’agente è lei..?? Ma è così giovane e.. »  sgranò gli occhi.
La donna sorrise:
« “Mai fidarsi delle apparenze”, credo che questa frase tu l’abbia già sentita da qualche parte almeno una volta nella vita. - le porse il pennino - allora.. che si fa? Mi piacerebbe spiegarti un po’ di cose.. »

 

****

 

Clarke aveva firmato.
Ma certo che aveva firmato, di cosa staremmo a parlare, altrimenti?
Maledetto il suo istinto autolesionista da Ulisse, non era riuscita a frenare il “si” silenzioso che aveva fatto con la testa e la sua mano che aveva afferrato lo stilo e firmato sullo schermo lucido del tablet.
Ora ci era dentro con tutte le scarpe.

Ma lo sguardo sfacciato di quella tizia le aveva fatto dimenticare ogni fastidio relativo a telecamere e a contratti vincolanti.
Quegli occhi l'avevano guardata in una maniera che -Clarke ci aveva ragionato parecchio durante il ritorno a casa- non corrispondeva a nessun canone comportamentale da lei conosciuto.

Era.. libera. Libera da qualsiasi sovrastruttura, qualsiasi paura, qualsiasi educazione o premura.
L'aveva irritata, in un primo momento, ma poi l'aveva colta l’irrefrenabile curiosità di capire quanto quel fantomatico dispositivo avesse influito sul carattere della tipa chiamata Lexa o se lei fosse semplicemente fatta così, di natura.. selvaggia.
Si sentiva così tanto attratta dall’idea di poterla studiare che iniziò a sospettare che la sua non fosse semplicemente curiosità a livello professionale.

No.

La sua era forse.. invidia.

Lei e Rebecca avevano parlato per quaranta minuti e la dottoressa le aveva detto molte cose che, mentre guidava per tornare a casa, le ritornarono alla mente.
Avevano parlato della pubblicazione del lavoro, dei termini della divulgazione del progetto alla fine della loro collaborazione, e così via.
Avrebbe dovuto sopportare altre tre settimane di completa ignoranza, da contratto:

« Tipo “cieco/doppio cieco”? Quello che si fa quando si testa un nuovo farmaco? » aveva intuito.
« Non “doppio”. In questo caso noi sappiamo benissimo cosa monitorare e a cosa prestare attenzione. Il tuo compito all'inizio sarà semplicemente di osservarla e verificare eventuali anomalie psicologiche, prendere nota e consegnare un rapporto settimanale.
Alla fine del periodo, verrai messa al corrente di alcuni dettagli tecnici e proseguirai col tuo lavoro, sotto però un nuovo punto di vista.. le dinamiche rimarranno sostanzialmente le stesse. Fin qui, mi pare che sia tutto. » aveva concluso la dottoressa, sbrigativa.

Anomalie psicologiche.

« Onde evitare problemi in futuro, vorrei che lei mi rispondesse sinceramente, dottoressa.» aveva chiesto piano Clarke, dopo essersi ripetuta mentalmente quelle due parole alla ricerca del loro vero significato.
Le erano suonate male e voleva togliersi ogni dubbio prima di imbarcarsi in quella impresa:

« È possibile… insomma è possibile che l'agente Lexa… mi devo aspettare qualche comportamento violento da lei? È possibile? Vorrei saperlo.»
La dottoressa l'aveva guardata un po’ sorpresa.

Poi aveva sorriso, rendendosi conto dell'effetto che aveva potuto fare la sua frase precedente:
« No Clarke, assolutamente.. non c'è pericolo. »

Il sollievo della ragazza fu evidente.

 

Eppure qualcosa non la fece dormire quella notte.
C'era qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa che l'aveva eccitata, che le aveva acceso una lucetta nella testa, tintinnare i campanelli nelle orecchie, non necessariamente di paura.
Glielo aveva urlato ogni fibra del suo corpo, aveva vibrato ogni “antennina” che la rendeva così brava nel suo lavoro, così maledettamente intuitiva.

Clarke non capiva, ma sentiva.
Sentiva che sarebbe successo qualcosa di grosso.
E non si sbagliava.
 

****

 

Lei la ricordava bene quella sensazione.
Era stato doloroso, qualcuno avrebbe detto “come morire” ma è chiaro che nessuno al mondo ancora in grado di parlare ha davvero cognizione di quello che significa questa frase.

Forse solo lei avrebbe potuto dire qualcosa al riguardo, se solo avesse ricordato.. ricordato del prima..
Ma all'epoca non sapeva nemmeno di doversi sentire qualcuno.
All'epoca non sapeva niente.

E quindi semplicemente aveva sofferto, dopo l’assaggio del “primo attimo”.
Aveva sofferto quando aveva sentito i polmoni allargarsi, i rumori distruggerle i timpani, la luce bruciarle le pupille, e si era resa conto troppo tardi che avrebbe dovuto lottare per rimanere giù con la testa, per non riemergere da quella vasca tiepida.

Avrebbe dovuto lottare per non iniziare a vivere.

Invece adesso che la linea era stata varcata era solo una discesa in caduta libera.

Davanti a questa consapevolezza aveva pianto, disperatamente, per la prima volta.
 
  
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