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Autore: Panenutella    20/08/2016    2 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alors On Danse

Alors on sort puor oublier
Tous les problèmes
Alors on danse
Et la tu t’dis que c’est fini car
Pire que ça ce serait la mort.
Qu’en ty crois enfin que tu e’en
Sors quand y en a plus et ben
Y en a encore!

[Andiamo per dimenticare
Tutti i problemi
Andiamo a ballare
E quando ti dici che è finita
Perché peggio di così c’è la morte
Quando finalmente credi che
Te ne stai uscendo,
quando non ce n’è più
in realtà ce n’è ancora!]
- Stromae

La fine della mia terza giornata di lavoro è arrivata come la rinnovata quiete dopo la tempesta, agognata e quasi silenziosa, insieme a un bel bicchierino di caffè.
La frenesia di fine giornata per ricatalogare ogni costume di scena, il personaggio a cui appartiene ed eventuali danni che ha subito si è conclusa da una decina di minuti, lasciando solo me la costumista Sheila, una bellezza africana dai lunghi capelli d’ebano e un dolce e bianchissimo sorriso. Il suo ultimo compito della giornata è quello di selezionare i capi che devono essere rinfrescati dalla lavanderia per essere pronti il giorno dopo; il mio è quello di riordinare le infinite pile di progetti per nuovi costumi che Sheila e il suo team disegnano e preparano nel corso della giornata. Io ho finito, lei è agli sgoccioli. Bevendo il disgustoso caffè della macchinetta a occhi chiusi, stilo un resoconto mentale degli ultimi, spossanti giorni.
La sera del mio primo giorno Kit, rientrando da alcune faccende da sbrigare in città, mi ha messo fra le mani un pacchetto regalo. Conteneva un iPhone 5.
“Dentro ci sono i tutti i numeri del set, da quello di David a quello di Sheila. Il mio è fra le chiamate di emergenza, e se farai una qualsiasi chiamata internazionale, ad esempio ai tuoi genitori, ho fatto in modo che il numero appaia sempre criptato e irrintracciabile. Così nessuno ti disturberà”. Aveva concluso la frase con una smorfia di disprezzo, come se dirmelo gli provocasse un’ondata di nausea nello stomaco. Io non riuscivo a dire nulla per ringraziarlo. Senza pensarci due volte e prima che mille dubbi mi assalissero l’ho abbracciato, avvolgendolo e inspirando il suo aspre profumo. Kit, un po’ sorpreso, ha ricambiato la stretta affondando il viso nei miei capelli. Il battito del suo cuore era così profondo che risuonava anche nel mio petto. Ho lasciato che fosse quello a parlare per me, e sono stata immersa di nuovo da quel senso di benessere che cerco da due anni e che ho trovato solo fra le sue braccia.
In questi tre giorni ho imparato un sacco di cose: ad assegnare ogni costume al rispettivo attore in tempo di record, a rattoppare in pochi minuti uno squarcio in un costume, a usare la macchina per cucire.
Ho conosciuto gli attori del set: Kistofer Hivju (Tormund Giantsbane), Hannah Murray (Gilly), John Bradley (Samwell), il cieco Peter Vaughan (Aemon Targaryen). E ho conosciuto Rose.
Nel momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati, foto viste da oscuri giornali di gossip sono uscite da un cassetto della mia mente e hanno cominciato a scorrermi davanti agli occhi: foto che ritraevano lei e Kit seduti al tavolo di un café con le dita intrecciate, a passeggio per le strade di Londra, foto in cui si baciano. “Lei non è la signorina Rose”, aveva detto Dolores, la donna delle pulizie. “Si è lasciato due settimane fa con quella bruta”, risuonava nelle mie orecchie la voce di mia madre.
Lei è l’ex ragazza di Kit, ed è bellissima.
Dopo quei pochi secondi passati a studiarci a vicenda Rose mi ha sorriso. “Potresti darmi il mio costume, per piacere?”. Mi ha stretto la mano quando gliel’ho dato. “Sono Rose. Sei Sara, vero? È vero quello che si dice in giro, che vivi in casa di Kit?”.
Stavo per prendere la pala e cominciare a scavarmi la fossa quando qualcuno l’ha chiamata sul set e lei si è dileguata dopo un accenno di saluto, rinunciando a conoscere la risposta.
- Sara? – La vivace e potente voce di Sheila mi riscuote dai pensieri come un campanellino. – Abbiamo finito per oggi, puoi anche andare a casa.
- Grazie, Sheila. Non c’è bisogno che metta a posto tutto quanto?
- No, tranquilla, non serve. – Posa la borsa sul tavolo a cui sono appoggiata con uno stanco sorriso. Dopo un attimo di silenzio passato a osservarmi con quegli occhi nerissimi, abbassa la voce e si china su di me. – Sai, ho sentito dire che gli attori stanno dicendo delle grandi cose su di te a David. Ci ho aggiunto del mio, ovviamente, e pare che lui non ti consideri più una spina nel fianco. Penso stia prendendo fiducia nelle tue capacità. – Mi fa l’occhiolino. – Continua così e potrai venire in Islanda con noi.
Porta un dito alla bocca in segno di far silenzio, come per suggerirmi di tenerlo per me, poi prende la borsa e se ne va.
Appena esce dalla sala lascio che il sollievo si impadronisca di me, sorrido e mi lancio in una danza della vittoria.
La sala costumi, Matteo, il lavoro, gli ultimi due anni sembrano sparire dalla mia mente come la nebbia del mattino al sorgere del sole e tutto attorno a me si trasforma in energia mentre mi alzo sulle punte delle sneaker e una sequenza di arabesque ad occhi chiusi.
Sono due anni che non accenno un passo di classica, disciplina a cui ho applicato tutta me stessa sin dalla mia prima infanzia. C’è un motivo se non indosso mai scarpe aperte: i miei piedi sono rovinati. La danza è sempre stata la mia passione, sia quella classica che quella moderna, anche se preferisco di gran lunga la leggerezza e la sinuosità dei passi di classica.
È da quando è cominciato il brutto periodo della relazione con Matteo che non ballo a causa del mio sentirmi sempre inadatta, inseguita, impaurita, sola. Incontrare Kit e ottenere questo lavoro mi ha restituito la danza, e di conseguenza anche la vita perché la danza è vita.
Stento a crederci, ma sono due giorni che non penso a Matteo e a tutto quello che mi è capitato. Sul set sto facendo amicizia con la crew e gli attori, sto stringendo un profondo legame con Kit, sto facendo qualcosa che mi fa sentire importante per qualcuno. Sto vivendo di nuovo la mia vita, sto respirando di nuovo, e sono così felice che dai miei occhi chiusi le lacrime cominciano a rigarmi il volto.
Una mano si chiude intorno alla mia e io spalanco gli occhi, ritrovandomi davanti il dolce sorriso di Kit.
- Non fermarti – sussurra come commosso, sollevando la mano e facendomi fare due giravolte su me stessa. Lo afferro per un fianco per farlo ballare con me ma lui si ritrae.
- Non so ballare – spiega imbarazzato.
- Ti insegnerò, allora – sorrido.
- Un’altra volta. Anzi, sono venuto a chiederti se stasera ti va di venire con me e gli altri in un locale qua vicino. C’è musica, roba da mangiare, e antipaparazzi. Pare ci sarà un po’ di chiasso, e credo che possa fare del bene a entrambi. Che ne dici?
- Mi concederai un ballo? – Chiedo ammiccando.
- Certo – Sorride, legandosi i capelli in un man bun.
- Allora ci sto.

Il locale è veramente pieno di gente: chi chiacchera, chi sta seduto al bancone del bar, chi balla. La musica non è proprio del mio genere e le luci stroboscopiche pulsano come un colorato battito cardiaco, costringendo tutti quanti a farsi trascinare dal ritmo, dalla luce e dal bere in una spirale di divertimento e alcolici.
Non mi sono mai trovata a mio agio in questo genere di locale, ma la presenza degli attori con cui sto facendo conoscenza e della dolcissima moglie di Kristofer, Gry, riescono a tranquillizzarmi, tanto che è quasi facile ridere e scherzare con tutti, persino con Rose. Siamo sedute una davanti all’altra e condividiamo una ciotola di patatine. È una brava ragazza, e davvero non capisco come mai lei e Kit si siano lasciati. Ogni volta che in questi giorni ho provato a toccare l’argomento lui si è ritratto come da una fiammella accesa, quasi irritato. La questione sembra tormentarlo.
C’è anche Richard stasera, e per fortuna sto riuscendo a cancellare la prima impressione che gli ho dato quando ci siamo conosciuti: doveva pensare che fossi come una gazzella cacciata da un leone, perché stasera si è avvicinato a me circospetto, quasi esitante, come se pensasse che scapassi via dopo avergli sferrato un cazzotto sul naso. Gli ho sorriso, ho iniziato la conversazione… e lui si è rilassato. Non avevo notato di quanto fosse attraente: sembra veramente uno dei principi azzurri su un cavallo bianco. Inoltre, è tremendamente simpatico ed è il migliore amico di Kit: si diverte a parlargli alle spalle, ma lo fa senza la minima traccia di cattiveria. Dal momento che regge a malapena l’alcool, non essendo un bevitore esperto, mi sta facendo ammazzare dalle risate.
Se ci avessi pensato una decina di giorni fa non avrei mai creduto di potermi trovare in una situazione del genere, mai e poi mai: circondata da amici, in un bar affollato, senza sentirmi in trappola o in pericolo.
Kit atterra sul tavolo a cui Rose, Richard e io siamo seduti, posando un bicchiere di mojito quasi vuoto, spaventando sia me che Rose. Penserei che è ubriaco, se con la coda dell’occhio non l’avessi visto inciampare nei propri piedi. E poi, Kit regge litri di alcool come fosse acqua, da bravo bevitore esperto.
- Ti avevo promesso un ballo, ricordi? – Urla per farsi sentire al di sopra della musica. Rose sembra ignorarlo ostentatamente, voltandosi come offesa dall’altra parte mentre Kit mi prende per mano e mi conduce al centro della pista. Dal contatto delle nostre mani un brivido mi percorre tutto il braccio fino ad arrivare sulla nuca, riuscendo a farmi drizzare tutti i peli. Non riesco a dare un senso alle farfalle che sento nello stomaco, ma non posso ignorarle nonostante i miei sforzi.
Il deejay sta mandando “Alors on danse” di Stromae e la gente attorno a noi si dimena come tarantolata. Kit, perfettamente consapevole delle sue azioni, mi prende per i fianchi e mi avvicina a sé cominciando a condurmi in ritmo di danza atipico, piantando lo sguardo nel mio e facendomi dimenticare tutto il resto del mondo. In questo momento esiste solo il suo scuro e profondo sguardo su di me e io non riesco a guardare nient’altro.
Mi solleva di nuovo la mano e io giro ancora su me stessa, coi capelli che mi finiscono. Kit ride e lo facciamo di nuovo, di nuovo e di nuovo. La testa mi gira, ho lo stomaco sottosopra, ma non voglio smettere. Il contatto dell’intero corpo di Kit contro il mio mi fa sentire oltre questa terra, mi fa sentire nuda, mi avvolge e mi riscalda, mi fa perdere coscienza di me e delle mie azioni, mi manda in confusione totale.
Che cosa significa?
Lui ha detto di non saper ballare, ma le sue mani sui miei fianchi sanno esattamente cosa stanno facendo. Conosce il ritmo della canzone e sa condurmi nella danza.
Sto ancora girando. Solo quando rischio di finire per terra Kit smette di farmi fare la trottola e scoppia ancora a ridere, staccandosi da me e interrompendo le scariche di brividi che mi percorrono il corpo.
- Forse è meglio se vado a prendere qualcosa da bere!
Annuisco togliendomi i capelli dagli occhi. Lui si allontana e io ne approfitto per osservare le persone intorno a me, e le coppie felici che ballano stringendosi a vicenda. Eseguo qualche pirouette, stando attenda a non dare una ginocchiata nei reni a qualcuno, aspettando Kit.
Poi, qualcosa di familiare attira il mio sguardo, e lo stomaco mi cade nella pancia con un tonfo. Mi fermo, trasformata in una statua di sale, e il cuore che fino ad ora era pieno di felicità comincia a battermi freneticamente contro lo sterno, tornando a riempirsi di angoscia. Tutta la mia ritrovata serenità, di colpo, va in frantumi con rumore di vetro spaccato, rotta dalla visione seminascosta dalla folla, che appare e scompare velocemente ogni volta che qualcuno gli passa davanti e lo nasconde dalla mia vista.
I lisci e sbarazzini capelli color biondo scuro, il profilo greco, le imponenti spalle e la maglietta attillata.
Ha una pettinatura diversa ed è voltato dall’altra parte, ma è solo e non parla con nessuno. Quello è…
“Merda!”.
Matteo.
No, no, non può essere…
Mi ha trovata.
Ce l’ha fatta.
Matteo è qui.
Oh merda, merda, merda…
Sento l’adrenalina che circola a tutta forza nelle mie vene mentre le gambe, lentamente e con cautela, si schiodano dal pavimento.
Devo trovare Kit.
Kit, Kit, Kit…
Ho bisogno di lui.
- MALEDIZIONE, KIT!
Arrivo al bancone del bar e mi guardo freneticamente intorno, cercandolo.
La mia serenità è davvero durata così poco… dovevo godermela di più. Adesso è tutto finito, sono tornata com’ero prima di incontrare Kit.
Una coppia si allontana dal bancone e finalmente lo vedo. Sta ringraziando il barista prendendogli dalle mani due boccali di birra pieni fino all’orlo.
Ancora prima di rendermene conto gli sono accanto e gli ho posato le mani sui fianchi, in un accenno di abbraccio, tornando a scrutare in mezzo alla folla per ritrovarlo. È lontano, ma vedo chiaramente che mi sta guardando.
Merda, merda, merda…
- Cosa c’è? – Kit posa i boccali sul bancone e mi prende per le spalle. – Sara, stai tremando, che c’è? Che è successo?
Tento di parlare, invano. Delle lacrime mi velano gli occhi. Apro e chiudo la bocca a ripetizione come un pesce. Lui mi scuote piano.
- Sara, mi stai facendo preoccupare! Cos’hai?
- Lui è qui!
Il mio grido strozzato è stato abbastanza chiaro da fargli capire di chi sto parlando. Le sue braccia mi avvolgono, spostandomi verso il bancone e nascondendomi il viso nel suo petto. “Bâtard” di Stromae sta facendo pulsare l’intero locale.
- Dov’è?
I suoi bei lineamenti sono distorti dall’ira, il suo sguardo esprime un odio che contrasta con la sua persona. Mi stringe saldamente, quasi compulsivamente, e le sue braccia sono scosse da lievi tremori.
Riesco a indicare quasi subito Matteo tra la folla. Adesso è di spalle.
- Quello con la maglia verde…
- Resta qui.
Mi lascia andare e a grandi passi comincia a farsi spazio tra la folla danzante. Involontariamente le mie gambe cominciano a muoversi nella sua direzione, facendosi a malapena strada in mezzo alla pista.
Kit si sta dirigendo inesorabile verso Matteo, che proprio in questo momento si volta verso di me.
Non sarà che Kit voglia… Ma aspetta… Matteo non ha gli occhi verdi! Quello non è lui!
- Kit, ASPETTA!
Ma lui è già arrivato a destinazione, e l’ha preso con prepotenza per una spalla, costringendolo a voltarsi. Il ragazzo che ho erroneamente scambiato per Matteo ha solo il tempo di esalare un’esclamazione di sorpresa, che Kit gli sferra un violento pugno in pieno volto, mandandolo a terra. Quelli che un secondo fa stavano ballando attorno a loro fanno immediatamente spazio, sorpresi e incuriositi.
- Ma che cazzo! – Lo sento urlare al di sopra della musica, subito prima che Kit lo sollevi per il bavero della maglietta e ne tiri un altro. Il capannello di persone esclama.
Lo raggiungo di corsa e cerco di tenerlo lontano dal ragazzo a terra.
- Kit, Kit, fermati! Lascialo andare!
Cerco di tenerlo lontano spingendolo sul petto con entrambe le mani, ma lui sembra ignorarmi completamente. Richard e Kristofer arrivano in mio soccorso, tenendolo fermo per le spalle, circondandogli le braccia.
- Kit, che cazzo stai facendo? – Esclama Richard. – Fermati, amico!
Persino Kristofer, un colosso, sta facendo fatica a tenerlo fermo.
- Ma sei matto? – Il ragazzo si alza da terra con la faccia coperta di sangue, tenendosi il naso ormai rotto.
- Lasciatemi andare! – Grida Kit, furioso.
- Kit, non è lui! Sono due gocce d’acqua, ma non è lui!
Si blocca e mi fissa sconvolto, il petto ansante.
- Cosa??
- Lui. Non è. Matteo.
- Si può sapere chi cazzo è Matteo? – Il ragazzo parla a fatica. – Io chiamo la polizia!
- Ti prego, ti prego non farlo -. Cerco di convincerlo tirando fuori dalla borsa dei fazzoletti e cominciando a pulirgli la faccia. Lui si ritrae, dolorante. – È stato un incidente. Ti abbiamo scambiato per un'altra persona!
- Non me ne frega un cazzo! Mi ha rotto il naso!
- Ti prego…
- Che succede qui? – Il buttafuori si è avvicinato minaccioso, mentre Richard, Kristofer e gli altri del nostro gruppo ci guardano allibiti.
- Noi…
- Vaffanculo. – Kit mi afferra la mano stringendola in una morsa e mi trascina fuori dal locale.

- Mi dispiace da morire. Perdonami Kit.
Siamo seduti al bancone della sua cucina e io gli sto applicando degli impacchi di ghiaccio sulle nocche della mano destra tutte tagliate e rosse di carne viva. Se le è aperte menando quel ragazzo.
Ho guidato io fino a qui, lui non ha detto una parola da quando siamo usciti dal locale, senza dare la benché minima spiegazione al ragazzo, al buttafuori, a Richard e agli altri.
Resta in silenzio, ma sento il suo sguardo su di me. Sguardo che non riesco a sostenere per la troppa vergogna.
- Erano identici tranne che per il colore degli occhi. Dio, non sai quanto mi dispiace… ti sei messo nei guai per colpa mia, chissà se quello avrà chiamato la polizia per davvero…
- Lo avrei ucciso, se fosse stato davvero lui.
Alzo lo sguardo, incontrando il suo: non è arrabbiato, triste o angosciato. Mi guarda con dolcezza infinita.
Ci sono tante cose che vorrei chiedergli su questo, ma tutto ciò che le mie labbra riescono a formulare è solo “Perché?”.
- Davvero me lo chiedi? – Sorride tristemente. – Davvero non riesci a capire che meriti amore, e non la violenza che quel verme ti ha fatto? Non capisci che sei molto di più di quello che lui ti ha fatto credere? – Si sporge verso di me. – Davvero non capisci che c’è qualcuno che ti ama, e che quel verme merita la castrazione per averti fatto credere di non essere quello che sei, e la morte per aver alzato un dito su di te? 
Rimango ammutolita, incapace di dire niente, ipnotizzata da quello sguardo.
Kit è un amico.
È un amico?
Cosa sono le farfalle nello stomaco che sento in sua presenza?
Che cosa significa veramente quello che ha appena detto?
Abbasso lo sguardo, tornando a tamponargli le ferite con l’impacco.
Lo sento sospirare.
- Hai conosciuto Rose – osserva. – Credevo che fosse l’amore della mia vita. – Torno a fissarlo, attenta e incredula. Lui spiega tra leggere smorfie di dolore. – Ci siamo conosciuti sul set. Ero attratto da lei, e la complicità che c’è tra i nostri personaggi ha giocato a nostro favore. Ci siamo messi assieme ed eravamo felici, e il sesso era… fantastico.
I nostri sguardi si incrociano per un secondo, poi lui abbassa gli occhi e continua: - Siamo stati insieme per sei mesi, felici come in luna di miele; poi hanno cominciato a girare foto di lei insieme ad altri uomini, sempre più frequentemente. Non volevo crederci, ma alla fine ho dovuto chiederle spiegazioni. Abbiamo litigato furiosamente quella sera, proprio in questa stanza. Alla fine lei mi ha urlato in faccia che la nostra relazione per lei era solo un gioco, e mi ha lasciato su due piedi, sbattendosi la porta dietro le spalle.
“Puttana”.
- Ne sono uscito male, annegato nell’alcool. Non influiva sulla mia performance al lavoro, ma nella vita privata ho combinato una serie infinita di disastri. Ho sempre creduto nell’amore a prima vista, e ci credo ancora nonostante la batosta, ma dopo quella sera ho pensato per molto tempo che tutto quello in cui mi sarei buttato, sentimentalmente parlando, sarebbe stato un disastro e non avrei mai smesso di soffrire. A poco a poco mi sono convinto che sarei morto da solo. Il cinismo mi calzava già a pennello, credevo che l’amore in realtà non esistesse. E poi…
Una pausa, fin troppo lunga per i miei gusti.
- E poi?
Di nuovo il suo sguardo si inchioda nel mio. Prende fiato un paio di volte prima di parlare.
- Poi ho incontrato un’impaurita ragazza bionda in un bar.
Conclude con un accenno di sorriso dalla bocca, ma tanto basta a farmi esplodere la testa e a mandarmi sottosopra lo stomaco.
Ecco il perché del bacio la sera in cui ci siamo conosciuti.
Kit è un amico, o mi ostino a considerarlo tale? Se è un amico, perché mi sento così ogni volta che mi sfiora, che sono insieme a lui?
Ha fatto a botte con uno sconosciuto, credendo che fosse Matteo, per vendicare i torti che mi ha fatto.
Non è soltanto un amico. Posso pensare quello che voglio, ma non lo è.
La sua ultima frase mi rimbomba in testa come in una caverna.
“Credevo che l’amore non esistesse, poi ti ho incontrata.”
Lascio cadere il ghiaccio a terra, schizzando acqua da terra, mi alzo dallo sgabello, mi butto verso di lui e lo bacio intensamente.

   
 
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