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Autore: MissyHarry    22/08/2016    3 recensioni
Una vecchia conoscenza di Revy, una nuova associazione che tenta di prendere il sopravvento sull'Hotel Moscow e i soliti fattorini che ogni tanto si scontrano con la legge.
Perché in fondo un traditore, anche se passa dalla tua parte, rimane pur sempre un traditore.
RevyxRock, accenni... O forse qualcosa di più di semplici accenni, hmmm...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dutch, Nuovo personaggio, Revy, Rock, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21.

The End



 

Sulla scalinata esterna di granito della villa, una lucertola appena sveglia si stava affrettando ad uscire dal proprio nascondiglio prima che sorgesse il sole. Si fermò incerta appena vide la figura di Revy seduta sulle scale, ma continuò per la sua strada quando constatò che probabilmente l'umana non si sarebbe mossa da lì.
La ragazza aveva appoggiato le braccia alle ginocchia, e si stringeva la testa fra le mani. Non si accorse del rettile, né del sole che stava cominciando a rischiarare il cielo ancora prima di sorgere.

Erano passati circa venti minuti da quando Boris se n’era andato. Aveva sfollato alla grande, aveva distrutto buona parte del soggiorno ed aveva minacciato di morte Dutch. A cosa era servito?
A nulla. Nessuno dei due sapeva che fine avesse fatto Mark, né cosa stesse succedendo con precisione, anche se se lo immaginava. L’unica cosa certa era che Balalaika ed Eda avevano architettato quel piano per tenerla lontana e per renderla innocua, mentre agivano indisturbate.

“Puttane…” mugugnò. Nonostante tutto, gran parte della sua rabbia non era concentrata verso le due donne, ma verso Mark. Non poteva biasimare la sorellona o quella zoccola della suora per aver portato avanti la missione làddove lei si era tirata indietro: Mark aveva sbagliato, la colpa era sua.

Poteva sembrare strano, ma proprio le città senza leggi erano quelle con più regole… Ed erano quelle dove le regole venivano fatte rispettare davvero. Forse perché a nessuno era data una seconda possibilità, e forse perché la prima possibilità non era mai il carcere. Per questo motivo, c’erano delle regole ben precise a Roanapur: infrangerle equivaleva a dire tirarsi dietro così tanti nemici che sperare di farla franca era statisticamente più improbabile che girare un film porno con Balalaika e Chang.
Certo, si disse, non che lei non ci avesse provato. Dargli l’ultima possibilità, cercare di fargli scoprire la base della Trading Company era stato tutto quello che era riuscita a fare. E ci aveva anche creduto, per un momento: era davvero stata geniale Eda a sostituire la francese con una sorella. Aveva davvero pensato stupidamente che Mark avrebbe potuto farcela…
Ma qualcosa, dentro di lei, l’aveva comunque capito, come un tarlo che la tormentava. Come faceva Boris a sapere dove si trovasse la base? Perché si era intestardito a cercare lui i documenti? Perché…
Revy sferrò un pugno sullo spigolo del gradino, sconfitta. Non si fece particolarmente male, ma questo lieve dolore bastò a riscuoterla dai suoi pensieri.

Alzò lo sguardo perso nel vuoto. Boris se ne era andato subito con l’auto, lasciandolì lì a sbollire la rabbia. Dutch era da qualche parte in giardino,a fumare. Aveva capito immediatamente che non sarebbe servito a niente cercare di calmare Revy, e l’aveva abbandonata a schiarirsi da sola le idee. Come biasimarlo?
Inspirò profondamente. Ora, tutto quello che le serviva era sentirsi dire la verità, anche se sapeva benissimo cosa era successo. Voleva che qualcuno le raccontasse com’era andata.
E voleva fiondarsi nel letto, e dormire per dieci anni.

 

Dutch ebbe un brivido per la schiena quando la vide arrivare a grandi passi. Una parte di lui si augurava che avesse fatto pace con la realtà, in qualche modo.
“Dimmi” la anticipò.

Revy non alzò gli occhi da terra.
“Chiama qualcuno che venga a prenderci.”
“Non lo ucciderai, chiunque arrivi?”



 

“Arriviamo”.
Benny riattaccò, voltandosi verso il giapponese. “Dutch ha appena chiamato. Sono in una villa a sud-est da qui, ci vorranno cinque minuti in macchina. Vado a prenderli, vieni anche tu…?”

Rock scosse la testa. Si immaginò la faccia di Revy, quello che avrebbe detto o fatto una volta saputo cosa era successo al suo amico. Per un momento, e forse per la prima volta nella sua vita, desiderò con tutto il cuore di essere in Giappone nel suo piccolo ufficio n.287, polveroso e buio, senza nemmeno la chiavetta per prendere il caffé in sconto alle macchinette. Tutto, si ripetè, tutto sarebbe stato meglio che dire a Revy cosa era successo al suo amico. Si sentì uno stupido patentato ad averlo odiato così tanto fino a quel momento, ad averlo preso a pugni, ad averlo esposto così tanto al rischio spifferando il suo doppiogioco all’Hotel Moscow. Mentre Benny saliva in macchina, si diresse nuovamente all’interno del capannone.
Eda e Fernando erano nella stanza centrale, ad attuare quello che chiamavano “protocollo di pulizia”. Il corpo di Mark era chiuso in uno di quei sacconi neri che si vedevano nei telefilm polizieschi. Indugiò qualche secondo, prima di piegarsi sulle ginocchia.

Si chiese cosa avrebbe voluto fare Revy, se fosse stata lì. Magari avrebbe potuto prendere qualcosa, un oggetto… Allungò la mano verso la zip.
"Fermo lì!”
Eda lo bloccò, allontanandogli il braccio con la mano. “Non si tocca. Questo deve essere passato con cura, prima di essere fatto sparire. Qualsiasi cosa abbia addosso appartiene a noi”.
Rock le lanciò uno sguardo disperato.
“Almeno… Era amico di Revy…”
Eda lo frenò con una smorfia. “Quella puttanella deve imparare a frequentare gente perbene. Tipo te” aggiunse, con un sorriso storto. “Dobbiamo vedere come comunicava con gli altri, se c’è qualcosa che possa ricondurci ad altri agganci. Se vuoi un souvenir, prenditi la cartuccia vuota”. Gliela lanciò, ma venne totalmente ignorata dal giapponese. “Capisco” rispose lui, freddo. “Potete darmi un passaggio a casa, dopo?”




Il sole ormai sorgeva alto a Roanapur.
Si rifletteva spietato sulla superficie liscia delle strade lastricate del porto, sui tetti di metallo dei capannoni, sul distintivo lucidato di Whatsup, che osservava senza interesse né curiosità la moto veloce di Eda sfrecciare chissà dove. Il caldo era tornato, come ogni giorno, a farsi prepotentemente sentire. Quella dannata notte era finalmente finita.

Come ogni mattina, solo un po' più tardi del solito, Rock attraversò con passo strascicato la cucina. Dutch si era fermato da un’amica, quella nottata era stata troppo anche per lui… E poi doveva sdebitarsi per essersi fatto prestare l’auto. Benny era da Balalaika, a criptare il cellulare di Mark e a tracciare le telefonate ed i contatti che aveva avuto negli ultimi giorni. In casa c’erano solo lui e, probabilmente, Revy.
Non l’aveva ancora vista - dopotutto era entrata prima di lui - ma era sicuro che fosse lì, a letto, con le cuffiette nelle orecchie. Come ogni mattina.
Aprì piano la porta della sua camera, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Lo stipite urtò una bottiglia di birra vuota abbandonata per terra, e la ragazza aprì gli occhi.
Per un attimo, Revy sperò di vedere di nuovo quella testa bionda sporgersi dalla soglia e salutarla con aria sbruffona. Sperò vigliaccamente che fosse morto qualcun altro, al suo posto… Non appena focalizzò la faccia un po’ persa del giapponese tornò bruscamente alla realtà.
Quanto le stava sul cazzo, quando faceva così. Quando succedeva qualcosa, assumeva sempre quell’aria colpevole, come se volesse farsi ripetere che no, non aveva fatto niente di male, bravo bambino. Come i cani.
“Che vuoi? Un biscotto?” gli chiese, la mente ancora impastata dal sonno. Rock non capì il collegamento, ed entrò egualmente nella camera.
Si chiese velocemente che cosa sarebbe stato meglio dire. ‘Come va’ era molto triste e scontato, ed avrebbe catalizzato addosso risposte sicuramente molto volgari. ‘Mi spiace’, forse, era ancora peggio. Optò per non dire nulla, almeno in quel momento. Si sedette sul letto, come faceva ogni volta che doveva svegliarla, e rimase lì, fermo, senza parlare.

“Levati dal cazzo” mugugnò lei.
Rock si alzò in fretta e si incamminò verso la porta. No, forse non era arrivato ancora il momento giusto per parlarle.

“Aspetta”.
Un mormorio gli arrivò flebile alle orecchie. Si voltò di scatto. Revy era girata di spalle.

“L’hai visto?”
“...Sì”.
Si tormentò le mani. Avrebbe voluto aggiungere mille altre cose.
"Che ti ha detto?”
Rock prese un respiro profondo. Non osava avvicinarsi al letto.
“Mi ha chiesto se tu lo sapevi. Gli ho detto di no, sembrava contento”.
Revy si voltò lentamente, fissandolo dritto negli occhi.
“Torna qui”.
Aspettò che si sedesse accanto a lei, e gli prese un angolo della camicia, tirandolo.
“Gli hai detto una palla. Lo sapevo che l’avrebbero ucciso”.
Rock scosse la testa, guardando le punte delle sue scarpe. “No, che non lo sapevi. Potevi immaginarlo, ma non avresti potuto impedirlo...”
Revy continuò, interrompendolo. “Non volevo ucciderlo io, non ne ho avuto il coraggio. Per questo ho mandato all’aria il tuo piano. Mi spiace, non… Non avevo il coraggio, lo sapevo che…” Si bloccò, la camicia di Rock stretta fra le dita. Teneva lo sguardo fisso al soffitto. “Sei contento che sia andato tutto secondo i piani, vero? Dai, non aver paura di fare il pezzo di merda. Dimmi la verità.”
Il giapponese alzò le sporacciglia. “A dire il vero, sono combattuto. Avevo ideato il mio piano perché avevo paura che lui potesse farti del male, perché pensavo fosse pericoloso, ma sono stato frettoloso… Voglio dire, non avrebbe mai potuto farti nulla, lui. Si vede che ti adorava. Quando è....” si fermò per qualche istante “...Beh, volevo portarti qualcosa, ma….”
Revy fece una smorfia. “Se per ogni morto mi portassi a casa il ricordino, avrei un cazzo di santuario, qui dentro. Ha sbagliato, doveva pagare. Fine del discorso. Volevo solo mettere in chiaro che se non l’ho ucciso è perché era mio amico, non perché volessi salvarlo. Volevo che lo facesse fuori qualcun altro, tutto qui”.
Rock ebbe un brivido lungo la schiena.
“Mi stai dicendo che se Balalaika volesse uccidermi, la lasceresti fare...?”

Revy si alzò di scatto, fulminea, nonostante il sonno e la stanchezza. Rock ebbe appena il tempo di accorgersene, che lei l’aveva già afferrato per la cravatta, e lo stava guardando con quell’aria strana, che quasi sempre porta morte, che a volte porta un attimo di tregua. Si rese conto che non gli interessava granché che reazione avrebbe avuto; gli bastava che ne avesse avuta una, che fosse riuscito a sbloccare quella situazione di stallo che non avrebbe fatto altro che chiudere Revy in se stessa.

La pistolera lo fissò per qualche secondo.
“Sembra che tu ti sia dimenticato di quella volta che Balalaika aveva deciso di farti veramente fuori”.

Ci volle veramente poco, per ricordare a Rock la missione in Giappone. Il freddo, la neve, lo sbalzo termico che l’aveva quasi ucciso. I dolci caldi, Revy che aveva distrutto tutto al baracchino del fucile ad aria compressa, il thé, quella ragazza della Yakuza che si era suicidata.
Ma più di tutto ricordò la promessa che gli aveva fatto Revy, quella specie di giuramento, quel patto che li aveva stretti ancora di più:
Tu sei la pistola, io sono il proiettile”.

“Hai ragione. Non mi lasceresti mai morire”. Rock non riuscì a trattenere un sorriso, mentre le rispondeva. Revy alzò un sopracciglio.
“Non ti ci abituare, stronzetto” sbottò, dandogli uno schiaffetto sulla guancia e lasciandogli la cravatta. Si sdraiò di nuovo sul letto, voltandogli le spalle. “E rimani qui, mentre dormo”.
Rock si levò le scarpe e allentò la cravatta, stendendosi accanto a lei. “Mh” le rispose con un sussurro, abbracciandola.

 

Era passata ormai qualche ora, quando Dutch si decise a svegliarli. Bussò alla porta socchiusa senza entrare in camera. “Ragazzi, sono anche stato gentile e discreto. Ora alzatevi”.
Rock fu, come al solito, il primo a svegliarsi. Si alzò su un gomito e scosse Revy per una spalla. “Ehi. Il capo ci chiama”.

La ragazza non si voltò nemmeno. Gli afferrò il polso, tirandolo a sé e ributtando Rock sul letto. “Stai fermo” mugugnò. “Magari non ci sente”.
Il giapponese sorrise fra sé e sé. “A volte fai proprio la bambina” sospirò, stuzzicandola. Non ottenendo nessuna minaccia come risposta, si permise di sghignazzare.
“Ehi, smettila! Non senti che stiamo dormendo?!” urlò lei al capo che nel frattempo continuava a bussare. Dutch sospirò, ed entrò nella stanza.
“Non sapete quanto mi spiaccia disturbarvi, per una volta che non sei di cattivo umore… No, stai, stai pure” fece cenno di rimanere pure a letto ad un Rock imbarazzato che si stava alzando “volevo solo dirvi che fra… Uhm… tre o quattro ore?” controllò l’orologio, e si accese una sigaretta “c’è un carico da andare a prendere. Tutto qui, cercate di essere in piedi almeno per le sei”. Alzò una mano in segno di saluto, girandosi verso la porta.
“Cioè” lo interruppe Revy, alzandosi sui gomiti “Ci hai rotto il cazzo giusto per dirci questa stronzata, fammi capire…?”
Dutch sghignazzò. “Mi pare il minimo accertarmi del buonumore del mio equipaggio, no…?” e sparì dalla porta prima di ricevere dritta in faccia un anfibio lanciato a tutta velocità.
“Che cretino” sospirò Revy. Fece per accendere l’iPod, constatando con una smorfia che era scarico.
Si voltò di nuovo sul fianco, accucciandosi accanto a Rock.
“Cantami qualcosa”.
Rock le infilò un braccio sotto il collo, accarezzandole i capelli. “E che vuoi sentire? Non ne conosco tante”.
Revy si lasciò spostare ed alzò le spalle. “Qualcosa di triste”.
Lui le appoggiò la guancia sulla testa, pensoso. Che situazione assurda… Loro due avevano il dono di avvicinarsi sempre quando succedeva qualcosa di brutto, o quando stavano particolarmente male. Chiamò alla mente le canzoni che ascoltava da ragazzo, e gli venne solo in mente la colonna sonora di un film di guerra famosissimo di cui non ricordava il nome.

“This is the end, beautiful friend
This is the end, my only friend, the end

Of our elaborate plans, the end
I'll never look into your eyes, again…”


 

***


Angolo Autrice

Buonasera a tutti...
E finalmente dopo anni sono riuscita a finire questa storia! *lacrimuccia*
Mi mancherà sicuramente tantissimo. Basta, devo stamparla e riempirla di lacrime ogni volta che la rileggerò. Mi ha fatto davvero patire un sacco, sono stata sul punto di abbandonarla, ma grazie a voi che leggete e recensite, beh... Alla fine è riuscita ad arrivare alla conclusione!
Sono davvero contenta di aver raggiunto questo obiettivo.
Come avevo già detto, questa storia è il sequel di "Balcone", una one-shot che avevo scritto sempre qui su EFP, e ad essa seguirà un'altra storia che ho già iniziato a scrivere. La prossima settimana la pubblico! Mi raccomando, continuate a seguirmi! *momento spam* ci saranno nuovi personaggi, e sinceramente una trama molto più studiata di questa. Fidatevi.
Per tutti quelli che speravano in un finalone alla RxR... Beh, ragazzi, non è nemmeno la mia storia finale... Non posso certo finire tutto adesso, poi cosa mi rimane per la prossima? ;3
Giusto, piccola parentesi: ho notato che, nonostante odiaste tutti Mark, è spiaciuto un po' a tutti vederlo morire. Anche a me, dopotutto. Ma... Forse anche questo è servito.
Grazie ancora a tutti!

Harry

  
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