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Autore: Ciel Shieru Chan    23/08/2016    0 recensioni
I più famosi personaggi della Disney, e non solo, sono costretti ad uscire dal loro dorato mondo di sogni e desideri, per affrontare la dura realtà del regno delle favole.
Essere principi e principesse non comporta solo bellezza, eroismo, balli e abiti fantastici, cavalli bianchi e vero amore.
Il prezzo del potere esige di essere pagato.
Decisioni drastiche, guerre e priorità che rasentano il limite tra bene e male devono essere prese per la salvezza di vite e di reami e ben presto si renderanno conto che draghi sputafuoco, mele avvelenate, matrigne malvagie, streghe e stregoni erano solo l'inizio.
Perchè il vero nemico si nasconde in loro stessi.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era ferma sulla medesima pagina da almeno mezz’ora.
La fissava come incantata, ipnotizzata dai suoi pensieri.
Il volto pallido ed immobile, in una pietosa espressione di amarezza, il naso arricciato e le labbra tremanti pendenti verso il basso, senza il minimo pudore nel nascondere la sua angoscia.
Un’ancella di bassa statura, dal volto chiaro ricoperto di lentiggini, gli occhi di smeraldo e i fluenti capelli castani, le si avvicinò sotto la finestra e si chinò per farsi vicino al suo viso, senza comunque toccarla.
“Vostra grazia? Vi sentite bene?”
La stanza era piena di giovani, belle ragazze, bionde, more, ramate, dalla pelle chiara od olivastra e gli occhi dei più diversi colori, tutte rigorosamente di azzurro vestite, come segno di riconoscimento della loro lealtà alla principessa.
Ora che era promessa, facevano parte del suo corredo e della sua corte, che occorreva rendere il più ricca e raffinata possibile.
Gonfiò il petto a singhiozzi e, piena di rancore, sussurrò flebile.
“Allontanati”
La ragazza fece una piccola, impacciata riverenza, piegando malamente le ginocchia ed inchinandosi appena appena con il capo, e la guardò di sottecchi senza trasudare la ben che minima emozione, se non velato timore, per poi tornare a sedersi sul davanzale della finestra vicina, dove riprese a filare con una compagna.
Aurora fece un altro rumoroso sospiro e sollevò lo sguardo verso il placido paesaggio boschivo fuori della trifora.
Pesanti lacrime si fecero vive lungo gli occhi, pronte ad attraversare, in una copiosa carovana, le sue gote arrossate, fino al mento.
Tutto quello che suo padre le aveva lasciato era la completa sfiducia nelle sue capacità.
D’altronde...come avrebbe potuto fidarsi di lei?
Nonostante fosse sua figlia, quasi non la conosceva, e l’amore paterno incondizionato non avrebbe mai potuto celare la sua completa incapacità nel fare qualsiasi cosa.
Restava pur sempre una donna.
Sospirò.
E come le avevano impresso, proprio in quanto tale, andava bene solo come ornamento.
Come trofeo, come bottino di guerra, come bella principessa.
Come genitore e come re non poteva certo permettersi di affidarle qualcosa di importante come le redini del suo stesso destino e soprattutto quelle dell’intero regno.
Quell’auriga sarebbe dovuto essere in ogni caso un uomo, ovviamente.
Suo padre, Filippo, Tremaine o chiunque altro.
Non certo lei.
Tanto non ne sarebbe stata comunque capace.
Strinse i denti e si passò la manica di velluto porpora sugli occhi, per asciugarli.
Un altro sospiro forte e combattuto, che le lasciò il ventre completamente vuoto, scandì il silenzio rotto solo da qualche lieve brusio, nella stanza affollata.
Tirò su con il naso e chiuse gli occhi.
Si odiava.
Detestava sé stessa, la sua trappola, il suo corpo, la sua condizione di donna.
Niente più che un’inutile giocattolo.
La carta più bassa del mazzo.
L’ultima ruota del carro.
Titoli, castelli, possedimenti, vestiti, gioielli, complimenti, balli di corte, principi, feste, carrozze, poesie e poemi d’amor cortese.
Solo meri tentativi per celebrare una forza da sempre repressa, che sentiva comune a centinaia, migliaia, milioni di donne.
Anche la bellezza era un modo per distrarle.
Per insidiare l’insicurezza nei loro cuori.
Per metterle in competizione le une con le altre.
Per far loro dimenticare i reali obiettivi di una vita vera.
Si voltò a guardare le sue nuove protette.
Tutte virgulte in fiore che cucivano, leggevano, giocavano a carte, si snodavano e riannodavano i capelli, si scambiavano le scarpe e si esercitavano a far inchini e piroette, capaci unicamente di questo.
Talvolta anche meno.
Tutte stupide anime di un universo colmo di invidia e ipocrisia.
Incapaci di veder dritto al futuro.
Incapaci di sventare l’insidioso inganno e strapparlo dai loro occhi come un telo invisibile.
Incapaci. Proprio come lei.
Si rigirò rassegnata, perdendo ancora lo sguardo ed i pensieri.
Si sentiva in colpa per le sue conclusioni.
Proprio lei.
Che era principessa, giovane e bella.
Flora, Fauna e anche Serena le avevano insegnato che doveva sempre avere rispetto e dignità per sé stessa e per la sua posizione.
Ma non per questo doveva trascendere dal suo obbligo di nobile principessa, ovvero quello di trattare tutti con il medesimo riguardo, indipendentemente dal loro rango o dalla loro dote.
Fece scivolare il gomito sinistro contro il freddo davanzale di pietra, poggiandosi, poi, con la testa, sulla mano.
Chiunque la potesse osservare dal retro, avrebbe potuto confonderla per l’Aurora di qualche tempo fa, pochi giorni, qualche settimana.
La ragazza dallo sguardo dolce, i capelli d’oro, il profumo di rosa e l’aria sognante, che, guardando fuori così assorta, doveva certamente star pensando al giorno delle sue nozze, al suo meraviglioso abito, alla sua prossima vita, marito e figli.
Ma quella dolce bambina racchiusa in corpo di donna, era ormai appassita.
E pensava, sì, al futuro, ricco solo di incertezza e disagio.
A questo suo futuro marito, che doveva essere un uomo potente, se poteva permettersi di elevarsi al rango di sovrano senza il timore che gli altri lord si ribellassero a lui.
Ma, a quanto ne sapeva, non si trovava né a corte a reclamare il suo lignaggio nella speranza di potersi avvicinare a lei, né in giro per il regno a radunare i suoi vessilli fedeli, per intimidire la schiera di nobili circostanti, con il medesimo obiettivo.
Forse già questo fatto poteva considerarsi una piccola fortuna.
Cercava di consolarsi, di sorridere persino.
Ma, a ben pensare, era uno dei signori del sud del reame e, per quanto ricco e potente fosse, non era il solo, tra questi ultimi, a non essersi presentato a palazzo, dai funerali del re.
I lord del sud erano numerosi, sebbene in minoranza rispetto a quelli del nord, più vicini alla capitale.
Erano lontani dal giogo del potere che circondava il trono e la corona.
Aveva scoperto che un casato del sud non aveva il privilegio di unirsi con la famiglia reale da ormai più di cento anni, cioè da dopo l’unione dell’antico regno meridionale di Amberl a quello settentrionale di Neustria, che crearono il paese così come era adesso.
Ed ancora oggi molti di questi signori evidenziavano legami di parentela con l’antica famiglia reale di Amberl.
Dopotutto si sapeva da sempre che Neustria era composta da quei due regni distinti.
Che il sud, con le sue terre fertili, aveva conservato tradizioni ed usanze passate, la sua vocazione mercantile, i costumi frivoli, gli abiti esagerati delle donne, i capelli lunghi degli uomini, i castelli pieni fino all’orlo di ornamenti, statue e decorazioni di ogni genere e materiale, mentre il nord girava quasi tutto intorno alla capitale, al palazzo reale, vicino alla corte, vocato alla guerra e alla gloriosa eredità feudale e cavalleresca.
Quei legami venivano rammentati e sottolineati in più di un’occasione ufficiale, oltre che in diverse rivolte, di nobili e di contadini, di ricchi e di poveri, di disperati con un sogno e di approfittatori senza arte né parte, tutti accomunati dall’unica appartenenza al sud di quelle belle terre.
Quasi a far nascere una sorta di risentimento verso la capitale, la famiglia reale e, in generale, contro il regno intero, forse visto come un invasore.
Ed anche questo Adam di Villeneuve e Beaumont poteva vantare una lunga discendenza da quei vecchi regnanti, forse più stretta, per non dire veritiera, di molti altre.
Di conseguenza era tanto un tassello importante per stroncare i disordini interni, oltre che una garanzia di ricchezza, quanto un metodo per evitare che qualche altra importante ed ostile dinastia del sud si schierasse contro la monarchia.
Inoltre doveva essere anche un bell’uomo.
Aveva avuto occasione di vedere un solo, piccolo ritratto.
Purtroppo faceva parte di una serie di opere che risalivano a una decina di anni prima e, da allora, non si erano più avute notizie di lui.
Come svanito nel nulla.
Circolavano addirittura voci di una maledizione, che le facevano accapponare la pelle.
Sarebbe stato la ciliegina sulla torta, un mostro come marito.
Ma, se così fosse stato, non gli avrebbero mai permesso di avvicinarsi a lei.
O forse sì?
Valeva così poco?
Certamente valeva di più il trono, e quello non lo avrà tanto facilmente, che sia un orco oppure no.
Scosse la testa.
In ogni caso, se era rimasto fedele ai suoi tratti originari, doveva essere davvero un bel uomo.
Troppo diverso, tuttavia, da Filippo.
Lui era perfetto, i capelli castani come corteccia di quercia, la mascella quadrata, le spalle larghe e potenti.
Stare vicino a lui non solo la faceva sentire protetta e felice, ma la inebriava, le faceva provare una sensazione travolgente dappertutto, che la spingeva a stringersi contro di lui, ad aderire al suo corpo.
Strinse i pugni ed inspirò profondamente, nel tentativo di percepire di nuovo quella gioconda emozione maliziosa.
L’illusione di avvertire il suo petto contro la schiena e il mento sulla testa, il suo amabile abbraccio, quando la trovava indaffarata nelle sue futili faccende e la coglieva di sorpresa.
E invece sentiva unicamente il freddo viscerale della solitudine.
Come una gelida secchiata della maligna realtà.
Come un sogno che si interrompe troppo presto, perché si viene bruscamente svegliati.
Questo Adam non sarebbe stato neppure minimamente paragonabile al suo principe.
Al suo vero amore.
  
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