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Autore: Panenutella    02/09/2016    2 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti Vada o No
 
Non so perché, non lo ammetterò mai
(Ti vada o no, l’ami e dillo oh-oh)
Ma è certo che l’amo e non lo saprà!
- Disney
 
***
Sara
 
Posso farcela. In fondo è facile.
È soltanto il primo giorno, Kit è partito stamattina presto per Londra, prima ancora che mi svegliassi. Altri due giorni e sarà di nuovo qui.
Posso resistere senza di lui per tre giorni, no? Lui ha bisogno di stare un po’ con la sua famiglia.
E poi sarò impegnatissima col lavoro, non avrò tempo per sentire la sua mancanza.
Il mio riflesso allo specchio alza gli occhi al cielo e sputa il dentifricio del lavandino.
Ma non diciamo sciocchezze. Sento già la sua mancanza.
Sospirando prendo la larghissima felpa grigio chiara che avevo appoggiato sulla lavatrice, me la infilo lasciandola cadere sui leggins e scendo in salotto. Il tempo di scendere l’ultimo gradino, e l’incubo del martedì e giovedì mattina irlandese si materializza davanti alla porta d’ingresso, con la faccia truce di Cerbero alla porta dell’Inferno.
Dolores.
Non ci eravamo più viste dal nostro primo, traumatico incontro: il lavoro sul set comincia così presto che io e Kit siamo sempre usciti prima che lei arrivasse.
Austera nel suo aspetto di casalinga messicana pronta a cacciarti di casa a suon di colpi di ramazza sul culo, indugia sul mio “nuovo” colore di capelli, sui vestiti e sulle sneakers sgualcite, prima di mormorare un “Buongiorno” così flebile che anche un cane stenterebbe a sentirlo.
- Buongiorno! – Saluto. – Stavo giusto per uscire. Arrivederci!
Afferro la borsa accanto al bancone della cucina e volo fuori dalla porta dove Kris mi sta aspettando, ma nell’istante stesso in cui mi volto per afferrare il pomello e chiudermi la porta alle spalle vedo Dolores che si fa il segno della croce, scuotendo mestamente la testa nella mia direzione.
Scendo i gradini, attraverso il marciapiede, apro lo sportello della macchina sportiva grigia metallizzata di Kris che mi aspetta sorridendo e mi tuffo sul sedile del passeggero.
- Se mai mi verrà in mente di preoccuparmi di finire all’inferno, ricordami che probabilmente la signora Dolores sta già pregando per la mia anima.
Scoppia a ridere e ingrana la marcia, rombando in direzione degli Studio.
 
Nel corso dei giorni appena passati nella magia del tempo trascorso con Kit senza la preoccupazione di essere trovata da Matteo, in una marea di seghe mentali da ragazza perfettamente normale solo una ha catturato la mia attenzione, radicandosi nella mia testa approfittando di un momento di dormiveglia: David che mi afferra per le orecchie e mi sbatte fuori dalla crew per avergli nascosto la mia vera identità. Nel momento in cui ci ho pensato la cosa non era del tutto priva di logica, per cui da quel momento ho cominciato a cercare il momento perfetto per prendere David da una parte e dirgli “Senti Dave, non è che ho dei problemi con la legge, ma quello che ti ho dato è un nome falso”.
Facile, no? Quasi quanto farsi una nuotatina in mezzo agli squali.
Non appena finisco i miei compiti del mattino e scendo nel set per il Cucito Ultrarapido, dove stanno facendo una pausa dalle riprese, intuisco che forse, nonostante l’assenza di Kit, oggi è il momento giusto per parlare con David.
Saluto un paio di amici attraversando il set, chiedo a Ben come va la spalla (“Bene!”), e raggiungo David un po’ scuro in volto.
- Volevo parlarti di una cosa – comincio dopo un breve saluto. – È il momento opportuno?
- Sì – risponde incrociando le braccia. – Anche io devo parlarti. Vieni nel mio ufficio.
Il suo sguardo non troppo felice mi provoca un moto di preoccupazione: che forse mi sia decisa a dirgli la verità troppo tardi?
Sto per essere licenziata?
Seguo David attraverso il set e la folla ed entriamo nel suo ufficio. Lui mi chiude la porta alle spalle e, dopo avermi mostrato con un cenno la sedia dalla scrivania, si siede dall’altra parte incrociando le dita davanti alla bocca. La preoccupazione cresce come il mare dalla bassa all’alta marea.
- Veniamo subito al punto. – Comincia senza distogliere lo sguardo dal mio. – Dopo aver ricevuto una segnalazione sono andato a controllare una cosa. Spiegami perché, perché non ho trovato niente su di te. Non un profilo sui social, su Linkedin, nemmeno lontanamente su un sito della tua professione, una notizia su di te, assolutamente niente. Sembra che tu sia spuntata dal nulla, e non posso fare altro che chiedermi se le tue intenzioni siano davvero buone, se tu non sia qualche talpa inviata sul set da qualche giornale di gossip, se tu non stia prendendo in giro Kit o se tu abbia commesso qualche crimine. Ho riposto fiducia nelle tue capacità perché sei una gran lavoratrice e svolgi bene i tuoi compiti, ma ho paura di aver fatto male, molto male.
- No David, aspetta un attimo – mi chino verso di lui con urgenza, sempre più agitata. Nella mia mente la mia nuova e bella vita sta già andando in fumo. – Posso spiegare!
- Perfetto allora – incrocia le braccia. – Spiega.
- Io… - digrigno i denti. Vale la pena dirgli tutto quanto della mia relazione con Matteo, dello stalking, della mia vera identità? Sospiro, poi lo guardo negli occhi. “Per Kit, certo che ne vale la pena”. – Era di questo che ti volevo parlare. Io non mi chiamo Sara Vitali. Il mio vero nome è Sara Cerbiatto, per questo Kit mi chiama Fawny. L’ho cambiato per non essere ritrovata dal mio stalker, una volta lasciata l’Italia. È vero che ho studiato fisioterapia. È vero che ho mollato prima di laurearmi. È vero tutto quello che ho scritto nel curriculum e che ti ho dimostrato. L’unica cosa falsa è il mio cognome.
- Quindi non c’è nessuna informazione su di te perché hai cambiato cognome all’anagrafe. Scusa ma chiunque lascia traccia, da qualche parte. Nessuno è un fantasma. – Ribatte.
- Io sono stata un fantasma per molto tempo, so benissimo come non lasciare traccia: spendi in contanti, chiama dalle cabine telefoniche, non usare carte di credito, cambia nome e colore di capelli. È facile essere un fantasma in un altro Paese. Era necessario per non farmi trovare dal mio ex. È pazzo. Vedi questa? – Tiro su la manica della felpa mostrandogli l’avambraccio sinistro, indicando una cicatrice rugosa e circolare. – È il risultato di una frattura scomposta a spirale. Sai come te la procuri? Quando uno ti torce il braccio fino a spezzarti le ossa. Non l’ho mai fatta vedere nemmeno a Kit. – Senza sapere come, mi ritrovo a tremare dalla rabbia. – Se non mi credi cerca il mio profilo su Facebook. Sara Cerbiatto. C-e-r-b-i-a-t-t-o. Avanti!
Un po’ riluttante David prende il telefono dalla tasca e fa come gli ho detto. In poco tempo si ritrova a confrontare la mia vecchia foto profilo con me, più e più volte. Posa il telefono della scrivania mordendosi il labbro.
- Ti chiedo scusa. La pulce nell’orecchio era troppo fastidiosa.
- Te ne avrei parlato prima, ma lo hanno arrestato solo qualche giorno fa. Ora posso smettere di essere un fantasma.
Qualche secondo di silenzio carico di pensieri. David non è più arrabbiato, piuttosto pensieroso.
- Quindi come deve essere sul contratto, per noi? Sei Sara Cerbiatto o Sara Vitali, per ora?
Sospiro scuotendo la testa. – Sara Cerbiatto non ha mai saputo rialzarsi e combattere, o liberarsi da sola da ciò che la opprimeva. Mi dispiace portare un nome diverso da quello dei miei genitori, ma per quanto mi riguarda Sara Cerbiatto è morta per mano della legge del più forte. Io sono Sara Vitali e non torno indietro. Posso andare ora?
David annuisce rammaricato, permettendomi di alzarmi dalla sedia, andare verso la porta e aprirla.
- Sara – chiama ancora. – Ti chiedo scusa, profondamente. Non avevo idea che tu avessi vissuto un’esperienza del genere. Perdonami. Non metterò mai più in dubbio la tua buona fede.
Sorrido tristemente. – Scuse accettate. – Faccio per uscire, poi un pensiero mi fa tornare sui miei passi. – Posso sapere chi ti ha messo la pulce nell’orecchio? Rose, per caso?
Incrocia le braccia. – Non posso dirlo.
“Quindi sì, è stata Rose”.
- Ci vediamo.
 
Rose è seduta in un angolo a ripassare le battute con un copione in mano quando la raggiungo a lunghi passi.
- Rose, posso parlarti un attimo?
Alza il viso su di me e sorride. – Certo! Dimmi pure!
Si alza e si appoggia al muro, sempre sorridente. È una persona molto dolce e positiva e tuttavia sento che se vuole può giocare sporco. Come oggi.
- Posso sapere per quale motivo ti sei messa a cercare informazioni su di me per poi spifferare tutto a David? No, ascolta! – Mi affretto a interromperla quando apre la bocca per rispondere. – Ascolta, capisco che sei stata molti mesi insieme a Kit e che lo amavi, ma poi hai fatto i tuoi sbagli e vi siete lasciati. Ora noi abitiamo sotto lo stesso tetto e siamo amici, e Kit mi piace, mi piace molto, e davvero non capisco perché non puoi semplicemente accettare il fatto che gli hai spezzato il cuore e che lui adesso sta provando a voltare pagina e a dimenticarti. È così difficile un po’ di altruismo? Ho rischiato seriamente di essere licenziata!
- Ti sbagli su un paio di cose – risponde. – Sbagli sul fatto che non mi ha ancora dimenticato, e che io lo amavo. – I suoi occhi azzurri, ora tristi come non mai, si conficcano nei miei accompagnati da un amaro sorriso. – Io lo amo ancora. Ho fatto i miei sbagli, è vero, ma se solo Kit mi avesse dato occasione di farmi perdonare io ce l’avrei messa tutta per non lasciarlo. Quegli uomini non valevano un centesimo di quello che vale Kit. Ho fatto uno sbaglio enorme, e ora ne devo pagare le conseguenze, ma non ho mai smesso di amarlo. In quanto a te… ho fatto fare ricerche sul tuo conto perché non sopporto che una ragazza spuntata dal nulla prenda il cuore dell’uomo che amo come se niente fosse, da un giorno all’altro, rimanendo nel suo mistero. E sul fatto che lui non mi ha ancora dimenticata… - il triste sorriso si accentua. – Se sei così ingenua da non accorgerti di come ti guarda, allora posso sperare che te lo lascerai scappare.
Mi fa l’occhiolino e se ne va, lasciandomi sola a bocca aperta.
 
Il mio telefono comincia a squillare nel momento stesso in cui apro il barattolone di insalata che ho preparato a casa ieri sera e inizio a mangiare. Michele e Sheila sono tornate a casa per il pranzo e dovevo finire un paio di cose prima di poter mangiare. Pomodorini, cetrioli, olive, cipolla e lattuga mi salutano con allegria mentre trascino l’icona verde lungo lo schermo.
- Pronto?
- Hey, Fawny!
- Ciao! – Un istintivo sorriso a trentadue denti mi si stampa in faccia. Infilzo pomodorini e lattuga con la forchetta e comincio a mangiare.  – Come è andato il volo?
- Bene! Sono appena atterrato a Heathrow. Ora vado a prendere la macchina e guido fino a Worcester. Non ci vorrà molto. Tu come stai? Stai mangiando?
Ingoio a forza. – Sì! Cosa te lo fa pensare?
- Mmmm, fammi pensare, avverto un lieve crunch crunch.
- Acuto!
Ride garbatamente. – Che farai oggi?
- A parte finire di lavorare? Mi divertirò come una pazza!
- Ah, sì? Cos’hai in programma di fare? Secondo me darai una festa con tutto il cast e la crew, in barba al povero Kit che va a trovare mamma e papà.
Lattuga. Pomodori. Cipolla. Crunch crunch. Ridacchio.
- Niente di tutto questo, sai che non svuoterei mai le scorte di gin senza di te! No, Gry e Kris mi hanno invitato a cena a casa loro stasera. Penso che andrò direttamente a casa con loro dopo il lavoro. Sarà bello, nessuno del cast mi aveva mai invitato a cena!
- Possa essere l’inizio di un lungo e duraturo interscambio culturale tra piatti norvegesi e italiani. Spero di trarne un qualche profitto.
- Magari un giorno! – Rido. – Attento Harington, sai che so a malapena cucinare un piatto di pasta.
Ride. – E tu sai che non è vero! Devo lasciarti, Fawny, devo partire. Ci sentiamo dopo!
- Certo, Kit. Cerca di tornare presto, ok?
- Certo. Mi riavrai fra i piedi prima ancora che tu possa dire “Guardiani della Notte”. A presto!
- Ciao Kit!
Chiudo la telefonata continuando a sorridere, poso il cellulare a terra e ricomincio a mangiare.
- “Guardiani della notte”. – Mormoro finendo l’insalata. – Dovrò ripeterlo un sacco di volte prima che torni, Kit…
 
- Perdona il disordine – prega Gry mentre Kris gira la chiave nella toppa. – Spero che Kamile e Sibil non abbiano sparso i giochi per tutta la casa.
- Non c’è nessun problema, Gry!
Kris, Gry e le loro due gemelle vivono in un appartamento affacciato sul porto di Belfast. Dall’esterno, a strapiombo sulla placida acqua, si vede solo all’ultimo piano del palazzo un lungo balcone con una chiara inferriata davanti a una gigantesca vetrata. Nonostante le luci della casa accese non potevo vedere niente dell’interno dalla strada.
La porta d’ingresso a due ante si apre verso l’interno e i due padroni di casa mi invitano ad entrare.
Il grande salone su cui si affaccia alla porta è la stanza delle due immense portafinestre che danno sul balcone che ho visto dalla strada. Il parquet di legno chiaro, l’arredamento curato, i faretti sul soffitto e il grande caminetto danno un senso di accoglienza e calore, nonostante le freddi pareti bianco intonacate.
Per terra, accanto al grosso divano nero, giacciono dei pastelli colorati su fogli pasticciati. Dietro al divano, l’open-space riservato alla cucina e alla sala da pranzo in linea con l’arredamento del salotto. Quadri di cucina e vasetti di piantine aromatiche sono appese alla parete, accanto a una libreria di libri di cucina e di letteratura.
- Mamma! Kris!
Due bambine identiche spuntano dal corridoio alla nostra sinistra e si fiondano tra le braccia dei genitori appena entrati. Ridono tutti e quattro, felici. Potrebbero essere benissimo dei testimonial della Mulino Bianco.
- Com’è andata oggi? Avete fatto tante belle cose?
- Vi racconteremo tutto quanto, bambine! – Risponde Kris per poi indicarmi con un gesto del braccio. – Salutate la nostra nuova amica: Kamile, Sibil, vi presento Sara. Lavora con noi sul set. Sapete? È italiana!
Le due bambine corrono verso di me e mi prendono per mano, trascinandomi verso il divano, sommergendomi di domande in inglese con un accento molto marcato.
- Ciao Sara! È vero che vieni dall’Italia? È vero che lì è sempre estate? È vero che ci sono un sacco di Papa? Togliti pure le scarpe, ti daremo una delle nostre ciabatte!  Che bei capelli che tu ha!
- Che tu hai! – Si correggono a vicenda.
Io non posso fare a meno di ridere imbarazzata, togliendomi le scarpe e rimanendo in calzini.
- Sì, sono davvero italiana, ma non è vero che è sempre estate. Vi ringrazio per i complimenti, signorine!
Kamile e Sibil mi guardano con occhi ridenti. Sono quasi identiche: hanno entrambe i folti capelli rossi dei genitori, occhi scuri e lentiggini sparse per tutto il viso. Sono alte uguali, ma leggermente diverse di corporatura: Kamile è lievemente più ossuta della sorella, ma comunque molto bella. Porta i capelli tagliati all’altezza delle spalle, mentre Sibil ce li ha lunghi fino alle natiche. È l’unica cosa per cui riesco a distinguerle.
- Perché non disegni un po’ con noi?
- Ne sarei felice, ma dovrei aiutare vostra madre a preparare la cena! Gry?
- Non pensarci neanche – risponde lei prendendo delle grosse pentole da sotto il bancone. – La cena si cucina in dieci minuti e c’è Kris ad aiutarmi. Tu in quanto ospite te ne starai seduta lì a rilassarti.
- Nemmeno apparecchiare la tavola?
- No!
- Ok… - mi gratto un avambraccio. – In Italia è usanza far fare qualcosa agli ospiti in certi casi, ma mi adeguerò!
Kris e Gry si fermano e mi guardano ammutoliti. – Veramente?
“No!”. – Posso apparecchiare?
Gry alza gli occhi al cielo. – E va bene!!
 
La cena è andata molto bene ed era deliziosa. Non sapendo cosa preferissi Gry e Kris hanno cucinato dei piatti tipici sia di carne che di pesce. Il gravlask come primo piatto: salmone con sale, zucchero aromatizzato e aneto; e morr, una salsiccia affumicata. Le bambine hanno preparato il dolce, il valnøtt lukket: una torta di marzapane con sopra della panna montata. Tutto buonissimo, ma incredibilmente leggero… o forse il mio stomaco è un trinciasassi. I Molvǽr-Hijvu danno l’impressione di essere interculturali e patriottici al tempo stesso, rimanendo legati alle tradizioni del loro paese di origine ma sempre aperti a nuove esperienze e a imparare cose nuove del mondo.
Dopo aver sparecchiato tutti insieme, Kamile e Sibil sono andate a giocare nella loro camera, Kris si è fermato a lavare i piatti, e io e Gry siamo andate a sederci in balcone, su sedie di legno accanto a un tavolo di ferro battuto, bevendo birra da una bottiglia ciascuna. La fresca brezza della notte irlandese ci scompiglia i capelli e mi fa rabbrividire, ma non è spiacevole.
Stiamo parlando del più e del meno quando la porta finestra accanto a noi si apre e le due bambine escono con la confusione di un tornado.
- Mamma, mamma! Guarda come siamo brave! Guarda, eh!
Si dispongono in fila davanti alla madre e, tenendosi per mano, si alzano sulle punte dei piedi in un goffo tentativo di danza classica. Io e Gry applaudiamo entusiaste.
- Sei capace, mamma? Sei capace? – Domanda Sibil ridendo.
- No, piccola, non sono capace. – Risponde Gry scompigliandole i capelli.
- E tu Sara? – Si voltano verso di me cariche di aspettativa.
- Beh, io… io sì! Sono una ballerina – faccio loro l’occhiolino, scatenando espressioni di stupefatta sorpresa. All’unisono si mettono a saltare e a battere le mani.
- Fallo, Sara! Dai fallo!
- Voi siete più brave, eh! – Dico alzandomi dalla sedia. Scrollo le spalle, saltello piano sui piedi, poi mi alzo sulle punte sollevando le braccia.
- Woooooo! Anch’io! Anch’io! – Gridano le bambine.
- Su, andate a esercitarvi in camera vostra. La mamma stava parlando.
Kamile e Sibil rientrano con la stessa velocità con cui sono uscite, e chiudono la porta finestra mentre le seguo con lo sguardo.
- Sono due bambine meravigliose, e parlano benissimo inglese: in Italia non hai speranze di trovare bambini come loro. Tu e Kris siete degli ottimi genitori. Non assomigliano a Kris, però.
- Non sono figlie sue – sorride Gry. – Le bambine erano già nate quando ho conosciuto Kristofer. Non è il loro padre biologico, ma è comunque il loro papà. Si adorano.
- Lo vedo. Sono bellissime.
Il sorriso di Gry si incrina. Si stringe nel giacchino di lana che porta sulle spalle.
- Kamile ha superato un brutto periodo, qualche anno fa. – Sospira. – Ha avuto una rara forma di cancro al fegato. Si è salvata per un pelo con la chemioterapia.
- Oh, mio Dio. Mi dispiace… è un miracolo che si sia salvata.
- Sì, è proprio un miracolo. – Un altro sospiro. – Ora sta bene, ma ho sempre paura che il cancro ritorni e che stavolta non ci sia più niente da fare. Certe volte la paura è così reale che la notte resto sveglia.
- Capisco cosa intendi, purtroppo… devi pensare che Kamile è guarita da molto tempo, come tu hai detto, e che ogni giorno è un regalo. In questo modo, sperando che nulla succeda – faccio le corna e tocco ferro, ricevendo in risposta uno sguardo perplesso – non avrai nessun rimorso. Ma sono sicura che in ogni caso se la caverà: è forte e ha l’amore della sua famiglia a sostenerla. Non c’è niente di più grande. Non succederà nulla.
- Hai ragione. – Afferra la bottiglia e beve un lungo sorso. Io torno a osservare il mare.
- La felpa di Kit ti sta molto bene – commenta Gry dopo qualche istante. Mi ci stringo. Lei sorride. – Ti manca molto, vero?
- È partito solo stamattina, ma… sì. Mi manca.
“Indossando la sua felpa sento il suo odore”.
- State molto bene insieme. Perché sussulti?
Un attimo di silenzio per prendere un lungo respiro. – Sai, l’ultimo ragazzo con cui sono stata non era proprio uno stinco di santo. Non si è comportato molto bene neanche fra le lenzuola, se sai cosa intendo. È in galera da un po’ di tempo, in attesa del processo. Con ogni probabilità mi chiameranno a testimoniare. Ma da quando l’ho lasciato sono stata ben attenta a non innamorarmi più…
- Finché non hai incontrato Kit.
Annuisco. Bevo un sorso.
- Ogni giorno era una brutta sensazione. Come venire sempre strozzati, o avere un’indigestione perenne. Non voglio tornare a sentirmi così mai più. Io guardo Kit e vorrei fare… capisci… con lui, ma ogni volta che ci penso mi torna in mente il mio ex. E mi blocco.
- Sara, ascoltami: ti stai facendo delle seghe mentali. È passato, nessuno vuole farti del male. Pensa che quello che hai vissuto è passato e ti ha permesso di arrivare dove sei adesso, e qui nessuno vuole farti del male. Ora hai trovato qualcuno che ti ama, sei libera. Ogni volta che ti torna in mente il tuo ex, apri gli occhi e guarda Kit. Guardalo negli occhi, e vedrai quello che prova per te.
- Tu dici?
Lei annuisce. – Non farti condizionare da un fantasma.
- È facile a dirlo, meno a farlo.
-  Sai, Sara, certe volte la realtà è la cosa migliore che ti possa mai capitare.
La guardo senza capire. – Qual è la realtà?
- Dimmelo tu. Guardami negli occhi e rispondimi con sincerità: che cosa provi per Kit?
La domanda mi coglie di sorpresa e subito un senso di urgenza mi pervade. Ripensando alla domanda, la risposta appare chiara e limpida e mi riempie il cuore di calore. Tre semplici parole sono la risposta alla domanda di Gry, di una potenza così grande che sembra impossibile pronunciarle.
- Quando sono con Kit sono felice.
- Non è una risposta. Ripeto la domanda: cosa provi per Kit?
Silenzio.
- Sei innamorata di lui? Lo ami? – Incalza.
Un groppo in gola mi impedisce di parlare: in questo momento sono così felice che penso potrei piangere di gioia.
Sembra tutto così chiaro, adesso! E Matteo così lontano!
Gry ha ragione. È tutto passato.
E io amo Kit.
   
 
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