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Autore: WibblyVale    03/09/2016    3 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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In un piccolo villaggio vicino alla Roccia, Kisame guardava il suo compagno a bocca aperta. Stava colpendo una grossa roccia con i pugni, cercando di sfogare una rabbia di cui lo Squalo non capiva la provenienza. L’Uchiha, di solito composto, aveva cominciato a dare segni di nervosismo quando Deidara era tornato dalla sua missione vittorioso: aveva catturato il Tricoda.
Kisame aveva notato lo strano sguardo nel volto del suo compagno, ma non aveva detto nulla. Itachi aveva eseguito gli ordini come sempre. Fu quando il collegamento con il resto dell’organizzazione fu terminato che l’Uchiha si lasciò andare al proprio sfogo. Qualunque ne fosse la ragione.
Il moro diede un ultimo pugno alla roccia che andò in mille pezzi e si sedette a terra stizzito per riprendere fiato. Quello scatto d’ira non faceva bene alla sua salute. Alzò la testa verso il proprio compagno di squadra che lo guardava confuso.
“Che è successo?” chiese il nukenin del Paese dell’Acqua.
“Niente.”
“Non sembrava.”
“Niente che ti riguardi, lo preferisci?” rispose il moro con rabbia. Attivò lo Sharingan minaccioso.
“Scusa!” Kisame alzò le mani. “Se ti sei sfogato, dovremmo partire.”
Itachi annuì, non aveva senso starsene lì a fare niente.
Quando ripresero a camminare, l’Uchiha cercò di riprendere la calma, di tornare ad essere il freddo sé stesso, ma cominciava a risultargli difficile: quell’identità che si era creato cominciava a sembrargli una prigione che gli impediva di fare ciò che era giusto. Shiori era introvabile, lui stava per morire, e ora Isobu …
 
Qualche ora prima
L’Akatsuki si era riunita, compreso il nuovo membro Tobi per sigillare il demone Tricoda. Itachi non riusciva a credere che Obito avesse deciso di farsi avanti sul serio, proprio dopo la morte di Sasori. Niente di buono ne sarebbe venuto fuori da quella faccenda.
Quando l’Uchiha aveva visto chi si trovava al centro del cerchio faticò a trattenersi dall’urlare. Isobu era disteso a terra, privo di forze. Avrebbero assorbito la sua energia a breve, lui avrebbe aiutato quelle persone a farlo e, per la prima volta, non credeva di farcela.
Aveva resistito davanti al Kazekage, nonostante fosse solo un ragazzino. Non aveva esitato nemmeno un secondo a strappare il demone gatto dalla kunoichi della Nuvola, ma ora … Isobu lo conosceva. In qualche modo contorto era suo amico. Non poteva … non voleva …
Quando si accorse della sua presenza il demone lo guardò ed entrò nella sua mente.
Itachi!
“Isobu-sama! Come? … Le mie protezioni?”
L’uomo … con … la maschera.” Era stanco, faticava a comunicare.
“Mi dispiace.” Cercò di trattenere quelle che sembravano essere lacrime. “Voglio salvarti.”
Il demone sospirò stanco. “Non puoi, ragazzo. Ma ti … ringrazio del pensiero.
“Cominciamo!” ordinò Nagato. Tutti, tranne l’Uchiha, si misero in posizione. “Itachi, mi hai sentito?”
Sentiva gli occhi di tutti su di sé. Il suo sguardo incontrò quello di Tobi, sapeva che lui stava valutando ogni sua mossa. Era sicuro che lui sapesse chi aveva messo lì il Tricoda.
Itachi fallo” gli ordinò il demone. “Ci saranno altri modi per fermare tutto questo e … io non morirò. Sarò solo … parte di qualcos’altro.” Non aggiunse che sarebbe stato qualcosa che odiava, non era necessario mettere ancora più pressione sul giovane.
Il nukenin prese quindi posizione e attivò, insieme ai suoi compagni la tecnica di assorbimento. Isobu si agitò leggermente, ma decise di lasciarsi andare al proprio destino.
Non sentirti in colpa, ragazzo. È il mio destino. Spero solo che le cose si risolvano.
“Mi dispiace. Mi dispiace veramente” disse Itachi e fece per allontanarsi dalla mente del demone.
Itachi?” Lo trattenne Isobu.
“Si?”
Po … potresti restare, finché …
“Certo, Isobu-sama.”
Grazie. Di tutto. Ho amato il posto che hai scelto per me. Ti sono grato per avermi portato in quel luogo magnifico. Mi sono sentito nuovamente libero e … in pace.” Stava cercando di scaricarlo dalle sue colpe. Non voleva che il ragazzo soffrisse.
“È … è stato un piacere”, rispose Itachi commosso.

 
Un’altra creatura buona se n’era andata sotto i suoi occhi. Ogni cosa che toccava si distruggeva: Shisui, la sua famiglia, suo fratello, Shiori, Isobu … Non poteva permettere alla lista di allungarsi, ma aveva ancora bisogno di qualche tempo su quelle terre. Doveva assolutamente guadagnare qualche informazione per trovare Shiori, la doveva salvare, o fare in modo che qualcun altro la salvasse.
Strinse i pugni, aveva troppe cose da fare ancora, e gli era rimasto così poco tempo. Era riuscito a delegare un’unica cosa: Aya, Takeo e Hisoka, ora si trovavano lontani a cercare qualcosa che poteva aiutare Kakashi e Shikamaru nel caso Shiori avesse assorbito quel potere. Orochimaru poteva costringerla a farlo, quell’uomo aveva dei piani che nemmeno lui riusciva a immaginare, e suo fratello era nelle sue mani.
Ad un tratto si bloccò, si era distratto talmente tanto da non accorgersi di essere osservato.
“Che c’è?” domandò Kisame, fermandosi accanto a lui.
“Senti” gli intimò. Si c’era qualcosa. Scandagliò i dintorni con i suoi occhi, ma … nel giro di mezzo secondo quel qualcosa era sparito.
“Cosa credi che fosse?”
“Non so … mi sembrava un chakra conosciuto, ma … non può essere.” Riprese a camminare, seguito a ruota dal proprio compagno.
“Itachi?”
“Si?”
“Quanto è grave la tua situazione?” chiese lo Squalo, senza ricevere alcuna risposta. “Senti, non sono preoccupato per te, onestamente non me ne frega di quello che fai della tua vita, ma non vorrei che rovinassi la nostra missione.”
Il moro alzò le spalle. “Sto bene. Poi, hai detto che di questo te ne vuoi occupare tu, no? O hai paura di non farcela?”
“Vaffanculo! Non è quello. Solo … mi sembri sconvolto.”
“Sono solo stanco, Kisame. Sono state settimane dure.”
“Riuscirai ad occuparti del demone volpe?”
“Quando verrà il momento, affrontare Naruto Uzumaki non sarà un problema” mentì. Al momento, per lui affrontare chiunque sarebbe stato un problema, figurarsi affrontare quel ragazzino che stava guadagnando enormi poteri. In ogni caso, non era una cosa di cui si doveva occupare. Shiori sarebbe tornata in tempo per salvare la situazione, o almeno era quello che sperava.
 
Qualche ora dopo raggiunsero un piccolo sentiero che portava al Paese della Roccia.
“Di solito passa di qui” lo informò Kisame.
I due membri dell’Akatsuki si nascosero tra gli alberi e, dopo una lunga attesa, il loro obiettivo si presentò davanti a loro. Era un uomo di mezza età con la barba e i capelli rossicci. Portava un cappello in testa e una striscia blu gli attraversava il volto.
Itachi e Kisame saltarono al centro della strada, il primo dietro all’uomo, mentre il secondo gli bloccava il passaggio. Il Jinchuriki del demone con quattro code si mise in posizione di difesa, girandosi leggermente di lato per vedere entrambi i suoi assalitori.
“Vi aspettavo” disse Roshi. “Dicevano che voi dell’Akatsuki girate in coppia. Due contro uno, non c’è onore tra i criminali.”
Kisame rise. “Itachi è qui per guardare. Sono io il tuo avversario.” A riprova di ciò l’Uchiha si spostò verso il ciglio della strada e si sedette a terra per godersi lo spettacolo.
Il rosso si concentrò allora sul suo vero avversario, mentre questo digrignava i denti. Itachi, dal canto suo, cercava di spegnere quella parte di sé che gli intimava di intervenire, che gli ricordava quanto era mostruoso quello che stava per accadere, che lui aveva promesso di proteggere le persone e l’unica cosa che sapeva fare era tradire quel giuramento giorno dopo giorno.
Certo, c’era la possibilità che fosse Roshi a vincere lo scontro, ma l’Uchiha non era un ingenuo. Conosceva bene il proprio compagno, e aveva studiato il Jinchuriki con attenzione. Kisame avrebbe vinto, avrebbe messo al tappeto quell’uomo, che aveva fatto tanto per il proprio villaggio. Era arrivato a controllare il proprio demone, ma purtroppo non gli sarebbe bastato.
Cominciarono con un paio di mosse per saggiare l’abilità dell’avversario. Roshi combatteva per la vita, Kisame per divertimento. Il Jinchuriki si difese bene dagli attacchi d’acqua del suo avversario alzando un alto muro di terra. Poi, lo attaccò facendo crollare la terra sotto i suoi piedi. Il nukenin scivolò e cadde con un ringhio.
Kisame tirò fuori la spada e Roshi capì che era arrivato il momento di fare sul serio. Lasciò che il demone prendesse il comando: un enorme scimmia rossa con quattro code si mostrò ai due shinobi, che però non si fecero spaventare.
Il demone colpì lo Squalo con una delle sue code scagliandolo lontano. Kisame però non si fece attendere e sferzò l’aria con la spada, assorbendo il chakra del demone. Quando capì cosa stava accadendo, Roshi tornò al timone e cercò di evitare di fare assorbire troppo chakra, ma era tardi. Kisame aveva vinto la battaglia.
Quando il Jinchuriki si accasciò a terra Kisame se lo issò sulle spalle.
“È meglio che ci allontaniamo da questo paese maledetto, prima che ci arrivino addosso.”
Itachi si alzò in piedi e seguì il compagno. Un altro demone era nelle mani dell’Akatsuki e lui sentiva nel profondo del suo cuore di non avere più tempo.
 
Shiori aveva appena finito di lavorare con i cloni di Orochimaru, e li aveva lasciati alle cure di quelli che ormai definiva i propri cloni. Kabuto la stava accompagnando nella sua stanza in silenzio. Tutto intorno a loro sembrava più silenzioso del solito, ma la kunoichi in quella calma percepiva qualcosa di pericoloso.
Quando fu rinchiusa nella propria stanza, la donna si avvicinò ad un armadietto e ne tirò fuori bende e disinfettante per curarsi le ferite. Lavorava su circa una decina di cloni al giorno, a volte di più, e la lasciavano distrutta e piena di ferite. Al risveglio, il loro primo istinto era quello di attaccare, di uccidere.
“Sto aumentando la bontà del mondo” ironizzò. Poteva comunque lavorarci, poteva far leva sui pochi buoni sentimenti che aveva avuto il permesso di impiantare loro, come aveva fatto con Juu. Il clone era l’ultimo della lista degli scarti di Orochimaru. Era il più debole di tutti, e per questo Shiori l’aveva scelto. Nessuno avrebbe fatto caso a lui.
Certo ridare un’anima buona ad una sola persona era un gioco da ragazzi, ma ad un esercito … quella era tutta un’altra faccenda. Ci poteva rimettere le penne. Sapeva come risparmiare il chakra, ma non ne aveva di certo una riserva illimitata.
Si avvolse una benda attorno al braccio e si curò una ferita sull’addome. Quando terminò le operazioni si infilò a letto, la doccia se la sarebbe fatta in un altro momento. Odiava sentirsi così debole, odiava quel posto e … odiava sé stessa più di ogni altra cosa. Cercava di non pensarci, certo, perché non si meritava affatto di autocommiserarsi, ma …
I suoi pensieri furono bloccati da una forte scarica elettrica che le percorse la schiena. Non proveniva da lei. Lasciò i suoi poteri liberi di vagare, le sensazioni più disparate entrarono in lei, ma non si fece distrarre, cercò la fonte di quella scossa. Sasuke stava percorrendo i corridoi del rifugio con una determinazione senza pari.
Shiori scattò a sedere. Non poteva essere! Lo stava per fare! “No!” urlò, ma nessuno poteva sentirla laggiù. Percepì il desiderio di vendetta del ragazzo e sentì la sua agitazione. Era consapevole del fatto che Orochimaru, in qualunque condizione, non sarebbe stato una passeggiata, ma sembrava che non gli importasse. Se non fosse stato in grado di eliminarlo tanto valeva morire.
Sasuke si era fermato. Ora Shiori sentiva il suo chakra vicino a quello di Orochimaru. Il Serpente si era aspettato quella visita, era determinato a non farsi sfuggire l’occasione di dominare. I due shinobi combatterono a lungo, poi Orochimaru entrò nella mente del giovane. Fu una lotta estenuante, Shiori inviò le sue sensazioni al piano di sopra e forzò la volontà del ragazzo, doveva aiutarlo a cacciare fuori quel parassita, ma non era abbastanza forte, poté dargli solo una leggera spinta, ma bastò.
La donna non era sicura se fosse stato quel piccolo aiuto ad avergli dato una marcia in più, ma il ragazzo prese il controllo del proprio corpo, Orochimaru era morto. O meglio, questa era l’apparenza. Shiori sapeva bene che il Segno Maledetto era molto di più di una semplice maledizione. Esso portava con sé un piccolo pezzo del ninja leggendario.
Fuori dalla porta Sasuke incontrò Kabuto, e lo lasciò spaventato e disperato. Il medico sembrava aver perso il suo obiettivo nella vita, la sua fonte d’ispirazione. Il ragazzo proseguì verso il basso e raggiunse la cella di Shiori. Era soddisfatto di sé, voleva dirle che ce l’aveva fatta.
Aprì la porta e si stagliò sulla soglia.
“Stai bene?” gli chiese la donna.
“Si. Mi hai aiutato?”
“Solo un po’.” Gli sorrise. “Ora sei libero.”
Lui sorrise di rimando. “Sto formando una squadra”, la informò. “Potresti farne parte. Andremo a cercare mio fratello.” Di nuovo quello spirito vendicativo si impadroniva di lui.
Shiori cercò di mantenere la calma. “Devi liberarti del Segno Maledetto.”
“Non finché non avrò ucciso Itachi” si intestardì il ragazzo.
“È pericoloso. Renderà inutile quello che hai fatto finora!” gridò lei.
“Mi aiuterà ad ucciderlo. Mi serve!”
“Tu non devi ucciderlo! Devi parlarci!”
Sasuke assunse un’espressione dura.
“Io non parlo con quel mostro. Io …”
“Senti Sasuke, ci sono tantissime cose che non sai. Sei giovane … Itachi … lui …”
“Non mi vuoi aiutare ad ucciderlo? Lui è un criminale!”
Shiori scosse la testa. “Mi dispiace, ma non posso.” Il ragazzo strinse i pugni. Era furioso. “Ma posso spiegarti molte cose, posso … NO!” Shiori scattò dal letto, ma fu troppo lenta. La porta si era già richiusa dietro al giovane shinobi.
La kunoichi sentì da lui provenire un leggero senso di colpa, ma tutto era coperto dal suo desiderio di vendicarsi del fratello. Quello era il suo obiettivo principale e nessuno poteva permettersi di fermarlo.
“Mi dispiace, Shiori. Dico davvero.” disse dall’altra parte della porta. “Ma non posso permetterti di mettermi i bastoni tra le ruote.”
La donna percepì i suoi passi allontanarsi. “Lui è diverso da ciò che credi! Ti prego Sasuke! Fammi uscire! Ti prego …” Scivolò lungo la porta. “Ti prego.” Sussurrò, ma ormai il ragazzo era lontano.
 
Rimase chiusa in quella stanza per giorni, senza cibo. Kabuto si aggirava per il covo senza meta, cercando di capire quale fosse il suo destino, che cosa doveva fare della sua vita, mentre lei stava lì a marcire. Non aveva nemmeno la forza di chiamare a sé Juu, non poteva fare nulla.
Si rannicchiò nel proprio letto, cercando una soluzione, ma non le veniva in mente nulla. Finché un giorno, Kabuto sembrò risvegliarsi dal suo stato catatonico. Cominciò a muoversi per il covo progettando chissà cosa. Una nuova determinazione si era impadronita di lui ed ora si era creato un nuovo obiettivo.
Scese da lei nel pomeriggio con un piatto pieno di cibo. Shiori si fiondò su di esso e cominciò a mangiare famelica. Il medico la osservò per un po’, poi si mise a sedere accanto a lei.
“Le cose non sono cambiate”, la informò.
Shiori alzò la testa dal piatto e guardò l’uomo confusa.
“Intendo dire che il patto che avevi con Orochimaru-sama resta. Io voglio portare avanti ciò che lui ha cominciato. Voglio essere come lui.”
La donna scosse la testa. “No.”
“Come?”
“Io non ti aiuterò.” Strappò con i denti un pezzo di pane e tornò ad osservare il proprio interlocutore. “Orochimaru era un bastardo, ma aveva un suo personale senso dell’onore. Tu sei accecato dal dolore per la perdita e vuoi solo distruggere ciò che ti trovi davanti. Mi potevo fidare della parola di Orochimaru, della tua … non so. Inoltre, tu non mi spaventi.”
Kabuto scattò in piedi e cominciò a muoversi per la stanza. Si sentiva umiliato dall’onesta indifferenza della donna nei suoi confronti. Shiori poteva sentire la sua rabbia, stava rimuginando su cosa fosse meglio fare per renderla sua schiava come aveva fatto Orochimaru.
“Tuo figlio … posso fare le stesse cose che avrebbe fatto lui.”
“Chi lo sta proteggendo ti sconfiggerà non appena ti presenterai alla sua porta.” Rispose lei piatta.
“Diventerò molto più forte presto.”
“No.” Doveva rimanere ferma su quel punto.
Kabuto ebbe un tremito e la sua espressione cambiò. Shiori sentì immediatamente cosa le avrebbe fatto, appoggiò la testa contro il muro e si rilassò.
“Starai qui. Ti nutrirò quel tanto necessario perché tu sopravviva. Potrei avere bisogno dei tuoi geni. Non avrai abbastanza forze per usare i tuoi poteri. Ti lascerò nelle mani di uno dei cloni, uno di quelli forti, e eliminerò quei dieci pezzi di carne a cui ti sei tanto affezionata.”
“Fallo” rispose con una freddezza che non aveva. Non poteva più decidere della propria vita, era alla mercé di quel mostro, ma poteva benissimo scegliere di non fare quello che le veniva ordinato.
“Addio, Shiori Nara” disse Kabuto determinato. “Questa sarà la tua tomba.”
La porta si richiuse dietro di lui, e la kunoichi rimase lì sdraiata sul proprio letto, capace solo di sentire, ma non poteva usare nessun altro dei suoi poteri attivi, ne poteva chiudere le porte. Kabuto salì fino al piano superiore dove stavano i cloni e li eliminò uno dopo l’atro. Shiori sentì il loro dolore, gli ultimi sprazzi di vita uscire da loro e abbandonarli per sempre.
Calde lacrime le scesero lungo gli occhi. Sapeva che non si erano nemmeno mossi, avevano accettato quell’ordine come ogni altro, ed erano morti. Probabilmente, presto, sarebbe successa la stessa cosa anche a lei.
 
Pochi giorni dopo Yoharu tornò al covo. Aveva sentito delle voci e capì che erano vere quando vide Kabuto. Il medico si era trasformato in un essere ibrido, impiantandosi i geni di Orochimaru nel proprio corpo. Sembrava impazzito, non ragionava lucidamente. Il mercenario glielo fece notare.
“Ti sbagli, Yoharu. So esattamente quello che sto facendo. Ricostruirò l’impero di Orochimaru, pezzo per pezzo. Pensavo anche di mettermi in contatto con l’Akatsuki, ma devo cercare il suo vero capo. Ovviamente ho ancora bisogno di te. Devi comandare i cloni. Ti giuro che riusciremo a fare grandi cose insieme.”
Il moro ci pensò su. Non poteva certo rinunciare a tutto il lavoro che aveva fatto e, dopotutto, quella era l’unica cosa che gli era rimasta da fare.
“E Kasumi?”
“Le sto somministrando dei leggeri sedativi perché non crei problemi. Yoharu, mi raccomando, la voglio viva, ma per il resto … puoi farci tutto quello che vuoi. Io devo andarmene per fare delle ricerche, voglio che tu resti qui a controllare la situazione.”
“Continuerà a riempire i cloni rimasti.”
“Non vuole collaborare, ma abbiamo già un buon esercito.”
Il mercenario annuì. “Posso andare a trovarla. Ho una piccola notizia da darle.”
Kabuto sorrise. “È tutta tua.”
Così Yoharu scese di sotto e aprì la porta di quella che ormai era una cella vera e propria. Shiori stava rannicchiata sul letto, il suo volto era pallido e gli occhi erano cerchiati, mentre i capelli le ricadevano sul viso sporchi.
Il mercenario sorrise. “Hai un bagno dovresti usarlo.”
La kunoichi lo guardò con lo sguardo di chi sta cercando aiuto. Lui le si avvicinò indifferente.
“Passeremo molto tempo insieme, Kasumi-sama.” Sottolineo il suo nome con il solito sarcasmo. “Mi divertirò molto a giocare con te, ma ora sono venuto a darti una notizia ...”
Shiori sbarrò gli occhi c’era della malvagità in quelle parole, desiderava ferirla. Avrebbe voluto chiudere quella cattiveria fuori da sé ma non ne aveva le forze.
“Sai, ho cercato Itachi …” cominciò con tono vago. “Era nei dintorni della Roccia con il suo compagno. Dovevi vedere il volto pallido che aveva. Purtroppo non ho avuto occasione di avvicinarlo.”
La kunoichi tentò di alzarsi dal letto. “Cosa stai cercando di dirmi?” chiese con voce roca.
Il mercenario si frugò in tasca e ne tirò fuori una fiala, con un sorriso soddisfatto guardò la donna davanti a sé.
“Credo di aver dimenticato di consegnarla.”
Shiori sentì una rabbia pervaderla. Ora guardava quell’uomo con disgusto, non c’era più nessuna pietà dentro di lei. Un urlo spaventoso uscì da lei, mentre con uno scatto di adrenalina spingeva l’uomo verso il muro opposto.
“PERCHÉ? Perché mi odi fino a questo punto?” Desiderava uccidere quell’uomo per averle tolto quell’unica speranza. Le sue gambe tremarono e la kunoichi ricadde a terra. Yoharu la allontanò da sé con un calcio, che le tolse tutta l’aria dai polmoni.
“Mi hai lasciato a morire, hai ucciso l’uomo che per me è stato un mentore, hai distrutto tutto quello per cui ho lavorato da quando ero un bambino … vuoi che vada avanti? Eri così forte, tutti ti temevano, sembravi irraggiungibile allora, e ora … guardati! Sei nulla! Sei l’ombra di quello che eri. Ora sei il mio giocattolo personale e ti prometto che sarà così per molto tempo. Forse Kabuto crede che per me tenerti in vita sia difficile, che vorrei ucciderti, ma sai … così è di gran lunga più divertente.”
Yoharu uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Shiori strisciò verso il letto e vi si arrampicò sopra. Le avevano tolto tutto. Voleva uscire da quella situazione, ma non sapeva come. Odiava sé stessa per essersi lasciata ingannare, per aver permesso a quegli uomini di dominarla, di renderla loro schiava. Doveva combattere per i suoi figli, per la sua famiglia, aveva bisogno di riscattarsi, ma per ora non poteva fare nulla se non tornare a rannicchiarsi nel proprio angolo e attendere la prossima scarica di dolore.
 
 
  
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