Titolo:
Miraculous Heroes 2
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 2.554 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccomi qua con il secondo capitolo di Miraculous
Heroes 2 e, dopo tanto tempo, eccomi qua con le info randomiche su Parigi!
Allora, prima di tutto, fatemi dire che in questo capitolo - cioè, in
verità sarebbe nel prossimo, in questo viene solo citato - tornerà un
personaggio della prima storia e poi...allora, per quanto riguarda le due
scuole citate in questo capitolo: qui
potrete trovare il sito dell'IFM, mentre qua
il sito dell'ESJ. Chi mi conosce dalla prima storia di questa saga SA
quanto io possa essere rompiscatole riguardando a Parigi.
Riguardo al capitolo, come potete notare, fa un piccolo balzo temporale
rispetto al precedente (che serviva, più che altro, per introdurre Maus e
Sophie) e dall'estate afosa parigina siamo passati alle tranquille
temperature di ottobre anche perché...beh, mi serviva il periodo di
ottobre.
E niente, vi lascio direttamente al capitolo, ringraziandovi come sempre:
grazie a voi che leggete, grazie a tutti quelli che commentano la mia
storia (qui e su FB) e grazie anche a chi la inserisce in una delle liste.
Grazie di tutto cuore!
Pochi mesi dopo…
Da quanto era lì?
Cercare di quantificare il tempo, in quella cella, era qualcosa di
complicato: non aveva finestre, che la potevano aiutare con i cicli
giorno-notte, e non poteva neanche fare affidamento sul tipo che gli serviva
i pasti, dato che non era molto affidabile con la puntualità.
Senza dimenticarsi di quando sembrava scordarsi di avere una cliente in
quella cella.
Sophie si mise a gambe incrociate, socchiudendo gli occhi e cercando di non
tremare: l’aria che le giungeva era fredda, ma non capiva se ciò era dovuto
a un cambiamento climatico avvenuto all’esterno o al fatto che quel posto
fosse maledettamente umido e gelido di suo. Inspirò profondamente, scuotendo
il capo e ascoltando i pochi e flebili suoni che arrivavano fin lì.
Sapeva veramente ben poco del posto in cui Maus la teneva rinchiusa: quando
l’aveva trasferita nella sua prigione si era assicurato che lei non sapesse
assolutamente nulla.
Dove si trovava? Non lo sapeva.
Che tempo c’era fuori? Anche quello era un’incognita.
Quanto tempo era trascorso? Sicuramente tanto, ma non ne era sicura.
Tutto ciò che conosceva era la cella in cui era alloggiata, assieme ai volti
di alcuni dei suoi anfitrioni.
Fece un nuovo profondo respiro, ascoltando il rumore di zampette che
raschiavano la superficie delle pietre, quello dell’acqua e poi il suono di
alcuni passi…
Passi.
Mh.
Sophie aprì nuovamente gli occhi, ascoltando quel suono familiare farsi
sempre più vicino: alzò la testa, mentre il rumore s’interrompeva di fronte
la sua porta e le chiavi di metallo venivano inserite nella toppa della
porta: «Guten Tag.» la salutò Maus, entrando nella cella e sorridendo alla
donna: «Come andare?»
«Molto bene. Devo solo lamentarmi del servizio in camera: anche oggi non
sono venuti a rifare il letto.» dichiarò Sophie, indicando la brandina alla
sua sinistra: «A parte questo, non potrei desiderare un posto migliore dove
trascorrere le mie vacanze.»
Maus la fissò un secondo, socchiudendo gli occhi mentre le labbra si
piegavano in un sorriso: «Io avere trovato Miraculous.» sentenziò deciso,
studiandola attentamente: Sophie rimase immobile, ben attenta a non mostrare
nessuna emozione.
Maus non doveva sapere quanto quella notizia l’avesse colpita.
Aveva trovato il Gran Guardiano?
Se era vero, quello cambiava tutte le carte in tavola e lei non aveva più
motivo di rimanere lì.
«Ah. Davvero?» domandò, afferrando una ciocca di capelli e
attorcigliandosela attorno al dito: «E dove sono?»
«Parigi.» le rispose Maus e lei quasi sentì l’eccitazione nella voce
dell’uomo: «Tua città, ja?»
«Ja.» ringhiò la donna, fissandolo: «Beh. Che succederà? Andremo a Parigi
da…qualsiasi posto siamo adesso?» domandò, allargando le braccia.
«Io andare a Parigi. Tu restare qui in Tibet, ja.»
Idiota, canticchiò dentro di sé Sophie, inclinando la testa: «E, giusto per
sapere, come farà a prendere lo scrigno?»
«Scrigno? Esistere scrigno dei Miraculous?» domandò Maus, portandosi una
mano al mento e carezzandosi la barba: «No. Io avere saputo che eroi – eroi
come tu – essere a Parigi. Sette eroi come Miraculous!» dichiarò,
concludendo il tutto con una risata gracchiante: «E tu non potere fermare
me!»
Sette eroi…
Quindi il Gran Guardiano aveva donato i Miraculous, tutti i gioielli magici,
a persone e queste stavano combattendo contro qualcosa?
Ma che stava succedendo mentre lei rimaneva in mano di quell’idiota pazzo?
«Un’ultima domanda.»
«Tu avere stancato me con tue domande, ja.»
«Sì, lo so.» borbottò Sophie, scuotendo la testa: «Vorrei solo sapere quanto
tempo è passato da quando mi avete catturata. Sa, non è che ho calendari o
orologi in questo posto.»
Maus la fissò divertito: «Tu essere qua dentro da…» si fermò, tornando a
lisciarsi la barba: «Da sette? Otto anni? Strano, come tempo passare in
fretta, eh?» la fissò un secondo, voltandosi e uscendo dalla prigione, che
venne nuovamente chiusa dalle sue guardie: «Buon soggiorno.»
Sophie attese che i passi si allontanassero, prima di addossarsi contro il
muro di pietra e portarsi una mano alla bocca: sette, otto anni? Aveva
sempre avuto la consapevolezza che fosse passato un bel po’ di tempo, ma non
aveva mai pensato che ne fosse trascorso così tanto: «Adrien…» mormorò,
mentre alla sua mente riaffioravano il ricordo del figlio: un bambino
allegro, dallo sguardo sincero e buono.
Come era adesso?
Doveva essere un giovane uomo.
Cosa stava facendo? Come aveva trascorso la sua vita?
Sentì gli occhi pizzicare per le lacrime trattenute, mentre un singhiozzo le
usciva dalle labbra: cosa pensava di lei? Cosa pensava di quella madre
snaturata che l’aveva abbandonato per…
Per chissà cosa.
Di sicuro Gabriel non gli aveva detto il vero motivo per cui lei era andata
via.
Gabriel…
Strinse le palpebre, mentre un secondo singhiozzo le scappava, e le lacrime
scivolavano lungo le guance: Gabriel, che l’aveva lasciata andare, seppur
recalcitrante, cosa stava facendo? C’era una nuova donna al suo fianco?
L’aveva dimenticata?
Si accasciò contro il pavimento, piangendo il più silenziosamente possibile,
rimpiangendo quegli anni ormai perduti e la famiglia che aveva abbandonata:
era stata un fallimento come madre e come moglie.
Aveva abbandonato l’uomo che amava, inseguendo la sua missione come eroina e
fregandosene altamente di ciò che suo marito poteva pensare.
Aveva perso la vita del figlio, ignorando come fosse diventato e perdendo i
traguardi che aveva raggiunto in quegli anni: era appassionato di moda come
Gabriel? Aveva degli amici? E una ragazza?
A Gabriel era piaciuta? Oppure Adrien doveva lottare con il padre per poter
passare del tempo con lei?
Inspirò profondamente, asciugandosi le lacrime con un gesto stizzito della
mano e osservando la porta di metallo: «A quanto sembra, il mio soggiorno
qui è finito.» dichiarò, mettendosi in piedi e alzando la testa con fare
orgoglioso: era Sophie Agreste. Era Pavo. E non sarebbe rimasta lì a
piangersi addosso.
Marinette osservò l’edificio davanti a lei, controllando nuovamente
l’indirizzo sul suo cellulare: quello che doveva essere l’Instituto Francese
di Moda era, in verità, un gigantesco fabbricato con una enorme decorazione
geometrica verde, che lo percorreva per tutta la facciata.
Strinse la cinghia della borsa, sentendo il cuoio segnarle la pelle nuda
della spalla e sospirando pesantemente: «Paura, Marinette?» le domandò
Tikki, facendo capolino dalla borsa e studiandola con i grandi occhioni
azzurri: «Eppure non è la prima volta che inizi un nuovo anno in una nuova
scuola. Ti ricordi al Louis-le-Grand?»
«Ma lì c’erano anche Adrien, Alya e Nino.» squittì la ragazza, osservando
alcuni studenti entrare dalla porta, poco più avanti rispetto a dove lei si
era fermata: «Qui sono…sola.» mormorò, inspirando profondamente e abbozzando
un sorriso in direzione della kwami: «Forse sarei dovuta andare anch’io in
una delle facoltà degli altri…»
Il gruppo di amici si era diviso al momento dell’iscrizione alle varie
facoltà universitarie: Alya, per eseguire il suo sogno di giornalismo, si
era iscritta alla ESJ, una delle migliori scuole superiori di giornalismo;
Nino aveva stupito tutti, iscrivendosi alla facoltà di Matematica e
informatica, mentre Lila aveva optato per Scienze politiche.
Adrien aveva continuato sul percorso del suo Progetto – quello che prevedeva
anche il loro matrimonio – ed era entrato a Economia, assieme a Rafael,
mentre Sarah si era iscritta a Storia dell’arte e Archeologia.
E lei, sotto consiglio e raccomandazione di Gabriel Agreste, si era iscritta
all’IFM, lo stesso istituto dove era andato anche l’uomo.
«Non sei sola.» le mormorò Tikki, riportandola alla realtà: «Ci sono io con
te. E se lo chiami, Adrien arriverebbe subito.»
«Sul suo cavallo bianco, che in realtà è l’auto argentata con cui viene
scarrozzato a giro per Parigi.» concluse la mora, ridacchiando: «Iniziamo
questa nuova avventura?»
«Iniziamola.» dichiarò convinta la kwami, gettandosi all’interno della borsa
e tirando fuori il cellulare della ragazza: «Ti è arrivato un messaggio!»
Puoi farcela. Io credo in te.
Ps. Non balbettare troppo.
Adrien dette un’occhiata al suo cellulare, mentre il professore si sistemava
alla cattedra e collegava il laptop all’impianto dell’aula: «Tutto ok?» gli
domandò Rafael, chinando la testa verso di lui e osservando distrattamente
il display: «Come sta il boss?»
«Di sicuro sarà agitata.» dichiarò il biondo, sorridendo all’avviso di un
nuovo messaggio: aprì velocemente la cartella, leggendo le righe che la
ragazza gli aveva scritto.
Non balbetterò. Promesso.
Ps. Ti amo.
«Allora?»
«Sarah come si trova?» domandò in ricambio Adrien, digitando velocemente una
risposta e disattivando il cellulare: «Devo ancora capire perché ha scelto
quell’indirizzo.»
«A parte il fatto che sta maledicendo la burocrazia francese per tutti i
fogli che le sono serviti per iscriversi, poi ha detto che vuole studiare la
storia per capire di più i Miraculous.» sentenziò Rafael, stringendosi nelle
spalle: «L’estate passata a chiacchierare con Fu e i kwami – mentre noi
sgobbavamo, precisiamo – pare averla segnata: con tutte le storie che le
hanno raccontato, sugli antichi Portatori e sui Miraculous…beh, diciamo è
stato naturale per lei iscriversi ad Archeologia.»
«Sarah e il suo senso del dovere.» dichiarò Adrien, scuotendo il capo: «Non
puoi farla divertire un po’ di più quella povera ragazza? Da uno che ci ha
provato con la mia fidanzata…»
«Quando la finirai con questa storia? E comunque la porto fuori, Sarah
intendo, ma ormai si è fissata sui Miraculous ed è come dire a Flaffy di non
pensare al cioccolato.»
«Cioccolato?» esclamò il kwami del Pavone, uscendo dallo zaino di Rafael e
guardandosi intorno stralunato: «Dove? Dove? Non mi avevi detto che
all’università davano cioccolato!»
«Flaffy!» sibilò Rafael, afferrando il kwami e spedendolo nuovamente nella
borsa: «Quante volte devo dirti di non uscire all’improvviso.»
«Voi due siete un attentato alla segretezza.»
«Ehi, scommetto che se dico camembert, Plagg fa…»
«Camembert? Chi ha detto quella parola magica?» domandò il kwami nero,
uscendo dal suo nascondiglio e guardandosi attorno: «Dov’è quella meraviglia
che si scioglie in bocca e…»
«Plagg!» Adrien ringhiò, prendendo il kwami e portandolo nuovamente al
sicuro, guardandosi poi intorno e sorridendo a una ragazza, che li fissava
stralunata: «Ehm. Sono accessori giapponesi.» borbottò il biondo, abbozzando
un sorriso: «Cosa non fanno in Giappone, vero?» si voltò, fissando Rafael
che lo guardava gongolante: «Riprovaci e quello che ti ha fatto Marinette
sarà nulla al mio confronto.»
«Come se tu mi facessi paura!»
Marinette osservò l’auditorium, ove tutti gli studenti del primo anno si era
raccolti: era una sala grande, con file e file di posti, ma solo quelle
davanti il palco erano state occupate; marciò spedita verso queste,
osservandosi attorno e notando alcuni occupanti, finché una capigliatura
rossa le portò il sorriso sulle labbra: «Nathanael?» domandò, riconoscendo
il vecchio compagno di scuola.
Il ragazzo alzò la testa, osservandola con gli occhi turchesi, lievemente
nascosti dalla capigliatura: «Marinette?» osservando la ragazza, in piedi
davanti il sedile vuoto accanto a suo, occupato dalla borsa e dal blocco dal
disegno: «Ah. Prego.»
«Grazie.» mormorò la ragazza, sedendosi di fianco a lui e studiandolo: «Rose
mi aveva detto che avevi intenzione di iscriverti a Belle Arti, non pensavo
di vederti qua.»
«Ah. Sì.» assentì Nathanael, spostando lo sguardo verso il palco e
abbozzando un sorriso: «Però ho preferito iscrivermi qui: mi piace
disegnare, ma ho scoperto che mi piace anche creare accessori. Gioielli…»
«Vero!» Marinette batté le mani assieme, annuendo: «Mi ricordo di come avevi
disegnato il bracciale di Chloe. Ti ricordi quel giorno che ci fu la
giornata dei genitori e Chloe iniziò a dare di matto perché il suo bracciale
era scomparso e…» si fermò, rendendosi conto di cosa aveva combinato quel
giorno: per dimostrare la sua innocenza aveva iniziato a dare la colpa a
tutti.
Prima a Sabrina, poi a Nathanael.
Solo in seguito, Adrien gli aveva detto come erano andate le cose, ovvero
che il vero colpevole era stato Plagg e la sua golosità: scambiando la
scatoletta del bracciale per una di cambembert, il piccolo kwami aveva dato
il via a tutta la sequenza di azioni che aveva portato il tenente Rogers a
essere akumatizzato, diventando Rogercop.
«Già. Sì, diciamo che da quella volta ho iniziato ad appassionarmi ai
gioielli…»
«Capisco.»
«Mentre tu immagino sei qui per…»
«Per studiare come stilista, sì.» assentì Marinette: «Il padre di Adrien mi
ha consigliato questa scuola e così…beh, eccomi qui.»
Nathanael annuì con la testa, osservando l’anello al dito della ragazza:
«Con Adrien va sempre tutto bene, vedo. Quando ci siamo rivisti l’ultima
volta avevate accennato al fatto che siete diventati ufficialmente
fidanzati…» Marinette arrossì, chinando la testa e annuendo in silenzio:
«Sono felice per te, Marinette. Adrien è un bravo ragazzo.»
«Sì, lo è.» dichiarò la ragazza, sorridendo dolcemente al pensiero del
fidanzato.
Un movimento sul palco l’attirò e con Nathanael si mise comoda sulla
poltroncina, osservando quello che doveva essere il direttore avvicinarsi al
microfono e chiedere il silenzio: «Il mio nome è Hans de Foer.» si presentò,
osservandoli da dietro le lenti quadrate degli occhiali che indossava: «E
sono il direttore del programma di Fashion Design. Sinceramente non mi
dilungherò tanto su quali materie studierete o cosa farete qui da noi, vi
dico solo che il nostro metodo è quello dichiarare lo stato di emergenza.»
si fermò, osservando la sala e aspettando che le sue parole colpissero il
segno: «Cosa significa, vi starete chiedendo ora. Bene, noi insegneremo ai
fashion designers, a voi, come lavorare entro certi limiti, come aprire la
mente dei manager di domani – quelli che pensano che la moda sia fatta solo
di vendite – alla complessità del design e vi ritroverete a lavorare a
stretto contatto con i principali esponenti di questo settore: Louis Vitton,
Gabriel Agreste, Kenzo…voi lavorerete con i designers di queste marche e, se
sarete fortunati, forse avrete anche un posto di lavoro.»
«Immagino che tu parti avvantaggiata.» bisbigliò Nathanael verso Marinette:
«In fondo stai con il modello di punta della linea Agreste.»
«Mi sento raccomandata.»
«Non penso che Gabriel Agreste ti prenda solo perché sei la fidanzata del
figlio.» sentenziò Nathanael: «Hai talento, Marinette.» dichiarò convinto,
spostando poi l’attenzione sul direttore e ascoltando in silenzio il resto
del discorso di benvenuto.
Era rimasta in attesa, aspettando che il tipo dei pasti giungesse con il suo
pranzo – o cena –, nascondendosi nelle ombre della cella: sapeva benissimo
che dopo essersi lamentata con Maus, qualcuno sarebbe giunto a darle da
mangiare, in fondo succedeva sempre così.
Era solo questione di tempo.
Il rumore di passi l’avvisò e Sophie si nascose nell’angolo buio dietro la
porta, rimanendo immobile quando avvertì il rumore della chiave nella toppa
e poi il cigolio di questa che si apriva: osservò il secondino entrare e
scrutare la stanza, senza trovarla, uscendo poi e gridando qualcosa in
tedesco, lasciando aperto il pesante uscio di ferro.
Libertà.
Velocemente sgusciò fuori dal suo nascondiglio e uscì dalla sua prigione,
guardando il corridoio non molto dissimile.
Bene, ora doveva solamente fuggire da quel posto, trovare un qualche segno
di civiltà fuori da quelle mura e, possibilmente, un passaggio dal Tibet
alla Francia.
Niente di più semplice.
Fu sospirò, accomodandosi sulla stuoia e ascoltando il silenzio.
Silenzio.
Per tutta l’estate, o meglio da quando Bridgette era partita, si era dovuto
sopportare quei sei rompiscatole mentre ora…
Silenzio.
Pace.
Relax.
Inspirò profondamente, sistemandosi meglio e preparandosi a una giornata di
puro riposo: il centro era chiuso, i rompiscatole avevano iniziato la loro
avventura universitaria, finalmente…
Il campanello suonò, riportandolo bruscamente alla realtà: bofonchiò qualche
imprecazione, tirando in ballo anche Chiyou, e si alzò, sgambettando poi
fino alla porta: «Chi è?» abbaiò, aprendo l’uscio della sua dimora e
rimanendo basito di fronte al ragazzo moro e con gli occhiali quadrati che
aveva suonato: «Alex?»