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Autore: _EverAfter_    08/09/2016    3 recensioni
I pensieri della giovane sorella di Thorin Scudodiquercia, all'alba della partenza dai Monti Azzurri per ritornare a Erebor.
Memorie di una nana, che ancora non sa il triste destino capitato al fratello e ai due figli.
E la promessa del fratello di non abbandonarla mai.
Spero vi piaccia!
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dìs, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Con-gli-occhi-di-un-innocente






Adorata sorella, è difficile pensare che quando tornerai io non sarò lì ad attenderti.

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La notte scorreva serena nel cielo terso di novembre, mentre sulle Montagne Azzurre tutto taceva in attesa di una partenza ormai prossima, così vicina da poter essere vista, per la prima volta, come il chiaro segno di una vittoria dopo tanta sofferenza. Dís se ne stava seduta sulla rigida sedia di pietra, mentre il suo cuore attendeva impaziente di tornare a casa, quella vera. Quella che, per tanto tempo, aveva solo potuto rimembrare nei suoi ricordi più nascosti, intangibili, così immateriali da sembrare sogni strappati, lacerati dal fuoco di quel drago, i cui profondi occhi dorati, serpentini, ancora la tormentavano nei suoi incubi.
Avrebbe potuto alzarsi esattamente in quel momento ed esattamente in quel momento partire, correre da quel che rimaneva della sua famiglia, correre dall’amato fratello, dagli adorati figli. Non lo fece perché sapeva di dover attendere ancora, prima di poterli riabbracciare.


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Quando saprai, non capirai.
Non capirai perché abbiamo fatto tutto questo, non riuscirai ad accettarlo.
Eppure, se l’abbiamo fatto, è stato anche per te.


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In fondo, cos’era una sola notte passata sui Monti Azzurri, dopo tutto quel tempo? Avrebbe dovuto attendere solo qualche altra ora, e poi avrebbero preso la via del ritorno, quella santa via che i figli di Durin avevano battuto, un sentiero ormai sicuro da poter calpestare senza la costante paura di finire tra le fiamme.
Conosceva bene il fratello da sapere ciò che avrebbe potuto pensare guardandola, così spaventata, così tremendamente ansiosa di correre da loro. Immaginava il ferro delle spade dei suoi figli battere feroce contro le armature nemiche e il rumore di quelle spade la perseguitava, potendo solamente immaginare il tonfo di un’armatura amica che viene trafitta da una pungente lama ostile. I suoi figli non avrebbero mai perso, questo cercava di ricordarselo. Era impossibile.
C’era Thorin con loro.
Il suo Thorin.
E fin quando lui ci sarebbe stato, loro non avrebbero mai potuto perire.


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La grazia non è stata benevola.
Non ci ha permesso di poter godere della tua reazione di fronte all’immensità del nostro regno.
Quando tu poggerai il tuo soave sguardo sugli ori di Erebor. Sulle sue colonne. Sulle sue scalinate sempiterne.
Noi no, non ci saremo.


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Eppure c’era qualcosa che non riusciva a spiegarsi, il malsano umore di una persona che sente, in cuor suo, di aver perso qualcosa, poco importa che potesse essere realmente importante o che fosse solo il presentimento infondato di una paura più profonda, insita in lei da quando i suoi figli avevano valicato la porta di casa. Sentiva di aver perso.
Ma cosa, questo ancora non sapeva.


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Non ho mantenuto la mia promessa. Non ci sono riuscito.
Avrei voluto poterti vedere un’ultima volta, per spiegarti come mai non sono riuscito nella mia impresa.
Ma so che non mi perdonerai, nonostante tutto.


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«Se quei buoni a nulla hanno distrutto qualcosa, giuro che li sgozzo con le mie mani!» sbraitò alla luna, sorridendo poi poco dopo. La verità è che non sarebbe mai stata capace di poter rimproverarli dopo che loro, col sudore della fronte, avevano riconquistato la loro amata terra natia.
E Dís poteva ancora sentire il rumore del ferro lavorato, il fuoco divampare ardente nelle fucine e i soffietti sprigionare calore nelle sale adiacenti, e il profumo del rame, dello zolfo.
Poteva vedere il colore accecante delle gemme preziose e la magnificenza dell’Arkengemma incastonata sul trono ove suo nonno sedeva placido.
E sentiva ogni odore, ogni suono, ogni goccia di sudore cadere dalla fronte spossata dei minatori, e l’immensa luce dorata penetrarle nell’anima, mentre vedeva il suo riflesso perdersi nella profondità dell’oro fuso dei corridoi. I Durin sono i figli della montagna.
E la montagna li ama e li cresce come figli suoi. E, dopo tutto quel tempo passato a rimuginare orizzonti passati, Dís avrebbe di nuovo potuto esser madre e figlia per la montagna.
E, quel giorno, senza pensare alle sofferenze che avrebbe dovuto ricevere, Dís pensò di aver ritrovato una parte di sé stessa.


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Non piangere per noi, quando giungerai alle pendici della Montagna.
Non pensare a cosa avresti potuto fare per impedirlo, ma volgi il tuo sguardo ad Erebor.
Osserva la sua magnificenza, il suo splendore.
Quando vedrai i fiumi dorati percorrere quelle sale, noi saremo lì a guardarli con te.
Quando camminerai per le sale dei Re, osservando l’austerità dei loro sguardi, noi ti saremo accanto.
Quando vedrai l’immensità di quel tesoro e gioirai della sua luminosità, verremo accecati dal bagliore così come il tuo sguardo.
E quando udirai, tra le parole confuse della gente, che Erebor è stata riconquistata, allora pensa a me, amata sorella, pensa ai figli tuoi; ma non piangere.
E noi saremo i tuoi occhi a vegliare le colonne della montagna, e saremo le tue orecchie nel sentir cantare le gesta che parlano di noi, e saremo il tuo sorriso quando ci penserai nell’ascoltarle.
Perché, per la prima volta, guarderemo il mondo con gli occhi tuoi.
Con gli occhi di un’innocente.










Piccola one-shot che mi è uscita un po' così, senza pretese. Spero vi sia piaciuta, ho sempre pensato di scrivere una piccola parentesi per la sorella di Thorin, personaggio che personalmente ho sempre immaginato in questo modo
Grazie a chiunque l'abbia letta!

_Vintage_

  
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