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Autore: Marilia__88    09/09/2016    4 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                       ME BEFORE YOU








                                                                      Clash





… La donna sospirò pesantemente. “Credi che sia la persona giusta per…” provò a chiedere, ma le parole gli morirono in gola.
Siger la strinse più forte e la baciò sulla testa. “Non lo so, cara. Ma lo spero tanto”.
 



 
 
L’indomani mattina John arrivò alla villa degli Holmes di buon’ora.

L’ingombrante bastone nella mano destra ed un borsone in quella sinistra.

Salutò Violet, che era intenta a potare delle rose in giardino e si recò sul retro, verso l’ingresso della dependance.

Tentennò davanti alla porta per qualche secondo. Dopo lo strano e inquietante incontro del giorno prima, si sentiva nervoso all’idea di rivedere quell’uomo.

Fece un profondo respiro e raddrizzò le spalle, assumendo la sua confortante postura da soldato. Poi aprì la porta ed entrò.

Sherlock era in soggiorno. Era rivolto verso la grande vetrata della porta a finestra. Lo sguardo fisso verso un punto indefinito del giardino.

“Buongiorno” disse John, chiudendosi la porta alle spalle.

L’altro, però, non rispose. Rimase fermo e immobile in quella posizione, ignorando completamente la sua presenza.

Il medico poggiò il borsone a terra e si tolse la giacca, appendendola al porta abiti alla sua destra.

Si addentrò nella stanza decisamente a disagio, incerto su cosa dire o fare.

Poi si schiarì la voce nel tentativo di attirare la sua attenzione. “Vuole che le prepari una tazza di tè?”.

Sherlock azionò la sedia e si voltò a guardarlo. Lo fissò intensamente per qualche istante, prima di scoppiare in una risata chiaramente sarcastica. “Ah, già. Mia madre me lo aveva accennato. Lei è il talentuoso uomo che sa preparare il tè! Sa, mi chiedevo quanto tempo sarebbe passato prima che ostentasse le sue incredibili capacità! Comunque, no, grazie.” sbottò acidamente, ritornando serio all’istante.

John strinse la mano destra sull’impugnatura del bastone. Doveva restare calmo. Era il suo primo giorno di lavoro e doveva sforzarsi di essere gentile. “Preferisce del caffè, allora?” riprovò, mostrando un sorriso tirato.

“Le faccio risparmiare tempo, dottor Watson. Non vorrei passare l’intera mattinata a sentire il noioso elenco di ciò che potrebbe preparami. Non desidero niente al momento”.

“Bene” rispose il medico, schiarendosi la voce in un gesto nervoso. “Comunque può chiamarmi John” azzardò gentilmente.

Sherlock gli lanciò un’occhiata perplessa. “Le sarebbe d’aiuto in qualche modo?”.

“No. Era solo per rompere il ghiaccio. Visto che dovremmo passare insieme buona parte della giornata, pensavo che potevamo conoscerci meglio”.

“Mi ascolti bene, John” rispose l’altro, pronunciando il suo nome con marcata acidità “Non sono interessato a fare nuove conoscenze. Preferisco di gran lunga rimanere sul ghiaccio” aggiunse, voltandosi diretto in camera sua.

John rimase immobile per qualche istante, incredulo di fronte a quel comportamento. Arricciò le labbra ed inspirò profondamente. “Resta calmo, John. Resta calmo” si ripeté tra sé e sé, quasi come un mantra.

Si avvicinò alla vetrata, nel punto in cui prima giaceva la sedia di Sherlock, e si mise ad osservare fuori, cercando di smaltire la prepotente nuvola di rabbia che lo stava soffocando.

Non appena ebbe ripreso il controllo, si recò nuovamente da lui. Non aveva intenzione di arrendersi alla prima difficoltà. Doveva riprovare.

Entrò cautamente nella stanza e tossicchiò. “Oggi è una bella giornata. Potremmo fare un giro fuori, se le va”.

“Cosa aveva in mente di preciso?” chiese Holmes con finta curiosità.

“Ho visto che c’è un parco qui vicino. Potremmo fare una passeggiata fino a lì”.

“Un’incantevole passeggiata nel parco” ripeté Sherlock come se ci stesse riflettendo intensamente “E cosa potremmo vedere, John? Il sole? Il cielo?”.

John strinse nuovamente l’impugnatura del suo bastone. “Era solo un’idea” rispose con una leggera irritazione nella voce “Non so, cosa le piacerebbe fare? Cosa fa di solito?”.

Holmes gli lanciò un’occhiata gelida, penetrandolo con i suoi intensi, quanto inquietanti occhi chiari. “Cosa crede che possa fare in queste condizioni?” sbottò, visibilmente innervosito “Niente! Non posso più fare niente! Sto seduto. È già tanto che esisto! Quindi la smetta di angosciarmi con le sue noiose proposte prive di senso!”.

Il medico inspirò profondamente, mentre sentiva di nuovo quell’intensa rabbia risalirgli fino alla gola. “Va bene, ho capito!” ribatté, non riuscendo stavolta a moderare il tono di voce “Allora resti pure qui a non fare niente! Se ha bisogno di me sono in soggiorno!” aggiunse, uscendo dalla stanza, zoppicando a passo spedito.

Sherlock lo seguì con lo sguardo. Non appena sparì dalla sua vista, non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Quell’uomo sembrava diverso da tutti gli altri con cui aveva avuto a che fare. Nei suoi occhi, per un momento, aveva intravisto una scintilla, qualcosa di stranamente interessante.
 






 
 
“Allora, John, come va il primo giorno?” Mike entrò sorridente nella dependance, salutandolo con affetto.

“Non ne parliamo, Mike!” si sfogò John con enfasi “Posso capire il disagio legato alla sua condizione, ma per Dio, è un uomo così irritante!”

Stamford cercò di trattenere una risata. “Ci farai l’abitudine, vedrai” rispose visibilmente divertito.

“L’abitudine?” ripeté il medico incredulo “Per ora l’unica cosa a cui devo abituarmi, è quella di reprimere l’impulso di prenderlo a pugni ogni volta che apre bocca!”.

Mike non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata. “Però ti piace, non negarlo”.

“Oh, ma smettila!” sbottò John, indossando la giacca ed afferrando un sacchetto, che giaceva sul tavolo della cucina. “Io vado fuori a mangiare il mio pranzo. Divertiti con mister simpatia!”.
 
 







 
I giorni successivi non furono migliori del primo.

John cercò in tutti i modi di avvicinarsi a Sherlock, provando a scalfire l’impenetrabile corazza di arroganza che aveva creato per difendersi, ma con scarsi risultati.

Passarono due settimane e il medico non riuscì ad ottenere nessun miglioramento.

Come se ciò non bastasse erano ritornati gli incubi. Non che se ne fossero mai andati, ma in quel periodo erano decisamente più frequenti e terrificanti. Si svegliava ogni notte di soprassalto, madido di sudore e con una disgustosa voglia di piangere.

Era felice che la stanza di Sherlock si trovasse dalla parte opposta della dependance. Non avrebbe sopportato l’idea che lo sentisse frignare come una ragazzina.  

Le giornate, dunque, trascorrevano con un’angosciante monotonia.

Passava la maggior parte del suo tempo in soggiorno, oziando sul divano o guardando un po' di tv.

Holmes, invece, stava spesso per conto suo, in silenzio.

Era scontante e non perdeva occasione per rifilargli una qualche risposta pungente, con cui metteva a dura prova il suo già precario autocontrollo.

Non solo. Aveva chiaramente precisato che non gradiva averlo tra i piedi, se non nei momenti in cui aveva inevitabilmente bisogno di aiuto: per assumere le compresse giornaliere e durante i pasti.

I momenti peggiori erano proprio quest’ultimi. I pasti.

Sherlock aveva una mobilità quasi assente delle braccia. Poteva muovere un pò le mani, in particolare quella destra, ma non abbastanza da riuscire a mangiare da solo.

A John toccava imboccarlo, forchettata dopo forchettata.

Ed era proprio in questi frangenti che si sentiva particolarmente a disagio. Pensava a quanto potesse essere umiliante per un uomo adulto, essere imboccato come un bambino. Ma ciò che lo destabilizzava di più, era proprio l’espressione di Holmes.

Sherlock odiava quei momenti, poteva leggerlo nei suoi occhi. Nel suo sguardo, che evitava di incrociare con il suo, traspariva tutto il disprezzo che provava per sé stesso, per ciò che era diventato. Sicuramente era per questo che spesso diceva non aver fame, soprattutto nei giorni in cui era particolarmente di pessimo umore.



 
Quel giorno, però, il quindicesimo per l'esattezza, qualcosa cambiò.

John era seduto sul divano. La gamba gli faceva male più del solito. Odiava quel fastidio. Lo rendeva decisamente nervoso.

Provò a cambiare il canale della tv, ma il telecomando non funzionava. Servivano delle pile nuove.

Iniziò a frugare nei cassetti, e fu allora che trovò una cartella piena di ritagli di giornale. Erano articoli su Sherlock.


… Famoso dipinto di Turner recuperato grazie al prodigioso talento di Sherlock Holmes…

… Sherlock Holmes, l’eroe del Reichenbach, trova vittima di un rapimento…

…Peter Ricoletti, famoso ricercato, catturato grazie a Sherlock Holmes…

…Il genio Sherlock Holmes ritrova i figli dell’ambasciatore statunitense soltanto da un’impronta…


John lesse solo alcune frasi dei numerosi articoli che si ritrovò tra le mani. Si soffermò sulle foto. Sherlock aveva sempre la stessa espressione seria e tenebrosa mista ad un sorrisetto compiaciuto. La maggior parte degli scatti, inoltre, lo raffiguravano con un buffo cappello da caccia, che da quanto poté capire, era diventato il simbolo del grande ed infallibile Sherlock Holmes.

“Quei ritagli li ha conservati mia madre. Sinceramente non afferro l’utilità di questa sua ridicola raccolta, ma credo possa aver a che fare con il suo stupido sentimentalismo!” la voce di Sherlock alle sue spalle lo fece sussultare.

Il medico si voltò di scatto, cercando di conservare velocemente tutti i ritagli di giornale. “Mi scusi. Stavo solo…”.

“Stava solo leggendo quegli articoli, chiedendosi quanto deve essere terribile trasformarsi da un famoso e geniale consulente investigativo, a questo ammasso di ferraglia!” lo interruppe Holmes, visibilmente contrariato.

“No, non volevo curiosare. Stavo solo cercando…”.

“Nel cassetto in basso a destra ce ne sono degli altri. Giusto se le venisse un altro raptus di curiosità!” sbottò Sherlock, impedendo di nuovo all’altro di finire la frase. Poi si voltò con l’intenzione di ritornare nella sua stanza.  

John rimise la cartella nel cassetto, richiudendo quest’ultimo con una tale forza da far tremare l’intero mobile. “Vuole smetterla una buona volta di comportarsi da stronzo arrogante?” urlò furioso.

Holmes si bloccò e rimase fermo per alcuni istanti. Poi si girò, mostrando un’espressione sorpresa, mista ad un’aria di sfida. “Cos’ha detto?”.

“Mi ha capito bene!” ribatté il medico a tono. La rabbia lo aveva completamente avvolto, distruggendo ciò che rimaneva del suo autocontrollo. “Sto solo cercando di fare il mio lavoro e le sarei davvero grato se evitasse di rendere la mia vita un inferno, più di quanto lo sia già!”.

“E se io non la volessi qui?”

John strinse il suo bastone e arricciò nervosamente le labbra, irrigidendo maggiormente la sua postura. “Sinceramente, Sherlock, non mi importa se lei mi voglia o meno qui! Sono stato assunto da sua madre e, a meno che non sia lei a dirmi di andarmene, intendo restare! E non lo faccio perché tengo particolarmente a lei o tenga a cambiare in alcun modo la sua vita, ma perché questo lavoro mi serve e non ho intenzione di rinunciarci!”. Quando finì di parlare si accorse che stava leggermente ansimando.

Non aspettò neanche la risposta dell’altro, che se ne andò spedito in cucina, mettendosi ad armeggiare con il bollitore. Aveva assolutamente bisogno di un tè per calmarsi.

Sherlock rimase a fissarlo in silenzio, seguendolo con lo sguardo, fino a quando sparì dalla sua vista.

Dall’incidente nessuno gli aveva più parlato in quel modo, nessuno gli aveva più rivolto un sguardo simile. Tranne suo fratello ovviamente, ma lui era un caso a parte.

Di solito le persone evitavano di guardarlo, troppo imbarazzate dalla sua condizione. I pochi coraggiosi che riuscivano a sostenere il suo sguardo, non facevano che rivolgergli quella fastidiosa espressione compassionevole.

Ma quell’uomo, John Watson, era diverso da tutti gli altri. Non lo aveva trattato come un povero handicappato. Lo aveva trattato come un uomo, un uomo normale.

Questa volta era riuscito chiaramente a vedere quella scintilla nei suoi occhi. Questa volta non poteva essersi sbagliato.

Spostò lo sguardo verso la finestra alla sua destra e, per la prima volta dopo tanto tempo, gli sfuggì un puro e sincero sorriso.












Angolo dell'autrice: Salve! Eccovi il terzo capitolo! 
Abbiamo finalmente un incontro/scontro tra Sherlock e John.
Da un lato c'è il medico che non riesce a dominare la sua rabbia, e dall'altra c'è il detective che non fa che provocarlo.
Mi sono basata molto sul libro per questo capitolo, inserendo alcune battute che dice realmente Will (naturalmente un pò modificate), perchè mi sembravano molto adatte anche al nostro Sherlock. 

Nel prossimo capitolo vedremo un piccolo avvicinamento tra i due. Il principio dell'evoluzione del loro dolcissimo rapporto. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi sta seguendo la storia e a chi vuole lasciare un commento. 
Alla prossima ;) 

 
   
 
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