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Autore: Bibliotecaria    10/09/2016    0 recensioni
Il mondo dei maghi è più complesso di quel che immaginiamo, pieno di misteri e segreti.
Harry Potter e la sua generazione hanno fatto la loro parte, ora una nuova generazione deve affrontare la sua sfida; segnata da una profezia e da un nuovo nemico.
L'antica magia verrà risvegliata e una nuova magia nascerà. Il ritorno dei draghi è il primo segno che indica la fine d'un era e l'inizio d'un altra.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Una nuova generazione '
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Cap. 14 Risveglio

Arthur non capì mai bene cosa gli fosse successo in quel momento. Sapeva che provava il terrore più cieco e indescrivibile e rabbia verso quella donna che aveva osato ferire i suoi amici. Tutto intorno a lui si era fatto cupo e quello che lo circondava non erano altro che ombre offuscate dalla nebbia. Solo quella strega senza nome era ben chiara nella sua mente: il sorriso beffardo, il luccichio assassino dei suoi occhi appena intravisto sotto l’ombra del ampio cappuccio e la bacchetta che si alzava mirando verso di lui. Si sentiva perso. Non aveva nulla per difendersi: senza la sua bacchetta poteva solo accettare la sua imminente morte. Però un luccichio metallico colse la sua attenzione: il coltello di Nathaniel. Arthur ne fu attratto. –Se lo raggiungessi potrei difendermi.- Pensò e allora la lama gli parve risplendere di un aura argentea. La strega mosse la bacchetta per preparare l’incantesimo. Fu allora che Arthur, in preda al terrore, desiderò vivere.

Improvvisamente sentì un tremendo dolore al petto. Chiuse la mano a pugno al livello del cuore cercando di sopportare quel immenso dolore. “Siamo debolucci.” Lo beffò la strega. Ma Arthur non la sentì, percepiva soltanto il dolore al petto che si faceva sempre più forte. Era come se qualcosa dentro di lui stesse esplodendo, una energia che a ondate pulsava per essere liberata. Arthur si sentiva trafitto da mille lame e quella sensazione continuò ad aumentare facendolo contorcere dal dolore, il cuore gli stava esplodendo. Sentiva che stava per morire, sentiva che quel energia lo avrebbe ucciso. Sentì quella energia premere sempre di più. Percepiva la vita di quel energia che batteva al ritmo del suo cuore, e piano e piano stava infrangendo una barriera che la separava dal resto dell’anima di Arthur. Dopo lunghi attimi in cui la barriera stava cedendo Arthur venne colpito in pieno da un incantesimo della strega che lo gettò a terra. E come Arthur sentì la durezza del terreno la barriera crollò in mille frantumi e i suoi occhi vennero avvolti dalla nebbia. Vedeva tutto confuso come pervaso da nebbie, eccetto il coltello che in qualche modo gli appariva limpido nella sua mente.

La strega preparò un altro incantesimo con gli occhi luccicanti d’odio.

Il coltello si sollevò da terra con un lento movimento elegante e si mosse silenzioso compiendo cerchi in aria fino a raggiungere la schiena della strega e si posizionò per sferrare un colpo.

“Ultime parole?” Domandò la donna puntando la bacchetta alla testa del ragazzo. Arthur alzò gli occhi stancamente. La strega sussultò spaventata alla vista da quegli occhi vuoti: né la paura, né la rabbia v’era in essi, solo una inflessibile concentrazione. Arthur si alzò placido, lasciando la strega impietrita da quella calma, e bisbigliò una sola parola. “Ferisci.” La donna lo guardò senza capire e preparò l’incantesimo che avrebbe dato il colpo di grazia al ragazzo.

Fu allora che il coltello di Nathaniel colpì la strega alla schiena come una saetta. La donna cacciò un urlo agghiacciante di dolore che si espanse per tutto il nido riecheggiando nelle pareti di quest’ultimo. Il coltello perforò ulteriormente la carne della strega la quale si voltò di scatto pronta ad affrontare un nemico, ma dietro di lei non c’era nessuno, solo una lama che si muoveva a mezzaria sollevata da una forza misteriosa. La donna venne invasa dal terrore mentre il coltello la colpì ancora questa volta alla spalla. Urlò agonizzante. Confusa cercò di capire come fosse possibile che quel ragazzino riuscisse a usare la magia senza bacchetta, poiché nessuno può fare un ampio uso della magia senza essa. Ma finche la sua mente confusa si poneva la domanda il metallo le trapassò le membra e un freddo dolore si espanse nel corpo di quella donna. A seguire il coltello la colpì ancora e ancora, più e più volte con violenza: sulla schiena, ai fianchi, tra le costole, sulle guance, ma mai in punti vitali. L’acciaio non gli concedeva tregua e la donna divenne preda del dolore e della lama. La sua mente era così confusa che a stento riusciva a reggere la bacchetta e d’era incapace di pronunciare alcun incantesimo poiché la sua mente non riusciva a raggiungere un minimo di lucidità che il coltello le perforava la pelle un’altra volta. La strega si protrasse a terra e cercando di difendersi con le braccia dal assalto di quel coltello.

Arthur rimase fermo, impassibile, in piedi. I suoi occhi erano vuoti, avvolti dalla nebbia come se si fosse distaccato dal suo essere umano e fosse diventato qualcos’altro, qualcosa che andava oltre la comprensione umana. E nel frattempo gli urli della donna squarciavano la notte e dilaniavano gli animi svegli eccetto uno che rimaneva d’innanzi a lei impassibile e continuava a muovere il coltello che dilaniava la preda. Questa disperata si inginocchiò e, incapace di reagire, guardò un ultima volta Arthur con odio mandandogli una silenziosa minaccia con il sangue che scivolava sulla sua fronte e zampillava e colava copioso sul suo corpo. In quel momento Arthur si risvegliò da quello stato di oblio. E la donna, approfittando di quel attimo di tregua, fuggì avvolta in una luce magica: si era teletrasportata. Non l’avrebbero rivista per molto tempo.

Il coltello cadde a terra in un tintinnio metallico come Arthur si inginocchiò a terra passandosi una mano sulla fronte confuso. Per un istante non ricordò ciò che aveva fatto. Poi però gli occhi gli si riempierono d’orrore per il crimine commesso come risvegliato da un sogno, anzi da un incubo. Non volle credere a ciò che aveva fatto. Era davvero stato lui a muovere quella lama? Guardò fisso d’innanzi a sé incapace di comprendere cosa gli fosse accaduto. Desiderò che fosse un brutto sogno, desiderò risvegliarsi, desiderò che tutto in torno a lui svanisse. Ma la stanchezza e il trauma per ciò che aveva fatto lo sopraffecero e si addormentò di colpo, privo di forze. Quella notte Arthur aveva infranto un barriera invisibile, una barriera che si era dimenticato di avere o di cui non aveva mai avuto pienamente coscienza.

 

Aprii gli occhi, avevo le vertigini e mi sentivo confusa, ricordo il freddo e l’umidità; dov’erano le calde coperte, l’odore del legno e il respiro delle mie compagne? Mi chiesi ancora preda del sonno. Poi percepii qualcosa tra le mie mani era squamoso ma morbido, caldo e così piccolo. Abbassai lo sguardo, sorrisi con dolcezza. Il piccolo rettile d’orato era ancora raggomitolato tra le mie mani e dormiva come un bambino, cosa che in fondo era. Sentivo il suo respiro regolare tra le mie mani e il suo piccolo cuore battere veloce. Presi un profondo respiro e alzai gli occhi al unico spazio di cielo visibile. –È fatta.- Avevo compiuto il mio compito. Riabbassai lo sguardo e non potei far a meno di pensare che tutto quello che avevamo passato quest’anno era a causa di questo piccolo esserino che pare possedere un potere oltre ogni immaginazione. Eppure a me pareva così fragile e impotente, come un cucciolo appena nato, lo accarezzai dolcemente. Mi sarei presa cura di lui, di Itrandil e dei miei amici finche mi sarebbe stata concessa la forza.

Voltai lo sguardo in direzione dei miei amici, stavano tutti dormendo profondamente, Hanna in particolare russava come un orso in letargo. –Deve essere stata molto provata dalla battaglia.- Pensai alzandomi tenendo la creaturina in un braccio con estrema cura. Le gambe tremarono ed ebbi un attimo in cui pensai di cadere ma recuperai l’equilibrio, sorressi il mio peso e continuai a camminare. Raggiunsi Itrandil che dormiva profondamente, le accarezzai dolcemente la testa e percepii nuovamente quella sensazione di pizzicorino che avevo imparato a conoscere. “Itrandil…” La chiamai per nome e un dolce calore mi avvolse il cuore: il legame era nuovamente stabilito. Potevo di nuovo percepire quel nodo che mi univa a lei. La draghessa aprì un suo occhio d’orato e mi fissò placida, in pace con il mondo. “Ce l’abbiamo fatta Itrandil.” Sussurrai. “Il drago d’oro è nato e tu sei nuovamente legata a me.” Così dicendo l’abbracciai la draghessa che ricambiò con una pigra spinta del capo. Dopo lunghi istanti la voce della draghessa risuonò nelle mia mente.

–Sveglio i tuoi amici?- Chiese alzandosi lentamente con una vaga malizia nella voce. –Sì grazie.- La invitai sorridendo di già per quello che stava per accadere. Allora un ruggito potentissimo si diffuse per il nido e i suoi d’intorni così potente da farmi coprire le orecchie. Il cucciolo tra le mie mani sobbalzò e nascose la sua testa nel mio petto spaventato. Arthur e Nathaniel si alzarono di scatto dallo spaventi. Il primo urlando come se stesse avendo un infarto, il secondo prendendo, letteralmente, il volo librandosi in aria per qualche metro per poi cadere a terra sulle natiche in una esclamazione di dolore. Hanna invece alzò placidamente la testa sbadigliando vistosamente. “Che succede?” Chiese con la bocca impastata dal sonno strofinandosi un occhio. “Dobbiamo tornare a scuo….” Interruppi la frase e mi voltai in imbarazzo per ciò che avevo visto. “Che c’è?” Domandò Hanna seccata dal modo in cui la evitavo. “Hanna… sei beh… nuda.” Dissi diventando sempre più rossa. La ragazza si guardò un attimo con sorpresa e appena si rese conto del suo stato si coprì imbarazzatissima con le mani, mentre i ragazzi si voltavano di schiena rossi come peperoni. Io afferrai il suo mantello della divisa, l’unico suo indumento a essere ancora utilizzabile, e come glielo porsi si coprì il corpo infantile con frenesia. Le sue gote divennero rosse quanto i suoi capelli però, dopo essersi ricomposta un attimo, si alzò cercando di far finta di nulla. “Allora Elaine cos’è successo?” chiese Nath cercando di dimenticarsi di aver visto Hanna nuda, di nuovo. “Giudicate voi.” Così dicendo mostrai il draghetto, che nel frattempo aveva tolto la sua testolina dal mio petto, sollevandolo a modi trofeo finche quest’ultimo sbadigliava. Nathaniel guardò il cucciolo perplesso dal basso facendo una faccia sorpresa e delusa. “Tutto qui?” Chiese fissando il cucciolo come se fosse uno di quei regali da quattro soldi che danno ai supermercati con i punti. “Ehi!” Esclamai irritata. “Che ti aspettavi? Un drago di venti metri, forte e possente. È nato ieri! Dagli un po’ di tempo!” Lo difesi io infastidita. “E poi dovete ringraziare lui se non avete più ferite.” Aggiunsi impettita. “Ma scusa Elaine come avete battuto la strega alla fine?” Mi chiese Nath avvicinandosi. “Ehm… a dire il vero non lo so. Dopo che è nato sono svenuta.” Rivelai in imbarazzo. “Quindi…” iniziò Nath incredulo. “L’ha battuta…” continuò Hanna con lo stesso tono del amico. I due si guardarono perplessi e sorpresi. “Arthur!?!?” Urlarono all’unisono fissando il Corvonero. Arthur si passò una mano imbarazzata trai folti capelli castani esibendo un mezzo sorriso forzato. “Ma come hai fatto?” Lo interrogò l’amica avvicinandosi a lui in tutta fretta “Eh… beh… ecco… io…” balbettò il ragazzo.

 

 

Arthur si sentiva circondato dai suoi tre amici che lo fissavano sorpresi e il giovane si preparò al terzo grado che stava per subire. “L’ho pugnalata con il tuo coltello Nath.” Spiegò in imbarazzo fissando un punto indeterminato nel pavimento sterrato. “Eheh?????” Esclamò il Serpeverde confuso e sorpreso avvicinandosi ancora di più ad Arthur. “Mi aveva disarmato così l’ho pugnalata alla schiena e si è smaterializzata.” Spiegò Arthur ancora confuso da quel che era successo.

Il Corvonero era in netto imbarazzo: Hanna e Nath lo fissavano da dieci centimetri di distanza come se fosse un alieno e Itrandil gli perforava l’anima coi suoi occhi d’orati. “Dunque è ancora a piede libero.” Pensò Elaine ad alta voce mentre fissava la luce proveniente del esterno estremamente seria, Arthur percepì la sua preoccupazione anche da quella distanza. Ma subito cambiò d’umore esibendo una espressine serira e in qualche modo ironica. “Comunque ora ci aspetta una prova molto importante.” Dichiarò la Tassorosso grave. “E quale sarebbe?” Chiese Nath esasperato dato che di duelli ne aveva a sufficienza per la vita in quel momento. “Tornare a scuola prima che qualcuno si accorga della nostra assenza e fare l’esame di Trasfigurazione.” Disse la ragazza. A quelle parole i quattro amici scattando come molle: raccolsero velocemente le cose che si erano sparse durante la battaglia e iniziarono a correre a tutta velocità su per le scale rischiando di rompersi il collo almeno una dozzina di volte. Quando uscirono dal nido si resero conto che il sole si stava elevato tingendo il mondo di viola, arancio e rosso. “O cavoli!” Esclamò Arthur. “Tranquillo sono appena le cinque e mezza ce la facciamo, se corriamo.” Disse Hanna.

I quattro ragazzi corsero come dannati seguiti in volo da Itrandil, la quale li lasciò arrivati alla radura assieme al drago d’oro che venne depositato su di un albero con qualche lamentela da parte del cucciolo che non sembrava ben disposto a lasciare le sicurezza del petto di Elaine. Ma dopo un mezzo rimprovero della signora dei draghi il cucciolo rimase dov’era stato lasciato in silenzio come un bambino in castigo. A quel punto corsero per il cortile della scuola pregando che nessuno li notasse, visto che il sole era praticamente sorto del tutto. Raggiunta la finestra delle cucine i tre scivolarono dentro ad una cucina frenetica che si stava preparando alla imminente colazione. Gli elfi domestici li fissarono increduli allora Hanna intervenne prima che iniziassero le domande. “Se state zitti porto calzini per tutti!” Disse la ragazza pregando di averne a sufficienza visto che la sua scorta e quella dei suoi compagni era stata dimezzata. Da lì ogni uno di loro proseguì per la propria strada fino alla sua casa comune.

 

Arthur dovette fare una corsa terribile su per le scale fino alla sua casa comune. Una volta entrato si rese conto che tutti si stavano per svegliare così se ne andò in bagno per farsi breve doccia così da far sparire le prove della sua fuga notturna.

Nella tranquillità del acqua calda e dei vapori Arthur cercò di riordinare i suoi ricordi. Si ricordava perfettamente della paura provata, della rabbia, del dolore terribile al petto ma ciò che era avvenuto dopo gli era confuso: una serie di immagini orribili gli invadevano la mente. Si strofinò con forza cercando di cacciare via quella orribile sensazione. Arthur sapeva per certo che ciò che era avvenuto non era naturale. Non aveva mai perso il controllo della magia da piccolo se non due o tre volte forse. In oltre quel incantesimo per qualche motivo gli era sembrato diverso dal solito: era come se avesse una natura differente. Lasciò che l’acqua gli scorresse trai capelli, sulla pelle e aprì gli occhi. Vide lo sciampo ai suoi piedi. –Vogli sapere, se è stata davvero una perdita di controllo o no.- Provò a alzarlo ma nonostante la sua grande concentrazione non mosse la confezione d’un millimetro.

Il ragazzo sospirò consolato dal idea che fosse stata solo una comune perdita di controllo. Poi sentì una energia diversa dentro il suo petto, come un fuoco azzurro, e quando riaprì gli occhi si trovò davanti la bottiglia di sciampo sospesa in aria. Sgranò gli occhi incredulo. –Allora… non è stata una perdita di controllò.- Pensò confuso e disperato, in quel istante l’energia azzurra si bloccò. La bottiglia cadde a terra e per poco non urlò dallo spavento.

Appoggiò la mano alla parete afflosciandosi privo di forze. Si sentiva tremante. E solo dopo lunghi attimi composti di respiri affannosi si placò. Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Lasciò al difuori di sé tutto e dopo svariati secondi di silenzio percepì qualcosa, come due energie in sé, anzi le vedeva distintamente. Una era argentea e si muoveva fluida come un liquido dentro di sé e una era azzurra e si muoveva come una fredda fiamma.

Arthur aprì gli occhi. –Forse è solo la mia immaginazione.- Pensò il ragazzo cercando di convincersi che era tutto frutto della sua mente. Eppure qualcosa gli diceva che ciò che stava avvenendo era reale. Si concentrò nuovamente focalizzandosi su quel energia azzurra e la bottiglia di sciampo galleggiò nuovamente a mezz’aria.

 

Nathaniel era entrato nella sala comune come un ladro e sgusciò verso il dormitorio quatto quatto. Tuttavia sentì dietro di sé una cupa presenza, si voltò e si trovò davanti un uomo sulla cinquantina, dai folti capelli scuri disordinati, gli occhi chiari severi e stanchi, vestito di un pastrano nero, lo sguardo contratto dalla stanchezza ma soprattutto dalla furia che lo squadrava dal alto al basso.  “Professor Johnson!” Squittì Nath sentendosi venir meno le gambe. “Nel mio ufficio Galleric ora.” Sentenziò il professore facendo tremare Nathaniel dalla paura. Ne aveva visti di maestri furiosi in vita sua però lo sguardo del professor Johnson lo atterriva almeno quanto lo atterriva lo sguardo di sua madre le poche volte che si arrabbiava, e non era un bello spettacolo. Dai dormitori otto paia di occhi sbirciavano il destino del loro compagno già visualizzandolo morto e sepolto in una bara.

Nathaniel seguì il professore fino al suo ufficio. “Galleric dimmi dove sei stato tutta la notte, ora.” Lo interrogò Johnson perforandogli l’anima coi suoi occhi verdi. “Da Arthur signore.” Inventò Nath sperando che se la bevesse, ma lo sguardo di Johnson era a dir poco scettico. “Da Arthur, davvero?” Disse l’uomo che aveva percepito la bugia a un miglio di distanza. “S-sì.” Rispose tremante Nath. “E come mai hai l’aria di uno che ha passato tutta la notte nella foresta?” Insistette il professore che aveva notato lo strato di polvere e fango che ricopriva Nathaniel. “Dopo la partita mi sono sfogato un po’.” Rivelò Nath per dire almeno un qualcosa di vero. “E ti sei rotolato a terra?” Insistette l’uomo. “Sì. E ho preso a pugni qualche pianta.” Aggiunse Nath. Johnson sospirò. “Quindi sei entrato nella casa comune Corvonero dopo che la squadra Serpeverde ha battuto i Corvonero?” –Merda! Avevo dimenticato la partita…. Ma come cavolo ho fatto!?!?!- Pensò Nathaniel maledicendosi per essere così stupido. “Siamo entrati quando tutti erano già nei dormitori, avendo perso sono andati a dormire presto.” Inventai sperando che avessero fatto davvero così. “Mi vorresti far credere che nessuno tranne Arthur ti ha visto entrare?” Continuò il professore sempre più irritato. “Sì.” Insistette Nath che inconsciamente si stava scavando la fossa da solo. “E qual è la parola d’ordine dei Corvonero?” Insistette Johnson. “Arthur non me l’ha fatta sentire signore.” Continuò Nath. A quel punto Johnson gli si avvicinò d’un passo facendo sentire tutta la sua altezza, che era nella media, ma in quel momento a Nath il professore sembrò un gigante. “E si può sapere dove hai dormito se nessuno ti ha visto?” Disse il professore abbassando leggermente la testa. “Ehm… Nel divano nero accanto alla statua di Cosetta Corvonero.” Disse Nath riesumando una conversazione avuta tempo addietro con Arthur in cui descriveva la casa comune. Il professore lo squadrò con maggior rabbia e scetticismo. “Perché non ti sei lavato lì?” Domandò ancora in un modo che esprimeva inquietudine. “Non ne avevo voglia.” Tagliò corto Nath tremando. Allora il professore disse. “Sei in punizione Galleric: trenta punti in meno ai Serpeverde e fin quando non finisce la scuola la sera andrai in tutti gli uffici dei professori per ripulirli dalle scartoffie, polvere e mettere in ordine le stanze.” Decretò il professore. “Perché scusi? È proibito dormire in un'altra casa comune?” Domandò Nath in un impeto di coraggio che venne fermato dal occhiataccia del professore. “No!” Urlò in professore “È proibito mentire ad un professore che….” Il professore si bloccò trattenendo la sua sfuriata e ciò che avrebbe voluto dire. “Sparisci Galleric. Va a lavarti, fila a trasfigurazione e vedi di fare un prova decente.” Ringhiò il professore “Inizi questa sera da me e vedi di dirmi cos’hai combinato o potrei pensare di prolungare la punizione al anno prossimo!” Lo minacciò scacciandolo. “Grazie signore.” Squittì Nathaniel che sparì a tutta velocità fino a raggiungere la sala comune Serpeverde dove si cambiò in un tempo record. E, dopo una corsa perdifiato, riuscì ad intercettare Arthur poco prima che entrasse alla sala grande e gli riferì ciò che doveva dire se il professor Johnson gli chiedeva qualcosa riguardo alla notte precedente. Arthur lo guardò confuso ed con rimprovero ma dopo un lungo sospiro lo tranquillizzò e gli disse che avrebbe fatto come gli aveva chiesto.

 

Hanna arrivata nella sala comune sgattaiolò nella sua stanza e prese gli indumenti della divisa senza farsi sentire da nessuno. Con il ricambio in una mano e il beauty case nel altra andò in bagno per cambiarsi. Tuttavia una volta in bagno si rese conto che le mancava la voglia, sconsolata si appoggiò al umido muro del bagno e iniziò a pensare a ciò che era successo quella notte.

-Non sono riuscita a proteggerli, non sono riuscita a proteggermi da sola, mi hanno dovuto salvare, certo li ho aiutati a trovare il nido e ho tentato di proteggerli ma non ho fatto altro.- Hanna si sentiva debole e incolpa. Con il suo potere e le sue abilità sentiva di poter fare di più e di voleva fare di più. Se fosse successo qualcosa a loro lei sapeva che non si sarebbe mai perdonata. Guardò distrattamente la sua bacchetta. Il giorno in cui la aveva tenuta per la prima volta tra le mani aveva sentito di poter fare qualunque cosa si sentiva potente e indistruttibile. Ma ora si rendeva conto di quanto in realtà fosse debole: non era riuscita a scalfire quella strega neanche lontanamente, e se non fosse stato per Arthur probabilmente sarebbe stata uccisa. Con questo lugubre pensiero si alzò dal umido pavimento, si studiò allo specchio e per la prima volta si accorse d’essere al minimo del suo potenziale: il suo potere, lo sapeva, gli aveva sempre donato una maggiore prestazione fisica ma non aveva mai pensato di coltivare quel dono, si era convinta che con la sola magia avrebbe potuto abbattere qualsiasi problema. Hanna chiuse gli occhi e guardò dentro di sé: in lei bruciavano due fuochi, uno argenteo e uno rosso poiché in lei v’erano due nature magiche. In quel momento capì che finche avrebbe rinnegato una parte di sé anche l’altra ne avrebbe risentito.

Allora decise. Da quel giorno avrebbe dato il meglio di sé e avrebbe coltivato tutte e due le sue nature: avrebbe iniziato ad allenarsi così che la sua forza sarebbe divenuta tale da poter compensare dove la magia veniva meno e avrebbe studiato più a fondo la magia così da poter compensare dove la sua forza bruta veniva meno. I suoi occhi miele improvvisamente bruciarono d’una energia incredibile. La sua decisione era irrevocabile: sarebbe diventata più forte così da poterli proteggere tutti. “Adesso basta fare la bambina Hanna.” Si impose seria. “Devi diventare più forte per i tuoi amici e per te stessa.” E avrebbe mantenuto quella promessa. Il suo primo passo fu un semplice esame finale di trasfigurazione ma era comunque un inizio.

Note dell’autrice:

Lo so sono in ritardo. *Qualcuno lancia dei pomodori che sopporto stoicamente.* Ma questo capitolo, specialmente la prima parte, era difficile da rendere. E so che sono stata perfida a farvi aspettare così tanto. Spero almeno che il capitolo vi sia piaciuto, è il penultimo.

Se ve lo state chiedendo… sì, ho spezzato di nuovo un capitolo.

Alla prossima settimana, Bibliotecaria.

   
 
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