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Autore: _Frame_    11/09/2016    5 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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96. Stalattiti e Orsi delle nevi

 

 

dicembre 1940, Leningrado

 

Hanatamago tuffò il musetto nella neve, seppellì il nasino nel manto bianco che rivestiva il suolo della foresta, e annusò in mezzo ai cristalli di ghiaccio che avevano seppellito l’erba, le foglie secche e i ramoscelli di abete. Scrollò la piccola testolina facendo dondolare le orecchie, tirò su la punta del naso ancora macchiata di bianco e starnutì. Tenne la linguetta di fuori, le orecchie guizzarono come quando sentiva i passi dei padroni tornare a casa, pronta a saltellare attorno alle loro gambe, e gli occhietti si animarono di una luce vivace che li fece scintillare come goccioline di petrolio.

Sollevò le zampette, compì un balzo oltre un cumulo più grosso, e riatterrò finendo sepolta fino al pancino. Il pelo candido si confuse con la neve, la rese invisibile. Hanatamago sguazzò saltando di cumulo in cumulo, scavò una scia in mezzo alla neve che segnò il suo passaggio. Le orecchie sbattevano a ogni rimbalzo, come ali, e la linguetta di fuori assorbiva tutto il freddo che avvolgeva il boschetto ghiacciato.

Fece un ultimo salto, atterrò davanti a una montagnetta di neve che le arrivava fin sopra la testolina e dovette alzare il naso per vedere fino in cima. Le cime degli abeti intrecciate davanti al cielo stendevano una fredda ombra lungo il suolo innevato, congelavano tutto il profumo della corteccia ghiacciata facendo solo sentire quello pungente della neve appena caduta. Hanatamago abbassò di nuovo il musetto, lo tuffò alla base del cumulo e ci girò attorno scavando con il naso. Prese a scodinzolare, le orecchie fremettero di nuovo, la cagnetta accelerò.

Una leggera cascatella di neve rotolò giù dal cumulo, le piovve sulla testolina, in mezzo alle orecchie.

Hanatamago scrollò il muso, sollevò una zampetta e si grattò via la neve dalla pelliccia. Avanzò tastando l’aria con la linguetta, il nasino respirava veloce assorbendo la scia di odore che stava inseguendo.

Qualcos’altro si mosse dietro al mucchietto di neve, scricchiolò sul suolo facendo schioccare un rametto incastrato nel ghiaccio. Hanatamago fermò il passo, una zampina anteriore sollevata, la coda immobile, e il musetto teso in avanti.

Un’ombra saltò fuori da dietro il cumulo, spalancò le braccia che si tesero come un paio di ali, e volò davanti al cielo.  

Roooar! Sono l’orso delle nevi!”

Moldavia atterrò gattoni davanti ad Hanatamago, finì sommerso dalla neve fino ai gomiti, le ginocchia sprofondarono, e l’orlo del cappuccio cadde addosso alla fronte. Gli nascose gli occhi coprendolo fino alla punta del nasino, le estremità del sorriso aguzzo toccarono la stoffa.

Hanatamago fece un salto indietro, tornò a piegarsi sulle zampe anteriori, scodinzolò, e gli balzò davanti al viso. “Bau!” Le orecchie guizzarono di eccitazione, la linguetta continuò a sventolare anche dopo aver abbaiato.

Moldavia la imitò, si piegò sui gomiti, abbassando le spalle, e tornò a gettare il visetto davanti al muso della cagnetta. “Roar!” Esibì i dentini aguzzi che scintillarono come cristalli, i codini sotto il cappuccio si impennarono come le orecchie di un animaletto che ha appena stanato la preda.

Hanatamago saltò di nuovo. “Bau!” Si girò, la coda sventolante per aria, e tornò a sguazzare in mezzo al mare di neve lasciando una scia dietro di sé.

Moldavia sollevò il visetto, il cappuccio scivolò dagli occhi ma restò calato sulla fronte. Gli occhietti spalancati luccicavano come i suoi dentini aguzzi. “Aspetta!” Sollevò le braccia dalla neve, le maniche della giacca ciondolarono come enormi zampe di pelo, e Moldavia compì un tuffo, riatterrando gattoni. “Hanatamago, ti acchiappo!” Saltellò seguendo la stradina scavata nella neve dallo zampettio di Hanatamago, sbuffi di fiato bianco fuoriuscivano dalle sue labbra creando una spessa scia di vapore che si squagliava nell’aria, i codini rimbalzavano sotto il cappuccio come un secondo paio di orecchie.

Hanatamago curvò la corsa, tornò indietro saltando dentro le sue stesse tracce nella neve, e andò incontro a Moldavia. Si fermò davanti al suo visetto, si piegò sulle zampe anteriori, e la coda impennata accelerò lo sventolio. “Bau!” La lingua di fuori sfiorava il manto di neve.

Moldavia stropicciò un’espressione contrariata che gli fece arricciare gli angoli delle labbra su cui premevano le punte dei canini. “No, Hanatamago, dobbiamo fare che io sono l’orso delle nevi e che tu devi scappare sennò ti mangio.”

Hanatamago abbaiò facendo un piccolo saltello. “Bau!” Tese il musetto in avanti e leccò Moldavia sulla punta del nasino rosso di freddo.

Moldavia ridacchiò, le guanciotte tutte rosse, “Eheheh,” e si strofinò il viso con le maniche impolverate di neve. Si piegò di nuovo a quattro zampe, flesse i gomiti e le ginocchia per darsi la spinta, e scattò in avanti superando la cagnetta con un balzo solo. “Scappa!” Atterrò sollevando una cascata di schizzi di neve, come se fosse atterrato sull’acqua, e ricominciò a correre.

Hanatamago partì all’inseguimento. “Bau!” Corse più velocemente, la sua pelliccia bianca divenne un tutt’uno con il suolo innevato.

Moldavia sollevò il visetto al cielo e spalancò la bocca sorridente, “Roaaar!”, gettando un soffio di condensa all’aria.

Mentre correva a quattro zampe, incontrò un paio di gambe ferme in mezzo alla neve che gli piombarono davanti alla vista. Moldavia vi girò attorno, disegnando una scia attorno ai piedi, e si nascose dietro aggrappandosi all’altezza dei polpacci, sbirciando in cerca di Hanatamago.

“Wha!” Le gambe a cui si era appeso sobbalzarono. Lettonia fece un piccolo scatto di lato, sottraendosi alla presa, e tirò su il lembo del cappotto. “M-Moldavia!” Rivolse gli occhi spaventati verso il basso, si mise la mano tremolante davanti al cuore, mostrò un sorrisetto preoccupato. “N-non correre troppo o rischi di farti male.”

Moldavia sollevò il viso, gli occhi spalancati sotto l’ombra del cappuccio, ed estese il sorriso incavandolo nelle guance arrossite. “Oh, Lettonia!” esclamò. Si mise in piedi, granuli di neve scivolarono via dalla stoffa del cappotto, e si aggrappò con le manine alla giacca di Lettonia, all’altezza del ventre. Diede piccoli strattoni saltellando sul posto. “Vuoi giocare anche tu a rincorrersi? Vuoi, vuoi?” Il cappuccio rimbalzò sopra i codini, flettendoli verso il basso.

Lettonia sbatacchiò le palpebre, piegò il capo di lato, e si riparò il petto. “C-come?” Lo sguardo sospettoso e intimidito.

“A rincorrersi!” L’ombra calata sul visetto di Moldavia divenne più cupa, sotto il cappuccio si creò una maschera nera come una fredda notte d’inverno. Gli occhietti scintillarono come i denti che sbucavano dal sorriso, divennero larghi e luminosi come due lanterne. “Tu corri,” allargò il sorriso snudando i canini fino alle gengive, due scie di luce li percorsero fino alle punte affilate come rasoi, “e io ti acchiappo.”

Un viscido brivido di gelo risalì la schiena di Lettonia e gli fece traballare la spina dorsale. Lettonia arretrò di un passetto, sfilandosi dalla presa di Moldavia aggrappato al suo cappotto, e si nascose mostrando i palmi. “N-no, giocate voi due,” pigolò. Gli occhi annacquati di paura luccicarono, il viso sbiancò per il brivido di panico che gli aveva risalito le ossa.

Hanatamago corse attorno alle piccole gambe di Moldavia, sommerse della neve fino alle ginocchia, e si fermò per abbaiargli. “Bau!” La coda sventolante le diede la spinta, Hanatamago ricominciò a saltellare nella foresta come un leprotto.

Anche Moldavia fece un piccolo sobbalzo nel vederla correre via. “Oh.” Tornò gattoni, le manine avvolte dalle maniche si immersero nella neve, e scattò all’inseguimento. “Hanatamago, aspettami!”

Hanatamago sgusciò in mezzo a un altro paio di gambe più grandi e alte rispetto a quelle di Lettonia. Girò attorno alla caviglia del padrone e si nascose sotto la sua giacca che arrivava fino agli stivali. Svezia scostò un lembo del suo cappotto, scoprì la testolina della cagnetta che guardava verso Moldavia, e le rivolse una rigida occhiata interrogativa.

Moldavia corse incontro a tutti e due, fece un salto più ampio che lo portò con le braccia sventolanti al cielo. “Ti prendo, ti prendo!” Atterrò davanti alle gambe di Svezia, scivolò anche lui sotto la sua giacca, zampettò attorno alla caviglia dietro la quale si era nascosta Hanatamago, si infilò nello spazio fra i polpacci, e la inseguì disegnando un cerchio attorno all’altro piede. “Sono l’orso delle nevi più grande e grosso del – ooh, i ghiaccioli!” Moldavia stese un sorriso di meraviglia. I suoi occhi rivolti in mezzo agli abeti luccicarono, slargandosi fino a racchiudere le immagini della fila di stalattiti scintillanti che pendevano dai rami.

Hanatamago si sedette sulla neve, continuando a scodinzolare, e flesse la testolina di lato ammosciando un’orecchia. Emise un piccolo piagnucolio, il musetto confuso che sembrava dire: ‘Ma non dovevamo giocare?’

Moldavia si spinse con le manine contro la neve, si rimise in piedi barcollando di un passetto all’indietro, e rivolse la punta del nasino verso l’alto. Il cappuccio scivolò via dalla testolina, rivelò i codini che guizzarono come le orecchie di un animaletto. Emise un altro lungo sospiro di stupore, i piccoli canini che sbordavano dal sorriso brillarono sulle punte, gli occhioni luccicanti e incantati riflessero lo scintillio delle gocce d’acqua solidificate attorno agli spuntoni di ghiaccio, simili a cristallo, circondati dagli aghi di abete innevati. Il cuoricino batté forte di emozione.

Moldavia sollevò le braccia, aprì e strizzò le manine, fece piccoli saltelli sul posto e la neve scricchiolò sotto i suoi piedi. “Belli i ghiaccioli!” Fece un salto più alto, tese le dita verso le stalattiti e acchiappò due pugni d’aria. Le guance tutte rosse di eccitazione.

Svezia rivolse uno sguardo dubbioso ai suoi piedi, in cerca di Hanatamago, e l’espressione di marmo si incrinò di imbarazzo. Dovette abbassare il capo e strofinarsi la nuca per nascondere il viso.

Moldavia atterrò da un ultimo balzo, gli occhi colmi di entusiasmo scemarono nella delusione, il dolce sorriso si capovolse, le manine scesero dall’aria e ricaddero sui fianchi, sotto le maniche troppo larghe. “Ooh,” si lamentò. Non riusciva a toccare nemmeno le punte delle stalattiti. Si girò, e lo sguardo di nuovo basso sulla distesa di neve si posò sui piedi di Svezia ancora davanti a lui, Hanatamago accucciata accanto a una caviglia.

I codini di Moldavia si impennarono come antenne, il sorriso tornò a far risplendere i canini. “Oh, signor Svezia.” Moldavia trotterellò contro una sua gamba, gli si appese alla giacca, all’altezza del ginocchio, e prese a saltellare, le manine arpionate alla stoffa. “Signor Svezia, signor Svezia!”

Svezia spostò lo sguardo sul piccino. Mosse solo leggermente le labbra, inarcò un sopracciglio. “Mh?” Un sottilissimo strato di condensa si materializzò davanti al viso, finì immerso nel bavero del cappotto.

Moldavia staccò una manina dall’orlo di stoffa e sollevò il braccio, puntò l’indice contro la fila di stalattiti sopra le loro teste. “Mi prendi un ghiacciolo, per favore, signor Svezia?” Fece altri tre salti, il sorriso sempre più largo, gli occhi sempre più lucidi di speranza.

Svezia alzò lo sguardo, le stalattiti si specchiarono nelle lenti degli occhiali, e tornò su Moldavia. Puntò anche lui un ghiacciolo, sollevando l’indice all’altezza della spalla. “Mh, qu’sti?”

Moldavia annuì due volte. “Sì, sì, quelli!” Saltò di un passo all’indietro, spalancò le braccia come ad avvolgere una montagna, le maniche a penzoloni gli nascosero le mani. “Voglio quello grosso grosso!” esclamò.

Svezia tornò a guardare in alto e spostò l’indice sulla stalattite affianco, di poco più lunga.

Moldavia scosse la testolina, stese l’indice fuori dalla manica e ne puntò un’altra. “No, quello là.”

Svezia passò alla stalattite accanto.

Moldavia fece di nuovo di no, si avvicinò di un passetto e insistette con la punta dell’indice. “Quello.”

Svezia squadrò la stalattite dopo, un’aria perplessa gli attraversò gli occhi, gli fece socchiudere le palpebre. Era grande quanto il corpicino di Moldavia. La indicò lo stesso, guardò Moldavia con un sopracciglio storto, titubante.

Moldavia batté le mani e compì un salto. “Sì, quello!” Anche Hanatamago sollevò la punta del musetto e scodinzolò al padrone. “Bau!”

Svezia mantenne l’espressione incerta ma annuì comunque. Alzò entrambe le mani, le portò attorno alla base della stalattite, nel punto in cui il ghiaccio diventava un tutt’uno con il ramo d’abete e si mescolava agli aghi cristallizzati sotto lo strato d’acqua.

La vocina di Moldavia lo bloccò. “Mi prendi in braccio?”

Svezia abbassò lo sguardo. Moldavia si appoggiò alla sua gamba, salì sulle punte dei piedi, tese le braccia, aprì e chiuse le manine sull’aria. Un sorriso pregante e gli occhi larghi di gioia. “In braccio, in braccio, per piacere.” Fece un piccolo salto e gli atterrò sul piede, senza fargli niente. “Lo stacco io.”

Svezia tenne le labbra piatte e strette, una prima vampata di tenerezza gli colorò leggermente le guance, gli appannò gli occhiali. “‘kay.”

“Yee!”

Svezia si chinò a raccoglierlo, lo strinse delicatamente sui fianchi e lo sollevò da terra, portandolo fin sopra il suo viso. Pesava come un piccolo cuscino di piume. Moldavia tese già le braccia verso la stalattite, le piccole gambe non stavano ferme e ondeggiavano sull’aria davanti al petto di Svezia. Strizzò l’aria, sfiorò la base del ghiacciolo bagnandosi le dita, ma non lo acchiappò. Svezia fece un passo in avanti, Moldavia spalancò le braccia come aveva fatto a terra e si appese alla stalattite. La guancia premette sulla superficie ghiacciata, umida e rugosa che aveva lo stesso intenso odore della pioggia, mescolato a quello della resina di abete. Moldavia strizzò gli occhietti per lo sforzo, fece oscillare le spalle per muovere le braccia allacciate attorno alla stalattite, e qualcosa scricchiolò. Cri-crack! Moldavia diede un colpo secco – crash! – e staccò il ghiacciolo dal ramo. Si tenne abbracciato. La base della stalattite gli arrivava fin sopra la testa. Il ghiaccio ancora premuto sulla guancia, sul pancino, e le gambette incrociate verso la punta. Moldavia sorrise schiudendo le labbra sulla superficie fredda e umida. “Fatto, signor Svezia!”

Hanatamago si sollevò sulle zampe posteriori e scodinzolò. “Bau!”

Svezia posò Moldavia a terra, gli tenne le mani attorno ai fianchi fino a che il piccolo non ebbe i piedi ben saldi e premuti sulla neve. Sfilò le dita, Moldavia traballò appeso alla stazza della stalattite, e Svezia irrigidì le mani, pronto a riagguantarlo.

Moldavia piantò la punta della stalattite in mezzo alla neve, si tenne abbracciato come aveva fatto con la gamba di Svezia, e sollevò gli occhi fino alla cima, tirando il collo all’indietro. Gli occhi si colmarono di gola, dai canini sporgenti gocciolarono due sottili righe di saliva che gli inumidirono le labbra. “Ghiacciooolo.”  

Svezia fece un titubante passo all’indietro e lo lasciò in piedi da solo. Hanatamago andò a corrergli attorno, ma gli occhi di Moldavia erano rivolti solo alla stalattite. Moldavia si leccò le labbra, avvicinò la bocca aguzza al ghiaccio e lo assaggiò dando una strisciata con la punta della lingua. Gli occhi splendettero come neve al sole. “Che buono!”

Hanatamago si accucciò vicino a lui, gli strinse fra i dentini l’orlo del cappotto e lo tirò all’indietro. “Bau!” Mollò la presa, si sedette, e continuò a scodinzolare.

Moldavia abbracciò la stalattite al petto, vi schiacciò la guancia sopra, e guardò Hanatamago scuotendo la testolina. “No, Hanatamago, i cagnolini non possono mangiare i ghiaccioli.”  

Hanatamago emise un piccolo guaito di delusione.

Moldavia tornò alla sua stalattite. Spalancò la bocca esibendo i canini e tutta l’arcata dentale, e avvicinò le labbra nel punto che aveva leccato. “Aaah.” Addentò il ghiaccio e le punte dei canini stridettero come unghie sulla lavagna, scavarono due sottili scie bianche nel ghiaccio trasparente.

Moldavia fece forza con le piccole braccia, tirò le spalle all’indietro, e sradicò la stalattite dal terreno poggiandosela sul petto. La bocca ancora incollata e i dentini di fuori piantati nel ghiaccio. Mosse il primo passetto in avanti e la gamba sprofondò fino al ginocchio. Non demorse. Sollevò l’altro piedino e allungò un secondo passo, riprese la sguazzata nel mare di soffice neve appena caduta. Hanatamago gli saltellò vicino, standogli affianco, e Svezia si tenne dietro di lui. Camminò a spalle flesse in avanti, un braccio teso verso Moldavia per acchiapparlo al volo nel caso fosse caduto.

Moldavia passò affianco alle gambe di Lettonia – lui si era tenuto in disparte – e fece una piccola giravolta per tenersi in equilibrio, abbracciato al peso dalla stalattite. La base di ghiaccio, seghettata come una corona di denti aguzzi, sfiorò il fianco di Lettonia. Lettonia saltò di una falcata all’indietro e si riparò con le braccia. “Wha!” Atterrò vicino a Svezia, sollevò gli occhi, si scambiarono uno sguardo, e Lettonia zampettò ancora più indietro, intimidito come un pulcino fra le zampe di toro.

Estonia vide la scena sfilare davanti ai suoi occhi e si portò la mano davanti alle labbra. Gli occhi spalancati in un’espressione di stupore e ammirazione. “Però...” Scostò un ramo di abete per passarci sotto e fece un piccolo passo in avanti facendo scricchiolare la neve sotto la suola. “E io che pensavo che uscire tutti insieme per badare a Moldavia sarebbe stato disastroso.” Tenne il braccio sollevato sotto il ramo, con gli aghi che gli solleticavano i capelli e gli occhi fissi su Svezia mentre seguiva Moldavia come un’ombra, attento che non finisse schiacciato dalla stalattite. Estonia emise un piccolo sospiro che gli curvò un sorriso di stupore sulle labbra. “Invece Svezia ci sa proprio fare.”

Finlandia lo aiutò a sorreggere il ramo e vi passò sotto anche lui. Ricambiò il sorriso di Estonia, sdrammatizzando. “Sei tu che la fai sempre troppo tragica.” Uscì da sotto il ramo di abete e lo lasciò andare, scrollandosi via dal cappotto la neve e gli aghi che gli erano piovuti addosso. Finlandia si portò vicino a Estonia, guardò anche lui la scena e si posò una mano sulla guancia, arrossendo per la tenerezza. “Moldavia è davvero un bambino adorabile.” Strinse le braccia dietro la schiena e proseguì la passeggiata, andandogli dietro. Sorrise. “Occuparsi di lui non è una fatica, è divertente.”

Estonia fece roteare gli occhi al cielo. “Sì, se ti armi di un esercito intero per corrergli dietro.” Si spolverò anche lui della neve dalla spalla.

Finlandia si coprì la bocca e ridacchiò senza farsi sentire.

Moldavia camminò in uno spazio di neve più morbida. Il terreno cedette e lo fece cadere in avanti tirato dal peso della stalattite. Svezia gli agguantò il cappuccio della giacca con sole due dita flesse a uncino e lo tenne in piedi prima che sbattesse il naso a terra. Moldavia osservò con occhi annacquati di tristezza il suo ghiacciolo che finì sepolto per sempre nel mare di neve.

Finlandia annuì orgoglioso. “Sve è bravo con i bambini.”

Svezia aggiustò il cappottino di Moldavia e gli diede una leggerissima spintarella sulla schiena, facendolo tornare a correre in mezzo alla neve, le braccia alte al cielo, le maniche sventolanti, e i codini che ondeggiavano come le orecchie di Hanatamago. Sfrecciarono tutti e due vicino a Lettonia e lui si scansò, finendo di nuovo alle spalle di Svezia.

Finlandia si strinse nelle spalle, si avvicinò a Estonia arrossendo sulle guance. “Sai, so che da fuori potrebbe sembrare così, uhm,” rivolse gli occhi al cielo ed emise una risata soffusa, “così intimidatorio...” Si portò una mano sul petto e il viso si addolcì, il tono affettuoso. “Ma, una volta che impari a conoscerlo, scopri che è davvero la persona più paziente, dolce e sensibile del mondo.”

Estonia si nascose metà del viso con un palmo, stropicciò un’espressione divertita e girò il capo per soffocare una risata contro la spalla. “Parli davvero come sua moglie.”

Finlandia girò la guancia per tenere coperto il rossore e il risolino infossato nelle guance e gli diede una soffice gomitata sulla spalla. “Oh, smettila.” Ridacchiò anche lui.

Moldavia tornò a quattro zampe, inseguì Hanatamago dietro le gambe di Lettonia – lui rimase irrigidito come un palo, gli occhi nel panico –, ci girarono entrambi attorno e corsero tutti e due di nuovo verso Svezia. Moldavia si rintanò in mezzo ai suoi piedi, sotto l’orlo del cappotto, e Hanatamago gli balzò sul petto, leccandogli la punta del nasino mentre lui trillava una risata acuta e gioiosa.

Estonia si rimboccò la giacca attorno al collo, sollevò la stoffa fino alle labbra, e soffiò un soffice alito di condensa che finì assorbito dalla stoffa. Il suo sguardo tornò serio, gli occhi affascinati. “Però è ammirevole.”

Finlandia sollevò il viso, gli inviò un’occhiata interrogativa.

Estonia si strinse nelle spalle e si strofinò la nuca, la testa bassa. “Voglio dire, nonostante lui rimanga un territorio così inflessibile alla sua neutralità,” fece un piccolo sospiro che si condensò di bianco, “decide comunque di starti affianco.”

Finlandia annuì, riacquistò il sorriso. “Be’, lui non corre i grossi pericoli che sto correndo io.” Si abbassò per passare sotto a un altro ramo e lo tenne in disparte per far spazio anche a Estonia. Gli aghi scossi e flessi dalla sua mano sbriciolarono una pioggerella di neve. “Il suo territorio è importante per le materie prime, quindi nessuno rischierebbe di distruggerlo o di inimicarselo. Sarebbe controproducente.”

Estonia passò sotto e tirò su la testa, rimettendosi dritto. Si spolverò le spalle, i capelli, e spinse due dita contro la montatura degli occhiali per nascondere l’espressione scettica che gli stropicciava le sopracciglia.

O forse nessuno osa sfidarlo per il semplice fatto che in battaglia è terrificante quasi quanto Russia.

Guardò Finlandia, le sue guance imporporate, i suoi occhi assorti e luccicanti sotto il riflesso della neve, fermi sugli altri tre che giocavano in mezzo alla foresta. Lettonia nascosto dietro a Svezia, Moldavia e Hanatamago che si rotolavano e che correvano scavando cerchi in mezzo agli alberi. Moldavia si buttò nella neve a pancia all’aria, agitò braccia e gambette disegnando un’impronta a forma di angelo, Hanatamago gli rimbalzò sul petto e gli leccò tutta la faccia, facendolo ridere come un topolino.

Estonia storse un sopracciglio. Forse è meglio che non glielo dica.

“Poi, sai,” disse Finlandia, “io credo che Sve abbia deciso di rimanermi accanto più in veste di persona che di nazione.” Strinse le mani sul grembo, intrecciando le dita, e rivolse lo sguardo in basso, celando un’ombra di colpevolezza. “Sono solo io il prigioniero, lui infatti può tornare a casa quando ci sono delle questioni importanti di cui deve occuparsi.”

Estonia sbatté le palpebre, confuso. “Come persona, dici?”

Finlandia annuì. “Sì.”

Gli scricchiolii dei loro passi sulla neve divennero più rumorosi, i rami d’abete tappavano il boschetto come un tetto bianco e verde, ne isolavano i suoni, e il manto bianco scintillava sotto i pallidi raggi di luce grigia che filtrava dalle nubi.

Estonia sollevò gli occhi al cielo, incontro all’intreccio di rami che scaglionava il cielo come un mosaico. “Sai, è strano, ma io...” Sollevò un braccio, rigirò la mano fasciata dal guanto, prima sul palmo e poi sul dorso. Aprì e chiuse le dita, dando una strizzata all’aria. Un moto di tristezza gli incurvò la voce. “Io non so se sono in grado di distinguere i due lati di me.” Gli occhi sbavarono nell’insicurezza, le palpebre socchiuse.

Finlandia guardò in disparte, si posò una nocca inguantata fra le labbra e sollevò un sopracciglio, lo sguardo assorto di chi sta meditando in cerca di una risposta.

“Scavo la tana!”

Il gridolino di Moldavia fece girare tutti e due.

Moldavia immerse le braccia nel terreno con la facilità di chi le tuffa in un laghetto tutto bianco, e gettò all’indietro una prima manciata di neve che si aprì come un’onda.

“La tana, la tana, la tana dell’orso delle nevi!”

“Bau!” Hanatamago gli si mise di fianco e scavò assieme a lui.

Lettonia zampettò alle sue spalle, si chinò con le braccia tese e gli occhi preoccupati. “Moldavia, attento a non sporca – argh!” Gli arrivò uno schizzo di neve in faccia, entrò negli occhi e in mezzo alle labbra.

Estonia dovette coprirsi la bocca per non ridere.

Finlandia gli strinse con due dita la manica della giacca e la tirò verso di sé. “Ti va di sederti?” gli chiese, e gli indicò un tronco d’albero adagiato in mezzo agli altri fusti, come una piccola panchina.

Estonia seguì la traiettoria del suo indice e annuì. “Uh, certo.”

Corsero fino al fusto d’albero capovolto, le loro impronte sulla neve si mescolarono a quelle più grandi di Svezia, a quelle piccole di Lettonia, a quelle ancora più piccole di Moldavia, e a quelle microscopiche delle zampette di Hanatamago. Finlandia diede una spolverata con il fianco della mano su tutto il tronco, scrostò i cristalli di neve dalle venature della corteccia, spazzò via gli aghi morti e ingialliti, e si sedette raccogliendo le ginocchia alla pancia, i piedi premuti contro il fusto. Estonia si mise accanto a lui, aprì le mani dietro la schiena, a reggere le spalle leggermente inclinate all’indietro, e sollevò la punta del naso al cielo. Diede un’annusata all’aria. Gli spicchi di nubi che si scorgevano in mezzo ai rami si stavano addensando e ingrigendo.

Forse nevicherà ancora.

Finlandia prese un piccolo respiro. “Sai, è buffo, ma...” Flesse il capo di lato, rivolse un sorriso intenerito a Moldavia che scavava in mezzo ai bianchi schizzi di neve e a Svezia che gli ripuliva il cappottino ogni volta che si sporcava. “Sono i momenti come questi che mi fanno dimenticare di essere qui come territorio conquistato. Infatti, credo che sia proprio per questo che Sve abbia deciso di rimanermi accanto: proprio per farmi sentire un po’ meno solo senza farmi soffrire la nostalgia di casa.” Si strinse di più le gambe al petto, poggiò il mento in mezzo alle ginocchia e abbassò le palpebre. Una malinconica aria sconfortata lo fece sospirare, gli ingrigì lo sguardo. “Tutti e due sappiamo che lui non potrà esserci sempre per proteggermi.”

“Già.” Estonia annuì, parlò senza nemmeno pensare. “Come ha detto il signor Russia.”

Finlandia sbarrò le palpebre. “Uh.” Tirò su il mento dalle ginocchia, gli lanciò un’occhiata sorpresa ma non arrabbiata. “Come fai a saperlo?”

Estonia sobbalzò sul tronco, si chiuse nelle spalle e cacciò un piccolo gemito. Il cuore in gola. “Oh, io,” si morse il labbro, divenne viola in viso, gli occhi volarono da un punto all’altro del suolo, le mani strinsero contro il fusto d’albero capovolto, “ve-veramente, sai, non è che...”

Finlandia piegò il capo di lato e sbatacchiò le palpebre, lo sguardo assunse una vena di preoccupazione. Estonia bloccò il movimento degli occhi, irrigidì la fronte, pietrificò la tensione delle spalle. Il labbro addentato dagli incisivi smise di vibrare, le dita aggrappate al tronco si rilassarono, e il battito del cuore tornò lento in fondo al petto.

Inutile nasconderlo.

“S-scusami.” Rilasciò un sospiro. Il fiato così bianco e denso da sembrare una delle nuvole che tappezzavano il cielo. Estonia girò il capo lontano da Finlandia e si grattò la nuca con gesti nervosi. “Quella mattina, quando...” Tornò a farsi piccolo nelle spalle, lo stomaco formicolò ripensando all’agitazione e alla paura di quel giorno che gli avevano annodato la pancia. “Quando tu e il signor Russia vi siete parlati, noi abbiamo, ecco...”

Le spalle appiccicate al muro e schiacciate fra loro, i respiri trattenuti nel petto, le braccia avvolte al giornale stretto al busto, l’odore di inchiostro fresco appena stampato, e gli sguardi impauriti e tesi verso la cameretta buia.

Estonia ruotò gli occhi da sopra la spalla, li incrociò con Finlandia. “Vi abbiamo sentiti anche noi tre,” mormorò.

Finlandia slargò le palpebre, e un pizzico di paura gli fece traballare la luce negli occhi, lo rese più pallido sulle guance che prima erano arrossite. Guardò in basso, in mezzo alla neve, e soffiò un respiro fra le labbra sbiancate. “Oh.” Si posò una mano davanti alla bocca.

Estonia gli mostrò entrambi i palmi e sventolò le mani, il viso più impaurito del suo. “Non volevamo origliare, te lo giuro, ma,” scostò lo sguardo, “ma ci siamo fermati fuori dalla porta per aspettare che il signor Russia uscisse, e non abbiamo potuto fare a meno di ascoltare quello...”

La mano di Russia stretta attorno alla testolina bionda, la pressione che faceva flettere il collo di lato, le sue labbra vicine all’orecchio di Finlandia che si incurvavano in un sorriso. “Non ci sarà sempre Svezia a proteggerti.” E il viso di Finlandia che impallidiva, affogando nella paura.

Estonia deglutì ricacciando un conato di terrore in fondo alla pancia. Il viso abbattuto, le spalle strette. “Quello che vi siete detti.”

Finlandia annuì. Lo sguardo smarrito in mezzo alla neve. “Ca... capisco.” Gli occhi vibrarono dello stesso riflesso che li aveva attraversati quando si era trovato con la mano di Russia schiacciata attorno alle sue tempie.

Estonia raccolse un briciolo di coraggio e girò lo sguardo verso di lui, incrociò i piedi in mezzo alla neve. “Non ti arrabbiare, ti prego.”

“Oh, no!” Finlandia fece un piccolo saltello sul posto e mostrò i palmi a sua volta. Gli sorrise, nonostante l’alone di paura a scuotergli lo sguardo e la parlantina accelerata. “Cioè, no, come potrei farlo, voi non avete fatto niente di male, davvero, solo...” Scostò gli occhi, il sorrisetto di giustificazione divenne un sorriso di imbarazzo che gli tornò a imporporare le guance. Finlandia si premette una mano sul viso e si nascose piegando le spalle contro le ginocchia. “Aah, che figuraccia che ho fatto.” Rise piano.

Estonia inarcò un sopracciglio, non capì.

Finlandia fece correre la mano sulla fronte, in mezzo ai capelli, e si strofinò dietro l’orecchio. “Ripensandoci, devo esservi sembrato proprio un pazzo sconsiderato. Mettermi così in pericolo davanti a Russia e...” Le gambe scivolarono giù dal petto, i piedi si posarono in mezzo alla neve. Una punta di amarezza toccò il sorriso di Finlandia, gli diede un’aria pentita. “E dirgli quelle cose non ha di certo aiutato la mia situazione.”

Estonia guardò in basso, strinse i pugni sulle cosce, raccogliendo la stoffa del cappotto, e le labbra si mossero piano contro il bavero tirato fino alla gola. La voce triste ma sincera. “Sei stato molto coraggioso.” Tirò su solo una gamba, piegando il ginocchio al petto, e vi poggiò il mento sopra. Annuì. “Dico davvero, io sono anni e anni che vivo con lui e non riuscirei mai a guardarlo in faccia come hai fatto tu.” Sospirò, si strinse nelle spalle e avvolse le braccia attorno alla gamba piegata. “Credo che la paura nei suoi confronti non passerà mai.”

“Ma dai.” Finlandia sorrise e gli diede un soffice e affettuoso colpetto alla spalla. “Invece sono sicuro che anche tu riusciresti a essere coraggioso davanti a lui, anche più di me.”

Estonia ruotò la coda dell’occhio. “D-dici?”

Finlandia annuì deciso. “Assolutamente! Secondo me ti serve solo, uhm...” Si posò l’indice sul labbro, batté due volte il polpastrello e gli occhi si illuminarono di realizzazione. Batté le mani. “Un ottimo motivo per dimostrarglielo.”

Estonia sollevò le sopracciglia, lo sguardo si fece più chiaro e luminoso. “Un ottimo motivo?”

“Lettonia, guarda la palla di neve!”

Sia Estonia che Finlandia sollevarono gli sguardi, gli occhi puntarono le braccia di Moldavia tese verso il cielo. Il piccolo reggeva sopra la testa una palla di neve grande quanto il suo corpicino.

Moldavia zampettò verso Lettonia facendo traballare la palla sopra di sé. “Me l’ha fatta il signor Svezia!” Il sorrisetto da vampiro luccicava come le stalattiti di ghiaccio incollate ai rami.

Lettonia gli corse incontro, le spalle chine e le braccia tese verso il piccoletto. “Moldavia, stai attento, rischi di farti mal – urgh!” La palla di neve perse l’equilibrio e rotolò dalle manine di Moldavia contro la sua testa, spiaccicandolo a terra. Moldavia si coprì la bocca. “Ops!” Hanatamago scavò attorno alla testa di Lettonia, sommersa dal cumulo di neve. Il corpo schiantato a terra già tremava per il freddo e per i singhiozzi di pianto soffocati al suolo.

Estonia abbassò lo sguardo. Il mio motivo per dimostrargli di essere forte? Pensò a lui e a Lettonia nascosti dietro le spalle di Lituania, le mani aggrappate alle sue braccia, la paura che divorava il cuore soffocando il respiro in gola, le ginocchia che tremavano, il sangue gelato, e la voglia di scomparire inghiottito dal pavimento.

“E...” Tornò ad appoggiarsi con le mani al tronco d’albero e si rivolse a Finlandia. “E il tuo qual è?” gli domandò. “Cos’è che ti ha spinto a...” Gli occhi sereni ma forti, fermi contro quelli di Russia. L’espressione coraggiosa e senza paura, i pugni stretti sulle cosce, le spalle dritte, la voce decisa. “A rimanere così forte davanti a lui?”

Finlandia guardò in alto, reclinando le spalle all’indietro, e fece dondolare le gambe. Si posò l’indice sul labbro, aria pensosa. “Mhm, vediamo.” Sollevò un sopracciglio, poi stese un sorriso caldo e sereno. Unì entrambe le mani sul petto, incrociandole, e chiuse gli occhi. “La mia libertà, il mio popolo, la mia famiglia, la mia terra. E anche me stesso, credo.” Abbassò le mani dal petto, si appoggiò anche lui con le braccia al tronco e annuì seguendo le sue gambe che dondolavano. “Per darmi una prova.”

“Una prova di cosa?”

Finlandia rinnovò il sorriso. “Che so davvero essere forte da solo, anche senza l’aiuto di Sve a sostenermi.”

Estonia socchiuse le labbra, gli occhi sbarrati di ammirazione, ma non uscì fiato bianco dalla bocca. Non riuscì a dire niente.

Gli occhi di Finlandia assunsero una sfumatura grigia come il cielo che riflettevano. Lui sbatté le ciglia, tornò a posare lo sguardo su Svezia, Lettonia e Moldavia. “Ogni tanto me lo chiedo, e continuo a farlo anche adesso che noi cinque siamo stati separati.” Lettonia era riemerso dalla neve, e si era rannicchiato a terra. Gli occhi lacrimanti, le guance rosse di freddo, Moldavia che gli spazzolava il cappotto e i capelli, e Svezia che lo aiutò a sollevarsi reggendolo per un braccio. Finlandia sospirò. “A volte viene da chiedermi se sono forte perché lo sono e basta, o se lo sono perché ho affianco a me delle nazioni valorose e coraggiose come Sve e gli altri a sostenermi in ogni mia lotta.”

“Be’, ma anche...” Estonia strinse le spalle e sollevò i palmi al cielo. “Anche se fosse così, non ci sarebbe niente di male. A volte la forza di una nazione deriva proprio dal suo legame con le altre, e non credo ci sia niente di scorretto in questo.” Gli occhi caddero inconsciamente su Lettonia ancora aggrappato al braccio di Svezia. Si stava strofinando un occhio umido di pianto, tirò su col naso, e si sfregò via la neve dalle guance rosse. A Estonia scappò un piccolo sorriso di autocommiserazione. “Guarda noi.” Si indicò il petto, tornando a rivolgersi a Finlandia. “Sempre a nasconderci uno dietro le spalle dell’altro e poi a rifugiarci dietro Russia. Poi, credo che anche Russia la pensi così, ed è proprio per questo che si circonda di tante nazioni come noi, senza più lasciarci andare.”  Si rimise a spalle ingobbite, riappoggiando il mento sulla gamba ancora premuta al petto. Flesse il capo, spremette la guancia sul ginocchio. “Lui è il primo a credere nella potenza dei legami fra nazione e nazione.”

Finlandia allargò di più le palpebre. I capelli sventolarono sotto un sottilissimo soffio di vento che brillò trascinando una spolverata di fiocchi di neve. “Legami.” Finlandia assaporò quella parola, il sapore dolce che toccava le labbra mentre la pronunciava, la sensazione piacevole che rimase a scaldargli il petto e le guance. Il vuoto lasciato nel cuore tornò a riempirgli la bocca di amaro. “Immagino sia proprio per questo che ci hanno divisi.” Aprì una mano davanti a sé, le cinque dita aperte. Guardò la stoffa del guanto, chiuse le dita, e intristì il tono. “Proprio per renderci più deboli e farci sentire ancora più soli.”

Estonia sentì una stretta al petto, di nuovo la lama di colpevolezza a trafiggerlo. Gettò gli occhi a terra, li nascose sotto l’ombra della frangia, e parlò contro il ginocchio. “Ti mancano molto, vero?”

Finlandia annuì. “Sì.” Strinse i pugni sulle cosce, chinò il capo in mezzo alle spalle, emise un sospiro triste e abbattuto, le sopracciglia inarcate in un’espressione di dolore e nostalgia. “Mi mancano tantissimo.” Il soffio di vento si portò via le sue parole condensate in una nuvoletta bianca.

Estonia sbirciò da dietro le lenti degli occhiali leggermente appannate del fiato caldo che risaliva dal suo viso. Strinse le braccia attorno alla gamba piegata, si tenne protetto dove faceva male. Finlandia è troppo buono quando si tratta di queste cose, rimuginò. Continua comunque a parlare con me e a essermi amico, nonostante io stesso abbia contribuito alla sua sconfitta e alla sua separazione dagli altri.

Voltò il viso, premette l’altra guancia sul ginocchio, guardò in mezzo alla neve con occhi più sconfortati di quelli di Finlandia.

Se io fossi stato più forte e coraggioso...

Sollevò anche lui la mano protetta dal guanto. Dischiuse le dita che rimasero leggermente flesse verso il palmo. Estonia socchiuse le palpebre, trattenne fra le ciglia il luccichio degli occhi.

Chissà quante cose sarebbero diverse da ora.

Finlandia voltò lo sguardo, si accorse dell’alone di tristezza che aveva circondato Estonia come una nebbiolina grigia e fredda, del suo abbraccio sempre più stretto attorno alla gamba piegata al petto, e si avvicinò di più a lui, gli mostrò un sorriso rassicurante. “Voi tre siete davvero fortunati a essere così vicini e uniti in ogni situazione,” gli disse. “Poi Russia non permetterebbe mai a nessuno di dividervi, tantomeno di farvi del male.”

Estonia ruotò gli occhi all’indietro, lo sguardo poco convinto, un sopracciglio storto.

Finlandia gli diede una piccola pacca sulla spalla. “Dovreste esserne felici.”

“I... in realtà,” Estonia tornò a voltarsi, un’ombra gli scurì il viso, “il nostro legame non è così felice come può sembrare.”

Finlandia sbatté le palpebre, stupito.

Estonia prese un respiro profondo e sollevò il viso dal ginocchio. “Noi non ci siamo scelti da soli, siamo stati obbligati a vivere uno accanto all’altro. Forse in altre occasioni avremmo anche potuto imparare a volerci bene e a essere buoni amici, ma sentendoci forzati a vivere assieme e a condividere la pressione che Russia genera su di noi rende tutto più complicato.” Socchiuse le palpebre, il dolore che gravava sul petto si riflesse nei suoi occhi avviliti. “Per quanto ci sforziamo, non riusciamo proprio ad andare d’accordo come dovremmo.”

Finlandia abbassò il capo, fece scivolare giù la mano dalla sua spalla. “Mi dispiace.” Dondolò di nuovo le gambe e diede una strisciata nella neve con la punta dello stivale. Tornò a parlargli con tono rassicurante, la voce dolce e comprensiva. “Ma sai, certe cose richiedono tempo. Sono certo che imparerete anche voi.” Si posò la mano sul petto. “Anche fra noi cinque le cose non sono sempre andate come adesso, soprattutto in passato.”

Estonia soffiò una breve e rauca risata, si grattò dietro l’orecchio e piegò un sorriso sbilenco. “La volta che impareremo sarà proprio quando troveremo tutti e tre il coraggio di andarcene da qui, temo.” Scosse le spalle, le dita scivolarono dai capelli. “E allora sarà stato tutto inutile.”

“A proposito...” Finlandia sporse le spalle in avanti, tese lo sguardo in mezzo agli alberi, verso la stradina di ritorno che si tuffava nel buio della foresta. “Come mai Lituania non è venuto con noi?” Rivolse a Estonia uno sguardo dispiaciuto. “È un peccato, sarebbe stato bello passeggiare tutti assieme.”

“Oh,” Estonia indicò oltre il boschetto, “è rimasto in casa a lavorare assieme al signor Russia.”

“Sul serio?” Finlandia si portò una mano davanti alla bocca, preoccupato. “Ma non è stanco? Non fa mai una pausa.”

Estonia scosse le spalle e sorrise. “È fatto così.” Scollò il ginocchio dal petto, stese la gamba giù dal tronco dell’albero, flesse il capo all’indietro, guardando il cielo. “Ogni tanto usa il lavoro per distrarsi e si affatica senza accorgersene.” Il suo fiato condensato risalì le labbra, aleggiò sopra la sua testa somigliando a una nuvola, e si squagliò.

“Distrarsi da cosa?” domandò Finlandia.

Estonia strinse i pugni contro il tronco d’albero, il legno grattò i guanti, le ossa scricchiolarono e irrigidirono come ramoscelli. “Oh, be’...”

Da noi.

Un brivido lo morse dietro il collo, Estonia si pizzicò l’interno del labbro e si affrettò a nascondere lo sguardo lontano da Finlandia, voltando la testa.

“N-niente.”

Finlandia si sporse con le spalle, lo guardò apprensivo. “È forse successo qualcosa?”

“N-no.” Estonia sciolse i pugni e raccolse le mani sul grembo, si stropicciò un orlo della giacca, i piedi incrociati risalirono il fusto, le ginocchia si accostarono al petto. “Cioè, niente di grave, ma...”

“Tu sei il primo a non volerti fidare di noi.”

“Siete voi che non avete abbastanza coraggio da riporre fiducia in me. Continuate a lamentarvi della nostra situazione ma non fate niente per cambiare le cose.”

Estonia socchiuse le labbra ma riuscì solo a sibilare. “Noi, ecco...” La bocca secca e la voce arrochita, gli occhi che guardavano indietro, e il cuore che batteva di paura come quel giorno.

“Estonia, io confido ancora nel fatto che un giorno noi tre potremo davvero andarcene di qui per sempre.”

“Come speri di andartene, Lituania? Aspettando per sempre Polonia? Sperando che un giorno possa emergere dalle sue stesse ceneri per venire a portarti via?”

Il dolore e il pentimento gli scavarono nel petto come l’affondo di una spada.

Finlandia si accorse del suo sguardo smarrito, le guance sbiancate, le labbra tremule, e gli si avvicinò ancora, fino a toccargli la spalla con la sua.

Estonia sospirò ma non lo guardò in viso. Piegò il capo in avanti, le labbra contro le ginocchia, e parlò alla neve, i capelli davanti agli occhi. “Vedi, è che,” si strofinò una spalla, “quella volta, quando ti abbiamo sentito discutere con il signor Russia,” si morsicò il labbro, la voce ebbe un cedimento, “poi io e Lituania abbiamo avuto una brutta litigata.”

Finlandia sollevò le sopracciglia. Lo sguardo apprensivo si fece più attento, il respiro fermo e silenzioso, come per non disturbarlo.

Estonia si passò una mano fra i capelli, si strofinò la testa. “Gli ho detto delle cose cattive e di cui non vado fiero.” Quando sollevò lo sguardo, riuscì a forzare un piccolo sorriso di amarezza e compassione. “Siamo proprio degli stupidi,” disse, accompagnato da una ridacchiata nervosa. Scosse il capo, abbassò la voce. “Continuiamo a farci del male a vicenda, come se non bastasse già quello che ci fa Russia.”

Un velo di compassione si depositò anche sul viso di Finlandia, gli rese gli occhi più lucidi e grigi, lo sguardo più spento.

Finlandia si passò il fianco di una mano contro un occhio, la strofinò sulla guancia, e la posò sulla spalla di Estonia. “Si sistemerà tutto.” Flesse il capo, sorrise. “Vedrai.” Gli batté due volte la mano sulla scapola, un gesto caldo e agguerrito. “Sono certo che anche voi tre riuscirete a dimostrare a tutti quanto siete uniti, forti e coraggiosi, ancora più di Russia.”

Il sorriso amaro di Estonia si torse in una smorfia sbilenca, metà verso l’alto e metà verso il basso. “Aah, credimi,” scosse di nuovo il capo, tenendosi fermi gli occhiali, “io non riuscirei mai a trovare il coraggio di dimostrarlo.”

“Non pensarla così.” Finlandia gli fece scendere la mano dalla spalla e le strinse entrambe sulle ginocchia, raddrizzò le spalle tenendosi a mento alto. “Sai, io quella volta potrei esserti sembrato anche coraggioso, ma non ho fatto niente di che. Tu...” Guardò in alto, il sorriso divenne vivace e divertito come quello di un bambino, e Finlandia scosse Estonia con una soffice spallata. “Chi lo sa, potresti anche riuscire a puntargli una pistola addosso,” rise.

La risata di Estonia tremò come la sua schiena aggredita dai brividi. “Fidati,” tagliò l’aria con la mano, gettò via l’idea, “non ho il coraggio nemmeno di pensare a una simile ipotesi.”  

Finlandia rise un’altra volta, e le sue risate si unirono a quelle di Moldavia che stava correndo verso di loro.

 

.

 

Moldavia si rimise gattoni in mezzo alla neve, corse a quattro zampe infilandosi sotto il cappotto di Svezia, gli passò in mezzo alle gambe, e tornò a balzare in piedi uscendo da sotto il lembo di stoffa. Hanatamago lo seguì scodinzolando e zampettando in mezzo ai cumuli di neve che si confondevano con la sua pelliccia. Moldavia si voltò correndo all’indietro, spalancò le braccia al cielo, fece sventolare le maniche come ali di pelo, e saltellò facendo rimbalzare i codini sulla testolina, sopra le orecchie.

“Correte!”

Il fiato bianco lo seguiva in una costante nuvoletta condensata attorno al suo visetto rosso per tutti i salti e le corse che aveva fatto.

Finlandia accelerò la camminata, lui ed Estonia si portarono di fianco a Svezia, Lettonia appeso al cappotto di Estonia. Finlandia sollevò la mano e la sventolò, sorridendo. “Arriviamo, Moldavia.”

Moldavia si fermò, fece un salto più grande e batté le manine. Le maniche emisero un tonfo sordo. “Oh, facciamo una gara?” Gli occhi luccicarono di desiderio, i dentini brillanti fra le labbra. Il piccolo corse verso Finlandia, manine all’aria, e gli si appese a una gamba, avvolgendogli il ginocchio. “Signor Finlandia, signor Finlandia, facciamo una gara, eh? Possiamo, possiamo?” Continuò a rimbalzare come una molla.

Finlandia si chinò e si lasciò stringere le mani, aiutandolo a saltellare. “Non so se sono abbastanza bravo, Moldavia,” gli disse sorridendo. Voltò il capo sollevando lo sguardo verso Svezia e strizzò un occhiolino. “Chiedi al signor Svezia.”

Svezia irrigidì in mezzo alla neve come un blocco di ghiaccio, le labbra strette ingoiarono un mugugno, gli occhi si nascosero dietro le lenti appannate, le guance si spolverarono di un soffice rosa pallido.

Moldavia sfilò le manine da quelle di Finlandia, gli occhi luccicarono come stelle, e corse da Svezia a braccia spalancate. “Signor Sveeeziaaa!” Si aggrappò al suo cappotto, gli saltellò sul piede. “Facciamo una gara, signor Svezia, facciamo una gara?”

Svezia tenne viso di pietra, le labbra piatte, e sollevò un braccio puntando la sua destra. Stese l’indice verso il corpicino nascosto dietro Estonia. “C’n Lett’nia.”

Lettonia saltò sul posto, sbiancando. “Gha!” Si aggrappò a Estonia, cingendogli i fianchi, e rivolse un’acquosa occhiata tremolante a Svezia, la voce lamentosa. “Pe-perché io?” Trasmise anche a Estonia i suoi brividi di timore.

Finlandia ed Estonia si nascosero la bocca per non far notare che stavano ridacchiando. Finlandia gli diede una soffice gomitata per farlo smettere ma lui rise ancora di più.

Moldavia si staccò da Svezia, corse incontro a Lettonia. “Lettonia, Lettonia, facciamo una gara?” La vocina tutta contenta ed eccitata.

Lettonia fece un passo indietro, tirò con sé il cappotto di Estonia e si coprì abbassando le spalle. “Io, veramente...” Gli occhi lucidi e impauriti riflessero le punte acuminate dei canini che sbordavano dalla bocca.

Moldavia impennò un braccio al cielo. “Parto prima io! Uno, due, via!” Scattò come un leprotto, schizzò un mucchio di neve dietro di sé, e tornò a quattro zampe.

Lettonia sgusciò fuori dal suo riparo, tese una mano tremante. “Aspetta!”

Ma Moldavia non aspettò. Hanatamago lo rincorse, ma lui era diventato un puntino nero nell’orizzonte della distesa bianca sovrastata dal grigiore del cielo frastagliato dai rami d’abete.

Lettonia corse saltellando, si portò entrambe le mani attorno alla bocca, indirizzò la voce lontano e il fiato condensato dalla fatica fuoriuscì come fumo dal camino. “Moldavia, non correre troppo!” Il suo gridolino si disperse in mezzo al boschetto.

Moldavia uscì dalle ombre della foresta, sollevò la punta del nasino verso uno dei raggi di sole lattei che bucavano le nubi. Ne scosse la punta, come un animaletto che tasta l’aria, e sentì il forte odore di neve, di aghi d’abete e di corteccia su cui lacrimavano fiotti di resina ghiacciata. Abbassò gli occhietti dal cielo. Continuò a correre a quattro zampe aprendo due ali di neve sotto il suo passaggio.

All’orizzonte si allargò la sagoma del palazzo. La luce del giorno e i riflessi azzurrini della neve si specchiavano sulle pareti e sulle colonne di marmo, contro i vetri nascosti dall’ombra dei portici, e sulle cornici d’oro che rifinivano le facciate. Una sagoma scura camminava sotto il tetto dei portici, la luce del sole non riusciva a raggiungerla in mezzo alle colonne.

I codini di Moldavia guizzarono in aria, gli occhietti si spalancarono e la bocca cadde aperta in un sorriso di stupore. “Oh!” Moldavia accelerò la corsa, si spinse con le manine e balzò in piedi, mettendosi a correre solo sulle sue gambe. Le braccia alte e le maniche all’aria sventolarono ampi gesti di saluto. “Fratellone Russia!”

Russia si fermò di fianco a una delle colonne, girò lo sguardo lasciandosi toccare la guancia da un raggio di sole, e seguì il richiamo della voce di Moldavia. Stese un sorriso morbido a sfioro della sciarpa, abbassò le palpebre mostrando un’espressione dolce e affettuosa. Lo salutò con la mano. “Bentornati.” Uscì da sotto i portici, mise i piedi nello strato bianco che avvolgeva il prato, fece scricchiolare la neve, e un filo di vento gli fischiò addosso, agitò la sciarpa e i lembi della giacca contro le guance e le ginocchia.

Moldavia sventolò le braccia, gli corse incontro. “Fratellone, fratellone, hai visto la gara? Lo sai, lo sai che ho vinto la gara?”

Russia stese il sorriso che gli imporporò le guance. “Che bravo, Moldavia.” Chinò le spalle e tese le braccia, Moldavia gli si tuffò al petto allacciandosi al suo collo, le piccole gambe raccolte nell’incavo dei gomiti. Russia raddrizzò la schiena e sfilò una mano dall’abbraccio, gli spazzolò la frangia dai fiocchi di neve e gli pettinò un codino umido di ghiaccio sciolto. “Ma sei tutto sporco di neve come un coniglietto.” Diede una pulita anche al cappottino, tutto macchiato di cristalli bianchi che si erano raccolti sulle maniche.

Moldavia sollevò la mano di Russia usando entrambi i palmi e spalancò gli occhietti. “No, fratellone,” gettò le braccia al cielo, “io sono un orso!”

Russia emise un sospiro di stupore. “Un orso?”

Moldavia annuì e spalancò le braccia gettando il petto all’infuori. “Un orso delle nevi con la bocca grande così! E... e mi sono tuuutto rotolato nella neve per costruire le tane e... e poi ho preso un ghiacciolo che era graaande così!” Buttò le spalle all’indietro mostrando le braccia ancora più larghe, le manine nascoste dal cappotto.

Russia tornò a sorridere. “Tutto da solo?” E gli tolse altri granuli di neve passando le dita in mezzo a un ciuffo di capelli.

Moldavia stese un braccio dietro di sé, la punta dell’indice sbucò da sotto la manica penzolante. “Il signor Svezia mi ha un po’ aiutato.” Le gambette dondolarono dalle braccia di Russia avvolte attorno a lui.

Russia gli posò delicatamente una mano dietro la testolina, lo tenne vicino a sé e lanciò uno sguardo oltre la sua spalla, verso le altre quattro sagome che si stavano avvicinando. Assottigliò le palpebre, gli occhi violacei assunsero la sfumatura scura del cielo annuvolato, il sorriso divenne fine e tagliente, splendente nell’ombra. “Davvero?” La sua voce uscì bassa e profonda, il petto vibrò contro il corpicino di Moldavia allacciato al suo collo.

Gli altri quattro rallentarono la corsetta, Hanatamago in cima al gruppetto, davanti ai piedi di Finlandia, Svezia alle sue spalle e Lettonia ancora aggrappato a Estonia.

Russia fece un passetto in avanti, diede una piccola spintarella a Moldavia per tenerlo stretto alla sua spalla, e piegò un cenno di ringraziamento con il capo. “Grazie per aver badato a Moldavia.” Gli fece una carezza sulla testolina. “Si è comportato bene?”

Finlandia sorrise, giunse le mani sul grembo. “Sì, benissimo, non ha dato nessun problema.” Rivolse il sorriso intenerito al visetto di Moldavia, sentì il cuore alleggerirsi. “È stato proprio un bravo bambino.”

Moldavia sfiorò la guancia di Russia con la punta del nasino e gli tirò un lembo della sciarpa. “Visto?” disse, tutto orgoglioso.

Il fine sguardo di Russia assunse una sfumatura ammaliata. Russia sollevò le sopracciglia, il sorriso rimase piegato in quella curva sottile, e gli occhi intensi e profondi si posarono sul viso sorridente di Finlandia. Lo guardò con trasporto, un brivido di desiderio formicolò in fondo al petto, gli fece stringere la presa attorno a Moldavia.

Un’occhiata di ghiaccio trafisse l’aria, sorpassò le spalle di Finlandia e incrociò lo sguardo di Russia. Il volto di Svezia divenne scuro come una maschera d’ombra, un sottile strato di condensa a celargli l’espressione, a renderla grigia e sfumata, gli occhi appuntiti come schegge di ghiaccio. Svezia strinse una manica di Finlandia e lo tirò indietro di due passetti. Il freddo sguardo di minaccia incollato a quello di Russia.   

Finlandia nascose un’espressione d’imbarazzo, la rivolse a Estonia stando stretto nelle spalle, quasi scusandosi. Lettonia ed Estonia si scambiarono uno sguardo tremulo, fecero entrambi un passo di lato ed Estonia portò un braccio attorno al fianco di Lettonia.

L’aria attorno a loro si caricò di tensione, pizzicò sulla pelle come pungenti fiocchi di neve trascinati dal vento.

Passi affrettati schioccarono contro il pavimento di marmo sotto i portici, interruppero il silenzio glaciale che aveva riempito l’atmosfera come un’afosa nebbia di fumo. Lituania comparve da dietro una colonna, il viso affaticato dalla corsa, gli occhi appesantiti di stanchezza, le braccia avvolte attorno a fascicoli di carta premuti sul petto, i capelli che ondeggiavano sopra le spalle, e il cappotto solo appoggiato che sventolava dietro la schiena.

“Signor Russia, mi servirebbe che ricontrollasse gli ultimi documenti per – oh.” Lo sguardo gli cadde sui quattro fermi in mezzo alla neve, sulla scura aura di ostilità che aleggiava attorno a Svezia, e sul visetto innocente di Finlandia che scaldava l’aria di ghiaccio. Lituania si fermò dietro Russia, mostrò un sorriso a tutti e fece un cenno col capo. “Bentornati.” Il tiepido sorriso non riusciva a tradire i segni di spossatezza che increspavano e scurivano la pelle attorno alle palpebre.

Finlandia tornò di un passo in avanti, senza sottrarsi alle dita di Svezia appese sulla sua giacca, e sventolò la mano. “Ciao, Lituania.” Sorrise cordialmente come se non fosse successo nulla, ignorando l’occhiataccia feroce di Svezia e quella ammaliata di Russia che avevano reso l’aria ancora più fredda.

Moldavia si sporse dalla spalla di Russia e agitò le manine verso Lituania. “Lituania, Lituania, sai che ho mangiato un ghiacciolo così?” Tornò a mostrarlo spalancando le braccia.

Lituania intenerì lo sguardo, e il viso disteso perse la sfumatura di stanchezza. “Tutto intero?” domandò stupito.

“Tutto intero!” esclamò Moldavia. Si girò tenendosi aggrappato a Russia con un braccio solo e sventolò la manina libera verso Svezia. “Vero, signor Svezia, vero che l’ho mangiato?”

Svezia storse un sopracciglio, incrinò la lastra di ghiaccio che aveva rivestito il suo sguardo, sciolse l’aria grigia e nebbiosa che gli aveva avvolto il viso, e sbuffò un sottile soffio di condensa che si dissolse subito.

Finlandia intervenne a salvare la situazione. “La prossima volta ci facciamo accompagnare anche da Lituania, che dici?” Sorrise, allegro. “Così vede anche lui come giochi a fare l’orsacchiotto.”

Moldavia spalancò gli occhi e la bocca, espose le punte dei canini in un sorriso grande da guancia a guancia. Batté le mani, il suono finì ovattato dalla stoffa delle maniche troppo larghe. “Sììì!” I piedini si agitarono fra le braccia di Russia.

Russia abbassò leggermente la fronte e tornò a inviare l’occhiata fine e penetrante a Finlandia, un soffio di vento gli agitò i capelli sulle guance e trasportò una scia di finissima neve che gli danzò attorno allo sguardo buio ma sorridente. Svezia sfilò le dita dalla manica di Finlandia, gli prese il polso, lo tirò accanto a sé, incollandolo al suo fianco, e fece scivolare un piede davanti ai suoi. Hanatamago scodinzolava contenta, con la linguetta di fuori, e grattò lo stivale di Svezia con una zampetta.

Lituania sentì stagnare l’imbarazzo di Finlandia che teneva la fronte bassa a nascondere le guance arrossite, e si fece avanti per primo, sfogliando i fascicoli fra le dita. “Uhm, signore, riguardo quei documenti...”

“Sei un po’ pallido, Lituania,” gli disse Russia.

Lituania sollevò gli occhi di scatto, sbatté le palpebre. “Uh?” Dalle labbra socchiuse si gonfiò una nube di condensa.

Russia gli mostrò un sorriso dolce. Sfilò un braccio da sotto il corpicino di Moldavia rannicchiato al suo petto e aprì una mano verso il viso di Lituania. Gli districò una ciocca di capelli dalla fronte, la portò dietro l’orecchio, e gli posò il palmo sulla guancia bianca di stanchezza. “Da quanto tempo non esci a prendere una buona boccata d’aria?”

“Ehm,” Lituania ebbe un fremito, lo sguardo vacillò, ma lui non si sottrasse, “non ricordo, signore, ma non importa, sul serio, non...”

Russia si voltò verso gli altri, senza perdere il sorriso e senza togliergli la mano dalla guancia. “Estonia.”

Estonia sobbalzò, irrigidì come una stalattite. “S-sissignore!” Lettonia sciolse la presa che lo teneva incollato a lui e si allontanò di un passo.

“Prendi tu i documenti,” disse Russia, “così facciamo riposare un po’ Lituania.”

Lituania fece sventolare una mano, il sorriso imbarazzato. “Non ce n’è bisogno, davve...”

“O-okay.” Estonia piegò il capo in avanti e zampettò verso Lituania, sfilò davanti a Finlandia e Svezia guardando per terra fino a che non gli fu di fronte. Sollevò le braccia e si fece dare i fascicoli. “Scusa,” sussurrò.

Lituania annuì. Un piccolo ma sincero sorriso di gratitudine gli colorì il pallore delle guance.

Russia gli rimboccò il cappotto che si era buttato sulle spalle, glielo sistemò attorno al collo. “Su, ora copriti bene, vai a fare una camminata e rilassati.” Gli scoccò un’occhiata dolce ma dura allo stesso tempo. “È un ordine.”

Lituania abbassò lo sguardo e annuì, docile. “Sissignore.” Uscì dall’ombra del palazzo alle sue spalle, si infilò le maniche della giacca, abbottonandosi lungo il torso, e prese la strada verso il piccolo boschetto di abeti. Sentì subito l’aria farsi più fredda, l’odore di bosco pungergli il naso, e i primi fiocchi di neve caddero a macchiargli i capelli di bianco.

Gettò un ultimo sguardo da sopra la spalla, mentre si stava aggiustando il colletto, giusto in tempo per vedere Russia che lo salutava con la mano.

“Ti aspettiamo per l’ora di cena.”

Russia strinse Moldavia al petto e si girò, tornando sotto i portici, in mezzo alle colonne di marmo e oro. Estonia fu il primo a seguirlo, a mettersi di fianco a lui, spalle basse, sguardo chino e le carte abbracciate al petto. Lettonia gli corse incontro e tornò ad appendersi al suo fianco, Finlandia e Svezia dietro di loro, Hanatamago a zampettare accanto ai loro piedi.

Estonia sollevò solo gli occhi, li posò sul viso sorridente di Russia, sull’abbraccio che teneva Moldavia protetto contro di sé, sulla sua grande e fredda ombra che lo seppelliva in un sudario di gelo.

Trattenne il fiato, sentì il cuore fermarsi contro i fascicoli che stringeva fra le braccia.

Puntargli una pistola addosso?

Lui con una pistola in mano. Lui con le braccia tese, entrambe le mani strette al calcio, gli indici infilati nell’anello del grilletto, i polpastrelli sovrapposti alla levetta. Lui con la canna dell’arma rivolta contro il corpo di Russia. Lui che spremeva gli indici e...

Estonia scosse il capo, gettò il viso a terra e un brivido di terrore liquido gli fece traballare la spina dorsale. Ebbe paura solo immaginando che Russia potesse leggergli nella mente e scoprire quello a cui aveva pensato.

Si diede un piccolo schiaffetto sulla guancia. Sorrise, divertito di se stesso.

Come no!

 

.

 

Diari di Estonia

 

Puntargli una pistola addosso, diceva lui. Quel giorno ci risi su, e penso che ci abbia riso su anche Finlandia. Nessuno di noi due prese quella battuta sul serio, nessuno di noi due ci credeva davvero, figuriamoci.

Ho fatto fatica a crederci persino il giorno in cui mi sono ritrovato a farlo per davvero.

   
 
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