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Autore: Mary_Julia_Solo    15/09/2016    1 recensioni
Saresti disposto a morire
per ottenere la verità?
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« Katharine lo guardò confusa, ma poi lentamente si alzò e, ignorando il dolore alla spalla, corse nel bosco, incespicando nelle radici e urtando i rametti bassi. Prima di allontanarsi troppo si voltò verso l’uomo in nero per controllare che non la stesse seguendo, che non si stesse solo divertendo con lei. Ma, lo vide ancora fermo dov’era prima, a guardarla correre via. All’improvviso Katharine si chiese chi fosse. Se davvero avesse voluto uccidere la sua famiglia. O tutti gli altri che probabilmente aveva ucciso. Si chiese se davvero fosse cattivo. Se davvero fosse senza cuore come lo credeva. »
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 5. - Alone
Il cielo si faceva sempre più scuro, oltre il finestrino. Daphne tornò a guardarlo, dopo aver distolto lo sguardo da Steve. I ricordi non volevano abbandonarla, seguendola come un fantasma. Di solito riusciva a non pensarci, ma conoscere il Capitano Rogers aveva cambiato tutto. L’ennesima memoria la invase, facendola sentire intorpidita…
-Mamma ? -domandò, stringendo l’orsetto di peluche tra le piccole dita pallide. Katharine si voltò verso di lei, sorridendo, lasciando da parte il pomodoro che aveva appena finito di tagliare. Daphne ancora non capiva che quel sorriso era falso, creato soltanto per convincerla che tutto andasse bene. Sua madre stava sempre male, e presto lo avrebbe compreso anche lei.
-Si, tesoro ? -le chiese di rimando, prendendo un’altro pomodoro dalla cesta della verdura e iniziando a tagliarlo.
-Dov’è mio padre ? -chiese, senza nemmeno pensarci un attimo, con la sua ingenuità da bambina sette anni. La schiena di sua madre si irrigidì appena, ma Daphne non lo notò. Katharine tornò a guardarla, la fronte corrucciata.
-È morto. -disse semplicemente, ma la bambina non le credette. Erano solo bugie. Lei le bugie le percepiva nell’aria, come l’aria salmastra. Si avvicinò imperiosa alla madre.
-Non è vero. Lo so. -Katharine si inginocchiò, per arriavare alla sua stessa altezza.
-Come puoi saperlo ? -le chiese, quasi esasperata dal comportamento della figlia.
-Lo vedo da come ti agiti ogni singola volta che ti domando di lui. Non sono più una bambina, ho quasi otto anni. Devi dirmi dove sia mio padre. Devo saperlo ! -la madre la osservò preoccupata. Daphne era troppo intelligente per la sua età. Ma… Come spiegare ? Non poteva, no.
-Non è morto. -disse allora, sistemando una ciocca bionda dietro l’orecchio di sua figlia. -Diciamo che se n’è andato. -si alzò e riprese il suo lavoro con i pomodori.  -Quando sarai più grande ti spiegherò. Credimi, è meglio così. -Daphne non era per nulla soddisfatta, ma quello che la madre le aveva detto era un inizio. Alzò le spalle e saltellò fuori dalla stanza, l’orsetto ancora stretto in mano. Non si accorse che sua madre si stava sfiorando il fianco sinistro, dove aveva una vecchia ferita, quasi senza accorgersene. Katharine era persa nei suoi pensieri e distrattamente di ferì l’indice. All’improvviso, sentì le lacrime agli occhi. Si prese il viso tra le mani, appoggiando i gomiti sul bancone, scoppiando in un pianto liberatorio…
Quella era la prima volta che aveva chiesto a sua madre cosa realmente fosse successo a suo padre. Non aveva mai capito come avesse realizzato che lui non era morto. Era una cosa che si era sentita dentro, come un presentimento. E da quel momento in avanti non si era più data pace. Voleva, doveva, sapere perchè sua madre non le diceva mai niente. Aveva promesso che non si sarebbe data pace, e non lo aveva fatto. All’improvviso capì che trovare suo padre era l’unica cosa che l’aveva mantenuta in vita per molti anni, quando non aveva nulla se non sua madre. Sentì un altro ricordo premerle nella mente e chiuse gli occhi…
Era una fredda giornata di febbraio e Katharine e Daphne Hewlett stavano passeggiando nel bosco vicino alla loro casa, che qualcuno avrebbe definito « sperduta nel nulla ». Stavano in silenzio, stavano sempre in silenzio. Avevano poco da dirsi. E quello che avevano da dirsi era troppo doloroso per entrambe. Daphne osservò un piccolo scoiattolo correre lungo la corteccia di un albero e correre sulle foglie secche. Lanciò un occhiata a sua madre, che aveva gli occhi socchiusi. Sembrava che il freddo le piacesse, per qualche motivo. La ragazza si azzardò a fare una domanda. Una domanda che invadeva la sua mente da settimane. O forse da anni.
-Perché mio padre è scappato ? -Katharine scosse la testa, sospirando.
-Non è scappato, tesoro. -disse lentamente. Daphne la osservò stupita. Odiava tutte quelle risposte minimali che sua madre sempre le dava.
-Ma quello che mi hai detto quattro anni fa, me lo ricordo ! O hai mentito anche su questo ? -esclamò, facendo fuggire lo scoiattolo.
-Stai calma, ti prego. -cercò di tranqullizzarla Katharine, guardandola con i suoi profondi occhi color ciccolato.
-Come… Ma… Non posso ! Mi menti sempre ! Perchè non puoi semplicemente dirmi la verità su mio padre ? Perchè vuoi tenermela nascosta ?! -strinse pugni. Non era da lei reagire così, ma era arrabbiata. Voleva la verità. Doveva averla ! Era davvero così difficile venirne a conoscenza ?
-Daphne… -sua madre non riusciva a capire quanto questa cosa fosse importante per lei. Non ci riusciva proprio.
-No, no, no ! Voglio saperlo ! Dimmelo ! -non riusciva a smettere di urlare, e fu felice di abitare in quel « luogo sperduto nel nulla ». -Perché è così difficile ? In tutta questa storia c’entra per caso la cicatrice che hai sulla spalla destra ? -era forse una domanda a sproposito, ma dallo sguardo di Katharine, Daphne comprese di aver fatto centro. Dovava soltanto insistere un altro po’, e forse finalmente avrebbe avuto tutta la verità. -Perché non ammetti che mio padre è scappato quando ha scoperto che eri incinta ? Perché non ametti che era un codardo ? -finalmente sua madre reagì.
-Lui non era un codardo ! -esclamò, con una forza che stupì Daphne. L’aveva fatta arrabbiare, l’aveva fatta arrabbiare davvero. Non l’aveva mai vista così. Era quasi spaventata. -Adesso ascoltami bene Daphne Hewlett. Tuo padre non era un codardo. -il suo sguardo si fece all’improvviso triste e malinconico. -Era l’uomo più coraggioso che avessi mai conosciuto. -la ragazza non si sentì più di urlare a sua madre, poiché le sembrava molto triste, quindi mormorò :
-Allora perchè ti ha lasciata ? -Katharine sospirò, stringendo i pugni, sperando invano che la figlia non la vedesse. Daphne giurò che avesse gli occhi lucidi.
-Perchè doveva. Non poteva restare. Non è stata una scelta sua. E… Lui non sapeva nemmeno della tua esistenza. -a quel punto la ragazza non seppe più cosa dire. Forse doveva semplicemente lasciare che su madre continuasse a parlare, invece di farlo lei. -Ma lui mi amava. Mi amava con tutte le sue forze. E avrebbe amato anche te se solo… -le venne un irrefrenabile tremolio al labbro. Katharine sentiva che presto sarebbe scoppiata in lacrime, e non poteva permetterselo. Daphne fece un passo indietro, quasi spaventata da tutte le informazioni che la investivano come uno tsunami.
-Ma… perché ? -non riusciva a comprendere. -Perché non è stata una scelta sua ? L’America è un paese libero, no ?-
-Gli U.S.A. sì, lo sono. Ma… Ma lui non lo era. -Katharine trattene un singhiozzo, conficcandosi le unghie nelle mani, soltanto per sentire più male lì che all’altezza del cuore.
-Perchè parli di lui al passato ? Come se fosse morto ? Perché… -all’improvviso Daphne non ne era più sicura. -Perché non lo è, giusto ? -sua madre non potè fare più nella per impedirlo. Cadde sulle ginocchia, mentre le lacrime le diluviavano dagli occhi. -Mamma ! -esclamò Daphne, correndo subito al suo fianco, ignorando la terra umida che le sporcava il cappotto. Katharine la guardò con occhi lucidi, poi la strinse a sè, mormorando :
-Non è morto, no. Ma non c’è più, non c’è più… -Daphne decise che era meglio rimanere in silenzio, ma la testa le si riempiva di interrogativi. Cosa era successo a suo padre ? Cosa ? -Ti prego, prometimi che non mi chiederai più di lui… -la ragazza annuì piano. Non aveva mai visto sua madre così distrutta. Quel giorno promise i non fare più domande. E mai più ne fece…
-Daphne ? Daphne ? -la ragazza venne riportata alla realtà da Steve, che la guardava preoccupato. Si voltò verso di lui, che chiese se stesse bene. Lei annuì solamente e il Capitano le lanciò un occhiata che significava : « Lo so che non è vero. »
-Stavo pensando. -disse allora, decidendo di essere sincera con lui. Si fidava. Si era fidata di poche persone in tutta la sua vita. O forse di nessuno. Fino ad allora. -Mia madre sembrava distrutta quando parlava di mio padre. Solo quando parlava di lui. Avrebbe potuto attraversare un uragano, ma lui la faceva sentire debole. -lanciò un’ occhiata svelta a Steve. -In quei momenti ho capito quando sia stupida la mente umana. Farsi distruggere per amore è… è… -cercò la parola giusta. -Ridicolo. Vedendo cosa aveva fatto a mia madre decisi che non mi sarei innamorata mai.  -il Capitano alzò le spalle.
-In fondo ti capisco. Devo dire di non avere avuto molta fortuna io stesso. -Daphne lo osservò silenziosamente, lo sguardo indagatore, poi constatò :
-Eri innamorato di Peggy Carter, vero ? -lui la guardò stupito ma non troppo. Aveva capito che era intelligente. Una specie di Sherlock Holmes, in pratica. -Ho visto i tuoi occhi mentre parlavi di lei. Dev’essere stato uno shock per te risvegliarti dopo settant’anni, anche per questo. -Steve si concentrò sulla strada, dove in lontananza si cominciavano a vedere le luci notturne di Washington.
-Sì. All’inizio pensai che fosse morta, poi scoprì che era viva. Fui molto felice però… Quello che tra noi c’era stato per lei si era dissolto nel tempo, era diventato un semplice ricordo. -esitò un attimo prima di continuare. -Invece era ancora impresso nella mia anima, come una cicatrice. Per me non era passato che poco tempo. -si voltò verso di lei e sorrise mestamente. -Ma prima o poi bisogna lasciar andare tutto, ed è quello che ho fatto io. -
-Ma non hai mai lasciato andare il Soldato d’Inverno, -disse, mentre lo sguardo del Capitano si incupiva. -cioè, Bucky. -si corresse ricordando come Steve lo aveva chiamato.
-Forse non lo sai, ma tuo padre è così a causa mia. -Daphne lo guardò si sottecchi, ma non gli credette. Stava troppo male, lo vedeva. Non era stata colpa sua, ma lui si sentiva in colpa.
-No, sono certa di no. -disse allora. I due rimasero in silenzio, mentre entravano a Washington. La ragazza non si stupì troppo a vedere tutto quel inquinamento luminoso. Dopotutto aveva abitato a Los Angeles, la città di Hollywood. Quando arrivarono allo Smithsonian lo trovarono ovviamente chiuso.
-Ecco, te lo avevo detto ! -esclamò Daphne, temendo di aver fatto quel viaggio per niente.
-Tranquilla dai. -le disse Steve sorridendo divertito. -Ricordi cosa ti ho detto ? -
-Che sei Capitan America, ok, ma non vedo come potrebbe essere utile. -lui le diede un colpetto sulla spalla magra.
-Questa mostra parla di me. Avrò il diritto di entrarci spero ! -la ragazza fece per ribattere, ma lui uscì dall’auto, e lei lo seguì, nell’aria fredda della notte. Camminarono per qualche metro e si fermarono davanti ad una parete. Steve aprì con disinvoltura la finestra e le fece segno di seguirlo. Daphne esitò un secondo e il Capitano si voltò a guardarla, un espressione interrogativa stampata sul viso.
-Non vieni ? -la ragazza sollevò un sopracciglio, stringendosi nelle spalle per il freddo.
-Non pensi che sia qualcosa del tipo… -calcò bene sull’ultima parola. -Illegale ? -lui ghignò, dicendo :
-L’ho già fatto una volta. Nessuno mi ha visto. -
-Non è che magari è perché sei uscito subito ? -Steve non rispose ma saltò oltre la finestra. Daphne scosse la testa e si arrampicò sul davanzale con una certa difficoltà, non essendo agile come il supersoldato. Quando entrò lo trovò ad aspettarla, sorridente. Lei scosse la testa ma riprese a camminare dietro di lui. Lo Smithsonian era un grande edifico, ma a loro bastò seguire le freccie che indicavano la direzione per la mostra su Capitan America. Entrarono tranquillamente, come due turisti. Solamente che era notte. Steve avrebbe voluto andare subito al punto, ma Daphne non ne aveva alcuna intenzione. L’insicurezza che aveva provato poco prima era stata sostituita da una certa adrenalina, che la faceva comportare come una bambina. Si fermò accanto a un immagine a grandezza naturale di Steve quando ancora su di lui non era stato usato del siero ed esclamò, a basa voce :
-Sono alta quanto lo eri tu ! -il Capitano non era per niente divertito, anzi, imbarazzato.
-N-no… Sei più bassa ! -ribattè, mentre gli si imporporava il viso.
-Certo, se lo dici tu, Capitan America. -lo raggiunse e gli tirò un pugno sulla spalla, tanto lui nemmeno lo sentì. Camminarono ancora qualche metro nel corridoio poco illuminato e arrivarono nella parte della mostra dedicata agli Howling Commandos. Steve si fermò davanti al pannello che parlava di Bucky, sospirando e infilandosi le mani in tasca, triste, aspettando che Daphne lo raggiungesse. Si ricordava la prima volta che era stato lì. A quel tempo ancora credeva che il suo migliore amico fosse morto ed era però vicinissimo a scoprire cosa era diventato. Ogni tanto, quelle notti nelle quali non riusciva a dormire, mentre stava sdraiato a fissare il soffitto illuminato dalla poca luce che oltrepassava le imposte chiuse, si odiava per pensare che forse sarebbe stato meglio se Bucky davvero fosse morto. Certo, forse era ingiusto, ma non riusciva a sopportare tutto quello che i sovietici, che l’Hydra, gli avevano fatto.
-Steve ? -lo richiamò Daphne, guardandolo con occhi preoccupati, una cosa strana, ma non con lui. Il Capitano e la ragazza sarebbero sempre stati legati da un filo invisibile, ormai. Avevano troppe cose in comune. Una delle quali era Bucky. Avendo constatato che Capitan America si era ripreso dai suoi pensieri, Daphne si concentrò sul pannello. Le sue labbra si muovevano impercettibilmente mentre leggeva. -Qui… Qui dicono che è morto… -la ragazza si voltò di nuovo verso Steve. -ma noi sappiamo che non è vero. -rivolse ancora lo sguardo al testo, in particolare alla data di nascita di suo padre. -1916… -mormorò, anche se senza stupore.
-Il 30 marzo ad essere precisi. -la corresse il Capitano. -So che fa strano pensare che tuo padre abbia all’incirca 99 anni, ma dopotutto io sto raggiungendo i 97, perciò… -Daphne lo sapeva, ma a volte tendeva a dimenticarsene, considerando che Steve ne dimostrava ovviamente molti meno. Lui si allontanò e si sedette sullo spazio sopraelevato che ospitava le ricostruzioni degli abiti degli Howling Commandos. Daphne lo raggiunse in fretta e si sedette accanto a lui, aspettando che parlasse. Ma la mente di Steve sembrava ancora persa nel vuoto, quindi decise di parlare per prima.
-Mi dispiace dovertelo chiedere, ma sai che non posso fare altro. -quella singola frase fece riprendere il Capitano. -Cosa successe durante la seconda guerra mondiale ? -lui sospirò e si passò una mano tra i capelli color del grano.
-So di non poter più rimandare, perciò… -Daphne si fece subito attenta, desiderosa di sapere il più possibile. -Bucky era uno degli Howling Commandos, un squadra scelta da me per affiancare Capitan America durante la battaglia contro l’Hydra. Suppongo che Fury ti abbia raccontato della divisone scientifica tedesca. -la ragazza annuì. -Superammo molte missioni, ma nel ’44, ci mandarono, io, Bucky e un’altro degli Howling, a « prelevare » il dottor Zola capendo che ci sarebbe stato utile per ditruggere l’Hydra, considerando che i suoi macchinari erano riusciti a immagazzinare l’energia del Tesseract, un oggetto con potere divino. Andammo tra le Alpi, nella zona che tocca la Germania. Dovevamo impedire che entrasse in Svizzera, dove non avremmo più potuto fare nulla, poiché quella nazione era neutrale. Salimmo sul treno, e quando riuscimmo ad entrare, trovammo non poca difficoltà ad avanzare, dato che l’Hydra aveva costruito armi usando il Tesseract. Prima che riuscissi a mettere fuori gioco un soldato tedesco con una delle armi, lui distrusse una delle pareti del treno, scaraventando fuori Bucky. Andai in suo soccorso, ma… -Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. -Ma troppo tardi. Cercai di prendere la sua mano, fallendo. Non potei fare altro che gurdarlo cadere, senza poter fare niente. -Daphne rimase in silenzio, guardando nel vuoto, mentre si storceva le mani. Il Capitano invece sembrava arrabbiato. Più con sè stesso che con chiunque altro. -Ho pianto solo due volte in tutta la mia vita. La prima quando avevo sette anni e dei bulli mi pestarono, la seconda quando Bucky morì. - guardò la ragazza, sentendosi le lacrime premergli negli occhi, ma sapendo che non avrebbe pianto. -Ti giuro che non ho mai voluto tutto questo, ma capirò se vorrai darmi la colpa per quello che è successo. Sono riuscito a salvare il mondo, ma non il mio migliore amico. -Daphne rimase ancora qualche secondo in silenzio, i capelli che le erano sfuggiti alla coda che le scivolavano sul viso, poi disse, la voce spenta :
-Dimmi quello che è successo dopo. -Steve la osservò sospirando.
-Zola aveva fatto degli esperimenti alla sua divisione, quando fu catturata in Italia nel ’43, che l’hanno aiutato a sopravvivere alla caduta. Poi, i soldati dell’Hydra lo devono aver trovato. Io non so esattamente cosa gli abbiano fatto. Ma… Gli hanno fatto dimenticare tutto quello che era, facendogli dei lavaggi del cervello, trasformandolo in un assassino. Pochi negli anni hanno creduto alla sua esistenza, e i pochi che ci credevano pensavano fosse un fantasma. L’Hydra lo teneva congelato, come lo sono stato io per settant’anni, scongelandolo solo quando a loro sembrava più giusto. -Daphne non voleva rischiare di trattare male Steve, così decise di stare zitta. Non voleva che lui credesse che fosse arrabbiata con lui. Non era lui a dover pagare per quello che era successo, era l’Hydra. E non si era mai sentita tanto certa come in quel momento che qualcuno dovesse pagarla. Ma quell’organizzazzione era ormai crollata. Non c’era più nessuno da distruggere. Quindi rimaneva una sola cosa da fare. -Di qualcosa, ti prego… -mormorò il Capitano, sicuro che lei non lo avrebbe mai perdonato. Perchè la colpa era soltanto sua, e lo riconosceva.
-Non devi darti colpe che non hai. -cominciò Daphne dopo qualche secondo. -So che tieni a Bucky. Lo so, lo so. -lo guardò dritto negli occhi chiari come il diamante. -Hai distrutto l’Hydra, e questo è stato un inizio. Lo hai liberato, Steve. -
-Lo credevo anch’io. Ma hai visto cosa ha fatto a tua madre… -abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenere quello della ragazza, così simile a quello del suo migliore amico.
-Vuol dire che lo controllano ancora. -
-No ! -esclamò lei e Steve tornò a guardarla, stupito da tutta quella certezza. Lei scosse la testa. -È… È solo una sensazione. Ma… Credo che lui non l’abbia uccisa. -lo guardò seria, e lui sgranò gli occhi, comprendendo quello che stava insinuando.
-Non è stato lui a ucciderla. Qualcuno ha preso il suo posto. -schioccò le dita. -Qualcuno che si faceva passare per lui ! -
-Non ne sono certa. -mormorò Daphne abbassando gli occhi e mordendosi il labbro inferiore. -Ma penso che dovremmo andare a Los Angeles per cercare delle prove. -concluse la ragazza alzandosi. - Ovviamente senza dirlo allo S.H.I.E.L.D. -aggiunse in fretta. Il Capitano annuì e i due ripercorsero il corridoio. -Ehi. -disse all’improvviso Daphne, fermandosi. Steve si fermò a sua volta, guardandola interrogativo. -Davvero, so che tieni a lui. -lo disse con sincerità, all’unica persona della quale sapeva di potersi fidare. -E una cosa te la prometto. Sarò anche una stupida ragazza diciannovenne ai tuoi occhi, ma non importa. Troveremo Bucky, il tuo migliore amico, mio padre, e lo salveremo. Davvero. È l’unica cosa che so che devo fare, ora che ho scoperto la sua identità. Gli obiettivi cambiano. -Capitan America le sorrise, le sorrise davvero, come mai prima aveva fatto.
 
Angolo autrice :
Ok, lo ammetto, questo capitolo fa schifo e non si capisce niente, scusatemi :/. Ci ho messo tanto ad aggiornare perchè non riesco assolutamente più a trovare ispirazione per questa storia e sono ad un punto morto. Per un po’ quindi è probabile che non aggionerò più, ma di sicuro tornerò, una volta superato il blocco dello scrittore.
Ok, grazie a chi è riuscito a sopravvivere fino in fondo al capitolo :)
   
 
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